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Autore Discussione: LUCIA ANNUNZIATA -  (Letto 146530 volte)
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« Risposta #210 inserito:: Settembre 29, 2013, 11:10:48 pm »


La crisi era inevitabile. Ora subito al voto per una vera stabilità

Pubblicato: 28/09/2013 21:08

Lucia ANNUNZIATA

Avevo scritto poche settimane fa, su questa stessa testata, all'indomani della condanna di Silvio Berlusconi che il governo Letta era finito. La ragione una sola: non si poteva obiettivamente tenere in piedi una coalizione fra due partiti il leader di uno dei quali viene condannato per frode fiscale in via definitiva.

Non è una questione di ideologie - scrivevo - cioè di destra e sinistra, né di emozioni. Il problema posto dalla condanna di Silvio Berlusconi è un fatto di etica pubblica. In ogni altro paese del mondo democratico, con qualunque governo, di sinistra o conservatore, la condanna di un leader avrebbe richiesto le presa di distanza del partito dal proprio capo condannato. E dal momento che fin dalla prima ora si poteva anticipare che il Pdl mai avrebbe preso le distanze dal proprio fondatore, la fine del governo Letta era scritta nelle cose.

Eppure per settimane non si è preso atto di questa realtà ovvia. Nel nome di una stabilità di governo, nel nome della difesa dell'economia italiana. La disperata difesa di questa linea di responsabilità è stata fatta da uomini e istituzioni molto rilevanti: il Quirinale innanzitutto, e molti importanti leader e commentatori politici. Silvio Berlusconi si è preso gioco di tutti loro. E speriamo che a questo punto si avvii una più seria riflessione su cosa sia la "responsabilità'" e la "stabilità" in un paese come il nostro.

Ma tutto questo è già parte dell'ieri. Oggi quel che conta è cercare di capire dove si va da questo punto in poi. Si è entrati infatti un un territorio del tutto sconosciuto. Il processo con cui si è arrivati alla crisi di governo appare in queste ore del tutto sorprendente. In giornata Napolitano aveva fatto quella che sembrava un'apertura alle richieste di Silvio Berlusconi annunciando che avrebbe chiesto al Parlamento un provvedimento di amnistia. Non più di un segnale, ma certo un gesto di buon vicinato.

Anche dalla parte del Pdl arrivavano segnali di fiducia; molti gli scontenti pronti a disubbidire alla richiesta di dimissioni di Silvio Berlusconi in nome di un atto di responsabilità. Si attendeva per fine giornata una nota dello stesso Berlusconi che rasserenasse gli animi. Invece la nota è arrivata ed è stata un maglio sul tavolo di qualunque trattativa. Sorpresa di tutti, compresa quella dei ministri berlusconiani.

Com'è potuto succedere? Non lo sappiamo bene, e forse non lo sapremo mai bene. Ed in fondo è irrilevante: la imprevedibilità del leader del Pdl è evidentemente il punto in cui si concentra la crisi del nostro paese. E' un uomo provato, arrabbiato, determinato, e convinto di non doversi piegare alle decisioni della Giustizia, come il resto dei cittadini.

Difficile immaginare che qualcosa possa essere ricostruito con leader che ha tale inclinazioni e convinzioni. Speriamo dunque che nessuno si faccia una seconda illusione. La stabilità italiana è assicurata da due cose, come del resto in tutti i paesi del mondo: un governo con una maggioranza vera, che lo metta in grado di governare, e una seria ripresa economica, i cui termini non siano ostaggio (come si è visto da Iva e Imu) di trattative fra partiti. Si vada dunque a votare al più presto. Persino con questa legge, è meglio il voto di un governo in apnea durato alla fine solo cinque mesi.

DA - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/la-crisi-era-inevitabile-ora-subito-al-voto-per-una-vera-stabilita_b_4009606.html?utm_hp_ref=italy&ref=HREA-1
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« Risposta #211 inserito:: Ottobre 06, 2013, 12:23:15 am »

Non infierirò su Silvio Berlusconi.

Perché non sono una fascista

Pubblicato: 05/10/2013 15:01

Lucia ANNUNZIATA

So che molti di voi, forse la maggior parte, non sarà d'accordo con quello che sto per scrivere, ma tant'è .

In ognuno di noi esiste un fascistello. È quello che ci fa godere se siamo più belli e più forti di chi ci sta davanti. È sempre lui quello che ci induce a sfoggiare i muscoli, a esercitarci contro quelli più deboli di noi - i vecchi, gli stupidi, i brutti, i poveri, i neri, le donne, i gay... la lista è infinita.

Ma il fascista più fascista di tutti è a mio parere quella pulsione interiore che ci fa infierire sui nemici vinti.

Io sono esposta continuamente alla tentazione di tutti loro, non so voi. Raggiungere una serenità di giudizio, un equanimità di parola è sempre stato per me un grande sforzo, lo ammetto.

In compenso, Vito Crimi, senatore M5s è riuscito a dare voce in un solo post e in un solo pomeriggio a tutti i fascistelli che si annidano in noi. È riuscito a evocare la vecchiaia (che arriverà anche per lui) nella sua sordida corruzione della carne, è riuscito a rendere grottesca la figura degli anziani malati che per molti di noi sono semplicemente I nostri padri e le nostre madri, è riuscito a rendere un godimento l'età giovanile che è invece solo un divario temporale, non certo di destini. Tutto questo confezionato in una sede istituzionale, dove lui rappresenta la Repubblica, e mentre era in corso il più drammatico voto degli ultimi venti anni contro un leader politico.

Non credo che il post con cui Crimi ha deciso di comunicare al mondo la sua partecipazione alla Storia abbia inficiato i lavori della Giunta. Non credo dunque che su quel post, come ha chiesto il senatore Schifani, fosse doveroso fermarne i lavori.

Ma è importante che di quel post si parli perché ci può far riflettere - almeno, questo è quel che penso - su come uscire dalla Seconda Repubblica.

Credo di non avere bisogno di patenti per dimostrare da che parte sono stata in questi venti anni, ma davanti alla conclusione giudiziaria e politica di questo periodo non mi metterò fra chi affonda la lama dell'insulto, della soddisfazione, e ancor meno della volgarità, contro Silvio Berlusconi.

Non trarrò piacere dalla condanna di nessuno, e non mi sento nemmeno gratificata dal fatto che un leader politico che ho sempre considerato nemico della nostra democrazia - per i suoi conflitti di interesse e per il modo con cui ha trasformato la politica immettendovi il peso del denaro - abbia fatto questa fine politica in un modo così infamante. La giustizia ha trionfato ma quando un leader politico fa questo tipo di fine non sta bene l'intero paese.

E non parlo da moderata. Anzi. Il moderatismo che viene riscoperto in questo momento in un paese che per venti anni è stato avvelenatissimo, è solo un pannicello caldo che si applica su una ferita sanguinante; è una sorta di invenzione "verbale" più che sostanziale, per cambiare il discorso pubblico nel tentativo di cambiarne iI percorso. La riscoperta oggi del moderatismo è il modo con cui ci si vuole illudere che tutto ora va bene.

Non infierirò sul destino di Berlusconi invece proprio perché non sono per nulla ottimista. Perché - ripeto - un paese i cui leader politici fanno questa fine (condannati per frode ed espulsi dai ranghi del senato) non è un paese che sta bene, comunque. Perché penso che il potere avuto da Silvio Berlusconi è un sintomo di qualcosa di sbagliato di cui tutti, cittadini e non solo politici, abbiamo una corresponsabilità - ed è guardare davvero dentro di noi e dentro questo periodo la via per uscire davvero da venti anni di Guerra civile fredda.

Ma soprattutto non infierirò su Silvio Berlusconi, perché non sono un maramaldo, non amo i bulli, non mi piacciono le feste sul corpo degli altri. Non sono una fascista, insomma.
Da – repubblica.it
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« Risposta #212 inserito:: Novembre 28, 2013, 11:45:19 am »

La decadenza è la migliore riforma fatta da Silvio: tutti uguali davanti alla legge
Pubblicato: 27/11/2013 22:17

Va bene, lo abbiamo capito, e peraltro non era nemmeno difficile da anticipare. Il voto di oggi non è la fine della presenza politica sulla scena italiana di Silvio Berlusconi ma solo l'inizio di una sua nuova fase. A evitare ogni possibile equivoco, il Cavaliere nel comizio tenuto davanti casa a Roma, lo ha detto con chiarezza, rilanciando sè stesso e il movimento, aprendo la campagna elettorale e promettendo ai suoi lealisti una nuova stagione di fasti.

Abbiamo anche capito - e anche questo non è difficile da anticipare - che la nuova carriera di Silvio apre per il Paese una fase di turbolente imprevedibilità. In particolare, come ci ripetono tutti i saggi e gli accorti, i tre maggiori leader politici di oggi, Renzi, Grillo e lo stesso Cavaliere, sono tutti extraparlamentari.

E tuttavia, il voto in Senato sulla decadenza di Silvio Berlusconi è un segnale di non ritorno per il nostro sistema politico. Segna la fine dell'"eccezionalismo" berlusconiano, il teorema secondo il quale la politica "domina" sulla Giustizia. Un eccezionalismo che non nasce in questi mesi, dopo la condanna in terzo grado, ma che costituisce la più antica idea del berlusconismo: l'idea che la Giustizia sia al servizio della politica.

Per venti anni Silvio Berlusconi ha sostenuto che ogni processo nei suoi confronti era un surrogato scelto dai suoi suoi oppositori per sconfiggerlo in politica. Di recente ha rafforzato questo concetto ribaltandolo in sua difesa, sostenendo cioè che un uomo che rappresenta otto milioni di voti non può essere processato. Farlo costituirebbe - come dice in queste ore - un colpo di Stato.

Questa concezione della Giustizia come prosecuzione in forme diverse della Guerra, per dirla con un certo snobismo, è stato il vero cavallo di battaglia di Forza Italia fin da quando è nata, ed ha raggiunto la sua piena formulazione dopo la recente condanna. Idea inquinante, e profondamente eversiva - almeno nelle democrazie moderne in cui si crede all'equilibrio di poteri.

Un atto parlamentare ha ristabilito quello che questo Paese pensa sia giusto. La giustizia è stata riaffermata come potere separato e superiore alla politica, strumento di giudizio indipendente ed equalitario nel misurare il peso di chi è chi, in una società.

In breve, molto in breve, il voto al Senato ha ristabilito che anche se sei il capo di un partito che mobilita milioni di persone rispondi alle stesse regole di uno che ha solo sè stesso da rappresentare. Personalmente aggiungerei che il leader di un partito di otto milioni di persone ha più ragioni del comune cittadino di farsi da parte, proprio in nome della sua rappresentatività.

Certo, non viviamo in un sistema giudiziario senza pecche. Ma il voto del Senato sula decadenza del senatore Berlusconi ristabilisce una norma che ora colpisce lui, ma che in prospettiva ( stia sereno il Cavaliere) ristabilisce una norma che serve all'intero sistema.

Il voto contro il leader del Pdl è una ammonizione per tutti gli altri politici - non importa di che colore. Il voto è il caso che fa testo per tutti. È il muro che argina tutti coloro che pensano di usare la politica come clava invece che come leva.

Dopo il voto in Senato , insomma, sarà più difficile per tutti fare i furbi. Involontariamente, dunque, l'ex senatore Berlusconi, potrà intestarsi quella che fra alcuni anni potremo forse considerare la maggiore riforma del Parlamento Italiano: l'eliminazione di ogni corruzione fra le fila di chi ci rappresenta.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/decadenza-miglior-regalo-di-silvio_b_4351876.html?1385587029=&ref=HREA-1
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« Risposta #213 inserito:: Dicembre 01, 2013, 05:14:56 pm »

Confronto tv Renzi, Cuperlo, Civati.
Botte da orbi ma nessun disvelamento, né degli uomini né dei programmi

Pubblicato: 29/11/2013 20:42 CET  |  Aggiornato: 29/11/2013 23:05 CET

Mi avventuro nel giudizio finale sul dibattito, così a caldo.

I tre si sono confermati nelle loro dimensioni. Nell'ordine di presenza in palco. Cuperlo ha giocato la cultura (da Jefferson a Calvino) come identità profonda della sinistra.

Renzi si è tenuto stretto il suo ruolo di sindaco: combattivo, sognatore ma pragmatico.

Civati ha fatto l'outsider brillante che dice le cose con chiarezza e prova a rompere il gioco.

L'unica nota intensa: il periodico emergere di una grande animosità fra Renzi e Cuperlo, una autentica rabbia sottopelle e una gran voglia di darsele di santa ragione. Su Prodi, sul Presidenzialismo, su Privatizzazioni e Corruzione ci sono state botte da orbi: intenso lo scambio fra "i capitani coraggiosi" scagliati contro Cuperlo da Renzi e la ritorsione di Cuperlo su Renzi in merito ai brogli alle urne delle primarie. Una tensione che la dice lunga sul futuro.

Cuperlo è stato molto meno trattenuto del suo solito. Renzi ha dominato con facilità il discorso ma quando non è solo non brilla della solita luce.

L'unico che merita l'aggettivo di brillante è Civati - ma ha avuto gioco facile perché ha cavalcato tutti i temi più vicini al cuore della sinistra delusa di questi ultimi mesi. Forse non dovendo assumersi la responsabilità di essere davvero lui a guidare il partito.

Nulla di nuovo dunque. Appiattito da domande troppo semplificate e ingabbiato dalla diavoleria dei minuti e secondi (le interviste vanno fatte a mio parere parlandosi, non solo mettendo punti interrogativi), il confronto non ha brillato. Rispetto al dibattito dell'anno scorso (quello con Bersani e Renzi) non c'è stato nessuno disvelamento ulteriore, né dei personaggi né dei loro programmi.

Ps impossibile non notare la mancanza di qualunque voce femminile.

    Il direttore di Huffpost Post Lucia Annunziata ha commentato in diretta il confronto tv tra i candidati alle primarie del Pd Matteo Renzi, Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Scorri la pagina per leggere tutti i commenti


Da - http://www.huffingtonpost.it/2013/11/29/confronto-tv-renzi-cuperlo-civati-annunziata-mauro_n_4361097.html?1385754124&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #214 inserito:: Dicembre 11, 2013, 10:45:42 am »

Lucia Annunziata
Direttore, L'Huffington Post

Una vittoria senza scampo, ora Renzi chieda vera discontinuità nel governo e nuove elezioni

Pubblicato: 08/12/2013 22:51

Una affermazione senza dubbi, una valanga. Una vittoria senza scampo, si potrebbe dire.

Dopo aver ricevuto tale prova di fiducia, così decisa, così carica di attese da portare alle urne tre milioni di cittadini, Matteo Renzi non ha infatti nessuno scampo e nessun alibi: raramente nelle mani di un segretario del Pd si è concentrato tale potere quale quello che è stato conferito a lui.

Parliamo naturalmente degli ultimi venti anni. In questo periodo di tempo, nessuna investitura ha avuto la caratura di quella data oggi a Renzi. Nemmeno quelle di Prodi o di Veltroni. La differenza non è né nella modalità (le primarie sono in vigore da tempo) né nei numeri (i tre milioni sono una cifra simbolica già raccolta intorno a Prodi e Veltroni). La differenza è nel percorso.

Renzi infatti "viene da fuori", non è cioè nemmeno mai transitato dalle fila del partito, ed è stato catapultato dentro il partito "da fuori" cioè da voti di un'area che è più ampia degli iscritti al partito stesso. Le primarie questa volta sono state insomma un vero e proprio arrembaggio, una sorta di scalata al cielo, la presa di un Palazzo d'Inverno, piuttosto che il riconoscimento finale, il "visto si stampi" di un pubblico che col suo voto ratifica più che eleggere un leader già affermato, come fu il caso di Veltroni e Prodi.

Che tanta gente, il 70 per cento dei votanti quasi, abbia partecipato alla presa del Palazzo, è la prova di quanto forte è la richiesta di cambiamento che si muove nella sinistra. Ma di questa richiesta di cambiamento sappiamo. Il punto segnato da una vittoria di tale proporzioni è, piuttosto, come si diceva, la carta bianca che consegna a Renzi, è la accelerazione che imprime al suo nuovo incarico.

Con tali numeri è difficile infatti che il sindaco di Firenze possa oggi prendere tempo, cincischiare, cominciare a guardarsi intorno, fare un giro di "esplorazioni", o anche solo riunire i vari comitati. Chi lo ha votato ha rottamato infatti una idea del partito, ma anche una certa idea della politica: politica come gestione separata, come universo tecnico, con le sue regole per altro non tutte sempre comprensibili o trasparenti.

Quel settanta per cento, una maggioranza che in altri tempi si sarebbe definita bulgara, è cifra troppo chiara perché possa essere sperperata nel tempo.

Renzi voleva un referendum sul suo nome, come risposta - ha detto più volte - anche alle possibili vittorie del populismo: "se perdiamo questa occasione, Grillo e Berlusconi ci mettono in mezzo come una tenaglia e ci portano via". Il referendum c'è stato al di là delle sue stesse attese, probabilmente.

La risposta che ora Renzi deve dare ha per certi versi la stessa qualità del populismo stesso: deve essere cioè chiara, comprensibile a tutti, provatamente efficace e, non ultimo, veloce.

E più che sul partito, e su altre relativamente piccole questioni - quali sono quelle interne al partito, alle liste di segreterie, alle composizioni degli organi e cose del genere - il nuovo segretario del Pd dovrà dare una risposta a questioni molto più essenziali: il lavoro, le compatibilità europee, la stabilità politica. Difficile che possa anche solo cominciare questo processo senza innanzitutto dare una chiaro segnale di discontinuità con il passato.

Senza cioè porre al più presto all'ordine del giorno un nuovo governo, che abbia un più vasto consenso, un nuovo spirito, nuove idee di riforma, e, necessariamente, una nuova idea di rappresentanza politica. In parole semplici, le nuove elezioni - presto - sono all'ordine del giorno.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/una-vittoria-senza-scampo-ora-chieda-vera-discontinuita-nel-governo_b_4409416.html?1386539500=&utm_hp_ref=italy&ref=HREA-1
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« Risposta #215 inserito:: Dicembre 16, 2013, 04:47:04 pm »

Renzi dà l'addio alla "meglio gioventù".
La ribellione generazionale cambia la narrativa del paese

Pubblicato: 15/12/2013 19:31

Lucia ANNUNZIATA

La frase più efficace, o almeno quella che a me è sembrata la migliore nel segnare il crinale di un passaggio, è stata: " Basta pensare che la meglio gioventù sia nata e morta con l'alluvione di Firenze".
La questione generazionale è stata ancora una volta la chiave del successo con cui il neosegretario Matteo Renzi a Milano ha preso d'impeto il suo Partito e lo ha portato dalla sua parte.

Chiave generazionale che nulla ha a che fare con la stucchevole, e francamente banale, questione della rottamazione, della stima fra vecchi e giovani, e bolle teoriche del genere. Il ricambio generazionale è sempre una presa del potere a mano armata, non avviene mai in maniera indolore, e la mia generazione (che è quella oggi ampiamente rottamata) con i suoi vecchi all'epoca ha saputo fare di ben peggio di quel che oggi ha fatto Renzi. Infatti, come ci si poteva aspettare, questa parte banalizzante del ricambio di età, è arrivata all'appuntamento milanese già ampiamente sgonfia, avviata, con la elezione di Cuperlo, sulla strada di pragmatiche soluzioni.

La interpretazione generazionale più autentica riguarda invece la memoria, e l'eredità che compongono e giustificano l'investitura nel presente della classe dirigente di una società. Il dominio di una generazione ha infatti quasi tutto a che fare con la interpretazione del suo passato. In questo l'Italia è certo un paese di superconservatori, ancor prima che di anziani. Un paese in cui il vuoto di visione da anni viene coperto da una versione mitizzata, e dunque distorta, del tempo che fu.

Nella nostra immaginazione collettiva - e non solo quella di sinistra, va detto - il passato si è fissato in una sorta di età dell'oro rispetto a cui tutto il resto è una unica, lunga , strada di decadenza. Dalla Resistenza prima, dal glorioso Dopoguerra poi e, perfino, da un Sessantotto raccontato come non è mai stato, quello di una non casualmente autodefinitasi "meglio gioventù'" di cui si ricordano in metafora l'alluvione, ma non le rotture, gli errori e anche orrori che ha commesso.

Questa memoria ricostruita (la polemica qui, ripeto, è contro la finzione della memoria, non è la negazione dei meriti del passato) è in effetti diventata la maggiore forza di resistenza al cambiamento che conosciamo perché ha fondato l'idea che di teste come quelle che in passato hanno fatto politica (ma ugualmente si può dire per tutte le altre istituzioni, incluso il mondo imprenditoriale) non se ne sono prodotte più. Al punto che tocca ancora oggi a queste teste continuare (magari mentre si lamentano per il peso della responsabilità) a ragionare, a tenere insieme il paese, ad essere responsabili per tutti gli irresponsabili e gli "ignoramus" che popolano il nostro territorio.

Nel senso di questa missione degli anziani c'è tutto il disprezzo, e neppure tanto sottile, per giovani cui si attribuisce una minorità intellettuale permanente. Giovani corrotti, si dice, da una società consumista, dalla società del successo facile, e dalla mancanza di una "vera cultura". In queste due affermazioni ci sono due fantasmi che spuntano anche senza farne il nome: quello di Silvio Berlusconi, cui si intesta la corruzione degli attuali "mores", e quello di Internet, come viene chiamata con semplificazione, quella rivoluzione tecnologica che ha portato un cambiamento che i vecchi non capiscono e di cui si liberano dicendo che è la fine dell'umanesimo, della vita sociale, dei diritti, insomma, della cultura occidentale "alta".

Si capisce bene come questa visione del mondo sia (occasionalmente) all'origine delle Larghe Intese, e (strategicamente) la base di una visione crepuscolare, triste, avvolta in un permanente velo luttuoso, del declino della nostra società. Di una dell'Italia sull'orlo del baratro, e di italiani troppo immaturi per votare e ancora più immaturi per esprimersi in politica. Che debbano insomma essere salvati da se stessi, dal loro populismo brado e dalla loro ignoranza, ad opera di un manipolo di quel che rimane della "meglio gioventù", sentinella permanente ed effettiva sulla retta via.

Renzi, come lui stesso ha detto, ha usato toni spesso non condivisibili per sfondare questo muro di resistenza. Lui stesso ha definito "forse volgare" il termine rottamazione - e certo un filo di ombra di eutanasia si è sempre steso su questa parola. Ma a Milano sembra aver finalmente portato a segno la spiegazione delle sue stesse idee, ribaltando il senso della narrazione dei nostri tempi. Ridando in mano ai giovani la supremazia in questo momento della frontiera culturale: "I giovani non hanno mai avuto tale accesso al sapere, non hanno mai avuto un tale deposito di cultura a cui attingere".

Osando attaccare quello stupidario sull'Italia cui si è ridotta, con il tempo, la storia dei giovani che vanno a studiare all'estero, diventati simbolo di una malfunzione del paese invece che naturale ristrutturazione (e ambizione) del mercato del lavoro globale. "Ne ho incontrato uno che si è presentato", ha raccontato Renzi, dicendo 'sono un tipico cervello all'estero'. Dopo che gli ho parlato gli avrei detto e ci puoi pure restare, viste le sciocchezze che mi hai detto. Non è che uno è un cervello solo perché è all'estero. I cervelli sono anche in Italia".

Sembrano solo osservazioni, ma sono tutti pezzi di un racconto diverso, in cui il nostro paese, descritto come un luogo in profonda crisi economica, non è certo però in crisi di energie e progetti. Un paese con le mani legate da burocrazia e resistenze - in cui quelle della politica risultano persino minori se comparate a mandarinati statali, furberie, e avvilimento di ogni meritocrazia - ma non della forza d'urto intellettuale e sociale per farcela.

È questo cambio di sguardo il vero elemento di novità, perché tocca una corda profonda nel cuore dei 35/40enni italiani che si avvertono come una generazione mandata al macero dai propri adulti. Renzi sa restituire loro un ruolo, e se non potesse contare sulla loro forza d'urto l'accelerazione che ha proposto nel programma politico non avrebbe senso. Riforma elettorale (entro gennaio), riforme politiche, semplificazione del mercato del lavoro, diritti, cittadinanza. Tutto e subito, ha promesso Renzi. Con coraggio forse maggiore del realismo. E, forse senza volerlo, ma chissà?, riprendendo una parola d'ordine proprio di quella “meglio gioventù” che ha appena sostituito.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/renzi-da-laddio-alla-meglio-gioventu-la-ribellione-generazionale-cambia-la-narrativa-del-paese_b_4449682.html?utm_hp_ref=italy&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #216 inserito:: Gennaio 19, 2014, 06:08:09 pm »

Cosa concederà ai conflitti di interesse di Berlusconi?
Su questo sarà giudicato anche Renzi

Pubblicato: 18/01/2014 10:15

Ci sarà ampio tempo per discutere sul perché per come e cosa è successo alla sinistra e al berlusconismo, dopo (e se) Matteo Renzi avrà portato a casa una accordo sulla legge elettorale con Silvio Berlusconi. Ma alcune precisazioni, almeno a livello personale, preferisco farle prima, a busta chiusa. Per evitare ogni forma di opportunismo intellettuale del poi.

Non mi scandalizza che Renzi incontri Berlusconi per parlare di legge elettorale. Le riforme, e in particolare una legge delicata come quella elettorale, devono essere fatte con la più ampia delle maggioranze parlamentari. Non mi scandalizza nemmeno che l'incontro tra il Cavaliere e il Segretario avvenga dentro la sede del Pd: è un pugno allo stomaco, è iconograficamente una sorta di presa della Bastiglia. Ma è anche il luogo più pubblico, il più istituzionalmente giusto. Dunque quello che assicura a questo incontro il massimo della trasparenza.

Il punto di valutazione della operazione per me sarà un altro: cosa dovrà dare a Silvio Berlusconi Matteo Renzi per ottenere il suo consenso alla intera operazione? Risposte in giro ce ne sono. La più importante è che il Cavaliere sarà soddisfatto di tornare di nuovo al centro della politica, e di avere un modello elettorale che lo garantisce nelle prossime elezioni. Non sarebbe poco. Ma davvero è quel che basta per Silvio Berlusconi? Non vorrei che in questo frangente si dimenticasse quello che è successo negli ultimi venti anni.

Il capo di Forza Italia ha portato sulla scena istituzionale un intreccio unico di potere e interessi economici personali. Il conflitto di interessi, pur presente in tutte le democrazie moderne, è stato praticato dal Silvio Berlusconi con estensione e passione tali da aver di fatto trasformato la natura stessa della politica in Italia. Se oggi abbiamo un parlamento frantumato e incapace, se oggi abbiamo una nazione dominata da una politica espressione prevalente di affari (e dunque corruttela) questa è una responsabilità che va tutta sulla testa di Silvio Berlusconi. Lo dicono oggi anche i tribunali. Ma anche senza condanne questa responsabilità politica del leader del centro destra mi sembra acclarata dalla storia recente. E il fatto che la sinistra non abbia saputo sottrarsi a questo clima, che, anzi, per moltissimi versi lo abbia accettato se non addirittura favorito, non diminuisce in nulla il ruolo - per me del tutto negativo - che Silvio Berlusconi ha avuto in questo paese.

Il modus operandi del Cavaliere è dunque sempre stato quello di intrecciare i suoi obiettivi politici a quelli privati. La sua funzione di leader è sempre stata accompagnata soprattutto dalla sua voglia di "sistemare le sue cose": il controllo della Rai da padrone di Mediaset, lo scontro con i giudici per riformare a sua necessità la giustizia, e infine le tante leggi "ad personam" per evitare incriminazioni. Incriminazioni che oggi gli sono cadute addosso, e a cui ancora oggi Berlusconi cerca di sottrarsi usando la politica. O abbiamo dimenticato la sua idea che un leader di peso non puo' essere condannato, senno' si tratta di un deformazione delle democrazia?

Il Silvio Berlusconi politico che tratterà la legge elettorale porta con sè in un intreccio, come ho cercato di dire fin qui, inestricabile, il suo pacchetto di richieste "ad personam". Già sappiamo di cosa si tratta - non va dimenticato che il Cavaliere è in attesa di una decisione sulla sua personale libertà, e che il suo tempo come uomo a piede libero sta per scadere. Possiamo davvero, davvero, davvero, immaginare che questo pacchetto "ad personam" non farà parte della trattativa? O non immaginiamo che, innominato, sarà il convitato di pietra degli incontri sulla legge elettorale? Nei giorni scorsi Marco Travaglio sul Fatto e Curzio Maltese su Repubblica hanno entrambi fatto notare che la attuale classe politica del Pd che oggi fa la nei confronti dell'incontro far Renzi e Berlusconi non ha titolo a parlare dal momento che è la stessa che negli anni lo ha favorito e che di recente ha formato un governo con lui. Giustissimo. Condivido.

Prova ne sia l'opposizione di questi mesi mio e da questa piccola testata al governo Letta. Proprio per questo aggiungo: se Matteo Renzi concederà a Silvio Berlusconi aiuti su qualunque punto dei suoi interessi personali, avrà perso ai miei occhi ogni patente di diversità e novità. Appoggio Matteo Renzi, lo appoggio dalla prima ora, cioè dalle primarie che ha perso contro Bersani, ma il modo come condurrà questo passaggio con Silvio Berlusconi sarà per me dirimente. Non ci saranno proposte nuove, né nessun dinamismo politico che, almeno per me, varranno un patto ambiguo ed opaco con quel che di peggio il nostro paese ha espresso in politica negli ultimi venti anni.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/cosa-concedera-matteo-renzi-ai-conflitti-di-interesse-di-silvio-berlusconi_b_4621792.html?1390036540=&ref=HREA-1
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« Risposta #217 inserito:: Gennaio 30, 2014, 04:18:44 pm »

Accordo perfettibile, che rompe comunque con la palude italiana

Pubblicato: 29/01/2014 16:57

Lucia ANNUNZIATA

C'è l'accordo per una nuova legge elettorale. Non è un accordo perfetto, e ne parleremo, ma ci sono molti motivi per esserne contenti

Cominciamo da questi.

Il primo. Avere una nuova proposta di legge rompe intanto la maledizione: è dal 21 dicembre 2005 che vivevamo con la legge porcata che ci ha regalato il più rapido degrado che il nostro sistema politico abbia mai conosciuto. Ci sono pochi dubbi che il passaggio nelle mani dei leader e delle segreterie di partito della nomina degli eletti sia alla radice di tutti i fenomeni di corruttela istituzionale, e di distacco della politica dai cittadini. La bozza che Renzi porta sul tavolo su questo punto non è perfetto, e ci ritorno fra poco. In ogni caso, la parte peggiore di un infelicissimo capitolo della nostra vita pubblica oggi è stato chiuso.

Il secondo. L'accordo trovato introduce anche un altro rilevante cambio nella nostra vita pubblica. Il segretario del Pd ha fatto una operazione come non se ne vedevano da tempo: darsi un obiettivo, darsi tempi stretti, e raggiungerlo nei tempi dichiarati. Questo atto di decisionismo nasce da un rapporto con Berlusconi che non è piaciuto a molti, e me tra questi. Non c'è dubbio che Berlusconi ne abbia tratto vantaggio. Ma l'intero arco delle forze politiche è stato poi coinvolto, e il Pd, all'inizio riottoso in alcune sue aree, ha scelto poi il percorso molto istituzionale di seguire il suo segretario mentre esprimeva anche le sue differenze. Il complesso di questo movimento - capacità di agire, trasparenza, intreccio fra identità di partito, obbedienza, dissenso, con aggiunta una buona dose di pragmatico cinismo dei rapporti di forza - è sicuramente un rinnovamento, un procedimento dell'agire che mostra una efficacia che da anni non vedevamo nella paludosa politica italiana. Renzi ha fatto l'azzardo di avviare questo processo. Renzi ne coglie oggi tutto il successo. Allo stesso modo con cui ne coglierà l'insuccesso, in caso di una svolta negativa degli eventi. Per ora si può dire che il rapporto fra responsabilità, promessa , e risultato rompe con l'eccezione Italiana e riallinea il paese alla più normale gestione politica delle democrazie avanzate.

Nel merito dell'accordo ci sono molte obiezioni, se lo si misura nel confronto con le richieste fatte dai cittadini in questi anni. La più forte di queste obiezioni ha a che fare con il residuo di porcellum che c'è nella bozza: la esistenza di liste bloccate sia pur "corte" nelle circoscrizioni. Questo è il vero punto debole dell'accordo. È come se il porcellum nazionale, fatto esplodere, si trasformi in bombe grappoli nelle realtà locali. I cittadini, ben consapevoli di quello che è successo con il porcellum non vogliono sentir parlare di miniporcellum. I politici devono capirlo. Pubblichiamo per altro qui un sondaggio di Ispo che sottolinea come gli elettori di ogni colore politico sono uniti a stragrande maggioranza dal desiderio di esercitare la possibilità di scegliere chi eleggere. Su questo ci deve essere e ci sarà battaglia in Parlamento.
Non è detto che la soluzione debba essere la troppo inquinata preferenza, ma soluzione va trovata.

Altro teme molto delicato sono le soglie di sbarramento: quella verso l'alto, fissata al 37 per cento, e quella verso il basso, del 4,5 per cento.

Il diritto dei piccoli partiti a vivere è una questione di identità collettiva. Non ci sono dubbi, per quel che mi riguarda: i padri costituenti dell'Italia del dopoguerra abbracciarono il proporzionalismo proprio per affermare, dopo l'esperienza del fascismo, che la difesa delle moltitudini di voci è essenziale. Credo che nessuno abbia dimenticato il valore avuto in passato il contributo di partiti piccolissimi come il Partito Repubblicano il cui leader ha avuto un peso inversamente proporzionale al numero di voti che raccoglieva.

Oggi è ancora di più così: in epoca di moltitudini di voci, di moltiplicazione dell'accesso, via media e strumenti di partecipazione, fare una battaglia per rasare I cespugli non solo è sbagliato, è anche alla lunga perdente perché irrealistico. Un buon esempio di questo nuovo stato di cose è il M5S, che può essere accusato, irriso, ma ha una sua radice nella modernità del mondo che non sarà sradicata con la politica dello struzzo. Esiste è vero la questione della governabilità, ma è questione politica non di azzeramento di voci. Anche su questo punto si deve discutere.

Tuttavia, c'è un compenso nella bozza che funziona bene da bilancia. Sei i piccoli soffrono di questo accordo, va detto che, viceversa, non se ne avvantaggiano troppo i grandi. Il premio di maggioranza arriva a una soglia tale che, almeno sulla carta, è difficile per ciascuno degli attuali protagonisti raggiungerlo al primo turno. Facendo intravvedere un quasi automatismo verso il doppio turno, che è passaggio difficile ma sempre catartico, in politica. La competizione per sopravvivere dei grandi insomma non sarà meno feroce di quella dei piccoli. In questo senso la legge premia un dinamismo a favore delle scelte nette - per essere più espliciti: il rapporto di accordo fra Forza Italia e Pd, raggiunto sulla discussione della bozza, non dovrebbe più essere ripetibile come schema di gioco governativo per default. In questo senso l'intesa con Berlusconi per fare la legge, ma anche le larghe intese dovrebbero essere a questo punto un meccanismo non più ripetibile. Nel complesso, dunque, siamo sulla strada buona. Speriamo che il Parlamento la percorra fino in fondo.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/accordo-perfettibile-rompe-palude-italiana_b_4687686.html?1391011044=&ref=HRER1-1
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« Risposta #218 inserito:: Febbraio 03, 2014, 04:49:25 pm »

Caos M5s. Partigiani o fascisti?
Pubblicato: 30/01/2014 21:11

A parte la richiesta di impeachment di Napolitano, che tutti sanno che non ha nemmeno i requisiti per poter essere formalizzata, e dunque è solo una trovata pubblicitaria, in effetti, l'uso della pubblicità come sostituzione della politica ha raggiunto ieri da parte dei Grillini il livello parossistico del ridicolo.

Quello che è stato descritto come un assalto alla democrazia, è stato in effetti solo una messa in scena organizzata da dilettanti della sceneggiatura.

Il bel ragazzo Di Battista, nuova star del movimento, è andato con videomaker a seguito allo scontro verbale con Speranza, del Pd, sperando di essere spintonato, urlando " che fai mi metti le mani addosso?" Appena il piddino gli toccava un braccio, senza però mai dimenticare di guardare la telecamera.

Assalti ai banchi del governo con memoria di Ombre Rosse: la carica verso la presidenza parte da un capofila che si muove dall'alto e fa segno ai suoi di uscire dai banchi con gesti da indiani.

Bavagli tirati sulla bocca, come di fronte alla polizia in piazza, salti con slancio sui banchi del governo e attacco ai commessi di Montecitorio degni di scontro con i Navy Seal. E paroloni, paroloni - "boia", "golpisti", "affamatori" - tirati in aria senza testo e senza contesto dunque come coriandoli in un anticipo di Carnevale.

Fino alla Carnevalata più grossa di tutte, appunto - l'autoinvestitura di Beppe Grillo, che di fronte a una magnifica finestra di una bella stanza, annuncia che la democrazia è morta e tocca a lui ora guidare i nuovi partigiani.

Cose, insomma, per nulla preoccupanti. Se non fosse che questa messa in scena è quello cui si è ridotto un grande, interessante, moderno e allegro movimento. Paralizzato dalla sua incapacità di muovere la sua stessa forza, di capire cosa fare di tutti I consensi che ha conquistato, di tutte le simpatie che ha raccolto intorno a sé in questi mesi in Parlamento.

Di fronte allo smacco di un Renzi che in poche settimane ottiene quel che voleva, invece di guardarsi dentro, gli eletti del M5S ripiegano sulla più banale delle soluzioni - il grido, l'urlo, il rumore e l'agitarsi, pur di allontanare la propria crisi, pur di riempire in qualche modo l'horror vacui della scoperta della propria paralisi.

Peccato. Peccato vedere tutte le giovani promesse che solo pochi mesi fa avevano portato un felice vento nuovo con i loro zainetti nel Parlamento trasformarsi nel solito rabbioso giro di chi non sa che altro fare.

Peccato, davvero. Soprattutto perché di gente che urla e grida e assale in sostituzione di parole e fatti l'Italia ne ha conosciuta molta. Ma questi non si chiamano forse fascisti, caro Grillo? Altro che partigiani.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/caos-m5s-partigiani-o-fascisti_b_4697240.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #219 inserito:: Febbraio 25, 2014, 05:13:11 pm »

Cos'era? Un discorso o una provocazione dadaista ai senatori?

Pubblicato: 24/02/2014 20:12

In riunione di redazione poco prima dell'arrivo del Premier al Senato avevamo deciso di rivederci il primo discorso di Tony Blair e il primo di Kennedy, convinti che ci saremmo trovati di fronte a un evento certo non altrettanto formidabile, ma di sicuro ambizioso.

E cosa c'è di più ambizioso di un uomo che ha afferrato per il petto il suo partito, la classe dirigente di un intero paese, per poi abbandonare le sue stesse promesse di rottamare il mondo e con una piroetta assegnare a se stesso il massimo potere, il ruolo di Premier?

Immaginavamo dunque che Renzi avrebbe usato la sua prima apparizione istituzionale per spiegare il suo fin qui complesso percorso; per rassicurare i già convinti senatori cui ha chiesto la maggioranza; per farsi conoscere mostrando magari aspetti finora andati persi nella corsa in cui è impegnato da anni; per sfidare i suoi critici, e, soprattutto, per fornire al paese tutto (e a tutte le opinioni pubbliche di altre nazioni che lo seguono con interesse e curiosità) il suo personale progetto di un nuovo futuro per l'Italia.

Ci aspettavamo insomma qualcosa magari non di storico, ma di sicuro pensato. Su una cosa fino a oggi dubbi non ci sono mai stati: che il nuovo Premier sia maestro di comunicazione. Ma anche questa certezza oggi traballa.

Il primo discorso di Matteo Renzi è stato infatti una deludente prova sia nella forma che nei contenuti. Improvvisato, con nessuna struttura ravvisabile, quel che in volgare si direbbe "un discorso senza capo né coda"; piuttosto un collage di tanti altri suoi interventi, comizi, battute e aneddoti. Per esempio: il pezzo che avrebbe dovuto essere più denso di emozione e visione, quello sulla bellezza italiana, l'avevamo già sentito nel suo addio pochi giorni fa alla carica di sindaco di Firenze. E siamo certi che ricordate anche voi la storia delle due ragazzine che siedono nello stesso banco, sono nate entrambe in Italia ma una di loro non ha la cittadinanza. Nulla da dire - hanno funzionato fin qui queste storie perché non riproporle?

La risposta è: perché Matteo Renzi non è uno che conduce uno spettacolo e dunque fa e rifà il suo numero più riuscito. Devo dire che non riesco neppure a ricordare quante volte ho già sentito quell'unica frase sull'Europa: "Il punto è che mettere a posto le cose di casa nostra non deriva da un obbligo europeo: non è la signora Merkel o il governatore Draghi a chiedere di essere seri con il nostro debito pubblico: è il rispetto che dobbiamo ai nostri figli, alle generazioni che verranno". Una curiosità invece mi rimane: "Quell'uomo che in un'isoletta immaginava gli Stati Uniti d'Europa in pieno conflitto", è evidentemente Spinelli. Perché non abbia colto l'occasione di regalarci il nome e qualche suo pensiero su questo padre della patria non mi è chiaro.

Forse perché in questa logica del discorso a braccio, i contenuti entrano casualmente, insieme a tutto il resto, e non trovano un loro spazio di articolazione.

Le promesse per il nostro domani, pur enunciate con forza, sono rimaste dunque molto generiche. Abbiamo così impegnativi obiettivi, ma slegati da ogni percorso. Quello definito prioritario, lo 'sblocco totale dei debiti della Pa", è affidato a "un diverso utilizzo della Cassa Depositi e Prestiti". Sulle tasse ha promesso un taglio di ben dieci punti delle tasse sul lavoro. Come? "Attraverso misure serie e irreversibili, non solo attraverso il taglio della spesa, per avere nel primo semestre del 2014 risultati immediati e completi". Il sussidio universale per i disoccupati, è tornato sotto queste striminzite spoglie: "Uno strumento universale a sostegno di chi perde il posto del lavoro e con regole normative anche profondamente innovative".

Fumosissimo invece - e forse non a caso - la parte sulla giustizia. Abbiamo capito che per Renzi si deve cominciare dalla giustizia amministrativa, proseguire con quella civile ("oggi la lunghezza del procedimento civile è tale per cui non solo se ne vanno gli investimenti ma anche la certezza che le situazioni siano redimibili") e poi con quella penale. Ma sul nodo politica-giustizia che ha lacerato il paese un solo passaggio: "dopo 20 anni le posizioni sono calcificate e intangibili". Seguito da un altro accenno che arriva come un inciso: "Questa è la vita reale che vorremmo informasse di più la discussione sulla giustizia: non, semplicemente, i nostri derby ideologici, ma la necessità di fare della giustizia un asset reale per lo sviluppo del Paese". Un po' poco, devo dire, per venti anni vissuti pericolosamente.

D'altra parte dobbiamo dire che sarebbe stato difficile forse fare meglio essendo Renzi arrivato al Senato senza un rigo scritto. Cos'è poi questa scelta? Una provocazione alla Renzi, un segno dadaista di diminutio di quel Senato che vuole abolire? O una scommessa alla James Dean su chi salta per ultimo dalla macchina che corre verso il bordo dell'aula senatoriale?

Ma Renzi non ha un gruppo di persone che lo aiuta? Se proprio non aveva tempo lui, non poteva esserci qualcuno che questo discorso lo scrivesse?

La verità, dicono però subito i renziani, è che questo intervento è perfetto così perché proprio così concepito e voluto. Quella che a molti è apparsa come improvvisazione - dicono - è solo l'ennesima prova della diversità del leader; che quello che "agli intellettuali", ai giornalisti e a "quelli che si ergono a maestri" (oddio, riecco la intellighentia che rema contro!) sembra mancanza di contenuti è solo un linguaggio che "parla al cuore"; che Renzi rimane un maestro del ribaltamento e della rottura perché parla alla gente.

Va bene così. Il potere di guidare questo paese passa fra oggi e domani, con il voto di Camera e Senato, saldamente nelle mani di un giovane (che non smette di vantarsi di essere tale) leader. Con il potere, la responsabilità. I prossimi mesi saranno dirimenti, come lui stesso dice.

Ma forse val la pena che qualcuno (come lo schiavo sul carro del trionfo nell'orecchio dell'Imperatore) gli ricordi che immaginare che ci sia un paese lì fuori e uno qui dentro, uno fuori della mura e un altro dentro, è un altro di quei miti antropologico-politici su cui si è scornata tanta sinistra in questi ultimi anni. Per dirlo più semplicemente: siamo per nostra fortuna una repubblica molto più accorta, molto più colta e molto più discernente di quel che si pensa e si ama ammettere. I contenuti in questo paese trionfano sempre. A volte anche quelli che non ci piacciono. E anche in quelli che non ci piacciono c'è sempre un pezzo di verità.

Il Premier-Sindaco Renzi troverà presto sulla sua strada la verifica che cerca.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/discorso-a-braccio-e-fumoso-ma-la-verifica-sui-contenuti-del-premier-sindaco-arrivera-presto_b_4848411.html?utm_hp_ref=italy&ref=HREA-1
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« Risposta #220 inserito:: Marzo 06, 2014, 12:11:11 pm »

Effetto Dorian Gray per Matteo Renzi
Pubblicato: 05/03/2014 19:54

Di giovane c'è sempre il solito movimento - tweet, IPad, battute, film, interviste a mensili patinati, che però da giovanili che sono si trasformano sempre più in giovinate dell'immagine, mentre il premier politico invecchia a vista d'occhio. È in atto un effetto Dorian Gray per Matteo Renzi, fra l'entusiastico leader del cambiamento e lo statista già un po' appesantito che si disvela in questi primi giorni.

Il contatto del mirabile ragazzo con la realtà è parso duro fin dai primi attimi, rovinati dalla sfortunata coincidenza fra il primo weekend di governo e la peggiore crisi militare in Europa da un paio di decenni. La cautela lì si è vista subito - né tweet né messaggi al popolo e nemmeno mediatici affacci. Un cautissimo silenzio ha avvolto il di solito loquace governo. Riserbo da prudenza - il vertice fra premier e i due ministri,

Difesa ed Esteri, è arrivato solo alla fine della domenica, buon ultimo dopo che tutti, Onu, Nato, americani ed europei si erano già espressi sull'operato della Russia. E anche con tutta la cautela usata, la nostra posizione è stata così poco chiara fra Putin e il resto del mondo che abbiamo dovuto precisare e poi precisare sulla precisazione, per dire che siamo ancora in campo occidentale.

Non che tutto questo sia stato sia colpa del governo. L'Italia è da anni nella singolare posizione di essere con il portafoglio a favore di Putin e con le idee a favore dell'Occidente. Quando c'era Berlusconi questa divaricazione la sinistra italiana l'ha cavalcata fino al grottesco (ricordate il "lettone di Putin"?). Ne ha fatto le spese, anche se in forma minore, Enrico Letta, unico leader occidentale presentatosi a Sochi a dispetto delle "buche" date a Putin dagli alti leader occidentali. Renzi però ha avuto la sfortuna di trovarsi a confrontare la nostra singola più difficile questione di politica estera, appena ha cominciato a camminare. E lì abbiamo subito visto un altro Renzi, quello che, di fronte al primo bagno di realtà, ha cominciato a virare verso le sponde sicure della politica e dei ruoli tradizionali, per subito rifugiarsi con educazione sotto la tutela del presidente della Repubblica: cappottino grigio e aria seria, all'inizio dell'anno accademico dei nostri Servizi

Segreti, un passo indietro al Presidente, ha pronunciato ai vertici della nostra intelligence un discorso scritto.

Dalle mani in tasca al discorso preparati (è arrivato finalmente nello staff qualcuno che scrive?): una vera e propria educazione sentimentale per il nostro premier, potremmo dire. Senonché, la vecchiaia in politica non è certo quella dei modi (e chissene delle mani in tasca), ma della sostanza. Ed eccoci qui, a pochi giorni dall'inizio dell'era del ringiovanimento italiano, a prendere atto di una tripla mossa di illusionismo parlamentare. Quell'Italicum il cui pirotecnico passaggio è stato fin qui la base per giustificare l'arrivo al potere senza voto del Premier, proprio quell'Italicum eccolo cadere e rinascere modificato in altra forma e in altri scopi ancora prima che arrivasse in discussione alla Camera. E con un accordo ancora una volta fatto senza nessun ruolo dei parlamentari, ma per vie dirette fra il premier stesso, Alfano e Berlusconi.

Pratica molto tradizionale, non vi pare?, questi rapporti fra vertici di partito. E non mi dite che si è sempre fatto così perché questo è esattamente il punto: Renzi aveva promesso a tutto il paese di rottamare la vecchia politica, di cambiare il modo di far funzionare il paese, per questo ha vinto le primarie. La soluzione finale di questi accordi è stata - e non sorprende - la produzione di una di quelle immaginifiche formule tanto in voga in tutte le nostre varie repubbliche: una legge elettorale che vale solo per una camera "tanto il Senato lo dobbiamo abolire", un "Italicum a metà" che degnamente può compararsi all'audacia intellettuale delle "convergenze parallele".

La parola ora torna, come sempre, ai costituzionalisti. Ma davvero vorrei capire se sia sensato, ancora prima che legittimo, fare una riforma a-la-carte, per un elettorato sì e un altro no. Dal punto di vista politico il risultato però è chiaro. L'Italicum a metà salva molti interessi. Renzi nel giorno della approvazione potrà dire di aver mantenuto la promessa ed di aver fatto la "rivoluzione" di una nuova legge elettorale. Ma, se per andare al voto si dovrà poi aspettare la abolizione del senato, cambiando la Costituzione, ci andremo sicuro molto in là. Il più in là possibile - quel 2018 cui il giovane Renzi ambisce diventa così un arco possibile di legislatura.

È un bellissimo salto mortale, una splendida manovra parlamentare per ottenere tutto e non pagare prezzo. Il sogno, insomma, di ogni leader politico da quando la politica ha cominciato a camminare. Renzi si conferma così ogni giorno un po' di più un leader tradizionale. Dopo aver promesso di cambiare il sistema, rottamare la vecchia politica, è arrivato al potere senza il voto, per poi prolungare a colpi di manovre parlamentari la sua permanenza in questo potere. I renziani che hanno creduto in lui, i cittadini che gli hanno dato fiducia (io tra questi) sono (siamo) contenti?

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/effetto-dorian-gray-per-matteo-renzi_b_4905438.html?utm_hp_ref=italy&ref=HREC1-3
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« Risposta #221 inserito:: Marzo 12, 2014, 11:56:43 am »

Annunziata «Il guaio dei renziani? Sono inesperti del potere»
La direttrice dell’Huffignton Post : «Io supporter del premier, ma D’Alema non fece sottosegretari i membri del suo staff»

di Monica Guerzoni

ROMA - «La Boschi non è la zarina di tutte le Russie, è una ragazza gentile, perbenissimo e non spocchiosa. Quasi umile...».
Scusi Lucia Annunziata, ma lei e il ministro non vi eravate lasciate con un «ci rivedremo in tribunale» per colpa dell’ormai celebre pizzino?
«L’Huffington Post ha pubblicato un articolo che raccontava le pressioni della Boschi su Dorina Bianchi, bigliettino o non bigliettino, per il voto sulla parità di genere. Lei mi ha chiamato, voleva che togliessimo il pezzo dal sito e io le ho spiegato che non funziona così».
Cosa le ha detto, direttrice?
«Che avremmo pubblicato la smentita. Ma il ministro, sempre molto cortese nei toni, insisteva nel dire che dovevamo togliere l’articolo. Io le ho risposto che avevamo agito secondo le regole e che non l’avremmo tolto».
E Boschi?
«Ha detto che si riservava di denunciarmi. E io ho chiuso con un “bene, sarò felice di vederti in tribunale”... Questo episodio è il primo grande inciampo, rivela che non sanno le regole del gioco nel senso più alto. Hanno in mano un potere che non conoscono e le pressioni della Boschi sono una prova di debolezza. A Palazzo Chigi c’è un gruppo dirigente che non ha preso le misure al potere».
Governano da un mese.
«Sono saliti su un treno in corsa senza sapere dove andare e si sono ritrovati a Palazzo Chigi. Non hanno esperienza del potere, della stampa, della satira...».
Non è un bene?
«No, pensano che il loro potere sia più grande di quanto non è. Il loro rapporto col potere è sbagliato e la telefonata del ministro lo conferma. Quel che mi preoccupa del governo Renzi è che sembra che sappiano come si fa, ma non lo sanno».
Non sanno governare, intende?
«Non lo sanno, perché non sono mai passati dalle forche caudine del voto. Una campagna elettorale è un fuoco che ti forma, ti insegna a rapportarti con tutti».
Renzi ha vinto le primarie.
«Lui le ha fatte, molti dei suoi no. In tre sono passati da aiutanti del sindaco a sottosegretari, mentre D’Alema quando si portò lo staff a Palazzo Chigi lo chiamò staff, non diede ai “lothar” il titolo di sottosegretari».

Rimpiange D’Alema?
«Questo gruppo dirigente è totalmente nuovo ed è la debolezza di fondo che Renzi paga. Ci sono ministri, come la Boschi, che non hanno mai lavorato. Il problema non è l’età, la competenza, o il fatto che sia donna, è che questo gruppo politico è arrivato lì senza essere stato votato. Berlusconi diceva “a sinistra non hanno mai lavorato” e nel caso di Renzi è vero, il nostro premier non ha mai fatto un minuto di lavoro».
Ha fatto il sindaco. Non era renziana, lei?
«Io sono una supporter di Renzi della primissima ora. Lo appoggiavo perché diceva “cambio l’establishment, cambio le regole”... Poi però ha deciso di andare a Palazzo Chigi senza passare per il voto e ha ricompensato tutti, compreso Civati. Ha tradito la promessa di cambiamento e la pagherà. Sono addolorata. Renzi si sente un leone rampante, ma ha i piedi d’argilla».
Le è piaciuta l’imitazione della Boschi?
«La satira tutti dobbiamo subirla. Io ne ho avuta a pacchi, non ci può essere un doppio standard. A me mi fanno sempre brutta, meridionale, con un occhio storto. A lei la fanno pure bella! Ci sta».
Chi ha vinto sulla parità di genere?
«Dividere il cinismo di Renzi dal cinismo del Pd è difficile, si meritano l’un l’altro. Il segretario, che ha un ammontare di potere mai visto, non doveva lavarsene le mani. Ma dentro c’era anche il risentimento della minoranza. Un disprezzo reciproco di cui sono entrambi colpevoli. Renzi ha portato all’esplosione nucleare della sinistra».

12 marzo 2014 | 08:37
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DA - http://www.corriere.it/politica/14_marzo_12/annunziatail-guaio-renziani-sono-inesperti-potere-bb42fa8e-a9b7-11e3-9476-764b3ca84ea2.shtml
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« Risposta #222 inserito:: Giugno 14, 2014, 10:28:49 pm »

Contro l'estromissione di un senatore
Pubblicato: 12/06/2014 15:22 CEST Aggiornato: 12/06/2014 17:45 CEST

Lucia Annunziata

Dice il sottosegretario Lotti che "dodici senatori non possono permettersi di mettere in discussione il volere di 12 milioni di elettori". Ha spiegato così perché il senatore Mineo (i dodici, poi diventati 13, si sono autosospesi in solidarietà con lui) è stato rimosso per poter far guadagnare al Pd la maggioranza sulla riforma del Senato nella ormai fatale Commissione Affari Costituzionali.

Potrei chiedere come fa il governo a sapere che quei dodici milioni di italiani hanno votato specificamente per la riforma Renzi sul Senato. Potrei chiedere di quali elettori si parla. Perché se si parla di quelli che hanno eletto l'attuale Parlamento, allora il Premier attuale non è stato votato e Mineo sì. Se invece parla del voto per le Europee andrebbe ricordato che il pur immenso consenso non è comunque consenso politico diretto.

In ogni caso gli eletti, come abbiamo ricordato di recente in merito alla ondate di espulsioni dal M5S, hanno diritto alla libertà di opinione. Come del resto i militanti di partito - in questo caso, se parliamo al segretario del Pd, mi pare che andrebbe ricordato che in quel partito si è lavorato una vita (del Pd stesso e di varie generazioni di militanti) per affermare il diritto al dissenso interno, con conseguente richiesta di affrontare questo dissenso con pratiche il più possibile lontane dallo stalinismo.

Questi sono naturalmente dettagli. Si sa che i renziani credono che il potere che hanno in mano vada gestito in maniera decisionista. Chi dissente è palude, lo sappiamo.

Tuttavia, visto che la convivenza civile è fondata sulla salvaguardia - che nel suo piccolo riguarda la salvaguardia delle regole - non posso che segnalare che brandire l'investitura popolare come legittimazione ad agire forzando le regole costituisce una tentazione autoritaria. Non farò a Renzi il torto di accostarlo a Berlusconi, perché sappiamo che ha ambizioni e riferimenti storici molto più alti.

Nelle sue idee il paragone è Blair, o Obama. Peccato che anche la traiettoria di questi leader dimostri che il vasto consenso popolare non fornisce un passaporto con il destino. Blair è alla fine caduto nella trappola delle sue forzature (ricordate l'Iraq? In queste ore qualcosa di molto drammatico ce lo ricorda) e Obama in quelle della sua inefficacia.

Ma forse sbaglio geografia. Forse è la visita in Cina ad aver fatto velo al giudizio del nostro premier. Lì certamente c'è un bellissimo modello su come governare insieme un partito, un paese, le riforme, un mercato, e, se possibile, il mondo.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/contro-espulsione-mineo_b_5487871.html?utm_hp_ref=italy&ref=HREC1-1
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« Risposta #223 inserito:: Luglio 19, 2014, 06:54:25 pm »

Ruby, Berlusconi assolto: finisce un'era. Ma chi vince oggi si vergognerà in futuro

Pubblicato: 18/07/2014 19:27 CEST Aggiornato: 11 minuti fa

Tutti a casa, compagni. La guerra è finita e noi la abbiamo persa.
Per venti lunghi anni abbiamo dubitato del nostro Premier, lo abbiamo chiamato puttaniere, e lo abbiamo accusato di uso privato del suo potere.
Sbagliato. L'uomo è in verità un politico integerrimo.

Altro che rottamazione. È quello che ci grida, dall'alto dei suoi scranni, il potere togato, quello stesso che abbiamo venerato per anni, e come smentirlo ora, ora che ha trasformato in un niente il reato di prostituzione minorile e di concussione?

Dalla pena massima, sette anni, alla assoluzione totale. Innocente. Rimane in realtà un pluricondannato, ma gli è stato tolto dalle spalle la più infamante delle accuse - quella del bunga bunga - che lo ha ridicolizzato nel mondo.

Altro che rottamazione renziana. Rottamato qui è il pilastro di una lotta politica. È la fine di un'era.

Ci rassegniamo dunque. Abbiamo sbagliato tutto. Del resto c'è chi vince e c'è chi perde, e tocca accettare le sconfitte.

Ma prima di chiudere il cassetto (e per la mia generazione è solo l'ennesimo, dopo aver chiuso quello della Rivoluzione, poi quello del governo dei Migliori, e infine anche quello almeno e solo del governo degli Onesti) vorrei qui condividere un paio di lezioni che porto con me in questa sconfitta.

La prima è che la parte che mi fa più pena di questa sentenza (sì, ho detto pena) non è la assoluzione dal reato di prostituzione minorile. Non sono mai stata una moralista e chi se ne frega se il premier ama fare cose così poco eleganti come le sue cene eleganti. Di quelle cose al massimo doveva rendere conto alle sue donne, che infatti gliela hanno fatte pagare. Penosa è l'assoluzione dal reato di concussione. Fatemi capire: un premier può telefonare in Questura e fare pressione sui dirigenti dello Stato, sui dipendenti da cui dipende il rispetto della legge, e questo gesto non è pressione, è una legittima iniziativa?

Sono un po' sensibile su questo tema perché anni fa mi capitò di intervistare a In mezz'ora Annamaria Fiorillo, la giudice minorile a cui toccava dare il parere finale sull'affidamento di Ruby alla Minetti, parere che lei non diede. La giudice venne in televisione e tremava come un agnello mentre raccontava le pressioni subite, le telefonate ricevute, l'impazienza dei dirigenti della Questura, e ricordava il caos e la tensione che la telefonata del Premier aveva scatenato. La giudice era ancora scossa per le conseguenze di quella notte, ma c'eravamo sbagliati. Tutti loro avevano sbagliato. Non si trattava altro che di una telefonata del Premier che si informava su di una ragazza.
Tutto normale. E che sarà mai. Da domani però ogni volta che mia figlia mi porta un pacco di multe, ci proverò anche io a chiamare in ufficio contravvenzioni, per dire "Non sapete chi sono io". Tanto non è reato, e forse mi va pure bene.

La seconda lezione da trarre da questa sentenza è fare tanto di cappello al centrodestra italiano. Ha sempre detto che i giudici sono politicizzati. Che sia vero? Oppure i giudici sono molto attenti ai climi stagionali, come spiegarsi altrimenti oscillazioni così radicali tra il massimo di una sentenza e la assoluzione?

Però c'è da dire che un vantaggio c'è nell'attuale soluzione: c'è da #starsereni. Quando nel futuro rileggeremo la storia d'Italia il leader politico che ha firmato le riforme che cambieranno il sistema in vigore dal 1948 non sarà definito un condannato, bensì un politico integerrimo e, in più, perseguitato politico. C'è da #starsereni appunto: abbiamo un padre della patria a fianco di Matteo Renzi. Che poi questo era il punto, no? L'Italia aveva bisogno di riforme, e se serviva farlo con un condannato, è bastato togliere la condanna. Un classico caso di montagna che è andata da Maometto.

La assoluzione risolve così il maggiore problema che aveva il Premier, e il maggiore che il presidente Napolitano voleva risolvere. Si immagina che il Presidente sia stato correttamente terzo mentre si giocavano i destini di tante persone. Ma forse i giudici sanno interpretare oltre che le parole anche i silenzi. E in ogni caso, coerenti con quello che pensiamo, non arriveremo a contestare neanche questa loro decisione.

Una generazione esce sconfitta da questa sentenza, ha avuto torto. Ma speriamo che chi ha vinto abbia davvero ragione, e che sia valsa tutta la pena che si è dato. Non vorrei trovarmi poi nei panni di chi è vittorioso a breve e si vergognerà in futuro.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/berlusconi-ruby-assolto_b_5599371.html?1405704479&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #224 inserito:: Luglio 26, 2014, 11:08:48 am »

Politica estera, Matteo Renzi mobilita l'intelligence per affrontare i temi caldi: Ucraina, Gaza, Siria e Libia

Lucia Annunziata, l'Huffington Post
Pubblicato: 21/07/2014 21:39 CEST Aggiornato: 1 ora fa

L'intelligence italiana scende in campo. Mercoledì mattina, prima del Consiglio dei Ministri, su richiesta diretta di Matteo Renzi, si riunisce il Cisr, il Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica.

E’ solo la seconda volta che il Cisr viene riunito da questo governo, e stavolta sarà a ranghi pieni, con la partecipazione di tutti i ministeri “forti” che ne fanno parte – Esteri, Interno, Difesa, Giustizia, Economia. L’attuale Sottosegretario ai Servizi, Marco Minniti e il Direttore generale del DIS, l’Ambasciatore Giampiero Massolo, stanno istruendo l’incontro.

Sul tavolo mercoledì ci sarà la valutazione della intelligence italiana sulle crisi internazionali in corso – Ucraina, Gaza, Siria/Iraq e Libia. “In effetti da anni non ci trovavamo in una situazione in cui esplodono contemporaneamente ben quattro fronti in cui il nostro paese è esposto in primo piano”, dice una fonte a conoscenza delle questioni di intelligence.

Se c’era bisogno di un segnale che facesse capire il vero stato d’animo con cui il sempre sereno Matteo Renzi guarda ora alla partita europea e alle responsabilità del semestre italiano, questa convocazione la dice lunga.

E’ una nuova situazione in effetti quella di fronte a cui ci si è risvegliati tutti – l’aereo malese abbattuto, i corpi frugati fra i campi di girasole, il gioco delle bugie fra eserciti opposti in Ucraina, e l’incomparabile numero di morti civili e armi fra Gaza e Israele hanno cambiato volto alla politica europea. Quello che finora è apparso come il solito gioco fra burocrati per formare il nuovo governo Eu, si è trasformato in una partita pericolosa.

In queste ore gli Stati Uniti e i maggiori paesi europei hanno aperto un fronte anti Russia che sta scivolando rapidamente verso un inasprimento di cui non è chiaro il fine. Mentre in Medioriente, lo stesso fronte naviga a vista senza saper cosa fare.

A questo punto, per l’Italia non si tratta già più di nomi, Mogherini sì o no; si tratta di chiarire che posizione prenderemo nelle nuove circostanze. L’esempio più chiaro è la domanda di queste ore: se, come sta succedendo, si crea un fronte a favore di sanzioni contro la Russia, cosa farà l’Italia che è la nazione che guida il semestre europeo ma è anche la più vicina a Mosca?

In effetti la crisi Ucraina si sta rivelando una prova difficile, quasi un oscuro doppio di questo governo, per altri versi molto fortunato. Il governo Renzi giura il 22 febbraio del 2014, lo stesso giorno in cui Yanukovich venne esautorato dal Parlamento Ucraino dopo il massacro di piazza Maidan. Notizia che getta scompiglio a Palazzo Chigi e alla Farnesina, che si trovano a dover prendere posizione, ancor prima di vagire, su una crisi che si colloca sul lato più esposto della politica italiana, i rapporti con la Russia. Ci fu allora, infatti, fin da subito un’arcigna attesa delle capitali europee su quanto avrebbe detto il giovane governo.

Renzi vuole ora, con il suo solito atteggiamento da sfondamento, scendere in gioco e far vedere che l’Italia c’è.
Torniamo così a quel che bolle in pentola a Palazzo Chigi. Quella del Cisr non sarà una riunione di maniera.
Su cosa ragiona oggi l’Intelligence Italiana? Secondo fonti vicine a Palazzo Chigi e ai nostri servizi, sull’Ucraina si anticipa un inasprimento del fronte contro la Russia: “si arriverà a un indurimento diplomatico”. Forse non saranno subito le sanzioni, che sono in qualche modo l’arma finale. Ma se a quel punto si arrivasse? “Se ci si arriva, l’Italia è definitivamente con l’Europa, in campo nettamente atlantico”. Ma l’Italia non intende dismettere il suo “ruolo di cerniera” . Nella convinzione che la pressione convinca Putin a dover trovare una via d’uscita, “ che non può che essere diplomatica”.

Sul Medioriente, dove il presidente Renzi è particolarmente colpito dalla tragedia delle persecuzioni dei cristiani in Siria, i servizi italiani vedono come unica via d’uscita una mediazione egiziana: “Certo possiamo criticare la realpolitik, ma pensiamo cosa sarebbe oggi la situazione a Gaza se alla guida dell’Egitto fosse rimasto Morsi”. Per quel che riguarda Israele si sente ripetere come definizione di posizione Italiana la frase pronunciata da Renzi in Europa: “Israele ha non solo il diritto ma il dovere di esistere”.

E tuttavia, se queste sono davvero le analisi che verranno discusse mercoledì l’Italia non sembra andare molto al di là di quella sorte di “terzismo” che costituisce da tempo l’asse della nostra posizione in questa zona del mondo , in continuità e a dispetto delle alternanze politiche dei governi.

Questo terzismo italiano che in condizioni di tranquillità può essere anche una sorta di positiva equidistanza rischia ora di essere fatto a fette in nuove condizioni di conflitto quali le odierne. Oggi le domande si sono fatte più nette e più cruente: all’ombra del califfato dell’Isis saremo una Italia che difende più i bambini di Gaza o più il diritto di Israele ad esistere? All’ombra di un neoimperialismo russo avvertiremo con maggior fragore le paure dei paesi dell’Est, o i diritti della Russia? O ci rifugeremo ancora nel blabla diplomatico di stare con tutti e con nessuno?

Se dunque la convocazione del Cisr ci dice qualcosa è che a Palazzo Chigi è crescita la consapevolezza che la partita internazionale non sarà una passeggiata. Chiusa già l’idea di arrivare in Europa ed avere un automatico consenso, grazie al consistente successo elettorale (”che rimane unico”, ripete però Renzi ) il premier sembra ora aver preso le piene misure che l’Europa è un campo di battaglia politica, e che in parte questa si scarica anche contro di lui.

La fronda anti-Renzi è il Partito popolare europeo, “direi non tutto il partito ma alcuni suoi membri” precisa il premier. Sono i popolari infatti ad agitare le acque contro l’Italia, ma sono soprattutto i popolari a rappresentare con forza gli interessi dello stato più rilevante dello schieramento che teme la Russia, la Polonia.

Una fonte di alto livello Ppe, ci raccontava nei giorni scorsi che la scintilla che ha provocato il caso Mogherini si è accesa proprio a Varsavia: “A Varsavia all’inizio di giugno per il 25esimo anniversario della caduta del muro di Berlino è venuto Obama, ma non il governo italiano”. Secondo questa stessa fonte, confermata da un diplomatico polacco in Europa, l ‘assenza fu notata e considerata “un errore dovuto al troppo recente insediamento del governo”.

La “Mogherini si è poi recata a Mosca, ma senza mai passare né alla andata nè al ritorno per Varsavia”. La Polonia è importante in questa vicenda perché guida dal 2008 la proposta di un Eastern Partnership, l’idea di creare una cooperazione rafforzata fra nazioni dell’ex blocco sovietico, – Armenia, Azerbaijan, Bielorussia, Georgia, Moldova, Ucraina. La proposta non è mai stata davvero accettata dall’Ue, proprio per le sue implicazioni antirusse. Me è lì sul tavolo e ora si ri-illumina alla luce della caduta dell’aereo
Va anche detto, a questo punto, che le more in cui si trova la posizione italiana non sono solo nostre. Come ricorda Ulrich Speck in un articolo su Carnegie Europe, il sito del think thank americano Carnegie Endowment, “l’intera Europa è caduta da sonnambula nel conflitto con la Russia”.

Ma, appunto, questo dà all’Italia – se Renzi sarà capace – una partita aperta.
Vedremo. Ma da tutto questo percorso si ricava una primo doppia lettura di dove siamo sulla mappa. Renzi che realizza e si prepara ad affrontare la complessità europea è una evoluzione positiva del carattere e del personaggio del leader politico fin qui espresso. Ma la sua presente maggiore cautela è anche un muto riconoscimento che l’Europa ci ha già un po’ rimesso in riga, dunque un po’ ridimensionati.


Da - http://www.huffingtonpost.it/2014/07/21/renzi-mobilita-intelligence-fronti-caldi_n_5606967.html?utm_hp_ref=italy
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