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Autore Discussione: LUCIA ANNUNZIATA -  (Letto 132142 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Dicembre 12, 2008, 03:44:15 pm »

12/12/2008
 
Cgil, fortuna che piove
 
LUCIA ANNUNZIATA
 

Quello che non poté il dialogo poté il maltempo. Il sindacato, avviato verso lo sciopero generale di questa mattina, ieri sera ha dato uno sguardo all’Italia intirizzita sotto l’acqua e ha cancellato l’astensione nazionale dal lavoro dei dipendenti delle Ferrovie.

Grazie Cgil, ha detto il sindaco romano Alemanno. Grazie Cgil, gli hanno fatto eco i molti viaggiatori alle prese da ore con treni lumaca e strade intraversabili.

Ma il gesto di «responsabilità sociale», per quanto saggio sia, ha il retrogusto amaro d’una sorta di ammissione dell’inutilità inconfessata con cui a questo sciopero si è, alla fine, arrivati. Crediamo davvero che la «sensibilità» nei confronti del povero italiano bagnato si sarebbe esercitata, se l’appuntamento di oggi fosse stato percepito come realmente decisivo? La Cgil avrebbe sentito così acutamente il disagio dei cittadini se già non avesse maturato l’idea che, dopotutto, un disagio di tale portata non vale la pena? Se, insomma, tra simpatie degli scioperanti e simpatie della cittadinanza, non temesse di più la perdita delle seconde?

Povera Cgil. È proprio vero che la politica è ampiamente una questione di tempi e di luoghi prima che di opinioni. Lo sciopero generale di oggi, nato come una prova di forza, una conta decisiva, per tutta una serie di ragioni arriva al suo momento decisivo con le polveri - è il caso di dire - bagnate. A riprova di quanto incerto sia l’orizzonte della politica italiana. La traiettoria fatta da questo appuntamento - dal momento in cui prese forma come idea di dare al governo un «segnale forte» fino ad oggi - sembra in realtà un corso accelerato di realismo.

La convocazione dello sciopero generale avvenne - e come dimenticarlo? - più come reazione a una clamorosa snobbata politica che come progetto. L’11 novembre il presidente del Consiglio invitò a casa sua due dei tre leader sindacali nazionali, sottovalutando il fatto che la sua dimora, Palazzo Grazioli, è da tempo il più frequentato e osservato dei Palazzi del potere romano. La cena che doveva essere riservata finì, ancor prima di essere consumata (consumazione infatti non ci fu), sui media e l’escluso Epifani calò sul tavolo la più forte minaccia che un sindacato può sfoderare: una protesta nazionale. Fatta comunque, disse, anche da solo. Come poi è successo.

Non che non avesse ragione Epifani: l’isolamento della Cgil è sempre stato un progetto accarezzato da un governo come questo, attraversato spesso dalla tentazione di liberarsi da «lacci e lacciuoli». Alla vigilia di un nuovo pacchetto di misure anticrisi far abbassare le penne alla Cgil non avrebbe comunque nuociuto, ragionava Palazzo Chigi. E a un centro-sinistra privo di coesione interna sulla strategia antigoverno, lo scatto di Epifani offriva l’indubbio vantaggio di definire almeno un’identità, se non una linea.

Ma l’identità è uno strumento pericoloso da manovrare in un’area politica composita, in cui le varie componenti non solo non hanno ancora trovato coesione, ma si dividono anche all’interno delle stesse organizzazioni sindacali. Sganciata da una piattaforma unitaria, l’operazione identitaria della Cgil si è trasformata in una scelta di collocazione, in un confronto di principi più che di contenuti. Non sarà un caso se - a partire dall’attenzione dei media - il dibattito su questo sciopero invece che intorno al «che fare» si è sviluppato intorno al «che fa» Epifani.

Vista con il senno di poi, la mobilitazione di oggi si è riverberata in maniera più intensa dentro le file del Pd che dentro le stanze del governo. Avvantaggiato dalla tempesta dentro le organizzazioni sindacali, Palazzo Chigi ha portato a casa, senza gravi problemi, le sue misure anticrisi. Allo sciopero di oggi si arriva così un po’ in ordine sparso. A spinta esaurita. E sotto la pioggia. Che, però, non sempre è una sfortuna.
 
da lastampa.it
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« Risposta #46 inserito:: Dicembre 17, 2008, 03:34:17 pm »

17/12/2008
 
Di Pietro leader a sinistra
 

LUCIA ANNUNZIATA
 

E se fosse proprio Di Pietro il leader che gli elettori del Pd vorrebbero? Domanda provocatoria, ma necessaria per provare a uscire dalla ripetitività della discussione interna al Pd. Al voto in Abruzzo il Pd (in tutte le sue componenti) ha risposto con la lettura di sempre - il dualismo Veltroni-D’Alema, il nuovo contro il vecchio, la necessità di fare piazza pulita della vecchia guardia - e con lo stesso dilemma dell’ultimo anno: rompere o no con Di Pietro? Se è tutto quello che il centro sinistra riesce a dire sul proprio declino, ha davanti una sola possibile conclusione: la rottura. Fra Pd e Di Pietro, e\o dentro il Pd fra dalemiani e veltroniani, ma anche fra ex popolari ed ex Ds, e fra rutelliani ed ex popolari. Una spaccatura in un organismo così fragile scuoterebbe come un terremoto tutti gli equilibri che ora rimangono a stento in piedi.

La vittoria di Di Pietro in Abruzzo, parte di una veloce crescita del suo partito, andrebbe forse guardata non solo come una «reazione» a qualcosa che il Pd non fa, ma anche come un’indicazione su quello che la base vorrebbe che facesse. L’ex magistrato sta costruendo la sua base nazionale su un paio di temi, non di più, che hanno molta risonanza nel Paese: la giustizia e la critica alla classe dirigente. È difficile non guardare a queste due questioni (Abruzzo docet) intrecciate. L’astensionismo - il dato maggiore del voto di due giorni fa, ma che di fatto dissangua il centro sinistra da tempo - cos’altro è se non un voto di sfiducia nel Pd proprio a causa della questione morale? In fondo, un identico giudizio d’inadeguatezza etica ha fatto crollare il consenso ai partiti della sinistra estrema quando i loro rappresentanti erano al governo.

Se questo è il senso dell’astensionismo, evidentemente Di Pietro è l’unico politico che, direttamente e indirettamente, appare circondato da approvazione. Perché l’unico di tutta la classe dirigente considerato al di sopra di ogni questione «morale»: sia colpa giudiziaria o responsabilità di consociativismo politico o anche solo di eccessiva integrazione nel sistema.

Il fenomeno Di Pietro appare così, in questa luce, come l’unico vero erede di quella rivolta che mesi fa venne chiamata l’antipolitica. Si disse allora che il fenomeno era contro tutta la classe politica, ma nella sostanza si è rivelato quasi esclusivamente scagliato contro il centro sinistra. Quelle critiche costituivano una richiesta di coerenza in particolare alle forze politiche che della questione morale avevano fatto una bandiera, un loro segno di «diversità». In questo senso, l’antipolitica, morta nelle sue forme più folkloristiche, non solo non è mai finita ma si è ben radicata nella coscienza profonda della sinistra, diventando richiesta più complessa. Al di là dell’attacco alle furbizie della casta e dell’omaggio alle procure, in quella protesta si è riversata e sedimentata tutta la domanda di ristabilire una vera giustizia sociale. Giustizia richiesta in varie forme: dal rispetto dei deboli nelle questioni economiche all’affermazione di meritocrazia sociale contro i privilegi dei pochi, alla riscoperta dello spirito di servizio da parte della politica.

Contro l’antipolitica s’infranse il governo Prodi. Grazie allo scontento della base Pd ha avuto la sua rivincita Berlusconi, e per rispondere al malessere espresso da quel movimento è nato il «rinnovamento» di Veltroni. Ma l’aspetto drammatico delle vicende di oggi è che nulla di quello che il Pd ha fatto appare ancora sufficiente a recuperare la fiducia della base. Di questo si fa forte Di Pietro: della sua fedeltà ai magistrati, dei suoi modi e apparenze da leader totalmente fuori dalle modalità della classe dirigente, con la sua parlata grezza, le semplificazioni, i pronunciamenti senza mediazioni. E a questo deve stare attento il Pd: l’ex magistrato è un leader che il popolo della sinistra può condividere o meno, ma che capisce meglio di quanto capisca tutti loro.

Più che litigare su come liberarsene (o su come liberarsi dei propri nemici con la scusa di Di Pietro), i dirigenti del Partito democratico farebbero bene a chiarire innazitutto a se stessi cosa intendono fare sui temi che Di Pietro rappresenta. Ad esempio, ci sono pochi dubbi che sulla giustizia l’elettorato Pd appare molto più intransigente dei suoi leaders. È un problema reale di differenza: ma in ogni caso è molto meglio che il centro sinistra dica immediatamente un sì o un no alla riforma, senza manovre per prendere tempo, come la commissione di 60 giorni. Lo stesso vale per la questione morale: il Pd può difendere i suoi dirigenti o può aprire bocca e sostituire chi vuole, ma non restare nel limbo dell’indecisione. Nell’ormai molto attesa riunione di venerdì in cui la direzione del Pd dovrebbe affrontare un «chiarimento», basterebbe forse fare chiarezza su questi due punti.
 
da lastampa.it
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« Risposta #47 inserito:: Dicembre 28, 2008, 12:03:16 pm »

28/12/2008
 
Il Paese virtuoso
 

LUCIA ANNUNZIATA
 

Il venti per cento in meno dei consumi per il Natale è un indubbio segno di sacrifici e di timore, ma vi si può leggere anche un segno di virtù delle famiglie italiane. Un’indicazione degli umori con cui il Paese si prepara ad affrontare la tempesta.

Va detto che la stretta nei consumi non era affatto scontata. Come spesso ci ricordano gli economisti e come abbiamo imparato dalle esperienze di questi ultimi decenni, non c’è nulla di scontato nel comportamento collettivo. Nemmeno nella reazione a una crisi economica. In particolare se questa è - lo ha scritto su questo giornale il 22 dicembre Luca Ricolfi - una crisi che ha molte sfaccettature, come sfaccettato è del resto il profilo del reddito italiano. «È possibile che il 2009 sia un anno molto duro per molti, sia in basso (disoccupati, precari, piccoli esercenti), sia in alto (imprenditori, commercianti, lavoratori autonomi in genere). Però, attenzione a non generalizzare. Disoccupati, precari e lavoratori indipendenti non sono tutta la società», ricordava Ricolfi. A guardarla da vicino, senza paraocchi di pregiudizi, questa crisi è, come sempre succede, una realtà piena di differenze e sfumature, in cui accanto alla radicalizzazione della sofferenza di molti strati, permangono zone di stabilità se non di sicurezza.

E’la differenza che sperimentiamo ogni giorno e che viene riflessa nell’informazione, che ci mostra da una parte spensierate vacanze e dall’altra famiglie in difficoltà. Ma, pur essendo la crisi una realtà a molti strati, il Paese ha avuto una reazione unanime: una frenata dei consumi, una scelta di parsimoniosa oculatezza che non era affatto scontata. Al bando il solito falò delle vanità italiane/occidentali, il culto del corpo, con i suoi annessi di creme, scarpe, borse e abbigliamento; decurtate le spese delle abbuffate, delle vacanze stravaganti, ma non quelle dell’interrelazione. Che si tratti di giocattoli, di sport o telefonini, l’elettronica non crolla perché è parte essenziale della vita.

Questa unanimità di comportamenti è forse la novità più rilevante del momento. Perché ci può far pensare che non è solo il frutto obbligato della diminuzione del denaro da spendere, ma anche di decisioni «psicologiche». Insomma, a differenza di quel che abbiamo visto in passato in altre crisi - l’esempio più potente che mi viene in mente è quello dello scoppio della bolla della nuova economia - durante le quali le difficoltà sottolinearono le differenze di reddito, nella crisi di oggi sembra di poter leggere anche il segno di una turbata coscienza nazionale che, al di là dei propri mezzi, sceglie la cautela e la parsimonia. Naturalmente è del tutto possibile che queste osservazioni siano più che altro una speranza, un riflesso di ottimismo natalizio sul nostro Io collettivo. Ma in parte sono basate anche sulla memoria di quella che è poi la natura del nostro Paese.

Solo mezzo secolo fa eravamo una nazione di contadini, ci diciamo spesso, per poi dimenticarlo più spesso. Gli attuali capifamiglia, cioè la maggioranza di chi produce in Italia, hanno genitori contadini o operai, e i nostri preziosi figli, che all’apparenza sembrano viziatissimi principini, hanno i nonni la cui parlata ha profonde radici nei dialetti locali. Sulle nostre tavole natalizie questi legami sono ovvi. Meno ovvi sono invece nel corso della nostra vita quotidiana. Il merito maggiore dell’Italia del dopoguerra è proprio questo: aver saputo diventare in due generazioni un Paese benestante e colto, e questo cambio è stato possibile grazie alla prudenza, al realismo, alla flessibilità e al coraggio con cui gli italiani hanno sempre affrontato le proprie traversie.

In questo Natale il solido spirito del Paese sembra ritrovarsi. Uno stato d’animo che ci dice molto del pessimismo con cui i cittadini guardano oggi alle cose a venire, ma ci dice anche della virtù italica di saper sempre ritrovare la propria bussola in quella serietà di comportamenti che è la base di ogni rispetto degli altri. Non sarà certo un caso se il tema politico prevalente in queste feste siano i contratti di solidarietà. Il Palazzo invece sembra per ora assorbito come sempre dalla riforma della giustizia. Ma se possiamo fare un augurio anche ai nostri governanti e ai politici tutti, governo e opposizione uniti, auguriamogli di non sprecare con una gestione irrazionale, partigiana e opportunista della crisi questa disponibilità di fondo del Paese.
 
da lastampa.it
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« Risposta #48 inserito:: Dicembre 31, 2008, 12:22:42 pm »

31/12/2008 - LA FAVOLA DI NATALE
 
L'alberello del buon teppista
 
LUCIA ANNUNZIATA
 

Di questa storia che sto per raccontarvi sono testimone diretta. Implicata, anzi. A causa di un paio di spintoni nel fianco.

Immaginate come luogo una delle nostre molte località di montagna. In questo caso sono le discese di Mont'Elmo, alta Val Pusteria al confine con l'Austria, posto quieto di famiglie. Non ci sono qui mondanità ed esibizioni, ma, come si dice, anche qui arrivano i tempi moderni, anche qui, secondo quel birignao della modernità che vuole sempre che tutto sia peggio di prima, le vacanze non sono più quelle di una volta. Le piste soprattutto. Affollate di ragazzini, di pirati delle discese, di dilettanti allo sbaraglio. Quella montagna che una volta era il momento della intimità è diventata solo un altro momento della folla corsa con cui misuriamo la nostra vita su e contro quella degli altri.

Non è difficile, per pura deformazione professionale, ripassarsi in mente tutti questi pensieri mentre, in fila davanti all'autobus che ci riporta dal fondo delle piste nei vari paesini, ci sorbiamo ognuno la regolare dose di spinte per salire. Sci che si ficcano nei polpacci, gomiti che allargano gli spazi di passaggio, qualche ginocchiata ben diretta sono il pane quotidiano di chi vuole frequentare il servizio pubblico che raccorda le varie piste. Specie mentre fa buio il 24 dicembre, e tutti corrono a prepararsi.

Nella calca di ragazzetti dal gomito facile si distingue uno, con una fiammante tuta rossa, casco e scarponi ancora allacciati, che si fa largo con la sua decina d'anni a colpi di spintoni, brandendo alto un piccolo abete. Prende la rincorsa fra tutti, riesce grazie alla foga a salire per secondo e mentre tutti lo riempiono di improperi, conquista il posto su cui aveva messo gli occhi: la prima fila, dove si infila, mettendo al sicuro, tra sé e il finestrino, l'abetino - un alberello spezzato a mano alla radice, con poche file di rami radi, storto alla cima, così brutto che l'occupazione di un posto intero per salvaguardarlo appare una vera provocazione a chi è rimasto in piedi. Teppisti moderni.

Alle dieci di sera, al suono delle campane, l'intera San Candido è chiamata alla messa nella austera chiesa medievale che segna il centro della cittadina. Le pareti spesse, il campanile quadrato, e il cimitero che lo circonda danno a questo centro uno speciale silenzio in cui si entra con la massima concentrazione.

Ogni volta che si apre, la massiccia porta lascia passare il suono del coro in tedesco che ci accompagnerà fino a mezzanotte, e un fascio di luce. La luce illumina la neve e le tombe che in tante file, guardate da semplici croci di ferro, girano intorno alle mura della chiesa. E' il cimitero di questa comunità fin dal medioevo, dove i defunti di oggi si distinguono solo per i lumini accesi dai più antichi ormai senza nome.

Due file più in là dell'entrata, su una di queste semplici tombe qualcuno ha deposto un alberello. Così brutto che non è possibile che ce ne siano due uguali.

Mi avvicino, ed effettivamente non potrebbero mai essercene due di abeti così. E' lo stesso, basso, con i suoi radi rami, storto alla cima che ho visto in mano al teppistello in bus poche ore prima. E' ora davanti a questa croce, messo su con un po' di foga, formando una piccola montagnola di neve per fermarlo. Mi avvicino ancora. L'albero adorna una croce su cui, in un ovale di ferro, c'è la foto di una vecchia signora, con i capelli raccolti in una crocchia. Ha un lungo nome in italiano e in tedesco, e una data di morte: 2005. Ma per suo nipote è ancora Natale con lei.

Non so se sono più commossa o più pentita delle mie generalizzazioni sui ragazzini.
 
da lastampa.it
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« Risposta #49 inserito:: Gennaio 03, 2009, 04:23:48 pm »

3/1/2009 (12:55) - RIMPASTO DOPO IL TERREMOTO GIUDIZIARIO

Napoli, domani la nuova giunta
 
La Iervolino: «Lavoro completato»

Pd in pressing: «Sindaco garantisca reale rinnovamento nelle sue scelte»


NAPOLI

«Probabilmente domani mattina» sarà annunciata la nuova giunta del Comune di Napoli. Lo ha detto il sindaco Rosa Russo Iervolino al suo arrivo a Palazzo San Giacomo, sede del Comune. Dell’incontro di ieri sera con il segretario provinciale del Pd Luigi Nicolais il sindaco dice: «È accaduto il contrario di ciò che è stato detto. Cioè abbiamo completato la nuova giunta». «Ci sono delle persone - ha aggiunto - che ancora non sanno di essere in giunta e quindi adesso devo dirglielo».

«Auspico che il sindaco sappia garantire un profondo e reale rinnovamento, condizione indispensabile per rilanciare l’azione amministrativa del Comune e riaprire una relazione positiva con la città e con i suoi bisogni». Intanto sulla situazione politico-amministrativa al Comune di Napoli, interviene anche Luigi Nicolais. Il segretario provinciale del Pd, all’indomani di un incontro con Rosa Iervolino Russo, rilancia: «A Napoli ed in Campania il Pd ha davanti una doppia sfida: un deciso rilancio dell’azione di governo delle amministrazioni di cui siamo la principale forza di riferimento, ed il recupero della fiducia dei cittadini nella capacità della politica, a cominciare dal Pd, di rispondere ai bisogni della gente».

Secondo Nicolais «le due cose vanno insieme: non c’è azione di governo possibile, se non si gode della fiducia dei cittadini. Per queste ragioni il partito napoletano ha ritenuto di proporre al sindaco di operare scelte di forte discontinuità nell’indirizzo politico, negli obiettivi programmatici e nelle persone che li devono interpretare». «Nell’incontro che ho avuto ieri, come nei precedenti - conclude Nicolais - mi sono limitato a confermare al sindaco l’urgenza di queste necessità, nel rispetto delle prerogative istituzionali e di reciproca autonomia». Secondo alcune fonti tuttavia l’ipotesi della formazione di una giunta di forte discontinuità con la precedente sembra essere svanita nelle ultime ore.

L’ampio rinnovamento che nei giorni scorsi il sindaco in qualche modo aveva preannunciato, nel corso degli ultimi incontri con gli esponenti locali del Pd, sembra ora lasciare il posto alla sola sostituzione degli assessori indagati nell’ambito dell’inchiesta della Procura sugli appalti Romeo. Secondo indiscrezioni, la Iervolino avrebbe fatto dei passi indietro rispetto alla linea voluta dal partito, intervenuto in modo incisivo su palazzo san Giacomo proprio in seguito alla inchiesta giudiziaria. Nicolais ha ribadito la linea della fermezza, chiedendo un rimpasto sostanziale, per marcare la discontinuità con l’amministrazione precedente. Sì alla permanenza, nella nuova giunta, al vicesindaco Tino Santangelo e all’assessore alla Legalità Vincenzo Scotti - irrinunciabili per il primo cittadino -, ma in un contesto di forte rinnovamento, riguardo a tutte le altre caselle.

da lastampa.it
« Ultima modifica: Gennaio 08, 2009, 03:54:23 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #50 inserito:: Gennaio 03, 2009, 04:27:25 pm »

3/1/2009
 
L'Italia di Romeo
 
LUCIA ANNUNZIATA
 

Non regolate le intercettazioni, non mettete il lucchetto ai verbali. Se non potete evitarlo per la politica, fatelo per la letteratura. Le intercettazioni e i verbali costituiscono il miglior romanzo popolare che da anni si vada scrivendo in Italia. Nessuno scrittore, tranne forse Saviano, è mai riuscito finora a eguagliare per verità inattese e sorprese linguistiche l’intensità del racconto del Paese che i documenti contengono.

L’ultimo capitolo, dal titolo «L’amministrazione pubblica secondo Romeo», ci sta accompagnando a puntate e, come i buoni romanzi di appendice, è pieno di disvelamenti. Il mio preferito - considerando i miei gusti terroni - è quello che riguarda le gare d’appalto a Milano. «Ho vinto la prima volta, la questione è finita in Giunta», racconta Romeo. «Albertini (sindaco dell’epoca, ndr) in Giunta ha detto: “Questo camorrista di Napoli amico di Bassolino non può venire”. Ah, gli atti! Andatevi a prendere gli atti del Comune di Milano! Ho fatto ricorso e loro: “Ah, che facciamo? Siccome c’è Edilnord (concorrente all’appalto, ndr) non può perdere Edilnord perché non può vincere Romeo. E siccome Romeo è bravo e se facciamo un’altra gara vince lo stesso, spacchiamo i lotti, ne facciamo tre così anche se vince Romeo noi ce lo teniamo fra le scatole però entra Edilnord..."». Finì che a Milano con la spartizione a tre entrarono tutti: Romeo, Edilnord e Pirelli. È vero, è falso? Fu saggia decisione o preparazione a una spartizione di favori? Romeo non lo dice e tocca in ogni caso ai giudici deciderlo, ma è un meraviglioso sprazzo di realismo che irrompe nella rappresentazione politica.

Così come accade a Roma, dove le gare virano verso il surreale: «Non ero io che dovevo vincere!», dice Romeo ai magistrati. «Chiamatevi Rutelli (sindaco all’epoca, ndr), non ero io che dovevo vincere! Hanno trovato il cilindro aperto e hanno trovato il prezzo migliore... mi sono trovato vincitore con l’ira della Lanzillotta (Linda Lanzillotta, ministro degli Affari regionali nel governo Prodi, ndr) e Rutelli». L’imprenditore napoletano è lo specchio, tanto efficace quanto involontario, delle viscere della pubblica amministrazione.

Nelle telefonate e negli interrogatori di Romeo colpisce l’emergere di figure politiche di struttura psicologica del tutto infantile, in cui sono evidenti i bisogni di rassicurazione, l’affidamento all’imprenditore, e una continua sbruffoneria. L’assessore napoletano Giuseppe Gambale, in una telefonata dice a Romeo: «Ho parlato con il sindaco. Lo sai che lei è molto contenta (del progetto Global Service, ndr); io sono stato un po’ criptico...». Romeo lusinga: «Eh, ma lei non ha capito che ha degli assessori intelligenti». Gambale ribatte: «Ma quella è scema completa... non si rende conto». Ingenuamente autocongratulatorio è anche il povero Nugnes che poi si ucciderà: «Tieni nu’ grande amico assessore», dice a Romeo. «Questo è il più grande provvedimento di questa consiliatura, allora dice... Arriva questo fresco fresco, ragazzino ragazzino, e ci frega a tutti quanti». Parole quasi amorose, quelle di affidamento. Romeo chiama un giorno Renzo Lusetti, parlamentare del Pd, e apre la conversazione con uno strepitoso: «Ti sei scordato di me». E Lusetti, invece di sobbalzare per l’intimità della frase, subito rassicura: «No, sto lavorando, invece», per poi fare un sfoggio di potenza: «Ho un incontro operativo alle 8 - spiega Lusetti - direttamente con il grande capo e parliamo di tutto, capito? Stai tranquillo». Gli fa eco Italo Bocchino, del Pdl, con uno «stai tranquillissimo. È andato tutto bene, hai visto, poi ormai siamo una cosa». «Un sodalizio consolidato», risponde l’imprenditore. E Bocchino aggiunge: «Proprio una cosa solida, una fusione fra i due gruppi». Anche Bocchino fa sfoggio di forza: «Non ti preoccupare perché domani sera c’è una riunione con tutti a cui viene spiegato qual è la tesi da sostenere». Ripete: «Tutti allineatissimi».

Cos’è questo sfoggio di forza, intimità e tranquillità se non la prova dell’esatto contrario, come dimostra l’ansia di questi contatti frenetici? Ne esce l’efficace disegno d’un momento, di un’epoca della nostra vita pubblica. La vicenda Romeo intercetta bene quella terra di nessuno dove ognuno può infiltrarsi e tutto può accadere, e dove tutti, di conseguenza, sono prede e cacciatori, a giorni alterni o nello stesso giorno. Romeo finisce col raccontare ai giudici questo continuo cambio di ruoli, definendo i politici come «incapaci» ma anche «iene», e se stesso come «Belzebù» ma anche «agnello». Controllore in quanto vittima potenziale: «Provate voi a inserirvi nella foresta, nella giungla, lasciando perdere l’albero», invoca i giudici.

Non è forse questo un efficace ritratto dell’incertezza di legittimità e autonomia in cui si muove oggi la politica locale? E viceversa non è questo anche un fantastico ritratto del mondo degli affari italiani, che di privato ormai hanno ben poco e che sono essi stessi predatori e prede del denaro pubblico? Che potere è quello di entrambi i lati? Così come «il bacio in fronte» all’allora governatore Fazio ci rivelò l’interconnessione fra controllori e controllati; e le intercettazioni Mastella e Di Pietro l’interfaccia fra politica e famiglia; e quelle di Fassino, D’Alema e La Torre, l’ansia d’inserimento nel sistema da parte di un partito che avrebbe dovuto combattere quel sistema; e quelle di Saccà alla Rai la natura del rapporto fra leader e alleati, così la vicenda Romeo è solo l’ultimo capitolo di una narrativa «rubata» alla politica. È un racconto che non costituisce necessariamente materiale penale, ma ha una forte qualità letteraria: la capacità di andare dritto a quel «fattore umano» che tanto appassionava Graham Greene e che è scomparso invece del tutto dal racconto ufficiale della nostra vita pubblica.

da lastampa.it
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« Risposta #51 inserito:: Gennaio 05, 2009, 02:54:32 pm »

La decisione in seguito alla formazione della nuova giunta voluta dal sindaco Iervolino dopo l'inchiesta Global service

Napoli, Nicolais si dimette da segretario Pd "E' mancata una svolta coraggiosa"


NAPOLI - L'onorevole Luigi Nicolais questa mattina ha rassegnato le dimissioni da segretario del Partito democratico di Napoli. E lo ha fatto inviando una lettera al segretario nazionale Walter Veltroni. Le dimissioni di Nicolais sono da mettere in relazione alla formazione della nuova giunta del Comune di Napoli in seguito agli arresti legati all'inchiesta Global Service.

"E' mancata una svolta coraggiosa che consentisse di recuperare la fiducia dei cittadini". Così l'ex ministro del governo Prodi ha argomentato la sua scelta.

La notizia giunge nello stesso momento in cui il sindaco Rosa Russo Iervolino commenta favorevolmente il cambiamento in atto al Comune: "Questa è una giunta su cui si è fatto molto rumore - ha detto la Iervolino - ma nasce senza contrapposizione con nessuno. Il sindaco ha tenuto correttamente i rapporti con il suo partito e con gli altri partiti politici con uno stile costruttivo e collaborativo".

La Iervolino, parlando ai giornalisti, ha anche ribattuto all'accusa di Nicolais, secondo cui la linea del partito è stata sconfessata: "Non è vero che è stata sconfessata. E' nella logica concordata con lui a casa mia e con Iannuzzi qui".

(5 gennaio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #52 inserito:: Gennaio 08, 2009, 12:27:39 pm »

«Ho cacciato i disonesti. Adesso arrivo fino al 2011»

di Marcella Ciarnelli


Quando Rosa Russo Iervolino si è presentata alla messa di mezzogiorno, la funzione più affollata, nella chiesa di Santa Chiara, nel cuore antico della città, ha capito che aveva fatto bene a resistere. «Brava sindaco, mi hanno detto in tanti. Ora pensa al bene di Napoli, andate avanti» racconta il sindaco “bersagliera” come l’ha raffigurata l’Unità, «un’idea carina, e poi a Napoli c’è un famoso ristorante che si chiama così, e la Lollobrigida... ». Da oggi si ricomincia, gomito a gomito con i nuovi assessori e con quelli che sono stati riconfermati.

«Bisogna recuperare, in questi giorni si è fatta solo “ammuina”. Mi sono portata a casa un po’ di lavoro, anche se è ancora festa» racconta nel pomeriggio dell’Epifania che tutte le feste si porta via. «Ma i nuovi, loro sì, li abbiamo riempiti di carte...».

Sindaco, è passata la tempesta?
«Direi di sì. Io alle tempeste ci sono abituata. Questa l’ho superata nel modo più logico possibile: fuori da qualsiasi spartizione politica ho chiesto ad alcuni amici che sono anche personalità di rilievo, di grande livello, di impegnarsi per il bene della città. Sei nuovi assessori, quattro li avevo cambiati un paio di mesi fa. Una giunta profondamente rinnovata che ora dovrà affrontare la sfida del governo di Napoli».

Per lei questi sono numeri che assicurano la discontinuità che le era stata richiesta?
«La discontinuità la raggiungi cacciando i disonesti non penalizzando gli onesti».

Allude alla difesa strenua che lei ha fatto di alcuni dei più stretti collaboratori, a cominciare dal vicesindaco Santangelo
e dall’assessore Scotti
«Loro, ma anche gli altri. Santangelo è stato ed è un pilastro della mia giunta. Luigi Scotti è un uomo di legge, il primo e unico ex ministro della Giustizia che per amore della sua città, ed anche per amicizia, ha accettato di fare l’assessore. Li ringrazio per il loro lavoro. E lo stesso vale per tutti».

Poi ci sono i nuovi.
«Amaturo,Realfonzo, D’Aponte, Belfiore. Professori universitari qualificati e competenti che hanno accettato facendo anche grossi sacrifici. L’editore Diego Guida, il nipote di Mario, un’istituzione della città ora non potrà più partecipare ad alcun bando fatto dal Comune. E il nuovo impegno influirà anche sulle attività accademiche degli altri. Ma hanno accettato tutti con la consapevolezza che Napoli aveva bisogno delle loro competenze».

Quando si comincia?
«Oggi. Anche se una prima riunione l’abbiamo già fatta ed è stato subito chiaro che deve prevalere lo spirito di squadra. Nessun personalismo, nessuna uscita ad una sola voce. Quando parla uno tutti di devono poter riconoscere in quelle parole. Bisogna avere ben chiaro,ed è anche questa convinzione che mi ha guidata, che c’è differenza tra la politica politicante ed i bisogni della gente. E’ ai napoletani che dobbiamo dare le risposte che si aspettano da noi».

I primi appuntamenti?
«Lo ripeto, riallacciare i rapporti con la città. E poi fare il bilancio perché siamo in esercizio provvisorio. C’è da mettersi le mani nei capelli per come il governo ha ridotto le finanze dei comuni. Ne ho parlato con il presidente dell’Anci, Domenici che è persona che stimo. Bisogna lavorare per arrivarci in tempi rapidi. I rapporti li terrà l’ex assessore alla Nettezza urbana, Gennaro Mola».

Non ha paura che proprio sul bilancio in consiglio comunale le possano fare un imboscata? Qualcuno la crede possibile anche da parte di consiglieri del suo partito.
«Chi dovesse fare una cosa del genere se ne assumerà tutta la responsabilità davanti alla città».

A proposito del Pd, come sono i suoi rapporti con il partito dopo il braccio di ferro di questi giorni?
«Io sono donna di partito, nel Pd ci credo e quindi l’ultima cosa che potevo pensare di fare era di mettermi contro il partito. Ma i diktat sui singoli assessori non avrei potuto mai accettarli. Sarebbe stato come far rivere la peggiore Dc. Io il partito l’ho aspettato e l’ho rispettato».

Però Nicolais si è dimesso e arriva il commissario Morando.
«Mi dispiace per Nicolais. Gli avevo chiesto di non dimettersi. Con Morando avrò un ottimo rapporto. E’ una persona splendida a cui, sono convinta,nessuno qui gli farà la fronda. Avrà massima collaborazione».

C’è la questione della registrazione dell’ultima riunione con Nicolais. La sua versione??
«Dopo una prima riunione, venerdì, in cui tutto sembrava risolto tant’è che in mia presenza,dopo avermi abbracciato,Gino aveva telefonato a Boccia per dirgli che tutto era a posto, mi sono trovata il giorno dopo con una clamorosa smentita. Allora, alla successiva riunione, che mi è stata chiesta attraverso la senatrice Armato, ho fatto sapere che avrei usato un registratore ed avrei preteso, alla fine, la firma di un verbale con le decisioni prese. Non potevo fare di nuovo la figura del carciofo. Arrivano a casa mia Nicolais e Iannuzzi. Va tutto talmente bene che al documento controfirmato ci ho rinunciato. E invece mi hanno negato l’evidenza per la seconda volta».

Quindi...
«A quel punto ho deciso: faccio io. Ed ho proseguito per la mia strada chiamando ad aiutarmi fior di persone che non sono compagnucci di corrente. Io correnti non ne ho mai avute, tranne quella elettrica».

Lei ora pensa di arrivare al 2011, alla fine del suo mandato?
«Spero di arrivarci per il bene della città. Basta con le beghe di Pinco contro Pallino, di Tizio contro Caio. Ci sono soldi europei da spendere, ci sono progetti da condurre in porto, ci sono necessità quotidiane e di prospettiva a cui dobbiamo dare risposte».

Come il rischio spazzatura?
«Proprio. Berlusconi dice di aver risolto il problema e intanto chiede alla Puglia di prendersi quarantamila tonnellate di rifiuti. Vendola ha rifiutato perché anche da quelle parti ci sono problemi. Ora dovrà decidere il commissario straordinario Bertolaso come andare avanti ed evitare una nuova emergenza. Vorrei ricordare che il Comune ha possibilità di intervento solo per quanto riguarda la differenziata ed è sull’aumento di questa raccolta che puntiamo. L’obbiettivo è passare dal 12 al 17 per cento. Ci lavorerà il nuovo assessore, Paolo Giacomelli che è stato direttore del settore Igiene Urbana del Comune di Roma ed ha lavorato con Veltroni. Io non mi voglio trovare un’altra volta nei guai».

mciarnelli@unita.it

07 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #53 inserito:: Gennaio 08, 2009, 03:48:09 pm »

Le registrazioni

Lo staff del sindaco: il dischetto è nelle nostre mani «Poche novità». «Più di così non posso»

Il «file» del vertice tra Nicolais e Rosetta

L'ex segretario provinciale: lei mi ha chiesto dei nomi, io li ho fatti


NAPOLI — «Marcello D'Aponte all'assessorato al Patrimonio va bene, Diego Guida al Decoro urbano anche, non c'è nessun problema su queste persone.
Ma forse serviva un rinnovamento maggiore». «Più di così non era possibile fare, ci sono non solo ragioni politiche di cui tenere conto, ma anche storie e situazioni personali e familiari che non mi hanno permesso di spostare certi assessori»: sono alcuni dei passaggi chiave del botta e risposta di domenica scorsa fra Luigi Nicolais e Rosa Russo Iervolino, alla presenza del «testimone » Tino Iannuzzi, segretario regionale del Pd. Quaranta minuti di «normale e legittima trattativa politica », dicono dallo staff del sindaco.

Al centro della discussione c'era il mini-rimpasto della giunta deciso dal sindaco dopo che l'amministrazione è stata travolta dal ciclone della vicenda degli appalti comunali nel mirino della magistratura. Il file audio con la registrazione secondo i collaboratori del sindaco «non è stato nemmeno trascritto». E la stessa Iervolino sostiene che «la riunione era andata talmente bene che non ce ne era bisogno di fare un verbale e metterci le firme sotto per dimostrare che stavolta eravamo tutti d'accordo ». In realtà — raccontano dagli uffici del Comune — già lunedì mattina il dischetto era stato consegnato a un dipendente per la sbobinatura della chiacchierata. Ma poi sarebbe arrivato lo stop. Una cosa è certa. Il testo ufficialmente non è stato diffuso. «Registratore e dischetto sono ora personalmente nelle mani del sindaco», rivelano i suoi collaboratori, «la vicenda per noi è chiusa. Ora bisogna pensare ad alto. Alle decisioni per la città».

Dal racconto frammentario dei protagonisti si delineano comunque i contenuti della riunione. «E' stato un normale colloquio fra tre persone che devono risolvere dei problemi, non si dice niente di così particolare », minimizza Rosa Russo Iervolino. «Abbiamo parlato di come ridare lustro alla città dopo questa fase confusa e difficile. E in quest'ottica abbiamo ovviamente parlato di persone», aggiunge diplomaticamente Nicolais, che ha svelato al Corriere del Mezzogiorno gran parte dei contenuti del vertice. «Ma come? Venerdì ci eravamo messi d'accordo, non mi sembrava che ci fossero problemi. Poi che cosa è successo? Perché il giorno dopo non andava più bene niente? Perché la mattina dopo devo sentire delle cose che non c'entrano niente con quello che ci siamo detti»: in apertura di riunione, dopo i saluti e i convenevoli di rito, è il sindaco a introdurre il tema caldo. Cioè il rimpasto. E chiede a Nicolais spiegazioni sulle dichiarazioni critiche rilasciate dall'ormai ex segretario cittadino del Pd sabato scorso. La risposta di Nicolais? È la stessa Iervolino a riferirla: «Mi ha detto semplicemente: "Ci ho ripensato nella notte, ho cambiato idea"».

La discussione entra poi nel dettaglio dei nomi. La Iervolino sollecita «suggerimenti» a Nicolais, chiede al segretario del Pd di indicare «nomi di persone valide da poter utilizzare per rilanciare l'attività dell'amministrazione ». E l'ex ministro non si tira indietro: «Io ho ritenuto opportuno indicare Paola De Vivo e il sindacalista Giuseppe D'Errico. Sono persone che stimo». Nicolais, secondo quanto poi ha riferito alle persone più vicine, non avrebbe posto veti sui nomi proposti dal sindaco. «Ho espresso anche parere favorevole per la nomina di D'Aponte, che mi sembra sia stato indicato da Emilio Montemarano (esponente del Pd locale legato a Bassolino, ndr), ho chiesto solo che si valuti l'opportunità di altri interventi oltre a quelli già adottati». Niente scontri all'arma bianca, dunque. E toni tutto sommato pacati. Anche perché - sostengono dallo staff del sindaco - non solo Rosa Russo Iervolino sapeva che tutto veniva registrato. «Ma anche Nicolais, ammesso che non fosse informato ufficialmente, probabilmente se ne è reso conto. Tant'è che ha giocato di rimessa. Lasciando la parola sempre al sindaco. E avuto un atteggiamento ben più diplomatico e prudente rispetto a venerdì scorso». «Non sapevamo di essere registrati», ribadisce invece Nicolais. Chi ha ragione? Rebus irrisolto.

Paolo Foschi
08 gennaio 2009

da corriere.it
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« Risposta #54 inserito:: Gennaio 08, 2009, 03:49:40 pm »

Napoli, nuovi veleni sul caso registrazioni

Il segretario Veltroni: "Basta con i cacicchi"

Il sindaco Iervolino e il Pd "Non mi fido più di nessuno"

di GIOVANNA CASADIO

 
ROMA - Non ci saranno invitati e quindi neppure ospiti sgraditi. Ma alla manifestazione pubblica con la quale Walter Veltroni, mercoledì prossimo insedierà Enrico Morando a commissario del partito in Campania, c'è da stare certi che, se Antonio Bassolino e Rosa Russo Iervolino si presentassero, sarebbero accolti dal gelo. Il segretario ha pensato a una kermesse stile Pd-pride: da un lato il partito del rinnovamento, dall'altro i potentati locali, i "cacicchi", i loro riti e impasse. Con loro, "basta". E per marcare la distanza da tutto, a cominciare da quella che, nel coordinamento di ieri, ha definito "la sgradevole vicenda della registrazione", sarà a Napoli a parlare di politica e a presentare Morando.

"Attenti, che siamo tutti registrati...", è la battuta che circola nel vertice dei Democratici. Difficile però stemperare le tensioni, tenuto conto che il pugno duro di Veltroni potrebbe abbattersi - dopo i commissariamenti di Napoli, della Sardegna e dell'Abruzzo - anche sulla Sicilia. Francantonio Genovese viene per ora messo soltanto in mora. Beppe Fioroni lo ha difeso: "Altolà a troppi commissari". Anna Finocchiaro ha invitato a una riflessione sui poteri dei commissari stessi. Rosy Bindi avrebbe preferito che a Napoli ci andasse il vice segretario, Dario Franceschini tanto per fare sentire il peso del partito.

Morando tuttavia non perde tempo: a metà pomeriggio è già a Napoli e riesce a sbrogliare la grana più evidente, la "sconcertante" questione della registrazione: "Non si pubblica la registrazione, ho parlato con gli interessati, ora a Napoli si apre una nuova fase". Per il Pd il caso è chiuso. Il sindaco Iervolino infatti, era pronta a rendere pubblico quel colloquio registrato all'insaputa degli interlocutori alla vigilia della formazione della nuova giunta: "Se gli interessati", cioè Tino Iannuzzi e Luigi Nicolais (il segretario provinciale dimissionario per queste vicende), "mi danno l'autorizzazione, faccio sentire il nastro, Per chi ha la coscienza a posto, che problema c'è?". Grande imbarazzo. A cui si era aggiunta la smentita di Teresa Armato, fino all'altroieri amica per la pelle di "Rosetta", da lei chiamata in causa in quanto informata dell'affaire, Armato nega di averne mai saputo nulla. Iervolino: "Armato nega? Me lo dica in faccia, guardandomi negli occhi... non ho più fiducia in nessuno".

A rendere più caotica la situazione ci si mette Linda Lanzillotta, ministro-ombra, vicina a Francesco Rutelli: "Il Pd potrebbe sfiduciare la giunta comunale di Iervolino e quella regionale di Bassolino". Lo dice in una conversazione a Radioradicale sulle prerogative degli amministratori che "si assumono la loro piena responsabilità", e però è necessario "un segnale forte" da parte di Veltroni. Iervolino non le risparmia un amabile: "Si facesse i fatti suoi...".

Andrea Orlando, il portavoce del partito, è per sganciare il Pd dall'"infeudamento" rispetto ai poteri locali. In Campania si va verso il rinnovo dei consigli provinciali di Napoli, Caserta, e Avellino. Non si può perdere tempo. Né si sa quanto resisterà Bassolino alla guida della Regione, ora che anche D'Alema ha invocato il rinnovamento napoletano. E che al "governatore" sia assicurato un seggio a Strasburgo, non sembra affatto scontato.

(8 gennaio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #55 inserito:: Gennaio 08, 2009, 03:54:54 pm »

8/1/2009 (7:43) - IL CASO

Napoli, la minaccia della Iervolino
 
"Rendo pubblici i nastri". Ma Morando li blocca: ho deciso di no

FABIO MARTINI
ROMA


Bene o male, la telenovela napoletana sembrava ai titoli di coda. E invece, con uno spettacolare tric-trac, la sceneggiata si è arricchita di nuovi spunti melodrammatici. Di prima mattina Linda Lanzillotta, ministro Ombra e dunque uno dei massimi dirigenti del Pd, ha provato a riaprire la questione-Napoli con una spruzzata di vetriolo: «Se al Pd campano non stanno bene le giunte guidate da Bassolino e dalla Iervolino, perché non gli tolgono la fiducia? Mi aspetto un segnale forte dal Coordinamento nazionale del Pd». Di lì a qualche minuto Walter Veltroni e il Coordinamento - sorpresi da una proposta simile a quella di Luciano Violante ma sopraggiunta fuori tempo massimo - hanno ignorato la Lanzillotta.

Ma in compenso da Napoli, il sindaco Rosa Russo Iervolino, non ha resistito alla tentazione di una replica scoppiettante: «La Lanzillotta? Ma si facesse i fatti suoi!». Uno scambio di petardi che è proseguito anche su altri «balconi». In particolare sulla ormai famosa e irrituale registrazione voluta dalla Iervolino della riunione napoletana del Pd, quella nella quale si discusse animatamente sulla formazione della nuova giunta comunale. Enigma irrisolto: il capo del Pd di Napoli Luigi Nicolais e quello della Campania Tino Iannuzzi erano stati informati dal sindaco che le loro parole sarebbero state registrate? La promotrice dell’incontro, la senatrice Teresa Armato, ha detto: «Non ricordo di aver autorizzato l’uso del registratore...». Alla Armato ha replicato la loquacissima Jervolino: «La sfido a ripetermi quella frase, guardandomi negli occhi».

Proposta finale della Iervolino: «Se gli altri due partecipanti, Nicolais e Iannuzzi, sono d’accordo possiamo renderla pubblica la registrazione, così sapremo chi dice la verità e chi no. Chi ha la coscienza a posto, non ha nulla da temere...». Nervi scoperti e toni melodrammatici che restituiscono lo spaccato di un Pd campano nel quale nessuno si fida più dell’altro. E così, per provare a spegnere la vicenda davvero originale della registrazione, è dovuto intervenire il neo-commmisario del Pd napoletano, Enrico Morando: «Ho rivolto a Iervolino, Iannuzzi e Nicolais un pressante invito a non consentire la pubblicazione dei testi della registrazione e ho deciso in questo senso, certo di trovare l’accordo» dei contendenti.

I tre contendenti si sono subito rimessi alla decisione di Morando, anzi per dirla con Nicolais: «Il partito ha deciso di non pubblicarle e io obbedisco». Quanto al segretario del Pd, Walter Veltroni, sulla vicenda-Napoli sinora ha preferito muoversi e mediare dietro le quinte, senza mettere la sua “faccia” o il suo sigillo sulle soluzioni via via maturate. E anche se i suoi rapporti personali con i notabili napoletani - Bassolino, Iervolino, Nicolais - risultano fortemente compromessi, la prossima settimana Veltroni ha deciso di uscire allo scoperto: sarà a Napoli e nel corso di una manifestazione darà la «linea» al commissario straordinario, il coordinatore del Governo Ombra Enrico Morando. Durante la riunione del Coordinamento Pd, dimezzata per la numerose assenze, si è brevemente discusso dei poteri dei Commissari che da qualche tempo Veltroni sta inviando nei punti di crisi. Anna Finocchiaro ha chiesto di «chiarirne mandati e poteri», Veltroni ha consigliato di «guardare ai commissari come a qualcosa di positivo», ma a fine riunione, tra i partecipanti, è rimasti il dubbio: da Roma si pensa di commissariare mezza Italia? In serata è arrivata la nota chiarificatrice del portavoce del Pd Andrea Orlando: «Non ci sono altri commissariamenti in vista, ogni voce al riguardo è destituita di fondamento».

da lastampa.it
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« Risposta #56 inserito:: Gennaio 08, 2009, 04:00:13 pm »

8/1/2009
 
La politica nel registratore
 
LUCIA ANNUNZIATA
 

Il Pd approda alle nuove tecnologie. Non siamo ancora alla rete o ai blog, ma parliamo di un registratore ultimo modello: piccolo come una scatola o un’elegante stilografica. Tecnologia non invasiva. Un passo verso la modernità. Non si capisce dunque perché questo passaggio tecnologico faccia indignare (quasi) tutti. Rosetta Iervolino, sindaco di Napoli, ha registrato - non si sa se con o senza autorizzazione - una riunione con alcuni rappresentanti del Pd prima della presentazione della nuova giunta.

Più tardi ha anche detto di averlo fatto, come prova della sua verità. Scandalo generale: che metodi, non lo sapevo, non si fa tra persone per bene!

Ma guardiamola diversamente: un registratore è pur sempre un passo avanti, per chiarezza, per semplificazione e per fedeltà, rispetto al «verbale» della tradizione. Forse che in tutte le riunioni importanti d’ogni partito non c’è sempre stato un «testimone»? Forse che le riunioni preelettorali per l’indicazione dei seggi non si sono spesso concluse con documenti d’impegno? E forse che testimoni e carte e verbali non sono sempre stati utilizzati per ricatti, chiarificazioni, pubbliche o private? Il registratore è solo un aggiornamento tecnologico del vecchio spirito di controllo che ha sempre distinto i partiti tradizionali. Si è chiamata in causa la Dc di Gava, ma vanno ricordate anche tutte le «note riservate» che circolavano nel vecchio Pci. La vicenda potrebbe dunque essere archiviata sotto la voce ipocrisia. Se non fosse che effettivamente la storia ha un suo potere di demistificazione, strappo, disvelamento. Ma qual è l’elemento che la rende esplosiva? Il registratore o la mano che l’ha acceso?

La verità è che Rosetta Iervolino, in questa sua coda di mandato da sindaco, sta rivelandosi imprevedibile, sorprendente, ricca di linguaggio e infiammata da un indomito spirito di combattimento. Nelle ultime settimane la Sindaca ha recuperato un profilo e un ruolo che la riscattano - almeno ai nostri occhi - dalla pedante e formale gestione con cui ha portato avanti per anni il Comune di Napoli. Non sappiamo chi sia la vera Rosetta, se quella degli immobili foulard, o la scapestrata, chiacchierona e menefreghista di questi giorni. Ma, sicuramente, come cittadini non possiamo che farci entusiasmare di più da quest’ultima versione.

Nel gioco a specchi dell’intera vicenda napoletana, la Iervolino sembra aver fatto solo la sua parte. Ragioniamo: il partito nazionale si è più o meno tenuto ambiguamente lontano da Napoli, per aspettare e giudicare a seconda di come buttava il vento. L’ha fatto su tutta la cosiddetta «questione morale», come s’è visto, e a Napoli più che altrove. Rosetta si è così trovata spesso fra Scilla e Cariddi, con un Pd semimuto, un governatore, Bassolino, che sta acquattato, e una giunta che le franava sotto i piedi, a rischio di apparire o totalmente incapace (l’ex suo assessore Gambale la chiama «scema» in una conversazione con Romeo) o totalmente debole. Inutile dire che alla debolezza i suoi alleati politici del Pd volevano in effetti ridurla, con quella sorta di mobbing psicologico cui l’hanno sottoposta per settimane, nelle quali ogni giorno qualcuno le diceva che doveva andarsene, ma senza assumersi la responsabilità di dirglielo direttamente.

Forse si pensava che questo mobbing avrebbe fatto effetto su una donna. Ma la Iervolino è anche un politico, e ha giocato così l’altro ruolo possibile che le donne e i politici scelgono quando sono nell’angolo: l’imprevedibilità. L’angolo è una posizione in cui non bisogna mai mettere nessuno, diceva l’indimenticabile generale israeliano Rabin quando guidava la lotta anti-Intifada: «Se mettete un uomo in una situazione senza via d’uscita combatterà con energie che non sapeva neanche di avere». Regola squisita di tattica politica, prima ancora che militare. Una donna e politico messa con le spalle al muro può fare molti scherzi, e usare come le pare la libertà di essere vicino alla fine. Così Rosetta si è tolto il foulard e gliel’ha fatta vedere, ritrovando una verve rara in politica. Ha scaricato felicemente i suoi assessori dicendo che «non avevano avuto il sussulto di dignità» che aveva avuto Nugnes - cioè che sarebbe stato meglio se si fossero suicidati -. Ha definito - accidenti - le relazioni con il Pd nazionale «una tarantella». Ha fatto la giunta come le piaceva, alla faccia di tutti. E infine ha acceso il registratore, e poi ha informato di averlo fatto. Questo annuncio è il più imprevedibile dei gesti: che l’esistenza di un potenziale elemento di ricatto venga reso pubblico da chi quel ricatto ha preparato è il colpo di scena. Toglie la faccenda dal torbido del segreto e ha il merito di far ben capire ai cittadini la natura reale di alcuni rapporti politici. Brutta figura, frutto del «deteriorarsi delle relazioni interne al partito», come ha detto il senatore Tonini? O franca lotta politica? Propendo per la seconda. Mentre attendo l’ennesimo sviluppo.
 
da lastampa.it
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« Risposta #57 inserito:: Gennaio 09, 2009, 04:31:06 pm »

9/1/2009 (7:40)

- LA CRISI DEI POLI - INTERVISTA A ROSA RUSSO IERVOLINO

"Walter mi ha pregata di non mollare"
 
Il sindaco di Napoli: qui la politica è cattiva, più che a Roma


LUCIA ANNUNZIATA
NAPOLI


Parliamo del registratore e togliamocelo dai piedi. Più o meno è questo lo sbrigativo approccio con cui il Sindaco di Napoli Rosetta Iervolino inizia l'intervista. Affatto pentita dell'uso dello strumento; convinta che ora bisogna mettere da parte la vicenda "perché ci sono tante cose più importanti da discutere, ed ora di calmare le acque". Ma, come sempre, dannatamente sincera. Una macchina tritasassi, non appena apre la bocca.

Le registrazioni che aveva promesso di non rendere pubbliche oggi sono uscite... «Non da me, ma forse dalla memoria di chi parlava con me e si è sentito tirato i ballo...».

Pentita di aver usato l'aggeggio?
«No, assolutamente. Tra l'altro non lo so nemmeno manovrare. Ma ribadisco che ho detto a Teresa Armato che il registratore era la condizione per parlare con il Pd. Del resto, se si è in buona fede non si hanno problemi a parlare».

Dunque lei dice che Nicolais e Iannuzzi sapevano del registratore?
«Ripeto, l'ho detto a Teresa Armato di fronte a due testimoni. Se poi Teresa non glielo ha detto non mi interessa. Sono stufa di questa storia. E poi se i presenti non avevano gli occhi per vedere non ci posso fare nulla. Basta così però, è ora di smorzare questa storia ...».

Però l'uso del registratore dimostra che non si fida dei suoi interlocutori del Pd.
«Di alcuni interlocutori. Avevo già sperimentato in precedenza che decisioni prese in concordia in privato sono state negate in pubblico, per cui...».

Parla sempre di Nicolais e Iannuzzi.
«Certamente».

Ma che gioco fanno? Cosa non le piace?
«Non mi piace rispondere a questa domanda non voglio riaccendere le beghe. Mi auguro solo che loro facciano l'interesse del partito, e io, come sindaco, della mia città».

Un rapporto molto drastico direi. In questo periodo in cui è in difesa, sembra di vedere una nuova Iervolino, capace di resistenza e scontro , rispetto alla figura molto istituzionale del pasato.
«Non so se è nuova o se solo non è mai stata notata prima. Io sono sempre stata un po' più matta di quel che appare. Come cattolica e madre di quattro figli sono sempre stata composta, ma io la rivoluzione ho cominciato a farla dall'Università, scrivendo a quei tempi una tesi sulla parità dei sessi. Così come mi vanto del fatto che una delle leggi più liberali, quella sul cambio di sesso, l'ho fatta io insieme alla mia amica Giglia Tedesco. E poi, la pare, sono stata la prima donna Ministro degli interni».

Non c’è dubbio però che Lei in tutti questi anni si e' tenuta nel Pd molto defilata. «Defilata si, ma a mio merito. Il fatto è che io non ho mai avuto pacchetti di voti. In casa mia ci sono state sempre solo due tessere, la mia e quella di mio padre. Dalla sua morte nel 1985 solo la mia. Mi hanno sempre chiamata solo per i compiti difficili, come quando insieme a Martinazzoli facemmo piazza pulita degli inquisiti della Dc».

Come descrive il suo rapporto con il Pd?
«Di grande desiderio. Per me il Pd nasce nel 1994 quando durante la battaglia contro la finanziaria di Berlusconi facemmo i primi interventi concordati con gli ex Pci. Può immaginare che speranza ho avuto?».

Una speranza che continua ancora?
«Diciamo che continuo a coltivarla».

Molti dicono che il Pd non si è comportato bene sulla questione Napoli. Indeciso, indiretto, senza un orientamento. Quale è il suo bilancio?
«Il fatto è che a Napoli il Pd dovrebbe discutere su Israele e Palestina non se quello fa o meno l'assessore».

Mi scusi, ma non la seguo. A Napoli si parla degli assessori perché nella Giunta si sono scoperte delle mele marce.
«Attenzione, le mele marce le abbiamo cacciate io la magistratura. Gambale ad esempio, con eccellente storia, focolarino, eletto tante volte, antimafia: io non me ne sono accorta, e me ne prendo la responsabilità. Ma neanche loro del Pd! Il litigio attuale sulla giunta non è sul passato ma su chi nominare, e per me alcune delle loro obiezioni sono inaccettabili perché il primo rimpasto per cambiare l’ho fatto da sola a giugno. Il loro problema è di mettere altri da quelli che io volevo. Ma io ho la mia autonomia, per legge».

C’è stato insomma nei suoi confronti da parte del Pd una sorta di mobbing, di pressione al fine di indebolirla?
«Si, e c’è stata una rabbia da morire quando hanno visto che i nervi non mi saltavano. Ma sa, io avevo un bellissimo marito, professore universitario, medico, somigliava a Tyron Power, ma era malato marcio di cuore. Ho vissuto tutta una vita a far finta che la paura non ci fosse, per dare a tutti una vita normale. L'unica che lo sapeva era Giglia Tedesco che quando mi vedeva pallida e vicino al crollo mi diceva solo "su Rosetta, vai dal parrucchiere". Ho fatto una tale scuola in quegli anni, che ogni mattina mi sveglio, penso ai miei figli e ai miei nipoti, so che stanno bene e questo è tutto quel che mi basta».

Dunque mai un momento di nervi a pezzi?
«Intendiamoci: quando hanno arrestato i 4 assessori non ho perso tempo. Dopo mezz’ora ero in macchina per Roma dove mi sono consigliata con Walter. Gli ho detto che facciamo, sono a disposizione. E Walter, insieme a Franceschini, Fioroni, Nicolais mi hanno detto chiaramente "Vai avanti, tu sei pulita, fai il rimpasto più ampio possibile". Insomma io mi sono posta il problema e mi sono messa a disposizione. Ho ricevuto anche tanta solidarietà: da Ciampi, da Scalfaro, da Mattarella...».

Mi sembra di capire da tutto quel che dice che lei ha un contenzioso soprattutto nei confronti di Nicolais, non del Pd tutto.
«E’ una persona di gran valore ma credo abbia chi non lo consigli bene. Mi è spiaciuto che si sia dimesso, non ne vedo ancora le ragioni».

Il Commissariamento da parte di Morando è secondo lei un aiuto o una sconfitta per il Pd napoletano?
«E' una decisione. Non concordata con me e secondo me non necessaria, ma ora che c’è rendiamola utile».

Bassolino. Come descrive i rapporti fra voi? Non mi pare si sia sprecato molto a difenderla.
«Di rispetto reciproco. Devo riconoscergli che non ha mai fatto il padre padrone. D'altra parte se volevano un sindaco malleabile non avrebbero scelto me».

Entrambi però avete segnato una sconfitta politica, al di là delle vicende giudiziarie. Eppure non abbiamo mai sentito una autocritica da lei.
«Per carità, solo un cretino non se le fa. Io me le faccio ogni sera prima di dormire. Ma provateci voi a guidare una città senza soldi, quella con la maggiore povertà. Che avrebbe fatto Chiamparino ad esempio se non avesse avuto le Olimpiadi invernali?».

Però, ripeto, dei 4 consiglieri non se n’è accorta
«Come no. Il più fetente, Gambale l'ho cacciato a giugno, e le gare approvate dal consiglio comunale sono state bloccate dal sindaco in persona!».

Dunque sapeva e non faceva nulla?
«Sospettavo. Di sicuro più di chi li ha sempre sostenuti e li ha eletti più di una volta».

Dopo 7 anni che rapporto ha stabilito con Napoli?
«Di affetto. E' dopotutto la città mia e della mia famiglia. Ma la politica a Napoli è molto cattiva, più di quella di Roma».

Davvero? Mi sorprende.
«Si. A Napoli la gente ti attacca personalmente appena può e anche se non può. Nella politica in Parlamento non ho mai avuto una offesa. A differenza di qui. Riparlo di Gambale, che mi ha chiamato scema con Romeo. Un esempio».

Perché? E' un riflesso di una cultura camorrista, cioè aggressiva, anche nelle istituzioni?
«Non andrei così lontano. Ma certo Napoli è il luogo degli eccessi e delle diverse verità e comportamenti in pubblico e in privato».

da lastampa.it
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« Risposta #58 inserito:: Gennaio 26, 2009, 10:02:52 am »

26/1/2009
 
Israele e la vera identità di Hamas
 
LUCIA ANNUNZIATA
 

Ora che le armi tacciono, è possibile ritornare a parlare di Gaza invocando, se non la serenità, almeno il diritto di cronaca. Ieri un’unità navale degli Stati Uniti ha fermato nel Golfo una nave con un carico di armi diretto a Gaza. Ordinaria amministrazione che ha meritato solo una «breve» nei media. Il piccolo schermo in compenso è stato «bucato», sempre ieri, da uno strepitoso reportage firmato da Mark Innaro per il Tg3. Innaro, corrispondente della Rai, ha documentato l’intervento con cui Hamas (soldi in mano davanti alle telecamere) ripaga ora i civili vittime degli attacchi di Israele: poche centinaia di dollari per minori danni, 5000 per un intero edificio distrutto, 3000 dollari per un martire. Lodevole attenzione, per la quale Hamas ha calcolato, dice Innaro, 50 milioni di dollari di risarcimento. Da dove vengono?, chiede il giornalista, senza trovare risposta dagli uomini di Hamas.

La risposta formale è irrilevante. Emiro, leader terrorista o Stato che sia il finanziatore, basta un servizio di un Tg ad allargare la nostra visione dei fatti: Hamas non è un semplice partito palestinese, sia pur radicale, e Gaza non è solo un pezzo di terra conteso.

Hamas è parte di una alleanza internazionale di uno o più soggetti arabi, e la Striscia è una piattaforma militare strategica. Un buon esempio per ricordarci quanto restrittivo sia guardare oggi a quello che accade fra Israele e Palestina come a uno scontro fra occupati e occupanti, uno scontro per la terra, o anche solo per uno o due Stati.

L’operazione militare scatenata da Israele a Gaza ha formato due fenomeni che - è facile anticiparlo - segneranno nei prossimi anni la nostra vita pubblica. La discesa in campo di un movimento di protesta arabo con forti connotati radicali-religiosi; e il contemporaneo aumento di opinioni antiebraiche dentro la popolazione italiana. Con il risultato che arriviamo al fatidico Giorno della Memoria (domani, martedì) in uno Stato di post-sbornia: commossi come sempre dalla tragedia dell’Olocausto, ma sconnessi dalle passioni che l’operazione Gaza ci ha suscitato fino a poche ore fa.

Il conflitto arabo-israeliano fa di questi effetti, e ne farà sempre più, se ci ostiniamo a ridurlo invece di capire quali dimensioni abbia ormai preso.

Diciamolo di nuovo a freddo. Bisogna accettare che Hamas ha metodi, identità e scopi ben più ampi e complessi di quella che pure per anni è stata la semplice resistenza palestinese - quella guerrigliera degli Anni 70 o, ancora di più, quella autoctona della prima Intifada. Sarà un caso che in Cisgiordania non ci sia stata una mobilitazione vera contro la guerra di Gaza? Che nei Paesi arabi le manifestazioni siano state poche e di maniera? Che l’Egitto, che avrebbe dopo tutto potuto fare il gesto salvifico di aprire le frontiere e accogliere i civili, non lo abbia fatto? Certo non immaginiamo disumanità nel mondo arabo di fronte alle vittime di Gaza; ma di sicuro possiamo immaginare reticenze, calcoli, paure e rancori, maturati dentro una causa che da tempo non è più solo e semplicemente quella dell’indipendenza della Palestina.

Hamas ha certo vinto le elezioni nel 2006. Ma dopo cosa è accaduto? Battaglie tremende, fra il 2006 e 2007, hanno opposto Fatah e Hamas, lacerato Palestina e Gaza, fatto morti palestinesi per mano palestinese a centinaia: esecuzioni, colpi di mano, cannonate per la conquista di pubblici edifici. Ancora oggi fa meraviglia guardare alla violenza di quella guerra civile in un popolo già vittima di un altro conflitto. La divisione estrema maturata dentro i palestinesi negli ultimi anni non è altro che il riflesso della spaccatura che travolge oggi tutto il mondo arabo, e che lo vede più o meno armato al suo interno fra differenti governi e fazioni - come prepotentemente ci ha ricordato l’11 settembre, e ci ricordano le cronache delle tensioni nei vari Paesi mediorientali.

Arriviamo così a una terza cosa da dire a freddo. Niente di tutto questo giustifica l’operato di Israele a Gaza nelle scorse settimane; l’operazione militare, oltre ad avere avuto un costo di sangue altissimo, non ha reso né efficace né duratura la lezione che voleva essere inferta a Hamas. Diciamolo ancora meglio: l’uccisione di civili non si giustifica con la natura dell’avversario. Ma, proprio per le dimensioni prese dalle vicende mediorientali, è chiaro che Israele non è nemmeno più tra i grandi attori di questo conflitto; sicuramente non ne è il deus ex machina, fermato il quale si ferma tutto. Anzi, la follia militaristica, nella quale periodicamente il governo di Gerusalemme cade, appare solo, visti i risultati, come un processo di indebolimento delle sue élite militari e politiche.

Questo è un ragionamento per grandi linee, naturalmente. Ma è nei momenti di grande attesa e di sospensione delle armi che bisogna mettere sul tavolo tutti i caveat di un giudizio che nel fuoco della polemica diventa invece azzardato e limitato.

Il Medioriente entra ora, si dice, in una nuova fase con l’amministrazione Obama. In compenso l’antisemitismo è rientrato da tempo nella nostra nuovissima Europa. Appiattire le nostre opinioni in merito a tutto ciò non solo non aiuta soluzioni politiche, ma ci porta sempre più a muoverci come piume al vento. Per cui spesso questo nostro Paese oscilla fra difesa degli arabi in Palestina e attacco agli arabi immigrati, e fra l’onore alle vittime dell’Olocausto e il rogo delle bandiere di Israele. Senza mai riconoscere il nesso tra nessuna di queste opinioni. O emozioni.
 
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« Risposta #59 inserito:: Gennaio 28, 2009, 12:21:46 pm »

28/1/2009
 
Lo stupro come simbolo
 
LUCIA ANNUNZIATA
 

Guardando le immagini di Guidonia, quelle in cui arrabbiatissimi abitanti del luogo cercano di linciare i romeni presunti responsabili della violenza e dello stupro di una coppia di giovani fidanzati, mi viene un dubbio: hanno vinto finalmente le donne, oppure sta vincendo una nuova forma di barbarie?

Non tanto tempo fa, penso agli Anni Ottanta, epoca modernissima di questo Paese, per far riconoscere lo stupro come reato, non contro la morale ma contro la persona (in questo caso basta citare quello del Circeo, 1975), le donne dovettero calare in massa davanti ai tribunali, incatenarsi ai pali della luce, improvvisare volantinaggi sotto i più importanti media per rompere la teoria secondo la quale ogni donna era in realtà colpevole dell’abuso sessuale che aveva subito. Oggi assistiamo invece a un’enorme reattività in difesa delle vittime di violenza.

Lo stupro e la morte della signora Reggiani prima e quello quasi immediatamente dopo di una giovane africana sono stati la materia più scottante della campagna elettorale nazionale un anno fa. Le violenze sulla coppia di Guidonia hanno portato quasi al linciaggio, mentre per il giovane che a Capodanno ha stuprato una ragazza durante una festa del Comune di Roma, un coro nazionale ha chiesto il massimo della pena, oltraggiati tutti dal fatto che un giudice (donna) gli avesse concesso «solo» gli arresti domiciliari. La nazione, insomma, sembra scossa da un’indignazione protettiva nei confronti delle donne che si può paragonare solo a quella che negli anni ha suscitato la pedofilia.

La sensibilità sociale si è evidentemente evoluta, dobbiamo concludere. O no? Forse c’è un’altra domanda che andrebbe fatta alle donne nell’attuale momento: è questo che la loro mobilitazione di anni voleva ottenere? È questo il tipo di reazione, protezione, per cui hanno lottato? Ovviamente, è meglio avere una difesa che il disprezzo; è meglio pensare di avere un padre, un marito, un fratello che mena le mani per te, e un Paese che chiede a gran voce la tua sicurezza. Ma, parlando senza arroganza, c’è qualcosa di ugualmente espropriante della persona donna in questa levata di scudi.

La prima espropriazione ha a che fare con il «tipo» di stupro che suscita proteste: si tratta inevitabilmente di quelli commessi in ambienti pubblici. L’Istat ha pubblicato una ricerca sulla base della quale le donne dai 16 ai 70 anni che in Italia hanno subito in totale violenza sono 6 milioni 743; di cui un milione e 150 mila nel 2006: di queste un milione 400 mila ragazze hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni. Autori della violenza? Il 69 per cento sono partner, mariti o fidanzati. Statistiche più recenti ci dicono addirittura che solo il 10 per cento degli stupri è perpetrato da stranieri. Inutile dire che per questa vasta zona grigia di crimine «in famiglia» non ci sono né proteste, né denunce: possibile che nessuno mai se ne accorga?

Ma se lo stupro fa rabbia solo quando è fatto da «stranieri», forse entriamo in un diverso campo, in cui diventa simbolo (fortissimo, ma pur sempre simbolo) di mancanza di sicurezza, di degrado dell’ambiente, e di una guerra per il controllo del territorio. Insomma, lo stupro indigna quando si carica di una battaglia più ampia di quella della difesa delle donne. Una battaglia in cui, paradossalmente, le donne si trovano di nuovo «oggetto», in quanto proprietà collettiva di un gruppo contro un altro. Una versione dello scontro globale che ritorna a livello tribale. Per chi avesse perso memoria, ricordo che anche nella ex Jugoslavia, una guerra che è stata il massimo dello scontro tribal-identitario, lo stupro femminile è stato usato come «sfregio» di un’etnia contro l’altra.

Come vedete, qualcosa di molto inquietante si accompagna sempre al corpo femminile. Su di esso inevitabilmente pare calare il destino dell’appropriazione da parte di altri. Non era certo questo per cui hanno combattuto le donne di anni fa: volevano innanzitutto la propria dignità come cittadini contro i quali ogni assalto è proibito dalla legge. Ma non credo volessero nessun taglione, nessuna vendetta. Tantomeno diventare parte di un ingranaggio così vasto, di cui alla fine si rimane comunque ostaggi.
 
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