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Autore Discussione: Alessandro Barbera - Cottarelli: “Spese senza controlli Bisogna cambiare testa”  (Letto 2723 volte)
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« inserito:: Ottobre 28, 2014, 04:04:19 pm »

Cottarelli: “Spese senza controlli Bisogna cambiare testa”
L’ex commissario alla spending review: “In Italia si fanno troppe leggi”
Cottarelli tornerà a Washington come direttore esecutivo per l’Italia al Fondo monetario internazionale

27/10/2014
Alessandro Barbera
ROMA

Per i commessi di via XX settembre Carlo Cottarelli è già un lontano ricordo. «Sicuro stia ancora qui?» si chiede quello che non riesce a contattare l’interno. L’ormai ex commissario alla spending review non ha più una segretaria, né altri collaboratori. L’ala del suo ufficio è vuota come quelle di certe aziende andate rapidamente fallite. Lui invece è ancora lì, seduto nella scrivania di una stanza d’angolo. Quando il telefono della ex segretaria squilla, si alza e va a rispondere. Resterà fino al 31 ottobre, quando tornerà a Washington come direttore esecutivo per l’Italia al Fondo monetario internazionale.

Dottor Cottarelli, avrebbe dovuto rimanere tre anni, alla fine sarà solo uno. Perché? 
«All’inizio con Letta l’accordo era per un anno, ma mi chiese di restare per tre. Poi le cose sono cambiate».

Renzi non l’ha mai amata, non voleva un burocrate a occuparsi di tagli. 
«Se mi amasse o meno dovete chiederlo a lui. Però ha ragione quando dice che le decisioni le deve prendere la politica, non un commissario. Quando mi chiamarono anche io mi chiesi perché ci fosse bisogno di una figura del genere».

Cosa le risposero? 
«Che ci voleva qualcuno in grado di fare entrare la cultura della revisione della spesa nella testa della burocrazia». 

I risultati non sono entusiasmanti. 
«Ora c’è la norma che porterà alla drastica riduzione delle centrali di acquisto pubbliche, quella che introduce l’obbligo di fatturazione elettronica, c’è una prima lista di prezzi benchmark. È in vigore un decreto che imporrà un tetto di cinque auto a ministero, è stata completata l’introduzione dei fabbisogni standard nei Comuni, c’è una banca dati delle partecipate pubbliche. Sono soltanto alcuni esempi di quel che è stato fatto».

 

I grandi problemi sono irrisolti. Penso alla riorganizzazione delle prefetture o il caso delle partecipate: lei aveva proposto di ridurle da ottomila a mille, nella legge di Stabilità non c’è nulla. 

«Sulle partecipate le cose stanno come dice lei, non so cosa risponderle. Sulle prefetture si sarebbe potuto procedere più velocemente. Un primo strumento per attuare la riforma era compresa nella legge di svuotamento delle Province, poi scoprì che era necessario inserirla di nuovo nella delega di riforma della pubblica amministrazione».

Perché? 
«A quanto pare c’erano problemi giuridici».

In Italia i capi di gabinetto hanno sempre l’ultima parola. Perché? 
«Le norme sono spesso lunghe e incomprensibili e solo loro sono in grado di gestirle».

Cosa si può fare per cambiare le cose? 
«Occorrerebbe cambiare la testa di chi scrive le leggi, mi rendo conto che non è semplice. Sarebbe un passo avanti se i collaboratori più stretti dei ministri controllassero meglio i testi che vengono approvati. E poi in Italia si fanno troppe leggi. Ogni settimana si sente l’urgenza di scriverne qualcuna. Più ce ne sono, più è difficile applicarle, maggiore è il livello di discrezionalità».

Abbassare l’età media dei dirigenti pubblici, come vuole Renzi, è una soluzione? 
«Ho sessant’anni, non può farmi dire che è una soluzione. Però aiuta».

Era favorevole al tetto di 240mila euro? 
«Sì, ma la cosa più importante è che è stato fermato il meccanismo che permetteva la rivalutazione Istat degli stipendi. Di fatto negli ultimi trent’anni ai dirigenti pubblici più elevati è stata garantita una scala mobile negata agli altri».

Come funzionario del Fmi ha visto da vicino molte burocrazie. Dica la verità: un Paese nel quale la fusione fra Aci e motorizzazione civile salta tre volte non lo ha mai visto. 
«No. Aggiungo una cosa: mi sono reso conto che un problema importante della spesa italiana è la mancanza dei controlli. Le norme vengono scritte, spesso non vengono rispettate».

Una struttura c’è: è la Corte dei Conti. 
«La quale si preoccupa di far rispettare le procedure, non l’efficienza dei processi. Le racconto un aneddoto: quando ho scoperto che i Comuni si affidano a società esterne specializzate nei controlli dei costi, ho chiesto perché la stessa cosa non venga fatta nei ministeri. Mi è stato risposto che farlo è rischioso, perché la Corte dei Conti si metterebbe a fare le pulci agli anni precedenti. Non so se è vero, ma se lo fosse sarebbe la dimostrazione che qualcosa non va».

La legge di Stabilità ha accantonato la spending review, si torna ai tagli lineari. È così? 
«I target di riduzione di spesa esistono in tutto il mondo, il problema è come li si applica».

Se ne va pessimista sul futuro dell’Italia? 
«Assolutamente no. In Italia le cose cambiano, è che i problemi sono tanti e non ce ne accorgiamo. Con l’eccezione delle pensioni, fra il 2009 e il 2012 la spesa pubblica dello Stato è scesa del 10 per cento, quella dei Comuni dell’8, quella delle Regioni del 16, solo la spesa sanitaria è rimasta costante. Altrove verrebbero giudicati come ottimi risultati».

Tornerà? 
«Sono sicuro di sì».

Twitter @alexbarbera 

DA - http://www.lastampa.it/2014/10/27/italia/politica/spese-senza-controlli-bisogna-cambiare-testa-w6eCmr9CSP7UvWl0OaqYNL/pagina.html
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 09, 2015, 04:56:03 pm »

La spesa per la salute è sotto controllo ma gli sprechi negli uffici salgono del 40%
In Molise, Calabria, Campania e Lazio gli esborsi per beni e servizi in rialzo dal 200 al 340%.
Consulenze, convegni e immobili, i costi più alti. Il governo chiederà di tagliarli del 5%
La spesa pubblica e privata 2014 ha assorbito il 9,2% del Pil, appena un decimale meno della media europea


05/11/2015
Alessandro Barbera
ROMA

«C’è un’esigenza generale di migliorare l’efficienza delle Regioni». Il ministro del Tesoro Padoan non prende posizione sulla polemica in corso, ma - dice- «mi limito ad osservare che in alcuni casi c’è una efficienza più elevata, e mi sembra quasi di buon senso immaginare una convergenza verso le buone pratiche di chi è lontano», visto che «sono adottate e quindi adottabili dalle altre». Il titolare di Via XX settembre contesta le «critiche selettive», sulle singole misure avanzate da Bankitalia e Corte dei Conti e ribadisce che non si fanno passi indietro sulla lotta all’evasione. Infine il debito: «Dopo otto anni di aumento il rapporto tra debito e Pil scenderà dal 2016 ed è previsto in continuo calo». 

Ronald Reagan amava dire «abbi fiducia, ma verifica». A forza di assistere al rituale del governo che taglia e delle Regioni che si lamentano, il lettore potrebbe essere assalito da un dubbio: che abbiano ragione i Chiamparino, i Maroni, gli Zaia? Il dubbio è legittimo, tutto dipende dall’angolo di osservazione. Prendiamo la sanità: pur avendo fatto marcia indietro sugli aumenti promessi, dal 2000 a oggi i trasferimenti sono aumentati di oltre il 60 per cento. Eppure quel numero non dice granché. Occorre considerare l’inflazione, il tasso di invecchiamento della popolazione, la qualità dei servizi. Prendiamo allora un indicatore più chiaro: l’andamento della spesa in percentuale alla ricchezza prodotta dal Paese. Se il metro è questo non si può sostenere che la sanità italiana sia fra le più costose: la spesa pubblica e privata nel 2014 ha assorbito il 9,2 per cento del Pil, appena un decimale in meno della media europea e della Grecia. In termini assoluti erano 110 miliardi quest’anno, saranno almeno 111 l’anno prossimo. Poiché il bilancio dello Stato ne vale oltre 800, dedicare un ottavo delle nostre tasse alla salute è un compromesso ancora accettabile. Ma allora perché i governi di ogni colore tartassano le Regioni? 

 I CONTI NON TORNANO 
Una tabella dell’ultimo rapporto della Corte dei Conti lo spiega bene: se prendiamo la spesa totale - quella corrente, per gli investimenti, il pagamento dei debiti arretrati, e i trasferimenti che le stesse Regioni fanno a Province e Comuni - scopriamo che fra il 2011 e il 2014 è salita di ben dieci miliardi di euro: da 201 a 211 miliardi di euro, quasi il 5 per cento in più. In mezzo a questo turbinio di trasferimenti - ricorda il rapporto - il governo Monti ha peraltro distribuito 45 miliardi per il pagamento dei debiti arretrati. Soldi - denuncia la Corte dei Conti - spesso usati per fare altro. Il Piemonte quest’anno ha un bilancio in rosso per sei miliardi di euro e senza un decreto del governo (arriverà a giorni) finirebbe in dissesto.

LE ALTRE SPESE 
Intendiamoci: non è che anni e anni di tagli lineari non abbiano prodotto alcun effetto. La tabella per studi, consulenze, indagini e gettoni di presenza dice ad esempio che fatta eccezione per Liguria (+25 per cento), Marche (+18 per cento) e Abruzzo (+11 per cento) e lo striminzito calo in Calabria (-3 per cento) tutte le Regioni dal 2011 in poi segnano (sulla carta) un taglio a due cifre. La tabella sull’andamento dell’intera spesa corrente, escluse sanità e investimenti, ci riporta alla dura realtà. Quella è la voce che indica meglio di ogni altra quanto ci costa tenere in piedi le Regioni: nel 2014 hanno speso poco meno di 36 miliardi di euro, 1,3 in più del 2011. È un aumento del 3,8 per cento, tutto sommato accettabile. Per inciso, con la manovra per il 2016 il governo gli chiede di rinunciare a circa 1,8 miliardi di quella spesa, il 5 per cento del totale. 

GLI SPRECHI 
Indovinate ora dove sono concentrati i rincari? Ebbene sì, «spesa di acquisti per beni e servizi». Fra il 2011 e il 2014 è salita da 5,1 a 7,2 miliardi, il 40 per cento in più. Se nel triennio quella voce è scesa quasi del 30 per cento in Valle D’Aosta, del 13 in Emilia e dell’11 a Bolzano ed è salita solo del tre per cento in Piemonte, nel Molise è volata del 341 per cento, in Calabria del 286 per cento, in Campania del 200 per cento, in Lazio del 194 per cento. E cosa c’è dentro la voce «beni e servizi»? Fra gli altri, «studi, consulenze, indagini e gettoni di presenza», ma anche «combustibili», «cancelleria», «manifestazioni e convegni», «manutenzione di immobili». A proposito di immobili, basti qui citare un aneddoto su una delle amministrazioni considerate fra le più efficienti: da uno studio di Salvatore Vassallo sull’organizzazione della Regione Emilia è emerso che i dipendenti e consulenti in servizio nella sola Bologna, oggi sparsi in otto uffici (otto), potrebbero essere concentrati negli spazi delle due torri della sede centrale, nel quartiere della Fiera. Una norma di legge gli chiede di farlo dal 2011. 

Twitter @alexbarbera 

Da - http://www.lastampa.it/2015/11/05/economia/la-spesa-per-la-salute-sotto-controllo-ma-gli-sprechi-negli-uffici-salgono-del-3D3u1A5LCY3GuUhWAqJVMO/pagina.html
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