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Autore Discussione: Antonio PADELLARO -  (Letto 68596 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Marzo 10, 2013, 11:17:36 pm »

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Tristi gare di burlesque: la politica che si diverte a perdere tempo mentre tutto crolla

di Antonio Padellaro | 10 marzo 2013


Mentre le agenzie di rating declassano l’Italia pronosticando scenari di “profonda” recessione, conseguenza del risultato “inconcludente” delle elezioni, la politica dà come sempre il suo fattivo contributo al bene del Paese e si porta avanti con il lavoro. Bersani, l’unico leader politico al mondo che è arrivato primo alle elezioni riuscendo a perderle (dopo un altro voto sfortunato parlò, con ardita litote, di non vittoria) vuole a tutti i costi farsi un giro da premier, ambizione legittima se non fosse che non ha la maggioranza al Senato e neppure, così si dice, il convinto sostegno di Napolitano. Egli avrebbe perciò escogitato un astuto stratagemma per aggirare il Colle e con ingegnosi artifici insediarsi a Palazzo Chigi alla guida di un governo a prevalenza Pd, ma zoppo e sfiduciato. Per farne cosa, mistero.

Intanto, plotoni di esimi giuristi, supportati nei grandi giornali dalle truppe speciali del dialogo, architettano un governo del Presidente in versione automatica poiché il Presidente a capo del governo del Presidente dovrebbe essere il Presidente medesimo. Semplice e geniale. Ma l’arma segreta per dare finalmente un governo all’Italia sta per essere perfezionata in una sorta di gabinetto del dottor Caligaris dove un’équipe di scienziati cerca di mettere a punto il premier Grillesco. Progettato per ottenere il prezioso gradimento di Beppe Grillo, questo portento riunisce il meglio della società civile e del primato professorale da Rodotà a Settis, a Zagrebelsky. Una soluzione di eccellenza che unisce competenza e onestà. Purtroppo il caro leader a 5Stelle persiste in un atteggiamento sarcastico (coerente, del resto, con la sua conclamata vena comica), cosicché circondato da alcuni simpatici picchiatelli si diverte un mondo a respingere al mittente i prototipi con pretestuose motivazioni.

A questo punto uno potrebbe chiedersi che fine abbia fatto Berlusconi, che resta pur sempre il potente capo della destra italiana. Ebbene, inseguito dalla implacabile pm Boccassini, egli ha trovato rifugio in un ospedale amico dove, tuttavia, il suo tentativo di darsi malato è stato smascherato da una impietosa visita fiscale. Una scena spassosa quella del miliardario simulatore che bene s’inserisce in un contesto burlesque, con la politica che si diverte a perdere tempo mentre tutto crolla. Certo, c’è sempre l’esempio del Belgio che senza governo è sopravvissuto benone per 500 giorni e più. In attesa delle prossime elezioni e del prossimo avanspettacolo.

Il Fatto Quotidiano, 10 marzo 2013

DA - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/10/tristi-gare-di-burlesque-la-politica-che-si-diverte-a-perdere-tempo-mentre-tutto-crolla/525813/
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« Risposta #91 inserito:: Aprile 01, 2013, 06:23:56 pm »

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A conclusione delle consultazioni: la supercazzola

di Antonio Padellaro | 31 marzo 2013


Nella repubblica specialista in tavoli, tavolini, comitati e commissioni perditempo era inevitabile che, a conclusione del più inutile giro di consultazioni che si ricordi, il capo dello Stato invece dell’incarico di governo abbia deciso di creare due bei gruppi di lavoro e di assegnare dieci incarichi ad altrettanti supposti esperti. Essi dovrebbero partorire, in un paio di settimane, quelle presunte riforme economiche e istituzionali con cui da un ventennio la peggiore classe politica dell’orbe terracqueo prende in giro gli italiani.

Intendiamoci, Giorgio Napolitano va capito: giunto all’epilogo del settennato, si ritrova a gestire una crisi politica ingestibile cosicché, stufo di perdere tempo con partiti che già pensano alle prossime elezioni e usano i microfoni del Quirinale per farsi propaganda, ha pensato di mollare la patata bollente al suo successore. C’era solo il problema di arrivare al 15 maggio. Prima ha fatto sapere che se ne sarebbe potuto andare in anticipo: niente di scandaloso trattandosi di poche settimane, ma abbastanza per gettare nel panico bipartisan quei politici che senza più la copertura di Re Giorgio, per circolare dovrebbero munirsi di giubbotto antiproiettile. Ed ecco i dieci “saggi”, parola che induce al sorriso, trattandosi (salvo un paio di nomi) perlopiù di vecchie cariatidi o di politicanti in disarmo. Spartiti secondo il più rigoroso manuale Cencelli, sembrano fatti apposta per preparare il terreno all’inciucione Pd-Pdl, che l’attuale inquilino del Colle considera come una sorta di premio alla carriera.

Subito da tutte le televisioni si sono levate grida di giubilo da parte di giornalisti convocati all’uopo: uno ha detto addirittura che quella di Napolitano era “una mossa da fuoriclasse”. Negli osanna si sono naturalmente distinti i leader di cui sopra: adesso, mentre i saggi saggiano, potranno dedicarsi serenamente alla campagna elettorale. Crisi e disoccupazione possono attendere. Una frase di circostanza giunta dal M5S ha fatto andare in un brodo di giuggiole qualche novello esperto: un caso psichiatrico, direbbe Grillo, visto che il movimento ha come scopo dichiarato la distruzione completa dell’attuale sistema dei partiti. Dopo la pausa pasquale vedremo come la supercazzola sarà accolta dai mercati, mentre già in Europa si stenta a credere che con i suoi giganteschi problemi l’Italia continui ad affidarsi al governo Monti, sfiduciato in tutti i sensi. Attenzione, gli italiani sono pazienti, ma se si arrabbiano sono guai.

Il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/31/a-conclusione-delle-consultazioni-supercazzola/548005/
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« Risposta #92 inserito:: Aprile 01, 2013, 11:13:42 pm »

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Pietro Grasso a Piazza Pulita, i veleni e citofoni

di Antonio Padellaro | 27 marzo 2013


A Piazza Pulita abbiamo ascoltato il presidente del Senato Grasso pronunciare la seguente frase: “La sera della trasmissione ho trovato mia moglie agitata come la trovai quando, ai tempi del maxi-processo, citofonarono da giù e le dissero: “I figli si sa quando escono, ma non si sa quando rientrano”. La trasmissione in questione è l’ormai famoso Servizio Pubblico di giovedì scorso e, se l’ex procuratore intendeva tracciare un’infame quanto ridicola analogia tra le minacce degli assassini mafiosi e le critiche legittime che gli ha rivolto Marco Travaglio, ci è riuscito perfettamente.

La frase, tuttavia, si presta ad alcune brevi considerazioni sullo stato mentale di certa classe politica di cui Grasso è un’eminente new entry. Prima di tutto lo sgomento che li assale ogniqualvolta il loro finissimo orecchio coglie qualche nota in dissonanza con il consueto concerto per flauti e archi che li accompagna su tutta la stampa nazionale. Chi osa esprimere un dubbio su cotanto cristalline carriere sarà certamente un manigoldo o un emissario di Cosa Nostra. Ed ecco la piagnucolosa litania infarcita di figli in pericolo e di mamme trepidanti.

L’eroe antimafia vive, si sa, un pericolo costante: “Mi crocifiggeranno, ci saranno dei video, sarà killeraggio mediatico”, nientedimeno. Ma intanto, a difesa della “nuova funzione istituzionale”, egli si porta avanti con il lavoro spargendo veleni. E se il bravissimo Formigli non ha ritenuto di interrompere l’augusto ospite per chiedergli conto e ragione dello spregevole insulto rivolto a un giornalista libero, lo faremo noi.

Si vergogni, signor presidente del Senato, e accetti un consiglio. Poiché continueremo a fare tranquillamente il nostro lavoro, la prossima volta che vorrà darci dei mafiosi, abbia il coraggio di farlo a viso aperto e non si nasconda dietro un citofono.

Il Fatto Quotidiano, 27 Marzo 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/27/pietro-grasso-a-piazzapulita-veleni-e-citofoni/544076/
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« Risposta #93 inserito:: Aprile 04, 2013, 06:08:42 pm »

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La vendetta di Kim il Giorgio

di Antonio Padellaro | 2 aprile 2013


Nel maggio del 2006 l’Unità decise di celebrare l’ascesa di Giorgio Napolitano al Quirinale con il titolo “Buongiorno Presidente”, che a me parve molto bello e augurale, anche perché all’epoca ero io a dirigere il giornale. Col senno di poi, forse avrei dovuto moderare l’entusiasmo. Del resto, poche settimane prima, nella notte dei famosi ventiquattromila voti di scarto fra l’Unione di Prodi e la destra, ne avevo combinata un’altra, sparando a tutta prima pagina: “Berlusconi Addio”, e si è visto poi come è finita.

Anche se altri titoli mi sono riusciti meglio, a quel ricordo giornalistico di sette anni fa è legato un episodio che, seppur minimo, aiuta a decifrare il personaggio Napolitano alla luce anche dei suoi ultimi atti di imperio che qualcuno paragona a un golpe bianco. Dunque, con i colleghi dell’Unità decidemmo di stampare quella pagina augurale su una lastra di zinco debitamente incorniciata a imperituro ricordo e di apporvi gli autografi di tutti i giornalisti e lavoratori del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e di cui l’autorevole dirigente comunista era stato una firma apprezzata. Poi, presi dall’entusiasmo, chiedemmo al portavoce Pasquale Cascella di poter consegnare direttamente nelle mani del nuovo capo dello Stato il prezioso oggetto. Cortese, Cascella mi assicurò che si sarebbe fatto latore della richiesta.

Non ne sapemmo più nulla, ma non certo per responsabilità di Cascella. Qualche tempo dopo, nel congedarmi dall’Unità, feci recapitare lo sfortunato omaggio al Quirinale, dove penso giaccia ancora in qualche augusto ripostiglio. Tracce di Napolitano, prima dell’imprevista ascesa al Colle, ne avevo avute quando, sempre tramite Cascella, allora notista politico dell’Unità, egli mi recapitava suoi densi saggi di non facile lettura sui problemi dell’Europa, che io provvedevo a mettere in pagina per rispetto al grande leader di partito destinato all’oblio, com’era opinione comune.

Ecco, penso che lo straordinario sussiego con cui Napolitano ha interpretato il suo settennato sia anche frutto di quella marginalità a cui era stato condannato da personaggi che probabilmente considerava (e considera) dei nanerottoli, politicamente parlando e sui quali, successivamente, si è preso una lunga e gelida rivincita. Penso che non abbia tutti i torti, perché pur con le numerose colpe che il Fatto non ha mai smesso di rimproverargli, Napolitano appare come un gigante del pensiero, soprattutto se paragonato ai suoi ex compagni di partito.

A ben guardare, infatti, anche il mezzo incarico conferito a Pier Luigi Bersani appare come l’ultimo sgarbo nella lunga storia di sgarbi e di ruggini che ha diviso la sinistra italiana. Ma proprio come in molte storie di sinistra, questo rancore viene dissimulato dietro tonnellate di osanna e salamelecchi. Un culto della personalità che non ha paragoni nelle democrazie occidentali. Per esempio, l’ossessiva e piagnucolosa insistenza con la quale si chiede a Re Giorgio di restare sul Colle per un altro mandato fa venire in mente l’ode dedicata al dittatore nordcoreano Kim Jong-Il, erede di Kim Il-sung i cui versi cantano: “Non possiamo vivere senza di te / il nostro Paese non può esistere senza di te”. È incredibile, i politici italiani non sanno vivere senza Napolitano e, più lui si ritrae apparentemente infastidito, più essi si stracciano le vesti: resta con noi! Ma allora come si spiega questa adorazione con le ruggini di cui sopra? È semplice. In tutti questi anni Napolitano ha fatto da scudo a una classe politica tra le più screditate e impopolari.

È stato a causa di questa gigantesca coda di paglia che abbiamo dovuto sorbirci cori di giubilo e peana ogni volta che dal Quirinale giungevano tra tuoni e saette, i famosi moniti: lodi a cui invariabilmente seguivano gli identici comportamenti così inutilmente monitati. L’estasi è giunta al punto che nell’ultima consultazione abbiamo ascoltato il vicesegretario Pd Enrico Letta, esclamare (senza ridere) una frase del tipo: ci affidiamo completamente a Lei, Presidente, con lo stesso trasporto di Papa Francesco quando si rivolge all’Altissimo.

Tanta devozione non è però servita a impedire la suprema beffa dei cosiddetti Saggi che, con la stravagante non soluzione della crisi di governo, ha condannato il povero Bersani in un ridicolo limbo, visto che l’incarico Napolitano non glielo ha dato, ma neppure glielo ha tolto. Difficile che questa volta lo smacchiatore di giaguari la mandi giù: infatti tra i Democratici i mugugni si sprecano. È vero che anche Berlusconi e Grillo alzano la voce contro le commissioni che servono solo a prendere (e a perdere) tempo. Ma l’inquilino del Colle sembra intenzionato a non mollare “fino all’ultimo giorno”, poiché sembra assodato che fino all’ultimo giorno di Napolitano non ci sarà un governo Bersani. A meno che Bersani non mandi giù il disgustoso intruglio di un patto Pd-Pdl. A sinistra la vendetta è un piatto che va servito freddo, molto freddo.

il Fatto Quotidiano, 2 Aprile 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/02/vendetta-di-kim-giorgio/549033/
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« Risposta #94 inserito:: Aprile 10, 2013, 06:45:24 pm »

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Tutti contro il M5S: lei è onesto, come si permette?

di Antonio Padellaro | 10 aprile 2013


Ieri le aperture di quasi tutti i giornali italiani erano dedicate al presidente Napolitano che accusava i “fanatici della moralizzazione”. Monito assai curioso perché sarebbe come prendersela con i fanatici dell’acqua potabile o dei limiti di velocità. Poiché, secondo il Devoto-Oli, moralizzare significa “ricondurre all’osservanza dei criteri prescritti dalla onestà e dalla rettitudine”, viene il dubbio che onestà e rettitudine stiano diventando parole pericolose o comunque da non sbandierare troppo per non disturbare la quiete dei disonesti. Neanche a dirlo, il capo dello Stato ce l’aveva con quelli del M5S che sere fa in una bella puntata di Otto e mezzo erano anche il bersaglio dello psicanalista Massimo Recalcati, che sul tema si era già espresso su Repubblica. In una dotta lezione su come si sta al mondo, il movimento di Grillo veniva descritto come generatore di critiche sterili in quanto “dominato da quel fantasma di purezza che accompagna tutti i rivoluzionari più fondamentalisti”: fantasma, secondo lo studioso, presente al centro della vita psicologica degli adolescenti.

Insomma, “proclamando la sua diversità assoluta e continuando a stare fuori dal sistema, fuori dai circoli mediatici, fuori da ogni gestione partitocratica del potere”, il grillismo non potrà mai generare il cambiamento promesso. Un invito a diventare presto come gli altri, nominando i propri saggi, trattando posti di governo e di sottogoverno e magari facendosi vedere spesso a Ballarò. Colpisce la fretta con cui si chiede la mutazione dei troppo puri per liberarli dalle ubbie adolescenziali. Sono a Roma da appena un mese e già questi giovanotti, che girano con lo zainetto sulle spalle e pretendono che gli eletti in Parlamento lavorino invece di stravaccarsi in attesa del nulla, cominciano a stare sulle palle ai cultori della realpolitik.

Quasi vent’anni fa, in un magistrale “Elogio funebre della Dc”, Pietro Citati descrisse la tecnica dei democristiani di fronte al nemico.
Farlo spossare e sfinire, “e allora essi lo avvolgevano, lo penetravano, lo trasformavano a poco a poco in se stessi, con quell’arte dell’assimilazione nel quale erano maestri”. Perciò, professor Recalcati, non disperi. Quegli strani cittadini animati dal “fantasma della purezza” prima o poi saranno penetrati e assimilati. Basta trovargli dei tutor all’altezza. Per esempio, un ciclo di lezioni sulla “gestione partitocratica del potere” a cura dell’onorevole Giggino ‘a Purpetta, con dispense dell’ex sottosegretario emerito Nick Cosentino.
E così, con buona pace del Quirinale, avremo sconfitto anche questi pericolosi fanatici dell’onestà..

Il Fatto Quotidiano, 10 aprile 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/10/lei-e-onesto-come-si-permette/558100/
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« Risposta #95 inserito:: Aprile 27, 2013, 05:30:41 pm »

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Napolitano, era tutto studiato

di Antonio Padellaro | 21 aprile 2013


C’è un filo rosso che porta allo sconcertante bis di Giorgio Napolitano, parte da lontano e si chiama governo delle larghe intese con Berlusconi. È una lampante verità che sul Colle delle bugie e dei nastri cancellati nessuno può negare, scolpita sui moniti che d’ora in poi saranno legge. Quel filo del Quirinale, nel dicembre 2011 dopo la disastrosa caduta del governo B., impedisce le elezioni anticipate. Come mai? Forse era chiaro che, con il crollo annunciato della destra, il Pd vincitore avrebbe potuto imporre senza problemi il proprio capo dello Stato?
 
E perché quando, nel dicembre scorso, Monti si dimette, non viene rispedito alle Camere per verificare la fiducia? Forse perché il timing, perfetto, consentiva alla presidenza di gestire non solo le elezioni,ma anche il dopo? Il pareggio auspicato e raggiunto, il mezzo incarico a Bersani, lo stop a M5S che chiede un premier fuori dai partiti, la melina dei “saggi”. Tutto per arrivare paralizzati all’elezione del Presidente e quindi all’inevitabile rielezione?

Forse il piano non era così diabolico, forse l’encefalogramma piatto dei partiti ha permesso a Napolitano di orchestrare la crisi come meglio voleva. Ma è difficile credere che, dopo aver respinto fino alla noia ogni offerta per restare, il navigato politico abbia ceduto in un paio d’ore alle suppliche di alcuni presunti leader alla canna del gas. Si è fatto rieleggere,vogliamo credere, non per sete di potere (a 88 anni!), ma per governare l’inciucio che nella sua testa è l’unico strumento per controllare un Paese allo sfascio. E per tenere lontano quell’eversore di Grillo che crede addirittura nella democrazia dei cittadini. Non s’illuda, però: davanti ai problemi giganteschi degli italiani (e alle piazze in fermento), questa monarchia decrepita e grottesca è solo uno scudo di paglia. D’ora in poi questi politici inetti e disperati il conto lo faranno pagare a lui.

Il Fatto Quotidiano, 21 aprile 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/21/napolitano-era-tutto-studiato/570837/
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« Risposta #96 inserito:: Giugno 30, 2013, 04:38:56 pm »

Ha stravinto la casta

di Antonio Padellaro | 30 giugno 2013


A Roma, in queste sere di inizio estate i ristoranti alla moda sono accerchiati da schiere di auto di grossa cilindrata, perlopiù tedesche che di blu conservano il lampeggiante, minaccioso anche spento come le insegne dei signorotti medievali. Per ore dietro i vetri scuri sonnecchiano incazzati gli autisti, in attesa di scarrozzare verso casa vassalli, valvassori e valvassini, finalmente satolli.
 
A questo punto il lettore si chiederà dove sia la notizia: le macchine dei potenti, statiche o sgommanti non fanno da sempre parte integrante della scenografia della città eterna, come le antiche fontane e i cassonetti maleodoranti? Appunto: la notizia è che nulla cambia e che probabilmente mai nulla cambierà. La Casta che solo quattro mesi fa sembrava soccombere, sotto la valanga delle astensioni e dei nove milioni di vaffanculo raccolti da Beppe Grillo, ha ripreso tranquillamente a fare i propri comodi. Qualche limatura a stipendi e prebende c’è stata, come annunciarono in una commovente comparsata a Ballarò i due nuovi presidenti delle Camere. Così come nei bilanci dei vari Palazzi sono state abolite alcune voci di spesa, francamente oscene. E il resto? Solo chiacchiere e prese in giro.

Le famose province sopravvivono benone a tutti i governi che dal secolo scorso ne annunciano regolarmente l’immediata abolizione: 107 enti dichiarati inutili che continuano a succhiare 12 miliardi l’anno. Per non parlare dei soldi ai partiti di cui il governo Letta aveva strombazzato la drastica riduzione: bene che vada, i 91 miliardi attuali diventeranno un’ottantina ma chissà quando (“ascolteremo i tesorieri di tutto il mondo”, è la simpatica trovata dei partiti perditempo). La crisi si sta mangiando questo paese, ma continuiamo a foraggiare i parlamentari e i manager pubblici più pagati d’Europa. Nessuno sembra più scandalizzarsi. La rinuncia del M5S a 42 milioni di finanziamento statale viene praticamente ignorata (anche per colpa loro, impegnati come sono a litigare su diarie ed espulsioni). Mentre provocano meraviglia le foto del nuovo sindaco della Capitale pedalante in bici, come se usare i mezzi di locomozione dei comuni mortali (taxi, metro o semplicemente i piedi) rappresentasse uno straordinario prodigio. Perciò, a cena in allegra compagnia, i signorotti si sentono in una botte di ferro e se qualcuno prova a scriverlo si arrabbiano pure. Ammettiamolo, hanno vinto loro. Anzi, hanno stravinto.

Il Fatto Quotidiano, 30 giugno 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/30/ha-stravinto-casta/641979/
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« Risposta #97 inserito:: Luglio 14, 2013, 11:41:37 pm »

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Caso Kazakistan, la tragedia e la farsa

di Antonio Padellaro | 14 luglio 2013


Nell’estate del ’77, dopo la ridicola fuga in una valigia del criminale nazista Kappler dall’ospedale romano del Celio, il governo dell’epoca cercò di addossare la colpa a tal capitano Capozzella, prima delle inevitabili dimissioni dell’allora ministro della Difesa Lattanzio. Fu così che il carabiniere, in ragione anche di un cognome appropriato agli eventi, divenne sinonimo di scaricabarile all’italiana, di politici vili e inetti, di stracci fatti volare per coprire le loro eccellenze.
 
Oggi, mentre solo grazie ai giornali cominciano a emergere circostanze e particolari dello scandalo infamante che ha portato le autorità italiane a consegnare nella mani del dittatore del Kazakistan, Nazarbayev, moglie e figlia (di sei anni) del principale oppositore del regime (dove secondo Amnesty tortura e maltrattamenti sono di casa), si capisce solo che il premier Letta e i suoi ineffabili ministri Alfano, Bonino e Cancellieri stanno cercando solo i due o tre Capozzella di turno da incolpare: “Nessuno ci ha informato”. I dirigenti della Polizia avranno modo di spiegare le sconcertanti modalità di un’espulsione avvenuta con uno spiegamento di forze (50 uomini armati fino ai denti) come per Riina e Provenzano.

Una domanda ai solerti funzionari, però, sorge spontanea: una volta entrati nella villetta di Casal Palocco e constatata l’identità dei feroci criminali da catturare, una donna e una bimba terrorizzate, non gli è saltato in mente che qualcosa non tornava? Un controllo, una telefonata a qualche superiore gallonato per chiedere: che cazzo stiamo facendo, era troppo complicato? Perché a questo punto sorge il dubbio che tutta la vicenda, da molti interpretata in chiave complottista come un favore fatto all’amico personale di Berlusconi e al partner d’affari dell’Eni, nasconda una buona dose di ottusità e cialtroneria.

Insomma, più che James Bond, una gag dell’ispettore Clouseau, anche se non c’è niente da ridere. Forse neanche gli sceneggiatori di Peter Sellers avrebbero saputo creare una battuta come quella escogitata dai cervelli di Palazzo Chigi a proposito di Alma Shalabayeva: “Espulsione revocata, ora può tornare”. Naturalmente gli sgherri kazaki non aspettano altro che liberarla con tante scuse.

Pensavamo di aver toccato il fondo della credibilità internazionale con la pagliacciata dei due marò trattenuti in Italia malgrado la parola d’onore data al governo indiano e poi rispediti a Delhi. Ma ora è molto, molto peggio.

Il Fatto Quotidiano, 14 Luglio 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/14/caso-kazakistan-la-tragedia-e-la-farsa/655721/
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« Risposta #98 inserito:: Luglio 21, 2013, 05:37:40 pm »

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Il caso Ablyazov e lo Stato burlesque

di Antonio Padellaro

21 luglio 2013


Un ministro degli Interni “inconsapevole” che fa la figura del fesso col botto mentre al Viminale, nella stanza accanto, i suoi funzionari prendono ordini dai kazaki, addirittura esilarante quando in Parlamento si lancia in una strampalata autodifesa intessuta di “apro le virgolette nelle virgolette” da teatro dell’assurdo.

Un ministro degli Esteri tenuta rigorosamente all’oscuro di tutto (perfino delle notizie Ansa), insolentita dall’ambasciatore kazako che convoca invano (“sono in ferie”). Ma che improvvisamente ritrova la parola onde farci sapere che Alma Shalabayeva, consegnata dalle autorità italiane con la figlia di sei anni direttamente nelle grinfie del peggior nemico “sta bene e ringrazia l’Italia” (nessuna riconoscenza, invece, da parte del cognato per il cazzotto preso in faccia durante la perquisizione di Casal Palocco).

Un presidente del Consiglio aggrappato tremebondo alla giacchetta di Napolitano, costretto a esibirsi nello sperticato elogio del fesso col botto per salvare la poltrona.

Un presidente della Repubblica tonitruante e che si crede un monarca assoluto, perfino innominabile secondo il presidente del Senato nelle vesti di gran ciambellano di corte.

Un Partito democratico (“Pd, partito defunto”, twittano i militanti in rivolta) i cui maggiorenti definiscono il ministro di polizia o un inetto o un bugiardo e subito dopo gli votano la fiducia.

Un vertice della Procura di Roma con due parti in commedia: prima vieta il rimpatrio delle due donne, poi lo concede pressato sulla base di un fax, quindi lamenta, accidenti, la beffa subita. Il tutto coronato da un’allegra brigata di prefetti, sottoprefetti e dignitari senza dignità, “a disposizione” degli arroganti emissari di Astana, usati e buttati via come stracci e che in sovrappiù devono masticare la versione ufficiale e menzognera che segna la fine delle loro carriere.

Il Fatto Quotidiano, 21 luglio 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/21/il-caso-ablyazov-e-lo-stato-burlesque/662488/
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« Risposta #99 inserito:: Agosto 04, 2013, 09:24:06 am »

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L’eversore col cerone

di Antonio Padellaro | 3 agosto 2013


Siamo ormai all’aperto ricatto nei confronti del presidente della Repubblica, alle minacce contro il moribondo governo Letta, all’eversione nei confronti di un potere dello Stato quale la magistratura.

Come definire altrimenti l’adunata di ieri pomeriggio dei parlamentari del Pdl, al termine della quale i capigruppo Schifani e Brunetta (uno indagato per mafia e l’altro noto soprattutto per l’imitazione di Crozza) hanno annunciato la salita al Quirinale per chiedere a Napolitano un provvedimento di grazia a favore del delinquente Silvio Berlusconi.

Che non è un insulto gratuito scagliato da questo giornale contro il miliardario di Arcore, bensì la definizione espressa, confermata e ribadita nei tre gradi di giudizio del processo Mediaset riguardo al soggetto in questione, di cui “va considerata – scrivono i giudici – la particolare capacità a delinquere dimostrata nel-l’esecuzione del disegno delittuoso”.

Dunque, deputati e senatori del Pdl rimettono nelle mani del loro datore di lavoro il mandato parlamentare, ricevuto del resto come una livrea da restituire ben stirata, affinché il condannato a quattro anni di reclusione per frode fiscale con sentenza definitiva ne faccio l’uso che più gli aggrada. Qui, per cupidigia di servilismo, la funzione parlamentare viene stesa ai piedi del delinquente, il quale mostrandosi alle folle con il cerone del martirio invita piagnucolando i sottoposti ad agire “non per me ma per il bene del Paese”.

Una recita di quart’ordine, se il prezzo del ricatto non fosse: o la grazia al delinquente o facciamo cadere il governo e trasciniamo l’Italia verso scenari da incubo.

Subito il Colle ha fatto sapere che il provvedimento di clemenza non può essere richiesto da due capigruppo. Una risposta si spera puramente sarcastica, come lo fu il comunicato del Quirinale quando il direttore di Libero, Belpietro, parlò di una trattativa per graziare B. nel caso di condanna definitiva. Fece rispondere Napolitano che “queste speculazioni su provvedimenti di competenza del capo dello Stato in un futuro indeterminato” erano “un segno di analfabetismo e sguaiatezza istituzionale”.

Ora che il futuro è diventato presente, possiamo solo aspettarci che ai ricatti eversivi si sappia dare la più adeguata risposta e si chiamino i carabinieri per l’esecuzione della sentenza.

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/03/leversore-col-cerone/675733/
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« Risposta #100 inserito:: Settembre 28, 2013, 04:53:39 pm »

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Servizio Pubblico, intervista a Santoro: “Il successo e la televisione indipendente”

Il conduttore del programma alla vigilia della prima su La7: "Dicono che i talk show sono morti, ma i tg non sono vivi. Le notizie arrivano dagli approfondimenti". E nega che la sua fortuna dipenda dal Cavaliere

di Antonio Padellaro | 26 settembre 2013



Caro Michele, giovedì 26 settembre ricomincia Servizio Pubblico. Dimmi, in che anno siamo dell’era Santoro?
Ormai abbiamo raggiunto il quarto di secolo. Il primo Samarcanda risale all’87. Una trasmissione che ha accompagnato i grandi cambiamenti dalla Prima Repubblica ad oggi.

Ne sei stato il testimone diretto.
Testimone e coprotagonista perché non mi nascondo l’importanza che la tv ha conquistato e che conserva ancora oggi. La trasformazione subita dalla politica è stata determinata dall’evoluzione della televisione, quella generalista in particolare.

Più facile o più difficile per te condurre oggi un programma così seguito?
Più difficile: noi eravamo i pionieri di questo genere, potevamo amministrare le forze con meno assillo di concorrenza. Ora si assiste al moltiplicarsi dei contenitori informativi, non uso il termine talk perché molti programmi come il nostro fanno fatica ad essere inquadrati nella categoria talk. Non costruiamo solo parole ma anche immagini.

Fin dall’inizio hai imposto uno stile che i contenitori attuali non fanno che ripetere. L’ospite che diventa protagonista, il palco che dà voce alla protesta civile, gli scoop giornalistici.
Nel nostro caso, anche la scenografia costituisce un elemento fondamentale della narrazione che vogliamo svolgere nel corso della puntata; come lo è per un giornale, la grafica delle pagine. L’idea delle torri in studio, nata dopo l’evento sul web “Tuttinpiedi”, rappresenta la distanza tra la politica e l’indignazione che monta tra i cittadini. Vorrei aggiungere un elemento. Ci si concentra sulla crisi degli ascolti ma si parla poco del perché le reti non riescono più ad esercitare la funzione che avevano storicamente: ad esempio, Ballarò fa ottimi risultati se si considera che va in onda su Raitre, dove, in questo momento, gli ascolti faticano.

Perché le reti non svolgono più la loro funzione?
Oggi assistiamo alla malattia dell’industria televisiva che è stata sempre specchio del Paese, uno specchio che guarda avanti. Nelle tendenze della tv, si prefigurano i futuri spostamenti nell’opinione pubblica e nelle istituzioni. La causa di questa malattia è il conflitto di interessi: per un lunghissimo periodo la tv è stata sotto il controllo di una sola cultura, senza creare una vera concorrenza. E ciò è avvenuto anche quando governava la sinistra. Alla fine della Prima Repubblica, c’è stata un’omologazione profonda del sistema, senza più distinzioni tra servizio pubblico e privato, e un controllo verticale delle quote a cui la sinistra non si è opposta, accontentandosi di gestire spazi subalterni. Da allora c’è stato un lento deteriorarsi della struttura dei network tipica della vecchia tv: i direttori di rete e i capistruttura che autonomia hanno oggi? Si dà per scontato che la tv sia eterodiretta e non solo dalla politica. Colpisce per esempio che il banchiere Gotti Tedeschi chieda l’intervento del Vaticano sulle nomine Rai senza suscitare il minimo clamore.

Ombrelli protettivi che possono risultare comodi, a chi sta in questo recinto.
La crisi dei talk va in parallelo con quella del varietà. Oggi si basa tutto sulla logica dei format: l’equilibrio perverso che si è creato prevede che gli autori siano esterni al network e che le loro proposte siano attente soprattutto agli interessi del padrino di riferimento.

Nel sistema che tu descrivi agiscono però anche gli uomini. Voglio dire che un conduttore non vale l’altro e che il successo di un programma deriva anche dall’esperienza, dall’energia e dal carisma di chi lo dirige.
Storicamente i conduttori dei programmi di informazione sono personalità molto forti, espressione di un punto di vista preciso: penso a Giuliano Ferrara, a Gad Lerner, a Maurizio Costanzo e allo stesso Bruno Vespa. Di figure così ne abbiamo sempre di meno.

Spesso i conduttori non hanno le spalle abbastanza forti per opporsi ai padrini politici.
Con tutti i suoi difetti, lo star system è stato un elemento di ostacolo al controllo verticale del potere perché nessuno di questi protagonisti (uno per tutti Enrico Mentana) si è arreso al ruolo di mero esecutore.

Non hai l’impressione che agli spettatori piaccia sempre di meno il dibattito tra i soliti nomi e che maggior gradimento abbiano i reportage e le inchieste?
Si investe poco in queste produzioni perché, oltre ai costi piuttosto elevati, hanno un risultato incerto: l’inchiesta “funziona” solo quando è deflagrante e finisce sui giornali. Abbiamo chiuso la scorsa stagione di Servizio Pubblico producendo sei speciali di montaggio su temi caldissimi come la trattativa Stato-mafia e il peso della camorra sull’economia meridionale. Hanno avuto ottimi ascolti ma nessun editore è venuto a chiederci di investire su un prodotto del genere. La tv riflette l’atteggiamento della classe dirigente a cui manca la visione per ideare programmi nuovi. E in questo i talk sono elementi più dinamici rispetto ai telegiornali: le verità vengono sempre fuori dai programmi di approfondimento.
Se il talk è in crisi o addirittura morto, i tg sono forse vivi?

Servizio Pubblico fa paura a tanti leader politici. È vero che molti non vengono per paura di Marco Travaglio?
Per loro l’ingresso in quell’arena significa dare legittimità a chi li accusa e li critica. Lo stesso Berlusconi venendo in trasmissione ha segnato la sconfitta dell’editto bulgaro, questo era la grande novità che nessuno ha valorizzato.

Chi vi ha criticato non voleva celebrare il successo di B. quanto piuttosto attaccarvi: dimostrare che eravate come tutti gli altri.
In Italia vige la leggerezza della critica televisiva, vale a dire non riuscire a leggere la televisione dentro i processi sociali e istituzionali del Paese. Con il vecchio sistema elettorale maggioritario un politico non poteva permettersi di non andare in tv. Doveva per forza assumersi le sue responsabilità davanti all’elettorato. L’attuale classe dirigente, figlia del Porcellum e formata da nominati, è espressione chi di un padrone, chi di un partito. Personaggi che non devono rendere conto delle proprie azioni se non a chi li ha messi lì.

Oggi la tv somiglia a un “talent”: prima era un mezzo per far arrivare alla gente la voce dei partiti di massa o dei grandi leader. Ora, invece, a parte che di grandi leader non se ne vedono in giro, è la tv a fabbricarli.
L’immagine di Berlinguer colpito da ictus su quel palco di Padova rappresenta in maniera drammatica che cosa ha significato la sacralità del leader: lui stava morendo e parlava con sempre più fatica ma nessuno dei suoi osava avvicinarsi per non intaccarne il carisma. Oggi il leader non è più un intoccabile, una figura divina. E ciò vale anche per i più potenti. Prendiamo Silvio Berlusconi: la leggenda vuole che la sua forza discenda da un’eccellente capacità di comunicare. Non è così. Penso invece che lui abbia individuato un blocco sociale di interesse al quale far riferimento, dopodiché si è affidato ad un esercito di pasdaran e al blocco delle sue televisioni: senza le tv non avrebbe potuto incidere così tanto sul sistema.

Renzi e Grillo quanto possono essere considerati dei leader mediatici?
Renzi cerca il sostegno della gente puntando sulle capacità di comunicatore, vere o gonfiate che siano. Si torna quindi alla logica del talent: il sindaco di Firenze è come il vincitore di X-Factor e non importa che si confronti o meno con gli elettori. L’esperienza di Beppe Grillo, invece, assomiglia al modello Berlusconi: ha costruito una macchina capace di intercettare l’umore del web e di incanalarlo in una forza politica.
Gode di una posizione dominante anche perché l’estrema frammentazione della rete favorisce il più forte.

Torniamo a Servizio Pubblico, riuscirà a mantenere i livelli di ascolto e il forte impatto sull’opinione pubblica?
Veniamo da due stagioni pazzesche prima con l’esperimento sulla piattaforma delle tv locali, poi con l’arrivo su La7 dove in termini di ascolto siamo stati spesso la seconda o la terza rete e, in un paio di volte, la prima. Cosa faremo? Ci saranno delle novità, nuove sperimentazioni. Proveremo a rompere tutti i ritmi del talk. Sono convinto che il mondo che raccontiamo sia destinato ad essere sconvolto da cambiamenti precisi.
E a ciò dobbiamo essere preparati. E’ come fare surf sull’oceano cercando l’onda giusta.

Caro Michele, Servizio Pubblico è un po’ come il Fatto: chi non ci ama sostiene che il nostro successo solo dipende dall’esistenza di Berlusconi.
È un luogo comune, ma noi sappiamo che non è così.
Quando facevo Samarcanda Berlusconi non era ancora Berlusconi. Un punto di vista indipendente trova sempre degli argomenti per risultare interessante.

(a cura di Paola Maola)

da Il Fatto Quotidiano del 25 settembre 2013

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/26/servizio-pubblico-intervista-a-santoro-successo-e-televisione-indipendente/723972/
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« Risposta #101 inserito:: Novembre 03, 2013, 06:28:12 pm »

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Pd, piove a catinelle

di Antonio Padellaro | 3 novembre 2013

Ai dirigenti Pd consigliamo la visione dell’ultimo film di Checco Zalone: si divertiranno e avranno modo di riflettere sul personaggio che lo stesso autore ha così descritto a Malcom Pagani: “Un disgraziato che si mostra più stronzo dei ricchi, ambisce solo ad assomigliargli e alla fine, diventa peggio di loro”. Non è in qualche modo la parabola del loro partito, nato per “cambiare l’Italia” e che invece fa combutta di governo con il nemico che doveva cacciare, rischiando di spappolarsi tra mille faide interne?

Prendete le ultime cronache congressuali: dalle Alpi al Lilibeo un’esplosione di tessere fasulle con i clan locali che arruolano seduta stante plotoni di immigrati e perfino gente del Pdl, per accaparrarsi quote di potere. Mentre i veri militanti disertano nauseati le vecchie sezioni ora chiamate circoli: dei ring dove i capatàz finiscono sovente per darsele di santa ragione. Senza contare i pugnali nell’ombra, che spiegano la scelta democratica e prudente di andare al voto palese, onde evitare gli agguati dei franchi tiratori, quando il Senato dovrà pronunciarsi sulla decadenza di Berlusconi. Come la peggiore Dc, dice qualcuno: paragone che l’esperto Cirino Pomicino respinge, non senza qualche ragione, ricordando che lo scudocrociato era un partito vero e non un marketing leaderistico senza prodotto.

A Matteo Renzi le orecchie dovrebbero fischiare anche per la transumanza di facce siciliane poco raccomandabili che sul carro del vincitore vogliono pasteggiare a champagne, altro che spingere. Il giovane sindaco può vincere tutte le primarie che vuole, ma costoro poi presentano il conto: questo il senso del pizzino.

Era inevitabile: per vent’anni il miliardario di Arcore è stato un perfetto alibi morale per i suoi presunti oppositori. Lui, per dire, frodava il fisco, comprava senatori, frequentava minorenni e loro buttavano la polvere sotto il tappeto. Stavano al gioco, con i Penati di turno, percettori di buste preparate da solerti segretarie e intanto scendevano in piazza contro il Caimano cattivone. Ma ora che a palazzo Grazioli stanno (forse) per spegnersi le luci, l’alibi vacilla e le magagne altrui spuntano come i funghi con le piogge autunnali.

E può succedere che, dopo la nipote di Mubarak, tocchi alla figlia di Ligresti. E che, scoperto il peccatuccio, vengano addotte, guarda un po’, identiche ragioni “umanitarie”. Certo, una Guardasigilli è più presentabile di un pregiudicato, ma la protesta dei berluscones – perché a lui non credete e a lei sì? – non sembra del tutto campata in aria. “Parola di ministro” è un buon titolo per il prossimo film comico di successo.

DA - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/03/pd-piove-a-catinelle/764833/
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« Risposta #102 inserito:: Novembre 25, 2013, 04:25:06 pm »

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Decadenza Berlusconi, Caimano che abbaia non morde

di Antonio Padellaro | 24 novembre 2013

Segnatevi questa data: mercoledì 27 novembre 2013 perché quel giorno, se solo volesse, Silvio Berlusconi avrebbe l’estrema e forse irripetibile occasione di rendere un servigio al Paese, per la prima volta dopo un ventennio di nefandezze. Lo ha preannunciato: prima del voto sulla decadenza da senatore pronuncerà nell’aula di palazzo Madama un discorso “per passare alla storia”, “per non fare la fine di Craxi”. Alla storia ci passerà comunque come l’uomo del bunga-bunga ma se ispirasse l’atteso commiato alle parole pronunciate alla Camera dal leader del Garofano il 29 aprile del 1993 dovrebbe avere il coraggio che Bettino non ebbe: fare nomi e cognomi e vuotare il sacco, per esempio, sulle promesse d’impunità ricevute.

Promesse per ora vane, altrimenti a  quale scopo nell’intervista dell’altro giorno al Mattino il condannato per frode fiscale si sarebbe vistosamente appellato a un “riconoscimento del mio ruolo” chiedendo “un’agibilità politica che ogni cittadino di buon senso e di buona fede concederebbe a un alleato?”. Richieste ribadite con veemenza ieri davanti ai giovani di Forza Italia e accompagnate da un’arrogante pretesa: altro che servizi sociali, Napolitano gli conceda la grazia motu proprio, “senza un attimo di esitazione e senza che io lo chieda”.

La domanda sorge spontanea : perché mai Berlusconi si attende un simile regalo dal Quirinale? Nella famosa chiamata di correo di vent’anni fa Craxi, in piena Tangentopoli, denunciò un “sistema criminale” e guardandosi intorno chiese se c’era qualcuno pronto a giurare il contrario. Nessuno fiatò. Egli, gli altri componenti di quel sistema fondato sulle mazzette li conosceva bene e forse pensò che quella allusione sarebbe bastata a garantirgli un qualche salvacondotto politico per non dover trascorrere il resto dei suoi anni da latitante ad Hammamet. Lo lasciarono solo. Di questo passo B. farà la stessa fine.

Alfano e gli altri “traditori” lo hanno mollato anche se a cagione della considerevole coda di paglia strepitano più degli altri sulla sua innocenza. Letta nipote lo ha già liquidato: non è più un pericolo per la tenuta della maggioranza. E quanto alla grazia motu proprio è difficile che sul Colle ci sia qualcuno disposto a sfracellarsi per il benefattore della nipote di Mubarak. Ma l’uomo è troppo avvezzo ai compromessi per brandire la vendetta e il palazzo in fiamme si vede solo nei film. Probabile che tutto finisca con la solita piazzata sotto palazzo Grazioli e la solita tirata contro le toghe rosse. Caimano che abbia non morde.

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/24/decadenza-berlusconi-caimano-che-abbaia-non-morde/788813/
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« Risposta #103 inserito:: Novembre 29, 2013, 07:20:26 pm »

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Berlusconi decaduto: è finita, non è finito

di Antonio Padellaro | 28 novembre 2013

È finita, ma non è finito. Ci sono voluti quattro lunghi mesi per cacciare Silvio Berlusconi dal Senato in forza della legge Severino, ma nessuna legge se non quella della decenza poteva impedirgli di mostrarsi per quello che è sul palco di palazzo Grazioli sferzato dalla tramontana: un vecchio imbonitore, stanco, malandato che recita sempre lo stesso copione e si ripropone per l’ennesima campagna elettorale.

Da vent’anni le solite balle. Vero è che, oltre le truppe infreddolite imbarcate e spedite a Roma per confortare il decaduto dai capataz pugliesi e campani, ci sono 7-8 milioni di elettori che continuano a sperare nella resurrezione dell’adorato Silvio, più per odio verso la sinistra “delle tasse e dell’euro che ci sta rovinando” che per amore di una destra che più sgangherata e rissosa non si può. Eppure i sondaggi oggi dicono che in caso di elezioni questa accozzaglia di forzitalioti, alfanidi e schifanidi, fratelli e cugini di La Russa più alcune rimanenze leghiste, se rimessa insieme dal federatore di Arcore, può battere il Pd di quel fenomeno di Renzi con gli annessi vendoliani, il che la dice lunga sullo stato in cui versa il centrosinistra.

Fa male, dunque, Letta nipote a sperare in una navigazione più tranquilla del suo governo liberato dalla zavorra azzurra, perché al Senato – con sei voti di margine e sotto la pressione dei berluscones avvelenati con i “traditori” del Nuovo centrodestra – può essere davvero il delirio quotidiano, come sperimentò il secondo governo Prodi. Ma neppure il condannato può dormire sonni tranquilli, privato com’è dello scudo immunitario che da ieri sera lo rende passibile di arresto immediato su richiesta delle tante procure che lo indagano, senza contare che potranno perquisirlo e intercettarlo come un qualunque cittadino.

Insomma, potrebbe ritornare premier oppure finire in galera. Da noi funziona così.

Il Fatto Quotidiano, 28 novembre 2013

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/28/berlusconi-decaduto-e-finita-non-e-finito/794073/
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« Risposta #104 inserito:: Dicembre 28, 2013, 11:34:52 pm »

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Governo-Colle, la ‘Comédie italienne’
di Antonio Padellaro | 27 dicembre 2013

La comédie italienne più dignitosa è la protesta del regista Maggiulli contro i cancelli dell’Eliseo, mentre è solo indecorosa la ridicola commedia dei decreti natalizi affondati e resuscitati dal Colle per salvare il patetico governo del Letta nipote. SalvaRoma e Milleproroghe, nomi più che altro da cinepanettone, nascondono il solito marchettificio di Capodanno, pioggia di soldi per le fameliche clientele bianche, rosse, verdi, per dirla con l’affittaCamere Scarpellini che riscuote sontuose pigioni e precisa pignolo di aver “pagato tutti”.

Insomma, una partita di giro o se si preferisce, un nesso di causa ed effetto. SalvaRoma potrebbe essere anche un film pasoliniano, ma più adatto sarebbe Porcile, a osservare le foto con i rosei maialini che grufolano tra i rifiuti di una Capitale che così ridotta non la salva più nessuno. E cos’è il Milleproroghe se non l’autobiografia di una Repubblica fondata sul differire, dilazionare e protrarre? Ma questo è solo colore perché la sostanza è una maggioranza a tal punto sfibrata e spompata che non riesce neppure a farsi gli affari suoi.

C’è la fuga degli onorevoli verso il cenone e poi ci sono quei rompiscatole dei Cinquestelle che ficcano il naso dove non dovrebbero. È vilipendio se immaginiamo che Letta abbia portato al Quirinale il rischio della bocciatura in extremis del SalvaRoma e che l’augusto suggerimento sia stato di cambiare nome e qualche connotato al decreto (come il finto ambasciatore del Catonga spalmato di lucido nero in Tototruffa ’62) così da rosicchiare altri sessanta giorni di tempo?

La comédie italienne può continuare all’infinito tra mille imbrogli e sotterfugi se una mano pietosa e consapevole non provvederà a concordare rapidamente con chi ci sta uno straccio di legge elettorale per poi andare subito al voto. È chiaro che la mossa spetta a Matteo Renzi se non vuole finire nella palude stigia delle attese inutili. E se altri moniti si alzeranno, si turi le orecchie e proceda.

Il Fatto Quotidiano, 27 dicembre 2013

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/27/governo-colle-la-comedie-italienne/825711/
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