Pd: Pippo Civati, coraggio! Non rischia mica il rogo
Di Luisella Costamagna | 18 ottobre 2014
Qualcuno ci giudicherà è il titolo del suo libro. Le spiace se do il mio contributo? Da malpancista del Pd è diventato apertamente dissidente, ma – al di là delle etichette – nella sostanza non mi sembra sia cambiato molto. La coerenza, valore inestimabile cui lei in queste ore si appella per partecipare alla manifestazione della Cgil contro il Jobs Act, è secondo il vocabolario “conformità tra le proprie convinzioni e l’agire pratico”. Scusi ma questa conformità, nel suo comportamento parlamentare, mi sfugge.
È stato coerente non votare la fiducia al governo Letta e poi far passare tutto il resto? Promettere di vendicare Prodi, ma non fare i nomi dei 101 che l’hanno impallinato? E siamo a Renzi. Capisco che ci sia anche del risentimento personale, per essere stato rottamato ben due volte nonostante l’età (dopo Leopolda 2010 e alle primarie 2013), ma è coerente dire “Matteo sbagli” e poi votargli la fiducia? Soprattutto: adesso cosa farà quando il Jobs Act – che lei critica duramente e giustamente – arriverà alla Camera? Darà un’ennesima prova di coerenza, facendo come altri dissidenti: non condivido ma dico sì lo stesso o mi astengo o esco dall’aula? O farà come il civatiano Tocci che, dopo aver annunciato “voto la fiducia ma mi dimetto da senatore”, ha poi trovato il tempo di salvare il governo nel Def?
Forse è davvero il Palazzo a confondere le idee e a creare queste scappatoie formali: sono quasi da rivalutare i voltagabbana di ieri, quelli del “solo i cretini non cambiano idea” – almeno ammettevano di aver cambiato idea –, di fronte ai tanti incoerenti di oggi che rivendicano la coerenza. Il maestro – lei ha ragione – è Renzi, ma non si può rispondere alla sua incoerenza (annunci, “promesse che non si realizzano” – come scrive nel suo blog – infedeltà al programma elettorale e delle primarie) razzolando allo stesso modo. Tuonando e poi lasciando passare, gettando il sasso e nascondendo la mano, con l’alibi della “democrazia interna al partito”, del “comportamento corretto e leale verso gli elettori” o, peggio ancora, del “bene del paese”.
La coerenza è molto più semplice: se non si condivide un provvedimento, si vota no (solo così si può poi criticarlo anche in piazza, non dopo averlo comunque avallato in Parlamento); se si dice “mi dimetto” si va via; se non si è d’accordo con la linea del premier-segretario si saluta e si prova ad affermare altrove le proprie idee. Questa è coerenza. Questo sarebbe un comportamento leale e corretto verso gli elettori. Questo farebbe il bene del paese.
Caro Civati, lo so: ci vuole coraggio. La coerenza è l’opposto della convenienza, e può far pagare prezzi salati. Non voglio arrivare a ricordare, a lei ex ricercatore in Filosofia, quel tal Giordano Bruno che pagò col rogo la mancata abiura delle sue idee (giuste) sull’universo e sui mondi infiniti. Non esageriamo. I roghi fortunatamente non ci sono più, e di coraggio oggi ne basterebbe anche poco. Lei ne conserva almeno un grammo? Ci pensi quando passa per Campo de’ Fiori, magari per un aperitivo. Un cordiale saluto.
Il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2014
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