In Europa
Lettera aperta (e sincera) a un cittadino della Germania
Un nuovo ceto medio continentale ormai esiste, ma le istituzioni non sono all’altezza. Servono meno burocrazia, più chiarezza e un’immagine diversa
Di Gian Arturo Ferrari
Mi è capitato recentemente di andare a un matrimonio nelle Langhe. La sposa, insegnante elementare, era italiana, torinese per la precisione. Lo sposo, chimico, era tedesco. Si sono conosciuti grazie a un Erasmus in Inghilterra. Lui ha cercato lavoro in Italia per un anno, distribuendo curriculum cui nessuno ha mai risposto. Ha poi trovato in Germania, a Colonia, dove adesso vivono. Lei ha preso il suo brevetto in tedesco e comincerà tra poco a lavorare in una scuola materna. Al matrimonio, assai festevole, sono arrivati tutti, italiani e tedeschi, con addosso gli stessi vestiti, italiani, e a bordo delle stesse macchine, tedesche. Tutti a proprio agio alla cerimonia, tutti con l’aria di trovarla assolutamente normale, identica a quella che sarebbe stata in Germania, in Francia o in Inghilterra. A tavola hanno chiacchierato di quel che facevano, di serie televisive e di libri (americani però), delle proprie vacanze e di quali tra i voli low cost tra Italia e Germania fosse in realtà il più conveniente e andasse nei posti più strani. Alcuni tedeschi parlavano italiano — da bene a così così —, nessun italiano parlava tedesco, ma molti se la cavavano con quel poco o tanto di inglese che sapevano. Si sono tutti capiti benissimo. Non solo, ma, e questo è davvero il punto fondamentale, non c’è stata estraneità, quel guardarsi intorno smarrito e cauto in cerca dei propri simili, quel gradino di diffidenza che ancora fino a pochi anni fa ci sarebbe di sicuro stato.
Fino a pochi anni fa l’idea di essere tra di noi, di eguaglianza e di parità, era proprio o di gruppi professionali o di élite intellettuali. Adesso è diventato senso comune. O, per meglio dire, senso comune per un nuovo ceto medio, più giovane, più civile e più allargato. Per il nuovo ceto medio europeo. Che non equivale di certo all’insieme o anche solo alla maggioranza degli europei (in mezzo miliardo di persone c’è ovviamente di tutto...), ma che è la parte più attiva, più proiettata in avanti, quella che sarà senza ombra di dubbio la spina dorsale del domani.
Sono gente simpatica questi nuovi europei. Gente pratica, con i piedi per terra (dài e dài, l’economia ce l’hanno nel sangue). Ma anche gente curiosa. Che è un modo diverso di essere colta, schivando la vecchia e arrogante retorica dei colti di professione. Gente che ha risolto in concreto, personalmente, il problema della doppia appartenenza al proprio Paese e all’Europa. Il proprio Paese sono le proprie radici, l’Europa è il proprio orizzonte, il terreno in cui misurarsi.
Insomma, gli europei sono qui, sono già arrivati, inutile andare a cercarli. Quel che non c’è, a dire il vero, è l’Europa. O perlomeno un’Europa degna di questi europei. Non si può chiamare Europa quello sferragliante convoglio in perenne viaggio tra Bruxelles e Strasburgo, quel coacervo di istituzioni ammonticchiate le une sulle altre di cui nessuno, se non chi ne è parte, sa dire le precise competenze.
In tempi di vacche magrissime per tutti è ora anche qui di semplificare, di sfrondare. E di risparmiare. Che credibilità potrà mai avere l’Europa che chiede riforme se non è capace di riformare se stessa? Poi occorre chiarezza: non trasparenza, che è un concetto nebuloso, chiarezza. Sulle due questioni essenziali, della cessione — e dunque sulla distribuzione — di sovranità e sul comando. La Banca centrale europea e la Germania hanno diritto di rivendicare l’una e l’altro, cioè l’egemonia. Ma in che misura e in che modo? Abbiamo già fatto la colossale sciocchezza di varare un’unione monetaria senza un’unione fiscale. Cerchiamo di non farne altre.
Infine un po’ di cura all’immagine, al marketing. Nessun prodotto è stato trattato peggio dell’Europa. Quelle terrificanti fotografie uso scolastico di una trentina o cinquantina di ignoti in cui ognuno va a cercare il proprio congiunto, Renzi nel nostro caso. Quelle sinistre riprese di tavoli chilometrici coperti da valanghe di carte con gli dèi dell’Europa che bisbigliano e si danno di gomito. Quel nero sbattere di portiere da cui i medesimi dèi escono contorcendosi, ma con eroici sorrisi. Si può fare qualcosa di meglio. Coraggio. Gli europei sono fatti, facciamo l’Europa.
26 settembre 2014 | 10:11
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