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Autore Discussione: Gli AntiRenziani del fare melina e chiacchierare dei loro fallimenti...  (Letto 3025 volte)
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« inserito:: Settembre 06, 2014, 04:59:19 pm »

Pd, scontro con la minoranza.
Bersani: "Segretario-premier è un problema".
D'Alema: "C'è fastidio verso il dibattito"

L'ex premier dopo le critiche al governo e gli attacchi dei dirigenti Dem: "Le risposte alle mie parole confermano le preoccupazioni". E scende in campo anche l'ultimo segretario.
La replica di Orfini: "Il partito non è movimento del premier, è forte e plurale"


BOLOGNA - "Le risposte arrivate dai dirigenti del Pd confermano le mie preoccupazioni. Perchè se uno dice che è preoccupato perchè c'è la disoccupazione e la crisi economica non gli si può rispondere che vuole le poltrone, come mi son sentito dire". Così, al suo arrivo alla Festa Pd di Ravenna, l'ex premier Massimo D'Alema è tornato sulle polemiche nate dopo le sue parole sul Governo e sullo stato del Pd renziano. "In effetti sì, sono rimasto piuttosto colpito dalla violenza, in qualche caso perfino dalla volgarità delle repliche". Ma, qualche ora più tardi, a rafforzare il fronte antirenziano nel Pd ci pensa anche l'ex segretario, Pier Luigi Bersani. "E' un fatto strutturale, quando il tuo segretario è capo del governo devi stare attento a quel che dici. La discussione è un pochino inibita", ha detto alla Festa del Pd a Roma Portuense. Bersani ha quindi chiesto di aprire "una riflessione larga entro la fine dell'anno". Poi, tra l'ironico e il contrariato, ha criticato la riforma del Senato: "Abbiamo dei senatori nominati. Va bene, si è deciso così e va bene; chiedo solo di capire se sarà ancora obbligatorio nel Senato dei nominati regionali portare ancora la cravatta...".

La replica. A far partire l'offensiva di critiche nei confronti del segretario-premier era stato, martedì a Bologna, Massimo D'Alema che aveva infatti criticato le misure dell'esecutivo contro la crisi, nonché la struttura del Pd, che non avrebbe più "una segreteria ma persone fiduciarie del premier". Parole che subito hanno scatenato le reazioni dei dirigenti Dem. "Quando uno ha fatto politica al livello in cui l'ha fatta D'Alema forse si aspetta che il momento della pensione non arrivi mai", la frase tranchant del vicesegretario del Pd Debora Serracchiani. Mentre il vice-segretario del Pd, Lorenzo Guerini, ha definito le parole di D'Alema "ingenerose, superficiali e affrettate". Più pacato il presidente dei Democratici, Matteo Orfini: "Non credo ci sia il rischio che il Pd diventi un movimento del premier, perché il Pd è forte, coeso, ma anche plurale, c'è un dibattito vero, che deve stare nei limiti del dibattito garbato, ma non vedo questo rischio", ha detto dalla festa dell'Unità di Bologna.

"Cose umilianti". "Veramente - ha detto D'Alema rispondendo ai giornalisti che ricordavano appunto le prese di posizione sulla stampa di Serracchiani, Guerini e Matteo Orfini - sono cose umilianti e che danno la sensazione di un fastidio verso il dibattito democratico... Non dovrebbe essere questo il modo di vivere in un grande partito popolare come il nostro".

"Gli 80 euro non bastano". "Gli 80 euro sono insufficienti a sbloccare i consumi. Sono un primo passo. Ma se si fermano a questo non bastano" ha detto D'Alema, "c'è bisogno di una svolta più coraggiosa, sia a livello europeo sia a livello italiano".

© Riproduzione riservata 04 settembre 2014


Da - http://bologna.repubblica.it/cronaca/2014/09/04/news/d_alema_risposte_a_mie_critiche_confermano_le_preoccupazioni-95019121/?ref=HREC1-4
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 30, 2014, 12:18:53 pm »

L’intervista
«A Leopolda Serra contro i sindacati Tre giorni dopo ecco i manganelli»
Zoggia, minoranza dem: «È inevitabile pensare a strane coincidenze. Siamo più di cento alla Camera. No a scissioni, il partito si può riscalare»

di Fabrizio Roncone

ROMA «Dov’è Davide Zoggia?» Si volta un commesso. «Eccolo laggiù...». I deputati renziani controllano il territorio. Non sfugge la scena di un bersaniano duro e puro che va incontro a un cronista salutandolo con evidente cordialità. Ma Davide Zoggia se ne infischia, dei renziani. «Abbiamo ancora facoltà di rilasciare interviste, sa?». Mentre camminiamo verso il corridoio che sta accanto alla buvette, Zoggia dice con un filo di voce: «Qui alla Camera siamo tra i 70 e gli 80, e dentro ci metto i dalemiani, noi che stiamo con Pier Luigi e quelli di Cesare Damiano. A questi bisogna poi aggiungere i 20 di Cuperlo e i civatiani, che sono 8, forse 10... E anche al Senato, i numeri di quella che sui giornali chiamate “minoranza”, non sono male: perché lì, per dire, faccia conto che siamo già una trentina». Ci sediamo su un divanetto. Dai finestroni entra un riverbero di luce fioca. Atmosfera perfetta per parlare di scissione nel Pd . «Poi le dico cosa penso della scissione. Subito voglio invece dirle che non mi piace un governo che lascia manganellare operai e dirigenti sindacali, com’è successo poco fa, in piazza Indipendenza. Certo non conosco eventuali provocazioni, non c’ero... però è inevitabile pensare a certe coincidenze...».

Può essere più preciso?
«No, dico: alla Leopolda, Davide Serra, il finanziere vip amico di Renzi, prende la parola e dice cose gravi e inaccettabili sul sindacato e sul diritto allo sciopero e poi, tre giorni dopo, che succede? Succede che i poliziotti vedono gli operai, abbassano la visiera del casco e caricano...».
Continui.
«Renzi parla sempre di riforme. Ma non è che le riforme poi puoi andarle a fare a destra, con una cultura di destra. Da quelle parti puoi eventualmente farci un passaggio la domenica pomeriggio, quando decidi di andare dalla D’Urso, su Canale 5, a razzolare un po’ di consenso nazionalpopolare e, appunto, magari anche destrorso. No, ecco: questo tanto per precisare...».
Torniamo all’ipotesi di scissione. Lei prima ricordava a memoria tutti i numeri.
«La prima cosa da dire è che il disagio non c’è tanto qui, in Parlamento, quanto piuttosto sul territorio o nelle piazze. Pensi a piazza San Giovanni: il 90% di quelli che erano lì hanno votato per il Pd. Come si sono sentiti quando hanno ascoltato il loro segretario che parlava d’un “partito di reduci”?».
Renzi, negli ultimi tempi, con voi della minoranza è assai ruvido.
«Troppo ruvido... questa escalation di perfidie e provocazioni, questo continuo forzare la mano è così inspiegabile da risultare sospetto. Ha tutto dalla sua parte: un bel 40,8% delle elezioni europee ancora caldo, la concreta prospettiva di poter governare fino al 2018, un’opposizione praticamente inesistente e però, che fa? Appena può sbeffeggia la minoranza del suo partito. Perché?».


Lo dica lei: perché?
«Vuol far cadere il governo o, piuttosto, cambiare e per sempre il Dna del Pd? I sospetti sono legittimi».
Per capirci: lei pensa che Renzi vi provochi sperando di vedervi andar via?
«Non lo so, può darsi ci sia un progettino di questo tipo. Che, però, va a sbattere contro la nostra cultura politica. Perché noi non siamo abituati a fondare partitini del 10%, noi abbiamo fondato il Pd. E al Pd vogliamo bene e qui dentro, perciò, restiamo. Del resto fummo proprio noi, fu Bersani, nel 2012, a rendere “scalabile” il partito, quando, facendo un favore a Renzi, decise che potesse diventare premier anche chi non era segretario... Beh, adesso, piano piano, lottando da dentro, contiamo di poterlo riscalare noi, fino al prossimo congresso, il partito».
La vedo dura.
«Abbiamo, l’ho spiegato, spinte contrarie e pericolose: Renzi che ci insulta da sopra e i militanti che ci premono, indignati, da sotto. D’Alema e Bersani, che spero Renzi non s’offenda se definisco “padri nobili”, se ne sono accorti e non casualmente invitano alla calma e al confronto politico».
Potete cimentarvi subito: il Jobs act è alla Camera e...
«E le dico subito che se al Senato abbiamo votato una cartellina praticamente vuota, qui le cose, sono in grado di garantirglielo, andranno diversamente. Noi pretendiamo...».
Pretendere è un verbo che a Renzi fa venire le bolle.
«Noi pretendiamo che quel po’ che c’è, dentro il Jobs act, possa essere modificabile ed integrabile, almeno con ciò che fu deliberato dalla direzione nazionale del partito. In caso contrario...».
Voterete contro?
«Ovvio».
Certe interviste sembrano non finire mai e così, alla buvette, davanti a due pessimi caffé, siamo finiti a parlare inevitabilmente del Renzi personaggio. «Quando io ero presidente della Provincia di Venezia, lui guidava quella di Firenze: beh, mi creda, già all’epoca era uno che pensava in grande. Determinato, rapace, mai stanco. Ora non so dirle se tenesse nel mirino Palazzo Chigi: però, giuro, non mi stupirei che...».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
30 ottobre 2014 | 10:25

Da - http://www.corriere.it/politica/14_ottobre_30/a-leopolda-serra-contro-sindacati-tre-giorni-manganelli-0c263c0e-600b-11e4-b0a9-d9a5bfba99fb.shtml
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 11, 2014, 06:01:36 pm »

Scenari
Un nuovo partito a sinistra del Pd? Per due italiani su tre è «inutile»
Il fronte anti Jobs act avrebbe più consensi tra gli anziani che tra i lavoratori

Di Nando Pagnoncelli

Il percorso del Jobs act, per contenuti e modalità, ha creato frizioni all’interno del Partito democratico, accentuando le differenze e lo scontro tra l’area renziana e le minoranze. L’ipotesi di una scissione in seno al principale partito del Paese, più volte agitata dai media, è sembrata prendere consistenza. E, per quanto smentita da molti dei supposti protagonisti, si è ipotizzata la nascita di una forza a sinistra del Pd, alla cui testa molti pensano potrebbe proficuamente esserci Maurizio Landini.

E lo stesso Matteo Renzi ha in qualche modo legittimato questa possibilità quando ha dichiarato superato anche uno dei classici fantasmi del vecchio Pci, «nessun nemico a sinistra». Sembra quindi non impossibile un percorso del genere, con la costituzione di una forza composta da fuorusciti del Pd in polemica con Renzi, Sel e le altre componenti della sinistra radicale, sostenuta dalla simpatia di parte della Cgil e della Fiom. La polemica sempre più aspra del presidente del Consiglio (d’altronde ricambiato) con quest’area potrebbe favorire il consolidarsi di un’area di opinione benevola verso l’ipotetica nuova forza di sinistra.

Su questi temi abbiamo testato le opinioni degli italiani. La maggioranza assoluta ritiene che una formazione di questo genere sarebbe inutile, poiché tenderebbe a riproporre le solite visioni ideologiche, percepite come oramai superate. Ma più di un quarto (il 27%) pensa invece che sarebbe utile avere chi rappresenta più validamente il mondo del lavoro oggi sotto attacco. Non bisogna confondere questa opinione con un ipotetico orientamento di voto: l’utilità di questa forza è sottolineata in maggior misura dagli elettori di Forza Italia e del Nuovo centrodestra che probabilmente non voterebbero mai a sinistra ma auspicano un Pd lontano dalle radici originarie, in particolare da quelle rappresentate dal principale dei soci fondatori (Ds-Pds-Pci).

Sul successo elettorale di questa formazione le opinioni si diversificano: la maggioranza relativa (40%) scommetterebbe su un flop, in particolare tra gli elettori di Forza Italia, circa un quarto ritiene che comunque non sfonderebbe, ottenendo grosso modo risultati simili a quelli recenti della sinistra. Tuttavia un quinto degli elettori punterebbe invece su una buona riuscita alle elezioni, contando su un bacino di consenso proveniente da molti elettori stufi delle politiche del Pd e di Renzi.

La corrente di simpatia intorno a questa forza non sarebbe tutto sommato indifferente: il 10% la guarderebbe con molta attenzione, il 22% con qualche simpatia. Un bacino di interesse quindi complessivamente intorno ad un terzo degli elettori. Anche in questo caso non bisogna confondere l’interesse e la simpatia con il comportamento di voto: in questo 30% circa c’è una quota di elettori, centristi o di Forza Italia, elettori che, come detto, sicuramente non convergerebbero su questa forza.

La simpatia espressa dagli elettori Pd è assolutamente in linea con la media: 10% molta simpatia, 25% qualche simpatia. Dimensioni d’altronde che sembrano assomigliare molto ai risultati delle primarie che incoronarono Renzi, quando i due competitor (Cuperlo e Civati) ottennero insieme il 32% dei consensi. Non sembra quindi che l’attuale, aspro dibattito sull’articolo 18 e sul Jobs act abbia modificato significativamente i rapporti di forza interni. Infine va sottolineato che il consenso potenziale per quest’area politica verrebbe in misura maggiore da chi è più direttamente colpito dalla crisi come i disoccupati, dagli anziani, dove era maggiore il consenso per l’area non renziana, dalle casalinghe che hanno quotidianamente a che fare con la difficile quadratura del bilancio familiare. Assolutamente lontani, e da tempo non è più un paradosso, gli operai, tra cui la simpatia per questa forza tocca i minimi assoluti.

Difficile individuare un leader forte e indiscusso per questa ipotetica formazione. Anche Maurizio Landini, di cui si è lungamente parlato come della possibile guida, ottiene, nell’elenco dei quattro personaggi sottoposti agli intervistati, un 15% di apprezzamento, vicino a quelli di Civati e di Vendola. Di nuovo, non stiamo parlando di voto potenziale, ma semplicemente di percezione del più adatto tra i leader testati.

In sostanza possiamo dire che emerge un’area di opinione importante, che potremmo indicare in circa un quinto dei nostri connazionali, che appare interessata a questa forza. Questo potenziale consenso raggiunge i livelli massimi tra chi è colpito dalla crisi e tra gli anziani. È un profilo che si sovrappone sostanzialmente a quell’area che ha ridotto il proprio consenso per Renzi, e che tende ad esprimere un disagio che spesso sconfina nella protesta. Scarso invece il consenso potenziale da parte di operai e in linea quello dei ceti medi. Appare difficile quindi che su questa base si formi l’embrione di quello che potrebbe essere il partito del lavoro.

10 novembre 2014 | 08:36
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/politica/14_novembre_10/nuovo-partito-sinistra-pd-due-italiani-tre-sarebbe-inutile-acc05b1a-68ab-11e4-aa33-bc752730e772.shtml
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