Lo shopping di Pechino non si ferma più: Bank Of China al 2% di Fiat, Prysmian e Telecom
Sempre più forte la presenza del colosso asiatico nelle blue chip italiane, un investimento iniziato con Eni ed Enel. Operazione legata all'ingresso del colosso State Grid in Cdp Reti, la holding che controlla Snam e Terna
di LUCA PAGNI
MILANO - Hanno iniziato con i laboratori del tessile e si sono poi allargati ai bar e ai negozi di parrucchiere. Ma la presenza della Cina nell'economia italiana ha ormai compiuto un ulteriore salto di qualità e va ben al di là del fenomeno sociologico legato all'immigrazione: a essere protagonisti non sono più i piccoli imprenditori si è passati ormai direttamente per il governo di Pechino.
Se ci fosse ancora qualche dubbio sulla volontà del governo cinese di investire in Italia in modo manifesto basta leggere l'aggiornamento delle comunicazioni di Consob appena pubblicate: l'autorità per i mercati e la Borsa ha ufficializzato l'ingresso di Bank of China in Fiat, Prysmian e Telecom Italia, in tutti e tre i casi con queste appena al di spera del 2 per cento.
Una notizia che di certo non deve sorprendere, visto che la stessa Bank of China era già entrata - sempre con una quota attorno al 2 per cento - in Eni ed Enel. Inevitabile pensare alla scelta di investire nei principali gruppi quotati italiani (sia a controllo pubblico che privato) come il frutto di una decisione che è passata attraverso i colloqui e le visite ufficiali dei rispettivi governo (l'ultima a Pechino solo pochi giorni fa).
Il Stato italiano ha così trovato un partner di lungo periodo per le sue aziende. Ma oltre agli investimenti diretti nell'azionariato delle cinque "blue chip" quotate a Piazza Affari, non vanno dimenticate anche altre due operazioni, una industriale e l'altra finanziaria.
La prima riguarda Ansaldo Energia: nell'autunno scorso, Finmeccanica e Cassa Depositi Prestiti hanno ceduto una quota del 40 per cento della società genovese, leader nella costruzione di centrali elettriche, a Shanghai Electric, la più antica utility cinese. L'altra appena annunciata, con l'ingresso di State Grid International, la più grande società cinese dell'energia con oltre 2 milioni di dipendenti, al 35 per cento di Cdp Reti, la holding che controlla Snam e Terna, le due aziende che gestiscono la rete del metano e dell'elettricità lungo la penisola.
L'intento del governo italiano, che aveva iniziato a sondare Pechino oltre tre anni fa, nel tentativo di portarli a investire direttamente nel Fondo Strategico della Cassa Depositi Prestiti, è abbastanza chiaro. Dimostrare che c'è interesse per le principali società italiane e che il "sentiment" nei confronti dell'economia del nostro paese è tornato positivo dopo il restringimento dello spread tra Btp e bund tedeschi. Oltre a fare cassa: il che vale soprattutto per Ansaldo Energia e Cdp Reti, fondi che serviranno per nuovi investimenti. Non a caso, subito dopo l'ingresso di Shanghai Electric. L’azienda ligure ha rilevato una società britannica forte di 400 dipendenti (quasi tutti ingegneri) tra i leader del decommissioning, lo smantellamento di centrali e gruppi nucleari.
I cinesi, da parte loro, entrano nel meglio delle aziende italiane. E proseguono nella strategia di investimento nei paesi del sud Europa, dal Portogallo, dove sono soci nel colosso dell'energia eolica Edp, alla Grecia, dove hanno vinto la gara per la privatizzazione del porto del Pireo. "L'investimento dei cinesi nella società è una manifestazione concreta di come Fca sia in grado di attirare investitori da tutto il mondo": così il presidente di Fiat Chrysler Automotive John Elkann ha commentato la notizia. Ma è un commento che vale anche per tutti gli altri gruppi interessati "all'invasione cinese". E non è detto che sia finita qui.
(04 agosto 2014) © Riproduzione riservata
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