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Autore Discussione: Così funzionava la macchina del fango Vittorio Feltri ricostruisce il caso Boffo  (Letto 2437 volte)
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« inserito:: Luglio 07, 2014, 12:32:29 am »

Esclusivo
Così funzionava la macchina del fango
Vittorio Feltri ricostruisce il caso Boffo
Bertone, Sallusti, Santanchè. E Bisignani. Ecco i protagonisti del falso scoop che fece saltare il direttore di “Avvenire”. E che Feltri conferma ai pm di Napoli e a “l’Espresso”. A passare le carte al quotidiano di Berlusconi furono la “pitonessa” e il faccendiere, legati anche in affari

di Emiliano Fittipaldi e Nello Trocchia
03 luglio 2014

«Bertone, Bisignani, Santanchè... Fu Alessandro Sallusti a dirmi che la fonte della velina su Dino Boffo era il cardinale Tarcisio Bertone, che l’aveva data a Luigi Bisignani e Daniela Santanchè. Poi era arrivata a Sallusti. È questo quello che ho raccontato ai magistrati. Davanti ai pm si deve dire la verità». Vittorio Feltri non ci pensa un secondo a rispondere alla domanda e in un’intervista esclusiva conferma a “l’Espresso” quello che lui stesso confidò due anni fa a un giudice della procura di Napoli, quando raccontò per la prima volta l’origine del finto scoop che costrinse l’allora direttore di “Avvenire” alle dimissioni.

Nessuno prima di oggi sapeva che nel 2012, in effetti, il pm Gianfranco Scarfò in forza alla procura partenopea chiamò Feltri in gran segreto nei suoi uffici sotto il Vesuvio, per interrogarlo come persona informata sui fatti. Il magistrato stava cercando di capire chi era entrato nel casellario giudiziario per cercare informazioni su Boffo, e chiese così al giornalista quale fosse la genesi della notizia infamante pubblicata il 28 agosto 2009 sulla prima pagina de “Il Giornale”, nella quale il direttore del quotidiano cattolico veniva descritto come “noto omosessuale attenzionato dalla polizia”.

«Dissi al pm che la catena era Santanchè, Bisignani, Bertone... è quello che mi fu detto da Sallusti, quando lui era condirettore», ricorda Feltri. «Dopo, non so se fosse vero... Io ero il direttore, e mi sono fidato senza pormi tanti problemi. Mi sembrava che fosse assolutamente credibile. Però io non so se posso dirvi queste cose, il magistrato mi chiese di non raccontarle a nessuno... Anche se dopo tanto tempo, forse, si possono dire».
   
A cinque anni di distanza dalla pubblicazione della velina che distrusse la carriera di Boffo e annichilì quella parte della Chiesa avversa alla morale libertina dell’allora premier Silvio Berlusconi, “l’Espresso” è così in grado di ricostruire la vicenda, indicando per nomi e cognomi presunti mandanti, complici e esecutori materiali dell’assassinio mediatico di Dino Boffo. A fine agosto 2009 "Il Giornale" pubblicò spezzoni di due documenti. Uno, autentico, riguardava una faccenda già raccontata in passato da "Panorama": «il supermoralizzatore Boffo» nel 2004 era stato infatti querelato da una giovane ragazza di Terni per molestie telefoniche, una vicenda che si concluse con una multa da 516 euro e un decreto penale di condanna. Il secondo documento pubblicato da Feltri era invece una velina anonima, mai allegata agli atti del Tribunale di Terni, in cui Boffo viene indicato, appunto, come un omosessuale «attenzionato dalle forze dell’ordine». “Il Giornale” la definisce un’informativa di polizia, e azzarda una tesi: Boffo avrebbe avuto una relazione non con la giovane Anna, ma con il suo fidanzato. La lettera è un falso totale.

«C’era una fotocopia dove si raccontavano certi fatti, io ho dato un’occhiata», ammette Feltri a “l’Espresso”. «Quando ho saputo che la fonte era quella ovviamente mi sono fidato. Poi non lo so... visto quello che è successo facevo bene a non fidarmi. È facile dirlo dopo, ma quando il tuo condirettore ti viene a dire una cosa del genere, non è che metti in dubbio la sua parola. Nel pomeriggio mi hanno detto che era tutto tranquillo, tutto normale. Io ho dato il via alle pubblicazioni senza la minima preoccupazione. Ho detto al magistrato che Sallusti mi disse che l’origine di quella velina era Bertone. Non potevo fregarmene di questa roba, mi ha detto che la fonte, la provenienza era quella. Mi sono fidato».

Oltre a Bertone, Feltri (che al “Foglio” spiegò che la velina gli era arrivata «da una personalità della Chiesa della quale ci si deve fidare istituzionalmente») ha dichiarato al magistrato che Sallusti gli fece anche i nomi del faccendiere Luigi Bisignani, da poco condannato per associazione a delinquere per l'inchiesta P4, e Daniela Santanchè, che sarebbero stati una sorta di “passacarte” per conto del prelato. Una volta davanti al magistrato l’attuale direttore de “Il Giornale” ha negato in toto la versione del suo vecchio maestro.

Il pm Scarfò non ha mai depositato le testimonianze, né quella di Feltri ne quella di Sallusti. L’inchiesta ha finora portato alla sbarra solo un cancelliere del palazzo di giustizia di Santa Maria Capua Vetere, Francesco Izzo, accusato di accesso abusivo al sistema informatico: è lui l’uomo che - secondo il magistrato - a marzo 2009 consultò indebitamente il casellario per estrarre i precedenti penali di Boffo. Dopo due anni, il processo è alle fasi finali, in attesa della requisitoria del pm. Sarà probabilmente l'unico a pagare. A parte Feltri, sospeso dall'Ordine per tre mesi. «Ho pagato io solo come sempre succede» chiude Feltri. «C’è quel cretino del direttore che ci va di mezzo. È normale... Ho sbagliato a fidarmi, evidentemente. Ma talvolta capita, nella vita, di fidarsi».

© Riproduzione riservata 03 luglio 2014

Da - http://espresso.repubblica.it/inchieste/2014/07/03/news/cosi-funzionava-la-macchina-del-fango-l-intervista-sconvolgente-a-vittorio-feltri-1.172010
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