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« inserito:: Maggio 22, 2008, 08:44:57 am » |
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Perché la Spagna ce l’ha con noi
Paolo Soldini
Un governo assiste senza muovere un dito a un tentativo di pogrom e poi si stupisce, e protesta, perché qualche ministro di un altro governo lo critica. È, ridotto all’osso, quel che è accaduto nei giorni scorsi con la buriana diplomatica che ha soffiato sulle relazioni tra Madrid e Roma. O, per dir meglio, tra il governo Zapatero e il governo Berlusconi. In realtà ciò che dovrebbe stupire non è tanto la virulenza con cui prima la vicepresidente dell’esecutivo spagnolo Teresa Fernandez de la Vega e poi il ministro del Lavoro e dell’Immigrazione Celestino Corbacho hanno accusato il governo italiano, quanto il fatto che altri, altrove, non lo abbiano fatto. E soprattutto che le scene di altissima inciviltà viste a Napoli con gli incendi dei campi e la caccia ai rom e le pericolose confusioni con cui si sta andando a nuove normative sulla sicurezza (di che? di chi?) non abbiano suscitato ben altre reazioni, in Italia e fuori.
Che ci sia una preoccupazione generale, nelle opinioni pubbliche e nei governi europei, nei confronti di quel che accade qui da noi è un fatto noto, segnalato anche, con più circospezione che a Madrid, da fonti diplomatiche di altri Paesi. Resta da chiedersi perché la levata di scudi sia venuta proprio dalla Moncloa. Un commentatore del Pais ha scritto, nei giorni scorsi, che il caso Italia sarebbe stato sollevato per ispirazione dello stesso Zapatero con l’obiettivo di recuperare una credibilità del governo presso la sinistra dopo un inasprimento, anche in Spagna, delle norme sull’immigrazione. In realtà, tra il 2004 e il 2005, quando venne rivista la legislazione varata nell’85, gli atti del governo sono andati piuttosto in direzione di una certa liberalizzazione, con l’autorizzazione di flussi per il lavoro stagionale, controlli contro il lavoro nero e una sanatoria che nel 2005, in tre mesi, ha interessato ben 600 mila lavoratori irregolari su 700 mila che ne avevano fatto richiesta. Inoltre, la possibilità offerta ai clandestini di iscriversi all anagrafe ha fatto sì che molti uscissero allo scoperto, ricevendo l’assistenza sanitaria e ottenendo la possibilità di mandare i figli a scuola: un provvedimento che è stato molto apprezzato da chi difende i diritti e l’integrazione degli stranieri.
Il bruttissimo capitolo dell’autunno del 2005, quando guardie di frontiera spagnole e marocchine spararono contro gli immigrati che cercavano di scavalcare le reti che circondano le exclaves di Ceuta e Melilla è stato superato, anche grazie al processo intentato al prefetto di Ceuta Luis Vicente Mora. Il grosso del traffico clandestino si è spostato ora sulle Canarie e i disperati che si aggirano ancora sul monte Gourogou alla periferia di Melilla e nella foresta Younech nei dintorni di Ceuta sono affidati, un po cinicamente, alle cure della gendarmeria marocchina. Né sembra valer tanto l’argomento, che pure è stato usato, di una reazione motivata dal timore della concorrenza che Madrid potrebbe subire con lo spostamento verso le frontiere spagnole di masse di migranti che si verificherebbe in caso di inasprimento delle norme italiane. In realtà i flussi verso i due paesi sono andati differenziandosi abbastanza negli ultimi tempi: prevalentemente maghrebino (per ragioni geografiche) e sud-americano (in nome di antichi legami) in Spagna; sempre più balcanico in Italia.
Pur se forse non manca qualche preoccupazione di carattere egoistico, per esempio gli effetti che le controriforme italiane potrebbero avere sul sistema Schengen, la ragione dell’indignazione, e del modo aperto con cui è stata espressa a Madrid, insomma va cercata altrove. Va cercata nel profilo democratico su cui Zapatero e la sua compagine hanno costruito successo e consenso nella società spagnola. L’attenzione ai diritti umani, il riconoscimento del ruolo delle donne, codificato per legge ma ancor di più praticato con coerenza nei vari livelli di governo, il rispetto per le minoranze, una certa purezza (nient’affatto ingenua) di princìpi hanno dato sostanza a un modello di sinistra che è in grado di rivendicare i propri valori di fronte al mondo e di esprimere, senza soggezioni e (s’è visto) talora forzando anche il bon ton della diplomazia, una giusta dose di conflittualità con chi quei valori li calpesta senza scrupoli. O peggio: gioca la carta del populismo con l argomento della esasperazione della gente. Il socialismo à la Zapatero non è certo maggioritario nell’Europa di oggi. Ma esiste e ha qualche solido ancoraggio: per esempio in larga parte del gruppo Pse al Parlamento di Strasburgo, dove ieri, per iniziativa socialista, si è discusso dei nomadi, dell’Italia e di Berlusconi. Che è come dire sull’Italia di Berlusconi. Non c’è alcun motivo, non certo a sinistra, almeno, di essere perplessi sull’ingerenza spagnola. Siamo tutti in Europa, no?
Pubblicato il: 21.05.08 Modificato il: 21.05.08 alle ore 8.18 © l'Unità.
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