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« inserito:: Maggio 28, 2014, 11:06:18 pm »

di Christine Lagarde*

Condividiamo con voi l’intervento di Christine Lagarde, Direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, al National Democratic Institute di Washington, del 19 maggio 2014, che potete trovare in lingua originale sul sito dell’International Monetary Fund

È un vero piacere ritrovarsi qui tra amici e simpatizzanti. Il National Democratic Institute è un acceso sostenitore della piena partecipazione delle donne alla vita e allo sviluppo delle nazioni: a voi va tutta la mia ammirazione e nel rivolgervi il saluto voglio dichiararlo apertamente – sono con voi! Vorrei innanzitutto ringraziare Madeleine Albright, grande protagonista della politica e grande ispiratrice di tutti noi, per me in particolare. Vorrei ringraziare anche Kenneth Wollack, presidente dell’Istituto, e la bravissima Claire Shipman. In questa sede rendo inoltre omaggio alla fantastica organizzazione che oggi festeggiamo, Aswat Nisaa, e al suo presidente, Ikram Ben Said. Questo gruppo svolge un lavoro meraviglioso in Tunisia nel promuovere la parità di genere e la leadership femminile, e spero vivamente che saprà stimolare interventi simili nei paesi confinanti e nel resto del mondo. Il mondo ha bisogno di molte persone come voi, che si prodigano come fate voi. Oggi vorrei iniziare con una storiella, un indovinello molto conosciuto.

    Un ragazzo è vittima di un incidente automobilistico e viene immediatamente trasportato in ospedale per essere operato d’urgenza. Nella confusione del pronto soccorso, il chirurgo si affretta in sala operatoria. Immaginate il nostro chirurgo, un professionista autorevole e sicuro di sé, che sa istintivamente il da farsi. Eppure questo eccellente chirurgo getta un’occhiata al paziente ed esclama, «Non posso operare questo ragazzo… è mio figlio». È vero, il ragazzo è il figlio del chirurgo, eppure il chirurgo non è il padre del ragazzo. Chi sarà mai? Intuisco che sapete già la risposta. Facile, il chirurgo è una donna, la madre del ragazzo.

Eppure, in passato ho visto molte persone istruite – persino donne colte – incapaci di immaginare subito una soluzione talmente ovvia. Ci pensano su, si interrogano, suggeriscono zio, nonno, patrigno, mancando sempre il bersaglio. Purtroppo, questa è la realtà. Quando pensiamo a donne in posizioni di potere, troppo spesso siamo accecati da mille dubbi o equivoci scaturiti dai pregiudizi del passato, che ancora ci condizionano. Lo sappiamo tutti. Questa è la realtà contro la quale ci scontriamo giornalmente in tutto il mondo. Ma siccome sappiamo che nuoce gravemente all’economia globale, il Fondo Monetario Internazionale ha deciso di affrontarla con grande risolutezza. Il mio messaggio è semplice: occorre sviluppare una mentalità da 21° secolo per favorire la partecipazione della donna all’economia. E per far questo, dobbiamo sbarazzarci di tutte le zavorre mentali che ostacolano la parità di genere. Dobbiamo avere il coraggio di cambiare.

    Coraggio significa osare, accettare rischi, uscire dalle nostre gabbie mentali e dare spazio alla speranza per sconfiggere la paura e superare le esitazioni. Avere il coraggio di cambiare significa spalancare le porte al contributo della donna alla società, attraverso il sapere, il lavoro e la leadership.

Sono queste le tre mosse che consentiranno alla donna di arrivare a posizioni di potere. Le illustrerò brevemente di seguito.

Il sapere. Iniziamo con il sapere, e con questa parola mi riferisco all’importanza cruciale dell’istruzione della donna, alla scuola come fondamento di ogni progresso. L’istruzione rappresenta sia un ascensore che un trampolino di lancio. Essa consente alle persone di uscire dalla loro condizione di dipendenza e scavalcare le barriere economiche e sociali. L’istruzione spezza le catene, le catene dell’esclusione e dell’emarginazione. Se pensiamo alla vita come a una lunga corsa, la scuola ci fornisce l’allenamento, il nutrimento e il sostegno di cui abbiamo bisogno. Senza una scuola di qualità, ci si dispone sulla linea di partenza già pesantemente svantaggiati. La scuola è sempre stata la via maestra verso le opportunità. Grazie a una politica lungimirante a favore dell’istruzione, gli Stati Uniti hanno goduto della leadership economica mondiale per tutto il ventesimo secolo, e la parità di genere si è rivelata una componente fondamentale di quella strategia. Oggi, nell’affrontare le grandi sfide del ventunesimo secolo, occorre continuare a scommettere sull’istruzione, soprattutto per le donne. E in questo campo resta ancora molta strada da fare. Per esempio, mentre le donne rappresentano il 41 percento di tutti i diplomati in ingegneria e materie scientifiche negli Stati Uniti, esse compongono meno di un quarto della forza lavoro nei settori delle scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Possiamo fare meglio, dobbiamo fare meglio. Ma la politica dell’istruzione costituisce un investimento cruciale nei paesi in via di sviluppo, dove le bambine e le donne possono apportare un contributo immenso. I vantaggi per le ragazze sono reali e importanti. Una ricerca suggerisce che un solo anno in più di scuola elementare aumenta i potenziali guadagni di quella ragazza del 10-20 percento. E del 25 percento per un anno in più di scuola secondaria. Ormai tutti sanno che laddove viene favorita l’istruzione della donna, la società ne trae benefici rilevanti.

    Uno studio condotto in 60 paesi emergenti ha stimato in 90 miliardi di dollari all’anno le perdite economiche derivanti dalla mancata scolarizzazione delle bambine. Le donne sono più propense a spendere i loro guadagni su salute e istruzione, creando potenti ripercussioni positive in tutta la società e nelle generazioni future. Secondo un’indagine, le donne investono fino al 90 percento delle loro risorse in questo modo, contro appena il 30-40 percento investito dagli uomini.

Dice un antico proverbio africano, «Se mandi a scuola un bambino, istruisci un uomo. Se mandi a scuola una bambina, istruisci un villaggio». Per questo occorre tener alta la bandiera dell’istruzione delle donne. La scolarizzazione delle donne non è una minaccia, ma una benedizione, e dobbiamo trasformarla in una priorità globale, nel traguardo principale dei nostri tempi. È per questo che ammiriamo ragazze come Malala Yousafzai del Pakistan, che ha saputo tener testa ai Talebani e invocare il diritto all’istruzione. È per questo che gruppi come Boko Haram in Nigeria, che rapiscono e riducono in schiavitù ragazzine che vogliono semplicemente andare a scuola, meritano la nostra condanna e il nostro disprezzo. Essi stessi dovrebbero essere incatenati e costretti ad andare a scuola per tutta la vita. Le azioni di Boko Haram rappresentano l’antitesi dei valori dell’istruzione, perché umiliano la dignità dell’essere umano. La scuola invece solleva, infiamma e nobilita lo spirito umano. Invito tutti a unire le nostre voci a quelle del mondo intero per lanciare un appello accorato: liberate le nostre ragazze, restituiteci le nostre ragazze. Rispettate le nostre ragazze.

Il lavoro. Passiamo alla tappa successiva, il lavoro, naturale proseguimento dell’acquisizione dei saperi. Occorre consentire alle donne di raggiungere il loro vero potenziale nel mondo del lavoro. Le donne rappresentano la metà della popolazione mondiale, eppure partecipano per molto meno della metà alle attività produttive. Oggi ci sono nel mondo circa 865 milioni di donne che potrebbero contribuire molto di più all’economia dei loro paesi, eppure vivono una sorta di vita “sospesa”. In tutto il mondo, gli uomini partecipano più delle donne. Queste disuguaglianze di genere vanno dal 12 percento nelle economie OCSE al 50 percento in Medio Oriente e in Africa del Nord. Laddove le donne partecipano all’economia, esse tendono a essere relegate in lavori umili e mal retribuiti. Globalmente, le donne guadagnano solo i tre quarti di quanto guadagnano gli uomini – malgrado svolgano lo stesso lavoro e abbiano le medesime qualifiche. Ma il principio fondamentale della giustizia non dovrebbe assicurare la “parità di retribuzione per parità di incarico”?

    Le donne sono inoltre eccessivamente presenti nei settori non regolati dell’economia, e svolgono lavori non protetti, non qualificati, e con retribuzioni precarie.

Troppo spesso, spetta a loro portare il fardello di mansioni non pagate, non riconosciute e scarsamente apprezzate, svolte tra le mura di casa. In tutto il mondo, le donne dedicano ai lavori domestici il doppio del tempo rispetto agli uomini, e quattro volte tanto alla cura dei figli. Davanti a una realtà così impietosa, non sorprende che le bambine e le donne siano le principali vittime della povertà oggi nel mondo. Esse rappresentano il 70 percento di quel miliardo di esseri umani che sopravvivono con meno di un dollaro al giorno. E sono le prime a essere travolte dalla crisi economica. Occorre cambiare questo stato di cose. Troppe donne sono dimenticate, svalorizzate e sfruttate. È un imperativo morale, ma anche un imperativo economico. È sotto gli occhi di tutti: quando le donne apportano il loro contributo, l’economia si risolleva. Al Fondo Monetario Internazionale abbiamo svolto una ricerca. Sappiamo che l’eliminazione delle disuguaglianze di genere nella partecipazione economica si traduce in cospicui incrementi nel reddito pro capite, in base al quale si misura il benessere economico. Questi miglioramenti sono visibili ovunque, ma soprattutto in regioni come il Medio Oriente e l’Africa del nord – il 27 percento – e nel sud est asiatico – il 23 percento. Ricordatevi, le donne controllano i cordoni della borsa. Sono loro che gestiscono oltre il 70 percento del potere d’acquisto globale. Perciò, se vogliamo favorire la ripresa dei consumi e la crescita economica, dobbiamo dare più potere alle donne per rilanciare la domanda complessiva.

Come fare per incoraggiare le donne a partecipare di più? In alcuni casi sarà necessario apportare modifiche alle leggi, per far sì che la normativa riguardante la proprietà e la successione non penalizzi le donne. Anche la politica economica può essere una potente leva per il cambiamento.

    Nei paesi emergenti, la riscossa delle donne inizia con un miglior accesso alle cure mediche, oltre che alla scuola e alla formazione. E ciò favorisce la concessione di credito alle donne, che così facendo possono sganciarsi dalla dipendenza dagli uomini e gettare i semi per un futuro migliore.

Al Fondo Monetario Internazionale, noi facciamo sul serio. Oggi nei nostri programmi, in tutto il mondo, puntiamo a proteggere le reti di sicurezza sociale, anche in questi tempi difficili. Siamo in grado di dimostrare, prove alla mano, che nei paesi emergenti dove vengono attivati i nostri interventi i fondi assegnati alla salute e alla scuola aumentano considerevolmente. Stiamo inoltre lavorando per intervenire sull’economia della disuguaglianza e dell’esclusione. Di solito sono le donne a restare in disparte. Sono appena tornata da una conferenza ad Amman sui paesi arabi in fase di transizione, dove è stata ribadita la necessità di applicare forme di economia maggiormente inclusive. Vorrei nuovamente elogiare lo splendido lavoro svolto da Aswat Nisaa – il nostro vincitore – per dare potere alle donne in questa regione. Ma anche i paesi ricchi dovranno impegnarsi a spianare il campo dell’occupazione, attuando politiche più favorevoli alle donne e alla famiglia, come congedi parentali, asili nido e scuole materne di qualità e alla portata di tutti, tassazione individuale anziché familiare, sgravi fiscali e sostegno ai redditi più bassi. Da parte sua, il FMI ha raccomandato l’introduzione di normative capaci di aumentare l’occupazione femminile in paesi come Giappone e Corea, dove le donne dovrebbero far sentire maggiormente la loro presenza nel mondo del lavoro. Sappiamo benissimo che queste politiche funzionano. Guardiamo il Brasile: grazie alle misure a favore della famiglia e delle fasce meno abbienti, è riuscito a incrementare il lavoro femminile, che è passato dal 45 al 60 percento in solo due decenni. Guardiamo la Svezia, che vanta un tasso di occupazione femminile tra i più alti al mondo, grazie soprattutto ai forti investimenti nella cura all’infanzia e nella scuola primaria, e alle normative che favoriscono la flessibilità lavorativa e i congedi parentali. Ma non si tratta solo di politiche, ovviamente. Occorre agire su più fronti se vogliamo cambiare la cultura e il modo di lavorare, e spazzar via la mentalità maschilista che tuttora domina nel mondo del lavoro.

    In quello che definisce l’”ultimo capitolo” della parità di genere, Claudia Goldin sostiene che la disparità di retribuzione tra uomini e donne scomparirebbe subito se le aziende rinunciassero a imporre un lungo orario lavorativo ai loro dipendenti. In altre parole, se le imprese sapessero valorizzare la creatività, anziché la durata della giornata lavorativa. Questo accade già in vari settori, nella scienza e nella tecnologia, ma due professioni che conosco direttamente – legge e finanza – sono tuttora eccessivamente soffocate da antiche abitudini.

È venuto il momento di completare quell’ultimo capitolo e non ci fermeremo finché non avremo ottenuto la piena parità di genere nel campo dell’occupazione. Potremo farcela, se faremo appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

La leadership. Siamo arrivati all’ultima mossa. Ho già parlato di scuola e lavoro, ma l’anello finale di questa catena è la leadership, consentire cioè alle donne di accedere ai vertici, grazie alle loro capacità e al loro talento. Sappiamo bene qual è il problema: in ogni campo lavorativo, più si sale, meno donne si vedono. Basta guardare il mondo degli affari: solo il 4 percento dei CEO nell’elenco Standard and Poor’s 500 sono donne. Per di più, come ha rilevato questo Istituto, solo un quinto dei seggi parlamentari in tutto il mondo sono occupati da donne. Meno del 10 percento dei paesi hanno leader donne. Ma non sfugge certo l’ironia che quando hanno l’opportunità di svolgere mansioni dirigenziali, le donne sanno farlo meglio degli uomini. Le prove non mancano. Per esempio,

    uno studio rivela che le aziende, citate da Fortune 500 per essersi distinte nell’affidare incarichi gestionali alle donne, si sono dimostrate più redditizie del 18- 69 percento rispetto alla media del settore. Le donne inoltre sono molto meno propense a decisioni rischiose e azioni spregiudicate, come quelle che hanno innescato la crisi finanziaria globale. Un esperimento realizzato tra gli investitori negli anni Novanta ha rivelato che gli uomini rischiano in borsa il 45 percento in più delle donne e hanno maggiori probabilità di incorrere in grosse perdite. È davvero per puro caso che, mentre gli uomini festeggiavano, erano le donne a preoccuparsi degli eccessi e dei cattivi comportamenti nel settore finanziario prima della crisi?

Penso a donne come Sheila Bair, Brooksley Born, Janet Yellen ed Elizabeth Warren. Troppo spesso, le loro ammonizioni sono state scartate o ignorate – ma avevano visto giusto. Sappiamo anche che le donne sono ottime manager e brave leader in tempo di crisi. Per esempio, uno studio su oltre 7000 leader ha dimostrato che le donne se la cavano meglio in 12 competenze su 16, e in 12 settori su 15. Un altro studio recente dimostra che le donne vengono spesso chiamate a intervenire per salvare le aziende in difficoltà – anche se vengono più spesso licenziate da queste mansioni, perché la loro assunzione è considerata rischiosa. Tutto questo non sorprenderà nessuno, tantomeno la sottoscritta. Sappiamo che le donne sono più inclini a prendere decisioni fondate su consenso, inclusione e solidarietà, puntando alla sostenibilità nel lungo termine. Le donne fanno appello alla profonda saggezza e alla tenacia sviluppata nella loro lunga e travagliata storia. Nelle parole di una donna che ammiro moltissimo, Aung San Suu Kyi, dare potere alle donne «porterà a una vita più tollerante, giusta e solidale, e alla pace per tutti». Ma ancora una volta, il vero cambiamento deve cominciare col modificare gli atteggiamenti. Bisogna metter fine all’idea che la forza scaturisce dal testosterone e che la forza è tutto. Spesso, è solo questione di consapevolezza. Ciò che frena le donne non è la competenza, di cui non sono certo carenti, ma di fiducia in se stesse. Mentre uomini con scarsa preparazione e qualifiche poco convincenti si lanciano comunque in avanti, donne super preparate e super qualificate si nascondono nell’ombra e dubitano delle loro capacità, misurandosi con un impossibile ideale di perfezione.

Tutto questo deve cambiare. Come? Sconfiggendo quei pregiudizi atavici che intorpidiscono i nostri sentimenti e la nostra sensibilità. Cambiando la mentalità e azzerando la narrativa. Mi sono convinta che le cosiddette “quote rosa” dovranno svolgere un ruolo cruciale in questa impresa. La montagna da scalare è troppo ripida senza un piccolo aiuto iniziale. Dobbiamo forzare il cambiamento, evitando di restarcene comodamente adagiati nell’indifferenza. Credo fermamente nel ruolo dei modelli e dei maestri. In tutte le indagini, le donne indicano in questa carenza il maggior ostacolo alla carriera. Noi donne dobbiamo proteggerci e sostenerci le une con le altre. Infine, vorrei vedere un mondo in cui le donne sapranno incedere fiduciose, dimostrare la loro sicurezza e far sentire la loro voce in tutte le stanze del potere. Vorrei concludere il mio discorso con le parole di Sylvia Plath: «Verrà domani e la terra sarà nostra – abbiamo aperto uno spiraglio». Certamente, abbiamo già fatto grandi passi in avanti verso la parità di genere. Ma malgrado quello spiraglio, molte di noi stanno ancora ad aspettare là fuori, al freddo. È venuta l’ora di esaudire la promessa, quella di creare un mondo in cui ogni bambina, in ogni angolo di ogni continente, possa sviluppare il suo potenziale umano senza intralci e senza pregiudizi. Per fare in modo che nessuno, mai più, si permetta di dubitare nemmeno per un istante che una donna possa essere un famoso chirurgo, né tantomeno un leader stimato in qualsiasi campo che vorrà scegliere. Se avremo il coraggio di cambiare, il cambiamento porterà a grandi risultati. Grazie a tutti.

Traduzione di Rita Baldassarre

Da - http://27esimaora.corriere.it/articolo/il-coraggio-di-cambiare3-tappe-nel-cammino-delle-donneverso-il-potere/
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