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« inserito:: Ottobre 14, 2007, 12:32:39 pm » |
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Clandestino Indrit prigioniero della dialisi
Indrit ha venticinque anni e viene dall'Albania. E' un ragazzo di media altezza, longilineo e pallido. A vederlo, non lo si distingue dai suoi coetanei italiani. E questa è per Indrit una bella fortuna visto che è un clandestino. Ma è anche l'unica. Indrit, infatti, tre anni fa è stato colpito da una grave malattia che lo obbliga a sottoporsi regolarmente alla dialisi. E' in lista d'attesa per il trapianto e trascorre giornate strane e rarefatte, da fantasma, sperduto in una specie di terra di nessuno normativa.
Indrit lasciò l'Albania nel Duemila per trasferirsi in Grecia dove, l'anno successivo, ottenne il permesso di soggiorno. Nel maggio del 2003 decise di fare un viaggio in Italia per far visita ad alcuni parenti. Dunque, entrò nel nostro paese regolarmente. Se è diventato clandestino, la colpa è esclusivamente sua e della sua decisione di restare in Italia lasciando che il permesso di soggiorno greco scadesse. Una grave leggerezza. Ma Indrit, che aveva ventidue anni, non immaginava di pagarla così duramente. I primi sintomi del male li avvertì verso la fine del 2004: cefalee continue, dolorosissime e inabilitanti. Poi, nell'aprile del 2005, la diagnosi all'ospedale San Martino di Genova.
Siccome l'Italia è un paese civile, garantisce a tutti, e dunque anche ai clandestini, il diritto alla salute. Indrit ha, infatti, l'assistenza sanitaria gratuita e viene regolarmente dializzato. Ma l'Italia è pure un paese complesso - è il paese di Rita Levi Montalcini ma anche di Francesco Storace, è il paese dei tesori d'arte e delle discariche abusive - e così Indrit rischia tutti i giorni l'espulsione. Se, per ipotesi, fosse fermato durante un controllo di polizia e gli agenti scoprissero che è privo di documenti regolari, potrebbero rinchiuderlo in un Centro di permanenza temporanea per poi accompagnarlo alla frontiera. Per fortuna gli italiani - e questo è decisivo - sono davvero, e in maggioranza, 'brava gente': Indrit sa (perché gli è già capitato) che la polizia, appena conosce la sua storia, chiude un occhio e lo lascia andare.
Adesso Indrit, attraverso l'ufficio legale della Cgil di Genova, ha deciso di tentare di prendere la strada rettilinea. Sta per presentare una domanda di permesso di soggiorno per motivi di salute. La documentazione non gli manca: una voluminosa e inoppugnabile cartella clinica. Ma non è affatto certo che, nonostante l'evidenza della malattia, otterrà il documento. Di norma, infatti, viene rilasciato a chi entra in Italia per sottoporsi a cure mediche. Non a chi, pur entrato regolarmente in Italia, è diventato successivamente un irregolare e si è ammalato.
Un tentativo disperato, dunque? No. Infatti, una volta spedita la domanda alla questura, Indrit se ne metterà in tasca una copia e unirà a essa la ricevuta di ritorno. Così, se lo fermeranno per un controllo, potrà più facilmente spiegare qual è la sua condizione. E, con tutta probabilità, gli agenti chiuderanno un occhio più facilmente, più serenamente. L'Italia è anche un paese creativo. In materia di immigrazione esiste un sistema di regole non scritte, di prassi amministrative che, a volte, rendono le leggi più umane.
Così Indrit potrà continuare a fare la dialisi e ad attendere il trapianto del rene. Ma non potrà realizzare il suo sogno più grande: rivedere i genitori. Se tornasse in Albania dovrebbe restarci, a meno di non tentare un rientro clandestino in Italia, con tutti i rischi connessi, compreso quello di perdere la possibilità di curarsi e dunque la vita. (glialtrinoi@repubblica. it)
(14 ottobre 2007) da repubblica.it
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