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Autore Discussione: UN BRUTTO MALE DIFFICILE DA ESTIRPARE IN ITALIA  (Letto 3806 volte)
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« inserito:: Aprile 09, 2014, 06:35:48 pm »

Editoriali
06/04/2014

La paralisi strategica di Berlusconi

Giovanni Orsina

Negli ultimi sondaggi Forza Italia sta andando male. Molto male: se le previsioni dovessero rivelarsi corrette la principale forza del centro destra andrebbe incontro a un vero e proprio tracollo. Non è affatto improbabile che le difficoltà del partito vadano collegate all’esclusione del suo leader – come lo stesso Berlusconi pare ritenere. È ben possibile, tuttavia, che ci sia pure qualcosa di più. Ossia che Forza Italia rischi di pagare anche gli errori politici, numerosi e gravi, che il suo leader ha commesso negli ultimi otto mesi, inseguendo invano un’inesistente soluzione politica ai propri problemi giudiziari.

Il primo di agosto, com’è ben noto, la Cassazione ha deciso. È cominciato allora nel Pdl un dibattito aspro e caotico sugli effetti che la sentenza avrebbe dovuto avere sul governo Letta: i falchi da un lato, le colombe dall’altro, e Berlusconi – stando alle cronache – falco o colomba a seconda dell’umore e dell’interlocutore. 

La vicenda è passata poi per il voto di fiducia del 2 ottobre, col cambio di linea deciso in extremis; la scissione di Nuovo Centro Destra; la rinascita di Forza Italia. E si è conclusa alla fine di novembre con la decadenza di Berlusconi dal Senato e il passaggio all’opposizione. 

Una decisione resa inevitabile da considerazioni di dignità politica, visto che Berlusconi riteneva la sentenza un provvedimento iniquo, un colpo inferto alla democrazia? Ammettiamo pure che sia stata inevitabile. Non per questo è stata meno improvvida per Forza Italia, però. Nel momento in cui è uscito dalla maggioranza, infatti, Berlusconi già sapeva che il governo, grazie a Ncd, non sarebbe caduto. Certificava quindi la propria irrilevanza politica e si condannava a una posizione marginale. In più andava a colpire un gabinetto guidato sì da un democratico, ma non organico al Pd, nella cui nascita lui stesso aveva svolto un ruolo cruciale.

A quel punto, per uscire dall’angolo in cui si era cacciato, Berlusconi si è dovuto affidare al neo-segretario dei democratici. Renzi è stato molto criticato a sinistra quando, con l’incontro del Nazareno, a metà gennaio, ha restituito centralità politica a Berlusconi. Il che mostra una volta di più quanto miope sia certa sinistra italiana. Non vi è dubbio che Renzi stesse, e stia, puntando al superamento dell’antiberlusconismo. Diversamente da quel che tentò di fare Veltroni nel 2008, però, Renzi sta compiendo quest’operazione da una posizione di forza: non facendo finta che Berlusconi non ci sia, ma sostituendosi a lui nel centro dello spazio pubblico. Questo era il significato «storico» dell’incontro del Nazareno: per la prima volta Berlusconi era sul palcoscenico non per forza propria, ma perché qualcun altro ce lo aveva messo. Non attore protagonista, ma «spalla». E del segretario democratico, per giunta.

 

Nel dialogo fra Renzi e Berlusconi, dunque, a guadagnarci è il primo. Il secondo può compiacersi del fatto che quello intenda superare l’antiberlusconismo e stia perseguendo obiettivi «berlusconiani». Ma è un compiacimento, per così dire, filosofico. In termini politici Renzi per Berlusconi rappresenta senza alcun dubbio l’avversario più pericoloso. Tanto più da quando Renzi è salito alla presidenza del consiglio e la partita della riforma costituzionale si è sovrapposta a quella del governo.

Guidato dal leader del Partito democratico, il nuovo gabinetto ha un carattere ben più fortemente politico del precedente. E tuttavia Berlusconi, dichiarando di voler tenere fede al patto sulle riforme, gli si è messo a rimorchio, in posizione subordinata, su uno dei dossier più importanti e delicati. In più, la partita della riscrittura della costituzione in sostanza non la sta giocando: Forza Italia ha lasciato l’iniziativa al governo e non avanza condizioni, limitandosi a oscillare disordinatamente fra la ripetizione meccanica della promessa di rispettare gli accordi e la tentazione di far saltare il tavolo. Così che, se le riforme si faranno, sarà merito di Renzi. E se invece il meccanismo si incepperà, sarà colpa di Berlusconi. Due eventi accaduti ieri, il «fuori onda» di Giovanni Toti sull’ «abbraccio mortale» di Renzi e la dichiarazione dello stesso Berlusconi contro la riforma del Senato presentata dal governo, con successiva retromarcia, danno piena testimonianza di questa paralisi strategica e del desiderio di uscirne.

Può ben darsi che Berlusconi in origine abbia deciso di partecipare alla trattativa sulle riforme anche, se non soprattutto, con l’idea che questo potesse rafforzarlo nella partita giudiziaria. Inseguendo questa chimera, però, ha smesso da mesi di far politica. Da qui il nervosismo dei vertici di Forza Italia. E da qui la fuga degli elettori. Si dirà che gli italiani non osservano la politica con così tanta attenzione, che non sono così razionali, che per loro conta solo se Berlusconi è in campo oppure no. Con ogni probabilità, questa è una convinzione erronea. Seppure in maniera istintiva, magari, gli elettori vedono benissimo chi fa politica e chi no, chi la fa bene e chi la fa male. E nelle urne si comportano di conseguenza.

DA - http://lastampa.it/2014/04/06/cultura/opinioni/editoriali/la-paralisi-strategica-di-berlusconi-0OvLWWk1Oj0HpOWarsnLVI/pagina.html
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 09, 2014, 06:38:03 pm »

Politica
05/04/2014

Il tormentato addio di Berlusconi
Due notti al San Raffaele per il male al ginocchio, frustrato e depresso in attesa della decisione sulla libertà

Berlusconi al San Raffaele, con l’artrosi al ginocchio, è per i suoi nemici una cruda metafora: il Cavaliere azzoppato, politicamente «out». L’arto davvero gli duole, tanto che il professor Zangrillo l’ha costretto a rinviare gli impegni politici del weekend, compresa una riunione strategica di partito dove si sarebbe discusso il da farsi sulle elezioni, su Renzi, sulle riforme... Il summit è saltato, così pure la puntata lunedì in Piemonte per sostenere Pichetto. Aggiungono tuttavia, nel giro di Arcore, che il malanno fisico è il meno (oggi sarà dimesso). Preoccupa lo stato di prostrazione psichica. La frustrazione tanto più si aggrava quanto più incombe l’udienza davanti al tribunale di Sorveglianza, tra cinque giorni a Milano. In parole povere, spiegano dalle sue parti, Berlusconi sta «somatizzando», come quando si era ammalato alla vista prima di una comparsa in Tribunale. L’umiliazione provata nel colloquio con Napolitano, il senso di rabbia davanti alla pena da scontare, l’alzata di spalle con cui il resto del pianeta accompagna i suoi tormenti, tutto ciò si riverbera sulla salute in un circolo vizioso che a sua volta acquista valenza politica.

Già, perché la pena al ginocchio fa saltare una serie di interviste tivù destinate, nelle intenzioni, a contrastare lo strapotere mediatico del premier. Dovevano suonare la diana della riscossa, ma Berlusconi le ha rinviate a tempi migliori (e pure qui ci vede qualcuno la prova dello scoramento, perché in altri momenti Silvio le avrebbe fatte pure con le stampelle). Altri sostengono che l’uomo tace perché glielo impongono i suoi avvocati: se potesse sfogarsi, altro che affidamento in prova: lo rinchiuderebbero e butterebbero via la chiave... Si profila un lungo addio. Scontati 10 mesi e 15 giorni di condanna, con l’obbligo comunque vada di tenere una certa misura nei comportamenti pubblici, ecco l’altro tunnel ancora più lungo e oscuro, il processo Ruby. Silenzioso o silenziato, Berlusconi si sente inerme davanti a sondaggi che registrano per il suo partito un calo costante di circa un punto a settimana (alle Europee mancano 50 giorni), oltre 3 milioni di voti che a questo ritmo scivoleranno verso Renzi, ma pure verso la Lega, verso Alfano e i Fratelli d’Italia. I partitini, che dovevano essere sbranati, hanno già in mano coltello e forchetta.

I figli non sono la carta di riserva: dai soliti sondaggi emerge che Barbara, la più giovane e vogliosa di battersi, poco convince; laddove Marina, decisamente più popolare, vede la politica come fumo negli occhi. Incombe sul partito un senso di disfatta che, invece di generare coesione, finisce per esacerbare i conflitti con singolari inversioni di ruolo. «Super-falchi» come Verdini e Santanché sono diventati colombe, e predicano moderazione nei confronti di Renzi, spirito costruttivo sulle riforme, laddove il gruppo forzista in senato rumoreggia e Brunetta spara contro il premier a palle incatenate (ieri gli ha gridato «buffone!»). Sempre più difficile il compito di Toti, il consigliere politico che grazie al suo buon carattere è l’unico in grado di varcare indenne il «cerchio magico» e di invogliare il Cavaliere ai ragionamenti sulla politica. Ieri è stato ore al San Raffaele, e ne sono scaturiti alcuni progetti di politica europea buoni per la campagna elettorale. Il più efficace si richiama alla Thatcher, che pretese indietro il surplus che la Gran Bretagna versava all’Europa: e l’Italia, che nei prossimi 5 anni verserà 100 miliardi di euro per riaverne 72, potrebbe battere i pugni come la Lady di ferro.

E se le comunicazioni col leader dovessero per qualche ragione spezzarsi? Chi reggerebbe il timone? C’è l’ufficio di presidenza appena nominato, è prima la risposta che si raccoglie. La seconda: servirà in quel drammatico caso un comitato ristretto di transizione.

Da - http://lastampa.it/2014/04/05/italia/politica/fuga-di-voti-da-forza-italia-il-tormento-di-berlusconi-hIsnQRQJfHDa4TVLgy6XZL/pagina.html
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« Risposta #2 inserito:: Aprile 09, 2014, 06:40:03 pm »

politica
04/04/2014

Il vero pericolo per le riforme?
La debolezza di Berlusconi
Il piano di riforme costituzionali non è messo a rischio dai senatori del Partito Democratico, ma dallo smarrimento che attraversa le file dei forzisti

Tutti i riflettori sono puntati sui senatori Pd: tenteranno di fare lo sgambetto a Renzi? Faranno deragliare il treno delle riforme che corre sui binari patteggiati con Berlusconi? Massima distrazione, invece, su quanto accade tra i senatori forzisti, come se il loro appoggio alle riforme fosse scontato in quanto garantito dal leader. In realtà, di automatico non c’è proprio nulla. Anzi: il pericolo maggiore per il piano di riforme costituzionali viene proprio da quella parte. 

E discende direttamente dalla debolezza politica del Cavaliere.

Su 60 senatori di Forza Italia, oltre la metà hanno già sottoscritto una proposta di riforma del Senato che Minzolini (ex direttore del Tg1 approdato a Palazzo Madama) si appresta a depositare. Sarebbero anche di più, se dai vertici del partito non fosse stato chiesto a qualcuno di ritirare la firma al disegno di legge che, nella sua impostazione, fa a pugni con quello governativo (mira nella sostanza a mantenere un ruolo politico rilevante per il Senato, attraverso una ripartizione delle competenze con l’altro ramo del Parlamento). Una stima onesta di chi ben conosce gli umori dei suoi colleghi si spinge a calcolare in 5-6 massimo i senatori «azzurri» pronti a sostenere lo schema di Renzi senza se e senza ma. Tutti gli altri sono vittime del maldipancia. Prova ne sia che l’assemblea del gruppo ieri ha contestato un punto chiave della proposta formulata dalla ministra Boschi: il carattere non elettivo del futuro Senato delle Autonomie. 

L’appiglio formale della rivolta è che i patti non erano poi così chiari. Un’alta fonte del gruppo spiega: «Mentre sulla legge elettorale le intese tra Renzi e Berlusconi erano state messe nero su bianco, e definite fino nei minimi dettagli, sul Senato è rimasto tutto molto nel vago. E nel famoso incontro del 18 gennaio qualcuno si limitò a prendere pochi appunti relativi alle riforme costituzionali, per giunta non sempre collimanti tra loro». Verdini, che è l’ufficiale di collegamento tra il Cavaliere e il premier, dà ragione a Renzi, privatamente assicura che il patto escludeva un’elezione diretta del Senato da parte dei cittadini. I dissidenti a loro volta replicano: «Quando mai nel partito se ne è discusso?».

Il punto è proprio questo: dentro Forza Italia mai si è aperto un confronto sull’argomento. E finché Berlusconi ha esercitato con pugno di ferro il suo comando, nessuno si è neppure sognato di chiedergli conto delle sue scelte, perfino le più arbitrarie. Ma con Silvio che attende di conoscere il suo destino di condannato, e non sa se sarà ancora in grado di guidare le prossime campagne elettorali, tra i parlamentari di Forza Italia vale ormai il vecchio adagio: ognuno per sé e Dio per tutti.

DA - http://lastampa.it/2014/04/04/italia/politica/il-vero-pericolo-per-le-riforme-la-debolezza-di-berlusconi-h4isRalEg7x36xdI8Xl5qJ/pagina.html
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