LA POLITICA E LA CRISI
Il Pil veneto crescerà del 1% nel 2014
Zaia: «Il piano Renzi è ancora poco»
Dalla Cig, agli stipendi, ai fallimenti tra le criticità anche segnali di ripresa
VENEZIA — I punti di domanda, i condizionali e i periodi ipotetici ormai si sprecano. Dopo sei anni di crisi economica continuata e ininterrotta, nessuno - ma proprio nessuno - si azzarda più a fare previsioni certe per il futuro dei lavoratori e delle imprese venete. Al massimo ci si trova di fronte a speranze e tendenze che potrebbero avere alla fine dell’anno qualche riverbero positivo (e ancora timido) sull’occupazione. Il Veneto dovrebbe registrare per il 2014 un aumento del Pil (Prodotto interno lordo) di almeno un punto percentuale. Un dato in linea con gli altri stati europei e di poco maggiore rispetto al resto dell’Italia (che probabilmente si fermerà tra un misero +0,6% e un altrettanto misero +0,8%) che però è rafforzato dai segnali positivi del secondo semestre del 2013. Negli ultimi mesi dell’anno scorso, anche se il Pil su base annua è diminuito dell’1,6% (il dato italiano è -1,9%) la produzione industriale è timidamente aumentata (+1,4%) con una crescita conseguente delle assunzioni a tempo indeterminato (circa il 70% di quelle fatte quest’anno, segno che le aziende tendono a confermare chi già lavora negli stabilimenti).
A fare la parte del leone per la crescita e a trainare l’espansione dell’economia saranno ancora una volta le esportazioni che si dovrebbero attestare su un aumento del 4,2% (contro il 2,8% dell’Italia) e confermare così il trend dell’anno appena concluso. Nel 2013 a dare la spinta a tutta la regione sono state le ceramiche (nonostante le vicissitudini e i drammi di Ideal Standard), gli elettrodomestici (nonostante le tensioni di Electrolux) e il Prosecco di Valdobbiadene e Conegliano che per la prima volta ha superato anche le bollicine dello Champagne. A trascinare verso il basso i numeri presentati da Veneto Lavoro invece ci hanno pensato il settore del legno, quello della grafica professionale (vale la pena di ricordare il drammatico suicidio di Zanardi) e quello dell’abbigliamento che per l’ennesimo anno di fila registra grandi difficoltà come tutta la filiera del manifatturiero. Proprio per questo le previsioni sul ricorso agli ammortizzatori sociali per quest’anno sono in linea con quelle degli ultimi due e non accennano a diminuire. «Le ore di cassaintegrazione, di mobilità e degli altri ammortizzatori hanno continuato a crescere in questi sei anni di crisi - spiega il direttore di Veneto Lavoro Sergio Rosato - il Veneto è passato da una spesa di 800 milioni nel 2007 a una spesa in crescita di oltre due miliardi nel 2013».
A preoccupare maggiormente («Una volta fare l’assessore al lavoro era facile, oggi molto meno», dice Elena Donazzan) però è soprattutto la perdita di Pil pro capite che frena i consumi interni e rallenta la produzione industriale. I lavoratori veneti, in media, hanno prodotto meno ricchezza. Il reddito medio complessivo è passato da 29.800 euro a 26.200, con una perdita secca di 600 euro all’anno. Il governatore Luca Zaia questo lo sa bene e come sa bene che anche il prossimo anno non ci sarà un saldo positivo. «Gli 80 euro in più in busta paga proposti dal piano del presidente del consiglio Matteo Renzi rappresentano una buona idea per i lavoratori, ma non risolvono certo le difficoltà che stiamo affrontando - spiega Zaia -. Il problema è molto più ampio: è quello del costo del lavoro e del cuneo fiscale. Se non c’è una politica strutturale vera che permette di abbassare la pressione fiscale per consentire alle nostre aziende manifatturiere di restare sul mercato e creare occupazione non se ne viene fuori». In Veneto, per la prima volta dal 2002, il tasso di occupazione è sceso al 63,3% e i disoccupati sono saliti a 195 mila, crescendo di oltre 18 mila soltanto nell’ultimo anno. Non solo. La disoccupazione giovanile è arrivata al 25% (quella reale, cioè tenendo conto di chi va ancora a scuola è dell’11%) e i tempi necessari per trovare lavoro o cambiarlo si sono dilatati nel tempo.
Se fino a qualche anno fa chi usciva da una scuola professionale trovava subito un’occupazione, oggi il 60% dei giovani che si affaccia per la prima volta al mondo del lavoro aspetta due anni prima di entrare in azienda. Per l’80% di chi il lavoro l’ha perso la situazione è ancora peggiore. Il periodo di disoccupa zione (virtualmente inesistente nel 2007) dura dai tre ai quattro anni. «Dei 195 mila disoccupati, almeno 30 mila sono immigrati - continua Zaia -. Molti si sono integrati e vanno aiutati al pari dei veneti, ma altri sono venuti solo per lavorare e poter rientrare poi nei loro paesi d’origine. Questi devono essere accompagnati a casa, con progetti mirati, anche stanziando un milione di euro già destinato all’immigrazione». L’impressione, scorrendo i dati del rapporto di Veneto Lavoro (dal titolo evocativo di «Discesa finita?», con il punto di domanda), è che a un ritmo di crescita dell’1% all’anno, anche a essere molto ottimisti, ci vorranno più di dieci anni per tornare ai livelli precedenti alla crisi. Dal 2007 a oggi infatti il Veneto ha perso dieci punti di Pil per un totale di 13 miliardi di euro, ha assistito alla sparizione di circa ottomila imprese (l’unico settore che registra un dato positivo è quello delle attività commerciali) e alla cancellazione di 85 mila posti di lavoro. Solo nell’ultimo anno ci sono stati diecimila fallimenti e quasi millecinquecento crisi aziendali (che coinvolgono più di 40 mila lavoratori). E se le aree più colpite dalle crisi aziendali sono quelle di Padova (272 tavoli aperti) e Vicenza (203), le altre province registrano numeri preoccupanti (vedi tabella sopra).
15 marzo 2014
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Alessio Antonini
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