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Autore Discussione: La svolta di un Nobel all’ambiente  (Letto 2339 volte)
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« inserito:: Ottobre 13, 2007, 11:54:44 pm »

La svolta di un Nobel all’ambiente

Pietro Greco


Premio Nobel 2007 per la Pace diviso a metà tra l’Ipcc, il panel di scienziati delle Nazioni Unite da oltre tre lustri studia il processo di cambiamento del clima globale, e Al Gore, l’ecologista ex vicepresidente degli Stati Uniti sconfitto da George W. Bush alle elezioni presidenziali dell’anno 2000.

Una scelta attesa. Ma non per questo meno significativa. L’Intergovernmental Panel on Climate Change e Al Gore sono stati infatti premiati sia in riconoscimento «degli sforzi compiuti per costruire e diffondere una maggiore conoscenza sui cambiamenti del clima generati dall’uomo» sia per aver delineato i fondamenti delle misure da adottare «per contrastare quei cambiamenti».

Il comitato di Oslo che assegna il Nobel per la Pace ha dunque individuato nel mutamento del clima del pianeta Terra il tema da sottoporre all’attenzione di tutti. Perché lo considera fondamentale per la stabilità delle relazioni umane. Facendo propria l’idea di chi lo ritiene la più grave minaccia che l’uomo si trova e si troverà ad affrontare in questo secolo appena iniziato. Il premio per la pace va a chi ha contribuito, forse più di ogni altro, a far emergere nella coscienza di noi tutti la gravità del problema e la necessità di affrontarlo con urgenza.

Da questo punto di vista il premio agli scienziati dell’Ipcc è davvero inoppugnabile. Sono loro che dal 1990 in poi hanno raccolto e ordinato le migliori conoscenze scientifiche disponibili non solo sull’inasprimento in atto dell’effetto serra e del conseguente aumento della temperatura media del pianeta; ma hanno indicato anche le cause più probabili (ci sono solidi indizi che i cambiamenti del clima sono generati soprattutto dai comportamenti umani e, in particolare, dall’uso dei combustibili fossili); gli effetti prevedibili e le azioni da mettere in campo per contrastare i cambiamenti climatici. Questa complessa attività interdisciplinare - scientifica, culturale e politica - è stata realizzata con notevole tempismo, con grande rigore scientifico e persino con un certo coraggio di fronte alle critiche, spesso molto dure, degli scettici.

Nel tempo l’ipotesi di fondo degli scienziati dell’Ipcc è stata corroborata da un numero crescente di fatti e oggi sono davvero pochissimi coloro che la mettono in discussione. Davvero pochi come l’Ipcc hanno saputo darci l’idea che viviamo tutti sul un unico e medesimo pianeta; che l’uomo è diventato un attore ecologico globale e che occorre un «governo mondiale» dei problemi ecologici.

E, infatti, il lavoro dell’Ipcc ha consentito di elaborare sia la Convenzione sui cambiamenti del clima - ovvero la legge quadro con cui la comunità internazionale ha ufficialmente riconosciuto nel 1992 a Rio de Janeiro l’esistenza del problema - sia il protocollo di Kyoto - la legge attuativa della Convenzione con cui l’umanità (o, almeno, una parte di essa) ha deciso di agire per contrastare i cambiamenti climatici e costruire un futuro più desiderabile.

Tra la parte dell’umanità che ha fatto più fatica a riconoscere prima la validità dell’analisi scientifica poi le indicazioni operative dell’IPCC ci sono proprio gli Stati Uniti, il paese di Al Gore. Che non ha aderito al protocollo di Kyoto e che tuttora, col presidente George W. Bush, rifiuta di intraprendere la strada della riduzione ben cadenzata delle emissioni di gas serra.

Oggi, tuttavia, negli Stati Uniti è in corso un radicale mutamento dell’opinione pubblica. Sta crescendo (fino a diventare, forse, maggioritaria) la consapevolezza che il problema del clima esiste e che gli Usa devono fare la loro (non piccola) parte per cercare di risolverlo. Una parte notevole di questo cambiamento deve essere attribuita all’azione di Al Gore, politica e divulgativa. Un’azione che ha avuto molti riconoscimenti: oltre al Nobel per la pace, quest’anno Al Gore - realizzando un’accoppiata senza precedenti - ha vinto il premio Oscar per il suo film/documentario «An inconvenient truth» («Una verità scomoda» secondo una traduzione che non rende appieno il significato del titolo).

C’è solo un neo nella limpida azione di Gore. Lui è stato vicepresidente degli Stati Uniti per otto anni, prima di Bush. Vero è che in quella veste non aveva grandi poteri, ma è un fatto che, anche negli anni del ticket Clinton-Gore, gli Usa hanno rifiutato di sottoscrivere il protocollo di Kyoto e di prendere impegni concreti per ridurre le emissioni. Per cancellare questa ombra forse sarebbe opportuno che il covincitore (con merito) del Premio Nobel per la pace 2007 chiarisse perché.

Pubblicato il: 13.10.07
Modificato il: 13.10.07 alle ore 10.47   
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