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Autore Discussione: Debito e rendite, spine democratiche  (Letto 2558 volte)
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« inserito:: Ottobre 10, 2007, 10:29:29 pm »

Debito e rendite, spine democratiche

Angelo De Mattia


Con l'avvio dell'iter della legge finanziaria e mentre si svolgono gli ultimi preparativi per il decollo del Partito democratico, si sono ripresentate al dibattito, provenienti da soggetti politici diversi, le ipotesi di una manovra straordinaria per l'abbattimento del debito pubblico, di un utilizzo delle riserve della Banca d'Italia e dell'unificazione della tassazione delle rendite finanziarie all'aliquota del 20%, rispetto al 12,50% attuale. Contro le ultime due, già oggetto di discussione durante il periodo estivo, sono stati prospettati presunti gravi rischi derivanti dalla loro introduzione. In effetti sta prendendo piede un atteggiamento che esamina i problemi non per il merito ma per il significato, spesso trascendentale, che si ritiene che una determinata operazione abbia, anche se, ben inquadrata, risulti, poi, corretta e niente affatto dannosa.

A proposito dell'impiego delle riserve in eccesso della Banca d'Italia - oggi pari complessivamente a 63 miliardi circa di euro e destinate prioritariamente al servizio del debito in valuta della Repubblica - è noto che l'operazione, finalizzata alla riduzione del debito pubblico o al finanziamento di particolari attività, non potrebbe essere compiuta coattivamente perché contrasterebbe con il trattato di Maastricht in diverse sue parti (autonomia e indipendenza delle banche centrali, divieto di finanziamento monetario del Tesoro) e con la Costituzione italiana (espropriazione senza equo indennizzo), ma anche perché non è facile definire l'eccedenza delle riserve rispetto alla misura necessaria a concorrere alla difesa dell'euro. In ogni caso, è anche noto che, per una serie di ragioni tecniche, la parte delle riserve utilizzabile non sarebbe rilevantissima. Ma se l'operazione assumesse come condicio sine qua non il consenso della Banca d'Italia e della Bce, allora non si vede perché l'ipotesi non possa neppure essere esaminata, tenendo conto dei diversi vincoli giuridici e operativi, italiani ed europei, e considerando anche che in altri paesi questo tabù dell'utilizzo è stato rotto (nel senso della sola esaminabilità si muove un punto della risoluzione parlamentare sul Dpef). Fondamentale è che non si sguarnisca la difesa della moneta comune.

Idem per le rendite finanziarie. Ricondurle alla tassazione del 20% risponde non solo a un principio di equità, ma anche a un criterio di omogeneizzazione, per far competere tra di loro le diverse forme di impiego del risparmio in base alle rispettive caratteristiche e alla corrispondenza ai programmi degli investitori, piuttosto che in base a una tassazione diversamente articolata.

Non va trascurata, poi, la riduzione che questo provvedimento realizzerebbe nel prelievo tributario sugli interessi dei depositi e conti correnti (dal 27 al 20%). Per i titoli pubblici sarebbe una partita di giro, poiché secondo alcuni, con l'incremento della tassazione, si dovrebbero aumentare anche i rendimenti? Difficile affermarlo, considerato che la maggior parte di essi è detenuta da persone giuridiche tassate a reddito d'impresa. La formazione del prezzo avviene attraverso l'asta alla quale partecipano intermediari che, come testé si è detto, sono in una posizione di indifferenza fiscale. Tra i sottoscrittori dei titoli pubblici vi sono poi le famiglie, che rappresentano una quota intorno al 12-13%. Le previsioni di gettito del progettato intervento dipenderebbero comunque dalle scelte concrete che si intende compiere. L'aliquota del 20% dovrebbe riguardare le nuove emissioni. In questo caso il gettito sarebbe certamente limitato. Avrebbe, una tale decisione, un effetto-annuncio non positivo?

È azzardato dirlo dal momento che in concreto non vi sarebbe quell'impatto che alcuni dicono di temere. Insomma, ora che anche autorevoli personaggi del mondo accademico smontano la presunta drammaticità dell'aliquota del 20%, e su tale variazione fondano anche una esigenza di riequilibrio nei rapporti tra imposta sul lavoro dipendente e tassazione delle attività del rentier (F. Giavazzi), sarebbe il caso di considerare acquisito che si esaminerà la sua introduzione più in là, come di recente è stato stabilito a livello di governo. Del resto, la storia della prima tassazione dei titoli pubblici, negli anni '80 del secolo scorso, preceduta da duri confronti e dai contrasti tra il ministro del Tesoro Gianni Goria (contrario) e il ministro delle Finanze Bruno Visentini (favorevole), sta a ricordare gli eccessi delle previsioni infauste quando si affronta la tassazione del risparmio. La Borsa attraversava un periodo di grande euforia; in quel torno di tempo agivano gli yuppies con il rolex e iniziava una diffusa attività ai cosiddetti borsini. Si temeva la doccia fredda. Invece, dalla tassazione non derivò alcuna delle profetizzate sciagure. Seguì una necessaria fase di riordinamento normativo del credito e della finanza. Anche oggi un intervento fiscale in materia dovrebbe essere accompagnato dall'accelerazione dell'iter dei diversi provvedimenti giacenti in Parlamento in materia di tutela del risparmio.

È possibile, tuttavia, che l'intento dei contrari sia altro e che nella tassazione delle rendite si cerchi soltanto il modo per parlare, enfatizzando i rischi, a particolari categorie sociali. Insomma, un «buscar el levante por el ponente». Ma allora la questione si sposta sul piano prettamente politico.

Quanto alla manovra straordinaria per il rientro del debito, è positivo che se ne parli e che in particolare vi abbia fatto riferimento Walter Veltroni. Per fortuna non siamo più nell'epoca in cui solo accennare alla straordinarietà veniva inteso come un riferimento al consolidamento del debito, con le conseguenti accuse e contraccuse. È opportuno, però, che una tale misura, che si può ritenere anche necessaria, sia esposta articolatamente nel merito; che ne sia possibile una valutazione per la sua solidità e coerenza. È nella strumentazione concreta che nascono i problemi e le complicazioni. Esistono diversi progetti in materia, spesso discussi e contrastati. Ricordo per tutti le importanti proposte del prof. Giuseppe Guarino.

Sono comunque temi per la cui definizione è atteso alla prova il Partito Democratico, con un programma auspicabilmente organico che si possa apprezzare per la sua incisività e la sua rispondenza alle attese dei cittadini, per il modo in cui i singoli argomenti vengono affrontati, non come «disiecta membra», o giorno per giorno, ma come parte di un tutto che muove dai rami alti, da una ispirazione di fondo.

Pubblicato il: 10.10.07
Modificato il: 10.10.07 alle ore 8.45   
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