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Autore Discussione: "L'ospedale-scandalo in mezzo al deserto"  (Letto 2396 volte)
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« inserito:: Ottobre 10, 2007, 06:25:44 pm »

ESTERI

Parla Raul Pantaleo, l'architetto che ha progettato il centro cardiochirugico di Emergency in Sudan

"Una sfida per scuotere il mondo. Il diritto alla salute, al bello e all'ambiente esistono anche in Africa"

Pannelli solari, verde e alta tecnologia

"L'ospedale-scandalo in mezzo al deserto"

di ALESSIA MANFREDI


 ROMA - "Chi non è contrario alla guerra o contro la fame e l'ingiustizia? A parole sono tutti concordi. È nell'azione che ci si rende veramente consapevoli e partecipi degli eventi". Così scriveva nel suo diario africano l'architetto Raul Pantaleo. La sua "azione" è stata creare il centro cardio-chirurgico Salam in Sudan, progettato per Emergency. Un centro che nelle intenzioni di chi lo ha voluto doveva stupire, essere "scandalosamente bello e scandalosamente funzionale" per svegliare il mondo, far vedere che è possibile avere una struttura medica d'eccellenza anche nel cuore dell'Africa.

Dopo due anni di lavoro, l'ospedale è nato. Dalla sua inaugurazione lo scorso aprile a Khartoum offre assistenza gratuita a bambini e adulti affetti da patologie cardiache. E tutti possono dare una mano al progetto, sostenendolo fino al 31 ottobre con un sms al numero 48587 per donare 1 euro oppure chiamare lo stesso numero dalla rete fissa Telecom Italia per un valore di 2 euro. I gestori devolveranno l'intero ricavato ad Emergency. (Guarda le immagini)

"E' stata una sfida enorme", racconta Pantaleo - milanese di nascita ma trapiantato da anni a Venezia, esperto di architettura sostenibile - e gli scappa un sospiro. "I primi tempi mi sentivo gelare le vene, soprattutto visto il livello tecnico disponibile nel paese. L'idea di Gino Strada di garantire il diritto alla salute nell'Africa più profonda, con un centro tecnicamente molto sofisticato, era già di per sé difficile. Poi c'era la sfida nella sfida: la parte edile".

L'ambiente vi ha creato difficoltà pratiche?
"La zona è difficile, c'è il deserto, la temperatura va dai 38 ai 54 gradi, c'è sabbia ovunque. Parliamo di un ospedale sofisticato, che è stato realizzato al grezzo quasi completamente con personale locale. C'era sempre qualcosa che non andava, ma riuscivamo spesso a prenderla in ridere. Poi tutti dicevano: non ci riuscirete mai. Invece siamo riusciti a portare il meglio. Rivendicando il diritto all'ambiente e al bello, abbiamo usato la migliore tecnologia possibile in questo momento, quella sostenibile".

La struttura è innovativa e orientata al risparmio energetico. Ci sono mille metri quadrati di pannelli solari termici per il rinfrescamento dell'edificio che fanno risparmiare parecchio: qualcosa come 300 chili di gasolio al giorno
"L'impianto dei pannelli è uno dei più grandi al mondo di questo tipo. Poi ci sono muri altamente isolanti, pareti e tetti altamente ventilati, un grande uso del verde per la mitigazione del caldo. Tutti accorgimenti che si usano per edifici di ottima fattura occidentali. E un sistema di filtraggio dell'aria che intrappola in modo naturale la sabbia e permette di abbattere la temperatura anche di nove gradi."

Che messaggio porta questo edificio nel territorio?
"Abbiamo anche voluto far vedere che in un paese come il Sudan, in fortissima crescita, che sta privilegiando un modello stile Dubai, con enormi palazzoni in vetro, lontani dalla tradizione, è possibile fare sviluppo di qualità con un occhio più attento alle tradizioni. L'edificio - 11mila metri quadrati di superficie coperta, con 4mila di ospedale vero e proprio - è basso, a corte, e ricorda il sistema della domus, dove la comunità si riunisce".

Il bello in questo caso non è un lusso?
"No. E l'ho capito proprio sul campo. In un ambiente degradato, di miseria, guerra, deserto umano e fisico, acquista un valore etico straordinario. Parliamo comunque di un qualcosa di sobrio, pulito, con molto verde. Non è un accessorio, ma rivendica il diritto delle persone a stare in un luogo adeguato".

Com'è stata quest'avventura?
"E' stata la prima volta in Africa per me. I primi quattro mesi sono stati di totale amnesia dal mondo. Ho fatto di tutto, il muratore, ho lavorato a progetto. Ho pensato che non ce l'avremmo fatta. Intorno, c'era la miseria dei profughi sotto casa. Ma mi ha insegnato a vedere le cose dall'altra parte. Sono fortunato ad averla vissuta".

"E' un'esperienza dopo cui ci si sente come un serbatoio umano" ha scritto nel suo diario che è diventato un libro in uscita a novembre per Eleuthera, Attenti all'uomo bianco".
"Non sta a me giudicare se il progetto è venuto bene, ma al di là di quello, vedere lo stupore della gente che viene curata al centro, come percepiscono che hai regalato loro quello che avevi, è un momento unico, privilegiato. E' un modo per far sognare, per far vedere che nel tuo piccolo, qualcosa di concreto si può davvero fare. Un segnale, per quanto minuscolo, importante. E' un messaggio di pace di cui abbiamo bisogno, non solo là ma anche qui".

(10 ottobre 2007)

da repubblica.it
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