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Autore Discussione: Alan Friedman. - Il piano folle di Berlusconi per superare il 37% ...  (Letto 4195 volte)
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« inserito:: Febbraio 03, 2014, 04:56:03 pm »

Gli scenari

Il piano folle di Berlusconi per superare il 37% «Si andrà alle urne tra oltre un anno»
Il Cavaliere: «Non penso sia possibile un election day a maggio. Non escludo che Lega e Ncd saranno nella coalizione»


 Pochi minuti prima di mezzogiorno, arrivo in via del Plebiscito, entro nel cortile di Palazzo Grazioli e un uomo della scorta mi porta in ascensore al piano nobile, che qui è il secondo, visto che il primo è un ammezzato.

Mentre la mia troupe televisiva allestisce per le riprese l’ufficio di Silvio Berlusconi (sto girando una puntata per Corriere TV della nuova web serie basata sul mio nuovo libro, che esce tra pochi giorni con Rizzoli) io aspetto nel salotto. Mi guardo intorno, nelle stanze affrescate dell’imponente palazzo seicentesco, oggetti e mobili preziosi grondano sfarzo e magnificenza. Consolle bombate dorate con superfici in marmo. Posto su uno dei mobili con decorazioni in oro e intarsi pregiati c’è un modellino settecentesco del Colosseo, con una targhetta in granito su cui spicca la scritta, in stile romano, «La storia la scrive chi vince».

Sento un cagnolino che abbaia, e intravedo alla fine del corridoio una porta che apre dall’appartamento privato del presidente. L’oramai immancabile Dudù fa una brevissima apparizione e poi viene riportato dentro. Io intanto arrivo nell’ufficio di Berlusconi e il mio sguardo corre alle pareti damascate giallo oro, alle tende abbinate, e si ferma su una consolle bombata sulla quale poggiano delle cornici piene di foto di Berlusconi con Bush, con Putin, con papa Ratzinger, con i figli, con la mamma Rosa.

E poi arriva il Cavaliere, dimagrito dopo il soggiorno in beauty farm, sorridente e nel suo solito abito scuro a doppiopetto. Si siede dietro la sua scrivania e cominciamo un’intervista a tutto campo.

Presidente, dopo lo storico incontro che lei ha avuto con Matteo Renzi alla sede del Pd e l’accordo sulla legge elettorale, qual è il suo parere sul segretario democratico?
«Renzi è un nuovo protagonista che è entrato di slancio nel panorama politico italiano e ha rinnovato il Partito democratico, che è sempre l’antico Partito comunista italiano, che ha cambiato tanti nomi ma è rimasto con le stesse persone, con le stesse sedi. Ha annunciato con coraggio e anche con un filo di arroganza, di voler rottamare tutti i vecchi campioni del partito. E l’ha fatto: uno dopo l’altro sono stati costretti, non per una sua azione diretta ma per il procedere della sua salita all’interno del partito, molti sono veramente ai lati, addirittura non in Parlamento. Quindi io spero che lui continui in questa direzione».

Le faccio notare comunque, presidente, che Renzi ha di fatto conquistato due terzi del partito e chi ha perso sono D’Alema, Cuperlo e il vecchio, quindi in un certo modo lui rappresenta un nuovo Pd, almeno agli occhi di un giornalista straniero.
«Io convengo e sono assolutamente contento che questo sia accaduto. Gli auguro di procedere affinché anche il residuo terzo venga mandato negli spogliatoi».

Ma parliamo adesso della sostanza, perché l’accordo annunciato da lei e Renzi era su tre questioni: legge elettorale, riforme istituzionali, Titolo V. Cominciamo con la legge elettorale.
«Io credo che continuerà il suo percorso e che sarà approvata dai due rami del Parlamento. Questa legge elettorale non è il meglio che si potesse fare, perché ancora una volta abbiamo dovuto fare i conti qui in Italia con i piccoli partiti, e questo è un fatto molto negativo che ci perseguita dal 1948. Ma oggi con l’ingresso di una terza forza tra destra e sinistra, una forza che ha messo insieme tutta l’antipolitica, tutti gli italiani disgustati da questa politica, quella portata avanti da Grillo, i numeri sia di destra che di sinistra si sono abbassati, e quindi siamo arrivati a dei numeri molto bassi come coalizione. Vede, io ho sempre ritenuto che noi dovessimo insegnare agli italiani a cominciare a capire come si deve votare. Abbiamo sempre guardato ai paesi meglio governati, Francia, Gran Bretagna e, soprattutto, Stati Uniti d’America: repubblicani e democratici, democratici e repubblicani».

Il bipolarismo...
«Il bipolarismo secondo noi è il miglior sistema per dare un governo efficiente ad una nazione. Purtroppo anche dopo la Prima Repubblica, con la legge elettorale che è in vigore ancora adesso, il voto frazionato è continuato».

Però lei non esclude che la Lega e Alfano possano in futuro far parte di una coalizione di centrodestra?
«No. Ma guardi, le dico, io ho una speranza, soprattutto se il voto arriverà tra oltre un anno, che da un lato il Partito democratico a guida Renzi, da un lato Forza Italia, possano operare in maniera tale da poter arrivare all’appuntamento della prossima campagna elettorale così forti da poter pensare di superare da soli la soglia del 37% che abbiamo messo per poter godere del premio di governabilità che aggiunge un 15% al 37 per arrivare a un 52%, che rende possibile governare. Questo dipende da molte cose, ma io per esempio ho un progetto che deriva da quello che successe a me nel ‘94 e da tutte le esperienze di questi anni. Sarà una follia, ma io penso di poter arrivare a superare il 37. Ho già avuto un risultato del genere nel 2008, perché nella coalizione raggiungemmo un 46 e passa, e il mio partito arrivò al 37 e passa. Però da allora è successo questo fatto, che Grillo è arrivato con il Movimento Cinque Stelle e, avendo raggiunto un risultato importante, il 25%, e oggi essendo ancora nei sondaggi intorno al 20- 21%, ha naturalmente abbassato i voti a disposizione di destra e sinistra. Quindi quel 37 già raggiunto, oggi diventa molto più difficile da raggiungere da parte di un solo partito. Ma io sono un ottimista e ho messo su un piano, forse un piano un po’ pazzo, ma io sono un cultore di Erasmo da Rotterdam...».

Ma questo piano lo vuole rivelare oggi?
«No, è prematuro. Ma io finisco con questa frase che Erasmo da Rotterdam ripeteva sempre: “Le decisioni migliori e più sagge non derivano dalla ragione ma nascono da una visionaria lungimirante follia”».

Cambiamo argomento e parliamo del vincolo europeo del 3%.
«È un vincolo che non ha nessun senso».

E il Fiscal Compact che richiede la riduzione del debito. Lei che proporrebbe?
«Io propongo che il Pil sia calcolato aggiungendo al Pil emerso il Pil sommerso. In questo modo noi andiamo sotto il 100% nel rapporto debito Pil. Cioè ci avviciniamo a quel 93% che è la media dei paesi dell’Euro. Aggiungo che quando c’è una economia che ristagna, non è assolutamente pensabile di togliere dall’economia dei soldi per ridurre il debito».

Ma nel Pil l’Istat già stima il sommerso al 17%.
«Ma è molto di più».

Qual è la sua previsione per l’economia italiana quest’anno?
«Non è una previsione positiva perché noi tentiamo di infondere coraggio, ottimismo, di dare speranze eccetera, ma la situazione in cui ci troviamo noi oggi è particolarmente precaria. Abbiamo degli svantaggi competitivi con le altre economie dell’Europa, e insieme all’Europa abbiamo da fare i conti con la competizione delle economie orientali, lei ha visto che la Cina ha superato nelle esportazioni l’America, sta diventando la fabbrica del mondo. Quali sono le cose insuperabili? Soprattutto due: il costo del lavoro e le imposte sugli utili. I paragoni non reggono e quindi io credo che sarà molto difficile per noi come Europa di reggere questa competizione».

Presidente, lei ha fiducia nella capacità del governo Letta di lanciare la riforma del mercato del lavoro, di avviare le misure adeguate per agganciare la ripresa e stimolare la crescita?
«Mi spiace di dover rispondere negativamente, ma purtroppo abbiamo ormai l’esperienza di questa prima sessione di governo che è durata molti mesi in cui addirittura non sono state mantenute le promesse che erano intercorse tra noi e loro quando abbiamo con molta responsabilità detto sì a un governo di Grosse Koalition , di larghe intese. Le ricordo anzi che dopo il risultato delle elezioni che appunto era stato determinato da Grillo, noi abbiamo subito offerto al Partito democratico di fare un governo insieme. Il Partito democratico, che ha contro di noi una antica avversione che deriva dall’ideologia comunista, ha invece tentato di fare il governo col partito di Grillo, con i Cinque Stelle, e per due mesi il segretario...».

Quello, scusi se la interrompo, era il vecchio Pd guidato da Bersani.
«Era il vecchio Pd, assolutamente. E Bersani ha battuto per due mesi alla porta di Grillo ricevendo sberleffi e anche insulti. Finalmente dopo due mesi si è rassegnato, è venuto da noi e ci ha proposto di fare un governo, a condizioni quasi inaccettabili, cioè una rappresentanza parlamentare di soli 5 ministri su 23, ma soprattutto non ha aderito alla nostra sacrosanta richiesta di sederci a un tavolo e di scrivere un programma preciso. Hanno detto no, nessun programma preciso, ci diamo la mano, e voi ci dite i punti su cui dobbiamo impegnarci. Vista la malaparata, noi decidemmo di accettare anche questa situazione che era veramente al di fuori della logica. Allora noi abbiamo preso i tre punti su cui avevamo battuto durante la nostra campagna elettorale: punto primo, abolire l’imposta sulla casa, l’Imu; punto secondo non aumentare l’Iva, dal 21 al 22%, perché è un fatto anche psicologico, che deprime la voglia di spendere da parte dei cittadini, anzi di abbassare l’Iva dal 21 al 20. E la terza cosa era cambiare i modi di approccio di Equitalia e dei suo funzionari con i contribuenti. Sull’Imu, ha visto che cosa è successo, un pasticcio incredibile che ha fatto diminuire dal 6 al 10% il valore di tutti gli immobili, di tutte le case in Italia. Per quanto riguarda l’Iva, è stata portata addirittura al 22%, il contrario di quello su cui Letta si era impegnato. Ma siamo riusciti a cambiare qualcosa nei sistemi di Equitalia grazie alla nostra capacità di agire in Parlamento».

Quindi per lei sarebbe meglio tornare alle urne? E se sì, quando?
«Io non penso sinceramente che sia possibile tornare alle urne in un election day insieme con le elezioni per il Parlamento europeo e con 18 milioni di italiani chiamati alle Amministrative. Se si riuscisse ad arrivare in tempo con la legge elettorale noi saremmo d’accordo di andare il 25 di maggio. Ma se intanto si comincia a lavorare sui cambiamenti della Costituzione nelle due direzioni che abbiamo ricordato, dato che per questi cambiamenti ci vogliono non due ma quattro votazioni a distanza di tre mesi l’una dall’altra, si va avanti di un anno o anche più di un anno. In quel caso si andrà a votare tra un anno e qualche mese e per noi, questa cosa credo che funzioni molto bene».

02 febbraio 2014 (modifica il 03 febbraio 2014)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alan Friedman

Da - http://www.corriere.it/politica/14_febbraio_02/piano-folle-berlusconi-superare-37percento-si-andra-urne-oltre-anno-6f1af63e-8bda-11e3-a29b-8636964bc663.shtml
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 09, 2014, 06:06:34 pm »

Lavoro, giustizia e competitività. Senza le riforme non ci sarà crescita

Di Alan Friedman

Ora che l’Italia è ufficialmente di nuovo in recessione, per la terza volta in soli sei anni, sarebbe utile capire perché il nostro Paese sia il fanalino di coda in Europa per quanto riguarda la crescita.

A mio avviso la causa di questa situazione non è la moneta unica, e nemmeno il ciclo della congiuntura dell’economia europea. Non è neppure soltanto il fatto che la Germania cresca meno e acquisti in maniera meno massiccia le nostre merci, anche se questo è certamente vero.

Il motivo principale per cui l’economia italiana continua a essere così anemica è la mancanza di modernizzazione attraverso le riforme — del mercato del lavoro, del fisco, della burocrazia e del welfare. In altre parole, l’Italia non crescerà finché non avrà fatto le stesse riforme che altri Paesi hanno fatto dieci o venti anni fa.

Finché non saremo competitivi nei confronti dei nostri partner principali in Europa — in termini di una giustizia con delle regole chiare, di un costo del lavoro ragionevole, di una vera flessibilità del mercato dell’occupazione e di una migliorata produttività, equiparabile ad altri Paesi — l’Italia non potrà progredire. Le riforme non sono un optional. Sono necessarie. Servono a farci uscire dalla crisi. Sono una base per la crescita, non la soluzione magica.

Per un politico è difficile ammettere che l’impatto forte, salutare e visibile delle riforme non si otterrà in sei o dodici mesi, ma piuttosto in un periodo di almeno due o tre anni. Ma è così. Fare le riforme economiche in modo che il mercato italiano sia paragonabile a quelli tedesco, inglese o olandese significa intraprendere un percorso molto — ma molto! — ambizioso, e tutto questo in un Parlamento non proprio di leoni. Eppure il gioco varrebbe la candela, perché renderebbe l’Italia più forte.

La realtà è che viviamo da tempo in un Paese a crescita più o meno zero. Siamo da tempo in una fase di stagnazione nazionale, in cui l’economia non genera posti di lavoro, mancano investimenti pubblici e privati, manca una politica industriale, il tasso di disoccupazione aumenta, la burocrazia ci strangola, il denaro non gira, e la classe dirigente (compresa la politica) non sembra in grado di esercitare una leadership o una visione adeguata a portarci fuori dalla crisi. Ora c’è Renzi, che prova a spingere l’acceleratore sulle riforme ma inciampa ogni tanto a causa dei gattopardi della sinistra del suo partito, o delle resistenze da parte di Sel o dei Cinquestelle. Renzi ha un consenso elettorale che non deve sprecare: deve spenderlo per fare una riforma coraggiosa dell’economia italiana. Deve, se necessario, «battere la testa contro il muro» per insistere su questo punto, e proporre anche qualche cambiamento strutturale che non farà piacere a Susanna Camusso.

La mia preoccupazione, in sintesi, è questa: se si facessero davvero tutte le riforme necessarie per rimettere l’Italia sul binario della crescita e dell’occupazione, i franchi tiratori sarebbero sempre lì, pronti ad affossare ogni singola proposta? La guerra potrebbe essere lunga.

Ora Renzi ha bisogno di Berlusconi per portare a termine alcune modifiche istituzionali e la nuova legge elettorale. Bene. Ma si può fare in Italia una riforma radicale del mercato del lavoro, come hanno fatto i governi di centrosinistra in America durante l’Amministrazione Clinton, in Germania negli anni di Schröder o in Gran Bretagna con Blair? Laddove quelle modifiche sono state fatte, laddove c’è più flessibilità nel mercato, il tasso di disoccupazione è la metà di quello italiano.

È inutile girare intorno al problema. L’Italia non avrà nessun futuro di crescita ragionevole nel medio e lungo periodo se non fa subito le riforme strutturali che altri Paesi hanno già portato a termine. È ovvio. Questi cambiamenti devono rappresentare un vero e autentico ammodernamento di una macchina che non funziona più, di un sistema sclerotico e vecchio. Se l’Italia riesce a fare ora, nei prossimi mesi, quelle riforme che altri Paesi hanno già fatto dieci anni fa, ci potrebbe essere la speranza di una ripresa ragionevole verso la fine del 2015. Se invece vengono bloccate nel sottobosco romano, in Parlamento e dintorni, saremo qui a scrivere di un’economia senza crescita.

@alanfriedmanit
8 agosto 2014 | 10:15
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/opinioni/14_agosto_08/lavoro-giustizia-competitivita-senza-riforme-non-ci-sara-crescita-9f985376-1ec7-11e4-935f-58b9b86038b5.shtml
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 17, 2014, 11:56:54 am »

L’anticipazione

La guerra di Renzi ai Gattopardi e le riforme vere da mandare in porto
Se anche due terzi dei progetti del 2014 diventassero realtà sarebbe una rivoluzione.
Il premier lancia un New Labour all’italiana giocando insieme il ruolo di Blair e Thatcher

Di Alan Friedman

Defining moment
Nell’estate e autunno del 2014 la politica italiana è dominata dalle questioni del Jobs Act, dell’articolo 18 e della legge di Stabilità del governo Renzi. Il dibattito sull’articolo 18, la petulanza della leader della Cgil, Susanna Camusso, e la durezza della risposta di Matteo Renzi alla Cgil e agli ultrà del Pd fa cambiare qualcosa. C’è un defining moment in corso.

Discussione sulla sostanza
Nell’autunno del 2014 qualcosa di particolare succede nel panorama della politica italiana. A un certo punto, nel dibattito, si passa dalla polemica sulla politica degli annunci di Renzi a una discussione sulla sostanza, sulle scelte dure e difficili che aspettano gli italiani. Si mette in dubbio il potere di veto dei piccoli partiti. Si mette in dubbio la validità del vecchio modello di concertazione tra le forze sociali e la Confindustria.

Con i sindacati
Si mette in dubbio la rilevanza della Cgil, un sindacato che non ha saputo rinnovarsi e prendere in considerazione i veri problemi dei giovani, dei precari, e che si è trasformato in un partitino di pensionati guidato da una leader che parla con la retorica degli anni Settanta, con quella nostalgia per il cattocomunismo di un’altra epoca.

Perché alla fine dell’ottobre 2014 assistiamo a un momento spettacolare nella politica italiana, un momento di contrasto e di durissimo scontro, molto forte, e probabilmente storico.

Nel weekend del 25-26 ottobre 2014 Matteo Renzi ha zittito Susanna Camusso e ha sfidato tutti i dissidenti della sinistra radicale del Pd con un’alternativa secca: mettersi in riga o andarsene.

Il weekend della Leopolda
Il 25 ottobre, a Roma, la Vecchia Guardia del Pd tenta disperatamente di fare la voce grossa con il governo, portando centinaia di migliaia di persone in piazza. Esattamente nello stesso momento si svolge a Firenze, nella ex stazione della Leopolda, l’annuale convegno e cosiddetto «laboratorio» di Renzi, quinta edizione, ma per la prima volta in versione governativa.

Il vero significato di quel weekend politico di fine ottobre è che ha offerto un’occasione per osservare da vicino il passato e il futuro, dalla manifestazione old-fashioned della Cgil, il Camusso Show a San Giovanni a Roma con i «reduci» della sinistra radicale del Pd, allo spettacolo del durissimo intervento del premier.

La guerra ai Gattopardi
Renzi ha ancora una volta dichiarato guerra ai gattopardi dentro il suo partito e ha praticamente rivendicato un «New Pd». Renzi, alla Leopolda, ha lanciato una versione italiana del New Labour. Si è mostrato un Tony Blair redux. O forse qualcosa di più complesso. Perché quando Blair è arrivato al potere nel 1997 la maggior parte del lavoro sporco, dalle riforme del mercato del lavoro e del welfare alle privatizzazioni e altre manovre, era già stato fatto, dalla Thatcher. Blair ha domato qualche sindacato, ma la vera gara era già stata vinta da tanti anni, dalla Thatcher quando aveva sconfitto il leader dei minatori britannici, Arthur Scargill, negli anni Ottanta. Quindi in questo momento Renzi, in effetti, gioca il ruolo di entrambi, sia di Blair sia di Thatcher. E la Camusso sembra il capo sconfitto dei minatori. Susanna Camusso si arrampica sugli specchi della storia, cercando disperatamente rilevanza, incapace di riconoscere la sua sconfitta, la sconfitta della Cgil, il momento storico.

Polveri non ancora spente
Oggi, alla fine del 2014, prosegue la guerra dei gattopardi della sinistra e del Pd. A un anno dalle primarie le polveri non sono ancora spente. La rabbia fredda di D’Alema sui muri del Nazareno, Bersani che si aggira come un pugile suonato, e poi Fassina, Civati, Vendola.

Forse per le loro frustrazioni e un certo cinismo, comprensibilissimo dopo decenni di malgoverno, gli italiani un po’ non ci credono e un po’ non hanno ancora la percezione del cambiamento che Renzi ha avviato, della sua portata. La verità è che, finché non vediamo tutti i contenuti e poi l’attivazione delle leggi approvate in Parlamento, non possiamo giudicare l’efficacia del programma Renzi.

Renzi e la depressione
Renzi sta vincendo, anche se talvolta in modo un po’ improvvisato, ma alla fine sembra efficace in questo momento di recessione cronica e alta disoccupazione, un periodo di crisi talmente prolungato che bisogna chiamarlo col suo nome: depressione.

Keynes e il limite del 3%
In un momento di depressione c’è bisogno di una forte politica espansionistica che utilizzi strumenti keynesiani come investimenti pubblici per stimolare occupazione e domanda interna. In Italia, dove la legge di Stabilità del governo Renzi vuole essere una manovra espansionistica, per via del peso del debito pubblico e dei vincoli europei non è permesso fare molti investimenti pubblici. Una delle vere sfide per Renzi sarà di sapere se e quando sarà necessario sforare davvero il limite del 3 per cento, pur di offrire ossigeno ai suoi connazionali in un momento di depressione economica.

Le riforme e la vera rivoluzione del miracolo italiano
Ora, in Italia, c’è un forte bisogno di cambiamenti radicali e urgenti. C’è un Paese seriamente a rischio, ma per fortuna c’è anche un Paese che vuole cambiare davvero, che vuole uscire dalla palude, questo è chiaro. Come giudicare Renzi e le riforme del 2014? Primo, se vanno in porto riforme vere, radicali e non diluite, e secondo se creano le precondizioni migliori per la creazione di posti di lavoro in un’economia finora solo stagnante e sofferente. Se andassero in porto e diventassero realtà tre quarti o anche due terzi delle riforme messe sul tavolo da Renzi nel 2014 sarebbe un miracolo italiano, una vera rivoluzione.

A patto che non diventino riforme finte, o mezze misure, o riforme gattopardesche. Bisogna andare fino in fondo. Bisogna fare le riforme. Bisogna ammazzare ‘sto Gattopardo.

Nell’Italia di oggi, non c’è alternativa.

17 novembre 2014 | 10:31
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_novembre_17/guerra-renzi-gattopardi-riforme-vere-mandare-porto-8cb4973e-6e35-11e4-8e96-e05d8d48a732.shtml
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 03, 2015, 04:11:48 pm »

L’economia nel 2015
Quello che frena la lumaca europea
Gli Usa avranno una crescita robusta e l’Asia ha di fronte a sé un anno di sviluppo: ma il Vecchio Continente vivrà altri mesi di stagnazione.
La ripresa del nostro Paese passa da riforme e da un aumento della domanda interna

Di Alan Friedman

Al principio di un nuovo anno pieno di incertezze geopolitiche, le prospettive per l’economia mondiale sono diventate inaspettatamente un pizzico più positive, grazie all’aiuto del crollo recente del prezzo del petrolio.

La congiuntura è sicuramente rosea per gli Stati Uniti, che dovrebbero facilmente riuscire a raggiungere una crescita del 3%, e con poca disoccupazione.

Ci sarà un buon ritmo di espansione anche in Asia, nonostante qualche preoccupazione sull’eventuale rallentamento dell’economia cinese. Il tasso di crescita per Pechino, anche se sta decelerando, dovrebbe arrivare al 7% nel 2015. Il prezzo dell’energia dovrebbe aiutare molto perché la Cina è il più grosso importatore al mondo di petrolio. L’India, intanto, è sotto una nuova e migliorata gestione economica, grazie al suo energico nuovo primo ministro, Narendra Modi, e dovrebbe arrivare a crescere tra il 5 e il 6%.

Solo in Europa, nel Vecchio Mondo, e soprattutto nell’eurozona, le prospettive non sono molto incoraggianti. Nel 2015, in Italia, la gente non dovrebbe percepire una ripresa (anche se potrebbe esserci qualche lieve aumento negli investimenti e consumi) ma piuttosto una sensazione di stagnazione continuativa. Non c’è tanto da festeggiare se l’Italia avrà una crescita tra lo 0,2 e lo 0,5%. La parola stagnazione descrive bene anche un’eurozona che cresce di circa 0,9 punti percentuali, nella quale la Germania non può raggiungere più dell’1% nel 2015 mentre la Francia arriverà a fatica al traguardo dello 0,8.

Quello che potrebbe cambiare lo scenario europeo e migliorare le prospettive in questo Purgatorio che sembra non avere fine sono due variabili: l’effetto della riduzione del prezzo dell’energia e di un deprezzamento o, meglio, di una svalutazione de facto, a mio avviso già in corso, tra moneta europea e dollaro americano.

A livello mondiale, per il Fondo monetario internazionale, il beneficio aggiuntivo del petrolio a 50-60 dollari al barile potrebbe valere una crescita migliorata fino allo 0,8%. In Europa, la riduzione del costo dell’energia per le imprese, se fosse nell’ordine del 40% per tutto il 2015, dovrebbe farsi sentire, e con effetti assolutamente salutari: per le imprese sarebbe quasi come ricevere una sorta di «80 euro». Tutto questo dovrebbe aiutare la crescita italiana. Ma se l’effetto del crollo del prezzo del petrolio è positivo, il costo del rischio geopolitico, come quello che deriva dalle sanzioni contro la Russia e la perdita in termini di commercio tra Mosca e Paesi come Germania e Italia, potrebbe risultare molto negativo. Le stime non sono scientifiche ma si potrebbe immaginare che la guerra economica in corso tra l’Ue e la Russia potrebbe costare in alcuni Stati dell’Ue fino a mezzo punto di Pil, cosa che potrebbe annullare il beneficio derivante dalla riduzione del prezzo dell’energia. Quindi, effetto netto zero.

Se i due fattori, petrolio a basso prezzo e costo geopolitico, si annullassero a vicenda, ci potrebbe comunque essere per l’Ue e per l’Italia un aspetto positivo dovuto al deprezzamento in corso dell’euro contro il dollaro. Se, come sembra probabile, il biglietto verde continuerà a rafforzarsi (poiché l’economia Usa è forte e robusta e la tendenza della Federal Reserve è verso un rialzo dei tassi nel 2015) questo potrebbe portare una piccola pioggia di denaro per alcuni imprenditori, per l’export, e potrebbe dare la sensazione nostalgica di una svalutazione della lira, in cui chi vende fuori dell’eurozona potrebbe sentire un effetto positivo del 10 o 15% nel 2015.

Purtroppo, questo effetto salutare si farà sentire quasi solo nel settore del made in Italy, che ammonta a circa 400 o 500 miliardi, ovvero un quarto del Pil. Positivo senz’altro ma non risolve il problema della fievole domanda interna dell’economia italiana. E non risolve il problema che resta sospeso sopra le nostre teste come una spada di Damocle, e cioè il debito pubblico di 2.150 miliardi.

A livello europeo, purtroppo, lo spettro della deflazione è problematico per i Paesi con un livello elevato di debito pubblico. C’è un altro fattore negativo: la probabilità che il governo tedesco resti rigido e rifiuti di incrementare la sua spesa pubblica e gli investimenti per stimolare la propria economia. Un errore. I tedeschi esportano così tanto che forse pensano di potersi permettere di mantenere il rigore a livello interno e approfittare della svalutazione de facto dell’euro. Ma così faranno un danno a se stessi e al resto dell’eurozona; di conseguenza, con la loro crescita di un misero 1% nel 2015, i tedeschi acquisteranno anche meno merci italiane.

L’Europa si trova quindi di fronte un anno di deflazione e stagnazione, e così anche l’Italia. L’anno che ci aspetta potrebbe, per la maggior parte degli italiani, assomigliare agli ultimi dodici mesi. Il tasso di disoccupazione, dovrebbe cominciare a scendere a metà o forse alla fine del 2015, ma lo farà in modo talmente soffice che non si noterà. Contro questo scenario di Purgatorio prolungato, la questione che mi ha sempre spaventato di più è per quanto tempo e in quali condizioni il tessuto sociale italiano possa reggere, dopo anni di scoraggiamento e rassegnazione. Spero che il welfare rappresentato da famiglie estese e altri ammortizzatori sociali possa funzionare bene nel 2015.

Quello che ci attende sarà quindi un altro anno non facile. Ma il 2016 potrebbe essere meglio. Se l’Italia riesce a ritrovare un po’ di domanda interna nel 2015, e se il governo riuscirà ad attivare senza compromessi tutte le riforme messe sul tavolo, allora ci potrebbero essere delle speranze per il 2016. Ma quest’anno, il 2015, sarà ancora un anno di Purgatorio.

2 gennaio 2015 | 15:37
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DA - http://www.corriere.it/opinioni/15_gennaio_02/quello-che-frena-lumaca-europea-d5279a9e-9265-11e4-aaf8-f7f9176948ef.shtml
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