Squinzi attacca il premier: "Se non cambia passo, meglio il voto".
Letta colpito dall'affondo di Confindustria
Ettore Maria Colombo, l'huffington | Pubblicato: 02/02/2014 22:09 CET | Aggiornato: 02/02/2014 22:24
“O si cambia il passo con cui opera il governo esistente o si va a votare”. Il presidente di Confindustria attacca e non è cosa da poco per un esecutivo come quello Letta che ha fatto della pax con le parti sociali uno dei pilastri della sua ragion d'essere: luna di miele a bassa intensità con gli imprenditori (in attesa vana del taglio al cuneo fiscale) e nessun vero colpo di piazza dei sindacati (che per ora alzano il tiro andando insieme a trasmissioni Rai prime time). Insomma, niente male per un governo che ti deve tirare fuori dalla crisi.
L'affondo di Squinzi fa ancora più male se si considera il timing: all'indomani delle procurate dimissioni “a furor di popolo” del presidente Inps Mastrapasqua e quasi a caldo rispetto alle parole di speranza del premier dagli Emirati: "Siamo fuori dalla crisi, venite a investire da noi". Insomma, una doccia fredda, che poteva essere appena intuita in mattinata leggendo lo stesso Romano Prodi, cui l’attuale premier è legatissimo, pungolarlo: serve “una sortita”, dice al Corriere della Sera, per "uscire dall’angolo". Insomma, alcuni dei cosiddetti ‘poteri forti’ (tra cui molti vertici di molte aziende con i loro presidenti e ad in scadenza), ‘giornaloni’ in testa, a criticare proprio ora che il Letta decisionista, il nuovo corso stava prendendo piede.
La reazione. Enrico Letta, per come è fatto di carattere e di modi, già è tanto che oggi abbia risposto direttamente, e in tempo reale, alle durissime critiche che ha avanzato a lui e all’operato del suo governo Giorgio Squinzi dagli schermi di ‘In mezz’ora’, su Rai Tre. Non è escluso, però – ragionano i suoi – che se Renzi non si decidesse a dare il suo definitivo “via libera” alla fase due del governo (rimpasto e programma già scritto nero su bianco, dagli uffici di palazzo Chigi, in ‘Impegno 2014’) potrebbe essere lo stesso Letta, violando la sua natura riservata e secchiona (di chi, cioè, preferisce far parlare ‘fatti’ e risultati), a produrre quel “colpo d’ala”, quella ‘sortita’ che lo invita a tentare Prodi. Magari proprio in occasione di quella Direzione del Pd già convocata per il 6 febbraio cui il premier ha deciso di partecipare e che dovrebbe, in teoria, occuparsi di un po’ di tutto, dal Jobs Act alle riforme istituzionali (titolo V e abolizione del Senato), nelle intenzioni di Renzi, ma che ove Letta dovesse accorgersi che non rappresenterà quel ‘turning point’ che serve per la definitiva ripartenza del governo, allora sì potrebbe tentare la sortita e invitare ‘tutti’ – partiti di maggioranza, Parlamento, istituzioni – a un definitivo hic Rhodus, hic salta. In soldoni: o sostenete davvero il governo e volete sul serio rilanciarne l’azione per il 2014 oppure tolgo l’incomodo.
“E’ bene che ognuno faccia il suo lavoro, e che Confindustria aiuta a far ripartire il Pil, ma sono convinto che i dati giusti sono quelli del Governo”, si è limitato a rispondere, invece, pur se chiaramente seccato, il premier ai giornalisti che gli chiedevano delle parole di Squinzi: “Il governo Letta ha fatto una giusta analisti dei problemi del Paese, ma è troppo timido nel dare soluzioni e spingere il Paese nella giusta direzione”. Peraltro, come detto, non ci sono solo le critiche di Squinzi e di Confindustria, ma pure quelle dei sindacati, e tutte rivolte sempre all’indirizzo di Letta (solo che quando parlano, ormai, i sindacati fanno sempre meno ‘notizia’): per Luigi Angeletti, segretario della Uil, “il governo non ha fatto quanto ha promesso”, Raffaele Bonanni (Cisl) chiede che si dia “una linea precisa”, per Susanna Camusso (Cgil) “al governo serve un salto di qualità”, etc.
Critiche, più che ‘ingenerose’, chiosa un lettiano di rango, che “non tengono presente che, in un Paese, non opera solo un governo, ma un intera classe dirigente ed ha le sue responsabilità e co-responsabilità, nella crisi. In ogni caso – aggiunge – se qualcuno ha delle soluzioni miracolistiche si faccia avanti, sono sempre ben accette…”, chiude, mettendo in luce da un lato la “fatica quotidiana del governare” e, dall’altro, la proverbiale riservatezza di Letta che, sul caso Eelectrolux, ha avocato a sé il dossier, intervenendo personalmente sulla multinazionale svedese, o che ha sul suo tavolo, oltre trecento dossier di crisi aziendali, “segno che sia Confindustria che i sindacati ricorrono sempre al governo – chiosa – e che gli associati di Squinzi sono i primi a volerlo”.
Il premier, dunque, non si fa intimidire. “Io ci credo, non demordo”, dice, parlando da Dhubai, spiega ai ricchi emiri dei Paesi del Golfo che “l’Italia ce la può fare a far ripartire l’economia”, che “abbiamo i conti in ordine” e che “il nostro piano di privatizzazioni è ambizioso”, “vogliamo tagliare il debito, ma anche attrarre investimenti perché questo è il momento giusto, i mercati sono pronti ed è la prima volta dopo anni che tagliamo le tasse”. Certo, Letta deve fare mostra di una buona dose di ottimismo: è andato negli Emirati arabi per ‘piazzare’ al meglio, tra le altre cose, la vendita di Alitalia alla compagnia araba Ethiad, per creare un ponte che attragga visite su Expo 2015 e crei sinergie fino a Dhubai 2020, per sponsorizzare la candidatura dell’Italia alle Olimpiadi e, ovvio, per attirare investimenti.
Solo che, appunto, gli ‘sceicchi’ chiedono stabilità, anche in prospettiva, e se serve l’ultimo via libera, quello del governo degli Emirati arabi per Alitalia (pratica che Letta ha avocato a sé), gli emiri vogliono anche rassicurazioni sulle prospettive politiche, oltre che economiche, dell’Italia. Letta la promette e, ai giornalisti che gli chiedono di Squinzi e Prodi, prova a ribattere mettendo avanti ‘i fatti’, la sua nuova strategia politica e di comunicazione per risalire nei consensi dell’opinione pubblica e per parlare al Paese: nuova governante sull’Inps, accordo Alitalia-Ethiad, piano di privatizzazioni (Poste, Sace e Fincantieri, per ora, ma è l’inizio) per 12 miliardi e che non si vedeva da 15 anni, fine di un tunnel, quello della crisi economica, che durava da cinque anni e ‘”dati giusti, quelli forniti da noi (un punto in più di Pil nel 2014, due nel 2015)”. Dati funzionali per poter parlare di ‘svolta’ e ‘ottimismo’ oltre che di ‘stabilità’.
Il guaio, ovviamente, è quanto Letta rientrerà in Italia. Francesco Russo, lettiano di prima fascia, lo sa e sa che di legge elettorale non si mangia: “Il Paese e il governo hanno i loro problemi, l’appeasement con Renzi per stendere una legge elettorale condivisa è stato fatto, bene, ora si va avanti, bisogna guardare oltre, il governo non può essere mantenuto a bagnomaria. Serve un secondo tempo dell’azione del governo, ma a palazzo Chigi sono belli che pronti. Quello che manca è la convinzione e l’appoggio dei partiti a partire dal Pd, nel sostenerne l’azione. I temi sul tappeto si sa quali sono, partiti e gruppi parlamentari devono aiutare con lealtà Letta ad affrontarli, creando una massa critica positiva e non distruttiva, tra emendamenti e miglioramenti, dal dl Destinazione Italia, all’esame della Camera, in giù”. Insomma, “i partiti devono dare una mano a Letta”, mette in guardia Russo che poi a Renzi e agli ‘osservatori’ più o meno interessati della partita spiega anche che “ormai è chiaro che a votare in via anticipata non ci si va, Berlusconi non vuole e il Colle tantomeno, chi ancora ci spera si illude, tanto vale che si mettano l’anima in pace: il governo del 2014 è questo, conviene aiutarlo e dargli una mano a fare quelle 2/3 riforme che servono”. Altrimenti, appunto, meglio tentare ‘una sortita’ che ‘tirare a campare’…
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