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Autore Discussione: ENRICO LETTA.  (Letto 17980 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Agosto 04, 2013, 08:53:55 am »

 Manifestazione Pdl, l'ultimatum di Enrico Letta a Silvio Berlusconi: "Niente ricatti a Napolitano"

Pubblicato: 03/08/2013 21:19 CEST  |  Aggiornato: 03/08/2013 21:19 CEST


“Si smetta di tirare in ballo il Quirinale in modo improprio e ricattatorio”. Per questo il premier ascolterà con “grande attenzione toni e contenuti dei discorsi che si terranno alla manifestazione del Pdl”. Altrimenti, Enrico Letta è pronto a trarne le conseguenze. Tanto che non è affatto escluso un incontro al Colle già domani. È un avvertimento pesante quello che il premier lascia trapelare all'Ansa al termine di una giornata drammatica, l’ennesima. È il segnale che c’è un “piano b” se non riesce il contenimento dell’escalation berlusconiana. Chi immagina una discesa in campo contro Renzi, mentre il Pdl trascina il paese ad elezioni anticipate sbaglia, spiegano i fedelissimi. È un governo “per la legge elettorale”, guidato dallo stesso, l’idea su cui il Quirinale avrebbe già allertato palazzo Chigi.

Ecco l’avvertimento. C’è qualcosa che va oltre l’irritazione per le parole incendiarie, ai limiti dell’eversivo di Sandro Bondi: la minaccia di una “guerra civile”, per non parlare della sfida aperta al Colle. Nelle parole di Letta c’è l’exit strategy: “Ha deciso di non farsi logorare – racconta un fedelissimo - e se Berlusconi continua a ricattare è Letta a staccare la spina per primo”. Una posizione nient’affatto tattica. Ma resa necessaria dall’escalation delle ultime ore. Con l’assurda richiesta della “grazia” per Berlusconi. E la minaccia di trascinare il paese in elezioni anticipate se non sarà trovato un modo per salvare Berlusconi.

Letta per tutta la giornata è stato in collegamento costante col Quirinale. È concordato l’avvertimento al Pdl. È concordato il passo successivo.
Ed è in un clima di crisi strisciante che il premier informa anche Epifani e soprattutto Angelino Alfano: se Berlusconi – è il suo messaggio - gioca sulla pelle dell’esecutivo è chiaro che il Pd non regge, e che io non mi faccio logorare. Stavolta Berlusconi ha passato il segno. Per tutta la giornata Angelino prova, insieme a Gianni Letta, a raffreddare gli animi, depotenziando il carattere “eversivo” della manifestazione che non a caso viene spostata da piazza Santi Apostoli – più vicina al Quirinale – a via del Plebiscito. Proprio per evitare l’Incidente alla fine si è deciso che i ministri non andranno. È il segnale che le colombe del Pdl sono riuscite a “frenare”.

Ma c’è un motivo se Letta fa sapere la sua posizione quando è chiaro che alla manifestazione non ci saranno i ministri. Il problema è che, vista da palazzo Chigi, non si capisce cosa davvero voglia fare Berlusconi, e se ha puntato sull’escalation. Né le reazioni di Santanchè, ma anche Cicchitto e Brunetta sono all’insegna della tregua.

Ecco la linea, superata la quale, è crisi di governo. Il Quirinale fa sapere al quartier generale berlusconiano che non c’è fretta per l’incontro con i capigruppo del Pdl.
Anche perché non è arrivata la richiesta di un incontro “politico”. Semmai è arrivato un nervoso ricatto.
E Letta fa sapere che “è pronto” a staccare la spina per primo. Con tutte le conseguenze. Non è un caso che il premier abbia deciso, per la prima volta, di entrare con decisione nel confronto politico da cui è sempre rimasto fuori: “Come quando Grillo parlò di colpo di Stato – dicono a palazzo Chigi – c’è un limite che non si può superare. Attaccare Napolitano significa tradire le ragioni stesse della nascita del governo”.
 
Lo sa bene Gianni Letta, che ha quasi perso la sua proverbiale calma spiegando al Cavaliere che la posizione di Verdini e Santanchè è folle, perché non ci sono garanzie che si voti, e può nascere un governo che può far male davvero, proprio nel momento più difficile, tra domiciliari e servizi sociali: “Mattarellum e conflitto di interessi, i numeri li trovano”.

Anche Letta (Gianni) ha parlato per tutta la giornata del “piano b” di Napolitano. Che a quel punto, e solo a quel punto, potrebbe dimettersi.
Non prima.

da - http://www.huffingtonpost.it/2013/08/03/enrico-letta-pdl-napolitano_n_3701350.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #16 inserito:: Agosto 05, 2013, 08:24:48 am »

Politica
04/08/2013

Il governo Letta compie 100 giorni
Il sondaggio: consenso in crescita

Napolitano il leader più apprezzato

I dati di Piepoli per La Stampa: se si tornasse alle urne pareggio tra centrodestra e centrosinistra.

I Cinque Stelle hanno perso 7 punti.

Uno su due promuovono l’esecutivo


Berlusconi al 18%, Renzi cala al 40%

Marco Bresolin


A 100 giorni dal suo insediamento, quasi un italiano su due ha fiducia nel governo Letta e nel suo presidente. E, se si dovesse tornare al voto ora, ci sarebbe un sostanziale pareggio tra centrodestra e centrosinistra, con l’ipotetica coalizione formata da Pdl e Lega in vantaggio di un soffio. 

 

L’ESECUTIVO 

Il sondaggio realizzato dall’Istituto Piepoli per La Stampa (i risultati sono pubblicati sul quotidiano di oggi) fotografa infatti il giudizio dell’opinione pubblica sui primi 100 giorni del governo delle larghe intese, con un monitoraggio settimanale. Da un livello iniziale del 45% (il 29 aprile scorso), ora è al 48%. Il trend dice che il momento più basso è coinciso con il primo turno delle elezioni amministrative (39%), un calo che per il sondaggista Nicola Piepoli “è fisiologico, ma che non rappresenta un’inversione di tendenza, dato che subito è tornato a crescere”. L’apprezzamento per il governo è più alto tra gli elettori di centrodestra (64%) rispetto a quelli di centrosinistra (56%), segno che questi ultimi vivono questa esperienza come un “prezzo da pagare” per non essere riusciti a conquistare la maggioranza alle urne. Tra i provvedimenti più apprezzati c’è l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, seguito dagli interventi per rilanciare l’occupazione e dal rinvio di Imu sulla prima casa e dal rinvio dell’Iva. 

 

LA FIDUCIA NEI SINGOLI 

Giorgio Napolitano è il “leader” più apprezzato dagli italiani. Il suo tasso di fiducia è dell’82%, ai massimi dall’inizio del suo secondo mandato (il 29 aprile scorso era al 75%). Stabile al 18% Silvio Berlusconi (che negli ultimi tre mesi ha oscillato tra il 18 e il 20%), anche se va tenuto conto che il sondaggio è stato realizzato il 29 luglio scorso e quindi non rileva l’eventuale effetto della condanna definitiva per frode fiscale. Molto più alto il gradimento per Matteo Renzi (39%), ma va detto che la popolarità guadagnata nei mesi scorsi sembra segnare una battuta d’arresto: soltanto il 1° luglio scorso, infatti, era al 43%, il 13 maggio addirittura al 46%. Il trend registra un netto calo. Non ha avuto grandi scossoni la fiducia in Beppe Grillo (ora al 17%), che aveva segnato il suo picco in positivo il 6 maggio (21%).

 

LE INTENZIONI DI VOTO 

E se si tornasse a votare oggi? Difficile fare previsioni certe, anche perché non è ancora chiaro con che assetto si presenteranno alle urne le rispettive forze politiche, né con quali leader. Secondo il sondaggio Piepoli, al primo posto ci sarebbe la coalizione di centrodestra, salita 34% rispetto al 29,18% di febbraio. Un’ascesa legata principalmente al Pdl, che ha guadagnato 4 punti percentuali. Sono infatti stabili gli alleati, Lega inclusa (ferma al 4%). Anche l’intera coalizione del centrosinistra è salita di quattro punti: oggi il Pd è al 27,5% (+1,6%) e Sel al 5% (+1,8%), che sommati ai partiti minori porterebbero l’intero schieramento al 33,5%. Ma da dove arrivano i voti “virtualmente” riconquistati da centrodestra e centrosinistra? Il contribuente maggiore è senza dubbio il Movimento Cinque Stelle, che ha lasciato sul campo circa un 7% di elettori (è sceso al 18,5%). Ma anche il centro ha subito un’ulteriore riduzione rispetto al già scarso risultato di febbraio: l’intera coalizione è passata dal 10% all’8%, con Scelta Civica che ha perso più di tre punti (è al 5%) e non è riuscita a compensare il leggero aumento dell’Udc (da 1,78% al 3%). 

da - http://lastampa.it/2013/08/04/italia/politica/il-governo-letta-compie-giorni-il-sondaggio-consenso-in-crescita-napolitano-il-leader-pi-apprezzato-N6hFomKGIuQLeAoLolqEVM/pagina.html
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« Risposta #17 inserito:: Agosto 07, 2013, 05:21:43 pm »

Letta: gli italiani capiscono che non c'è alternativa alla stabilità, non abbiamo la presunzione di durare per sempre

6 agosto 2013

Letta: gli italiani capiscono, non c'è alternativa alla stabilità - I 100 giorni

Il governo Letta tira le somme dei primi 100 giorni di attività dell'esecutivo di larghe intese. E lo fa a pochi giorni dalla sentenza della Cassazione nel processo sui diritti tv Mediaset, con un documento pubblicato sul sito della presidenza del Consiglio.

Lo scontro nella politica sembra farsi incandescente
«Davanti a noi, da oggi, la responsabilità di andare avanti con ancora più determinazione a fare bene - spiega il premier Enrico Letta in un messaggio di accompagnamento al report -. A trovare con cura le risposte che il capo dello Stato e il Parlamento ci hanno incaricato di dare al Paese e che il Paese pretende da noi. A concentrarci sempre di più sulle politiche proprio quando lo scontro nella politica sembra farsi incandescente».

Vent'anni di confronto lasciano ferite
«Che non sarebbe stato facile - continua Letta - lo sapevamo fin dal principio. Vent'anni di confronto durissimo e muscolare lasciano segni e ferite. Eppure, i provvedimenti del governo che trovate qui raccontati e il lavoro paziente e incisivo delle Camere nell'approvarli e migliorarli dimostrano che è possibile lavorare per l'Italia pensando al futuro».

Mettere da parte contrapposizioni
Il governo, spiega Letta, non si lascia «spaventare dall'ossessione del consenso immediato, dalla consultazione compulsiva delle rispettive dichiarazioni, dal rischio che il proprio elettorato - o la propria base - non capisca il senso delle larghe intese».

Non abbiamo la presunzione di durare per sempre
Il presidente del consiglio è convinto che gli italiani «capiscono - ne sono certo - che questa esperienza, e chi la rappresenta, non ha la presunzione di durare per sempre o di ergersi a modello». «Ha - osserva il premier - l'ambizione e il dovere, quelli sì, di servire il Paese contribuendo a rizollare un campo da gioco altrimenti impraticabile, di rispondere alla crisi con tanti atti concreti, tangibili e di buon senso, di dimostrare all'Europa e al mondo che ce la possiamo fare».

Siamo a un passo dall'uscita dalla crisi
«I segnali ci sono tutti e indicano che siamo a un passo dal possibile - sottolinea il presidente del Consiglio -. A un passo, cioé, dall'inversione di rotta e dall'uscita dalla crisi più drammatica e buia che le attuali generazioni abbiano mai vissuto».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-08-06/letta-italiani-capiscono-alternativa-155945.shtml?uuid=Ab1QvqKI
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« Risposta #18 inserito:: Agosto 19, 2013, 07:36:04 pm »

 Enrico Letta al Meeting di Rimini: un cambio di passo per puntare alla leadership del centrosinistra


Huffigtonpost  |  Di Pietro Salvatori Pubblicato: 18/08/2013 20:10 CEST  |  Aggiornato: 18/08/2013 21:30 CEST


"Un cambio di passo".

Mentre l’Auditorium del Meeting di Rimini si svuota, i commenti più ricorrenti che si sentono fare nei conciliaboli ci chi occupava prime file vanno tutti in questa direzione.

Parla di “presenza entusiasta nei nostri padiglioni” Emilia Guarnieri, presidente della kermesse di Comunione e liberazione. Parla di “un rapporto dalle radici profonde”, Giorgio Vittadini, che lo stima al punto tale da assurgerlo a punto di riferimento anche al di fuori del mondo della politica.

Il discorso di Enrico Letta, che ha preso il testimone di Mario Monti quale ospite d’onore della manifestazione riminese, segnala un salto qualitativo nella narrazione che il presidente stesso fa del suo lavoro e della sua persona. Entusiasta Matteo Colaninno, responsabile economico del Partito democratico, che mentre manda un sms di congratulazioni al premier commenta: “Condivido parola per parola, da oggi si può ripartire con nuovo slancio". Ma, quasi paradossalmente, la sintesi la fa Dario Nardella, deputato renziano: “Finalmente Enrico ha abbandonato la politica del day-by-day e ha iniziato a impostare il proprio lavoro in un’ottica di ampio respiro”.

Letta ha preso la parola citando la prolusione di Giorgio Napolitano, intervenuto due anni prima sullo stesso palco: “Quello fu un momento storico, segnò il cambio di passo nell’uscita del nostro paese dalla crisi”. Prodromi di un discorso in cui c’è stato spazio per la citazione del Salmo ottavo (“Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell'uomo perché te ne curi?”), per Paolo VI, per richiami al valore dell’identità, umana e partitica, per l’istruzione e l’occupazione giovanile, per il fallimento del funzionamento dei meccanismi politici e istituzionali.

Ma, soprattutto, per un lungo passaggio nel quale “l’incontro” è stato contrapposto allo “scontro” quale bussola da seguire nel percorrere la strada che porta “al bene del nostro paese e all’uscita della crisi”.

Un discorso che ha volutamente volato alto, che ha puntato a trascinare la sua figura di grigio burocrate “del fare” (quale è sempre stato accreditato anche nel partito) su un piano più alto: quello della narrazione di una visione del mondo, della costruzione di una leadership a tutto tondo. Lo sintetizza in un tweet Francesco Accardo, giornalista del Tg3:

Se non è un modo per iniziare a posizionarsi in vista delle future sfide interne del Pd, poco ci manca. Il messaggio è chiaro. Da un lato l’altisonante difesa delle larghe intese: "Dobbiamo far vincere la forza fecondatrice dell'incontro. L'incontro vince sempre sul conflitto, occorre vincere la logica dello scontro elettorale basato sulla paura che vinca l'altro o sulla propria superiorità morale", ha detto il premier. Tirando poi quella che in molti hanno letto come una stoccata a Matteo Renzi, che al governo “dell’amico Enrico” non ha mai guardato con molta simpatia: “L'incontro non vuol dire che le differenze scompaiono. Fa paura solo a chi è incerto della propria identità e dei propri valori".

Dall’altro la consapevolezza che la tutela del suo esecutivo non può essere perseguita a tutti i costi: “Gli italiani puniranno chi anteporrà interessi personali e di parte all'uscita dalla crisi”. Parole destinate a Silvio Berlusconi, ma che celano la reale possibilità che si torni al voto a breve, nonostante “l’ottimismo” presidenziale. Pronunciate su un terreno che, dopo tanti anni, non sembrano insensibili all'esplorazione di una 'terza via' all'italiana, con la sempre più evidente ascesa di Giorgio Vittadini - la cui poca simpatia nei confronti del Cavaliere è tema noto - a influencer pirincipale dell'universo ciellino. È Roberto Formigoni, protagonista di una polemica di giornata con Martin Scholz, presidente della Cdo e molto vicino a Vittadini, a mettere i puntini sulle i : “Ottimo discorso. Un punto però è mancato, ed è una mancanza rilevante: la necessita di garantire l'agibilità politica al leader indiscusso della seconda forza di maggioranza”.

Per questo sembra iniziata la costruzione di una leadership: che serva a guidare il paese piuttosto che a prendere in mano le redini del centrosinistra lo si vedrà solo con il tempo.

da - http://www.huffingtonpost.it/2013/08/18/letta-meeting-rimini-cambio-passo-puntare-leadership_n_3776701.html?utm_hp_ref=italy
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« Risposta #19 inserito:: Agosto 21, 2013, 07:26:06 pm »


Letta prende le distanze da mozione Boccia

"Non entro nelle vicende dei democratici"

Palazzo Chigi sopreso dal documento per il congresso dem a sostegno dell'esecutivo. Perplessità anche dai parlamentari renziani: "Le larghe intese sono un progetto stabile per il Pd?". Russo: "Non ci possono essere in questa fase documenti lettiani". Cautela dei veltroniani


Letta prende le distanze da mozione Boccia "Non entro nelle vicende dei democratici" Francesco Boccia
ROMA - Mette assieme più critiche che apprezzamenti in casa Pd la mozione di Francesco Boccia "per una sinistra riformista", almeno a giudicare dalle prime reazioni. Il più sorpresso dal documento congressuale di sostegno all'esecutivo è lo stesso Enrico Letta, di cui trapela la sorpresa per l'iniziativa. Il premier Enrico letta non è entrato e non entra nel confronto congressuale interno al Pd, - si sottolinea in ambienti di Palazzo Chigi - non sollecita e non sostiene piattaforme e posizioni programmatiche.

Pensiero che il premier avrebbe espresso così a chi lo ha avuto modo di sentirlo:  "La necessità di interpretare con massimo equilibrio la funzione di presidente del Consiglio di questa maggioranza mi ha spinto fin dall'inizio a non entrare in vicende interne alle forze politiche che sostengono il governo. E questo vale a maggior ragione per il mio partito e il suo congresso".

Sarebbero rimasti spiazzati anche gli esponenti lettiani a livello locale, che infatti non avrebbero firmato la mozione. A esprimere il dissenso è il senatore Francesco Russo: "Non ci possono e non ci potranno essere in questa fase del dibattito congressuale documenti 'lettiani' - afferma Russo -, ispirati direttamente o indirettamente dal Presidente del Consiglio o da quelli che sono, attualmente, i suoi più diretti collaboratori". Parole che pesano perché pronunciate dal segretario generale dell'Associazione TrecentoSessanta, il think thank creato dal presidente del Consiglio. "L'amico Francesco Boccia sa che considero il suo documento un contributo utile al congresso del Pd, una traccia di lavoro che presenta spunti interessanti". Discorso diverso è definirlo espressamente "lettiano", perché "non serve al PD, non rappresenta lo spirito, ribadito anche ieri a Rimini, con cui sta lavorando Letta, non gioverebbe all'azione di governo cui il Paese sembra guardare con crescente fiducia".

Più prevedibile il malumore dei parlamentari vicini a Matteo Renzi che vedono nel documento congressuale di sostegno al governo un congelamento della convivenza Pd-Pdl, a danno del sindaco di Firenze. Perplessità espresse  su Twitter, da Angelo Rughetti: "Non capisco il senso della proposta Boccia - scrive il deputato - a meno che non si pensi che le larghe intese debbano diventare un progetto stabile per il Pd". Gli fa eco il senatore Andrea Marcucci: "Mentre il Pd discute di mozioni di sostegno al governo, Forza Italia si prepara alla campagna elettorale - rileva Marcucci -. Paradossale che il dibattito interno dei democratici ruoti intorno ad un documento di sostegno al governo - dice il parlamentare- quando nelle stesse ore il Pdl è impegnato a picconare l'esecutivo. Toni più sfumati dal deputato Dario Nardella che giudica la mozione "un contributo concreto e utile" a patto però che non sia "legata ad una candidatura bensì come proposta politica e programmatica generale". L'accento è sui punti di contatto con il sindaco di Firenze. "Ritengo sia coerente con le idee di rinnovamento avanzate a sinistra da Renzi in questi anni - sottolinea Nardella -e dimostrerebbe quanto si stia effettivamente allargando il fronte di consenso nel partito verso una sua leadership".

Cauto anche il senatore veltroniano Giorgio Tonini. "Vorrei capirci di più - ha dichiarato il Tonini - le informazioni che abbiamo sono scarse e non vorrei esprimere un giudizio affrettato. Parliamo dunque di quello che è emerso: è condivisibile il principio che i successi del governo Letta sono i successi del Pd e che, allo stesso tempo, gli eventuali insuccessi si dividono al 50%. Siamo d'accordo. Tuttavia ritengo un po' deboluccia una mozione che parla solo del governo".

DA - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/19/news/pd_la_mozione_di_boccia_scontenta_tutti_renziani_scontenti_russo_letta_non_c_entra-64987111/
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« Risposta #20 inserito:: Agosto 25, 2013, 05:00:37 pm »

politica
25/08/2013

Letta fa la voce dura, ma i suoi lavorano a un rinvio del voto

Carlo Bertini
Roma

«Io resto fiducioso che una soluzione si possa trovare, ma casomai solo sotto il profilo giuridico e solo nell’ambito dei lavori della Giunta del Senato: i piani devono restare ben distinti perché non a caso in quell’organismo non è previsto neanche un posto a sedere per i rappresentanti del governo». Non si perde d’animo Enrico Letta e nelle conversazioni serali con i suoi interlocutori si mostra ancora convinto che un sentiero sottile per non far saltare tutto esista. 

 

«Un tracollo del sistema ora sarebbe un disastro per l’italia, e l’unica bussola di riferimento resta l’azione di governo», ripete il premier che sul punto però si muove nel solco del suo partito, «ci sono delle leggi e ad esse tutti devono attenersi», è il concetto consegnato ad un giornale austriaco prima del vertice di Arcore. Concetto che non muta certo con il passar delle ore, così come non muta la convinzione che una soluzione al caso Berlusconi non la debba trovare certo il governo. Insomma, il premier resta convinto che una via d’uscita si possa trovare ma che non possa essere barattata con la sopravvivenza dell’esecutivo, così come il suo ottimismo fa perno sul calcolo che se il Pdl facesse cadere questo governo pagherebbe un prezzo salatissimo alle urne.

 

E mentre nel Pd più d’uno ritiene che il voto su Berlusconi slitterà ad ottobre e che quindi almeno un rinvio sarebbe possibile, a lanciare un appello ad abbassare i toni e a seguire piuttosto quel sentiero pur sottile sono proprio i lettiani della prima ora come Francesco Sanna: già componente della stessa Giunta per le elezioni nella scorsa legislatura, Sanna lamenta «questo atteggiamento del Pdl che mette in difficoltà anche i più dialoganti tra noi». Insomma, ultimatum e accelerazioni non giovano, anzi con il muro contro muro si va a sbattere. «Facciamo lavorare le istituzioni che debbono occuparsi di casi come questi. Se si evoca anche un intervento della Consulta, il presupposto dovrebbe essere quello di far lavorare la Giunta del Senato come un giudice autonomo, nella riservatezza e autonomia necessaria, senza tirare i suoi componenti per la giacca, ma presentando le proprie motivazioni». Tradotto, più dal Pdl picchiano sul versante politico e più qualsiasi legittimo argomento sul versante della giuridico della Giunta risulta indebolito.

 

Tanto più che ormai «il Pd non arretra di un milimetro», come dice Gianni Cuperlo. «Si conferma che il Pdl non riesce a separare i suoi destini da quelli del suo capo», taglia corto Bersani. «Siamo irremovibili, sul governo nessun ricatto, c’è una sentenza e va rispettata», è la linea riportata ai tiggì da Andrea Martella; ma quando dalle parti di Epifani si sente ripetere che «c’è grande comprensione per il loro travaglio interno, ma non per questo possiamo evitare di applicare le sentenze» significa che il grosso del partito è disposto a concedere qualche settimana in più all’esame del caso in Giunta, ma niente più. Anche perché le guarnigioni già si preparano alla battaglia. «Berlusconi sa che chi fa cadere il governo si assume una responsabilità terribile, la cosa che preoccupa è lo schiaccianoci D’alema-Renzi, che per motivi diversi lavorano per far saltare questo governo», dice Beppe Fioroni.

da - http://lastampa.it/2013/08/25/italia/politica/letta-fa-la-voce-dura-ma-i-suoi-lavorano-a-un-rinvio-del-voto-GEgDc6LMiAGKyocrilZzEJ/pagina.html
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« Risposta #21 inserito:: Agosto 29, 2013, 04:27:49 pm »


Letta: "Dopo oggi governo non ha scadenza"

Imu, "Decreto varato è una vittoria per tutti"


Il premier annuncia la cancellazione dell'Imu per il 2013. Nel 2014 prevista una nuova service tax. Rifinanziata la Cig senza "modificare il saldo dei conti pubblici". Soddisfazione bipartisan: esulta il leader del Pdl. Il segratario del Pd Epifani parla di scelte "equilibrate e corrette". E Letta dice: "Il governo non ha più scadenza". Anci: "Accolte nostre richieste". L'ex premier Monti attacca invece l'esecutivo e i democratici: "Si sono arresi alle pressioni dei pidiellini". Cgil: "Fondi esigui, coprono solo emergenza"
 

ROMA - L'Imu abolita, la nascita della Service Tax nel 2014, il rifinanziamento della Cig senza nuove tasse. Il premier Enrico Letta mette l'accento sulle coperture trovate in questa prima fase e sul "confronto", sulla "coesione" e sul "gioco di squadra" nella maggioranza per trovare un accordo sulla spinosa questione dell'imposta sulla casa e sulla "necessità di un cambiamento radicale". Un clima di pace ritrovata, almeno apparente, che sembra allontanare i venti di crisi: quanto durerà il governo dopo l'accordo sull'Imu? "Il governo non ha più scadenza", risponde il premier. Il decreto varato "è una vittoria e spero che la giornata di oggi possa far finire finalmente domande come questa..." ha aggiunto.

Letta ha spiegato che il decreto accompagnerà la legge di stabilità, il 15 ottobre, e in quel caso "saranno indicate le coperture della seconda rata dell'Imu perché alcune coperture si svilupperanno nelle prossime settimane". Sottolinea che ciò che si farà non prevede la modifica del "saldo dei conti pubblici e dunque il messaggio che diamo a Bruxelles è che facciamo questa operazione rimanendo sotto il 3%" del rapporto deficit/pil". La copertura arriverà da "una riduzione della spesa pubblica, da una tassazione sui giochi e le imprese che ruotano sul gioco" e dall'Iva derivante dal pagamento per 10 miliardi di debiti vantati dalle imprese nei confronti della P.A.

Il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni ha poi spiegato che nel decreto sono previste anche l'esenzione dal pagamento per le case invendute e la diminuzione dal 19% al 15% della cedolare secca sugli affitti a canone concordato. Le decisioni assunte oggi "dimostrano che il governo c'è è sa decidere sia sulle emergenze sociali sia sulle riforme di prospettiva", ha affermato il sottosegretario all'Economia, Pier Paolo Baretta.

E il leader del Pdl Silvio Berlusconi affida a una nota il suo pieno compiacimento: "Una "promessa realizzata", un "punto cardinale pratico e simbolico, del programma che abbiamo voluto come scelta qualificante negli accordi che hanno portato alla formazione del governo di larghe intese". Poi dalla paventata, più volte, crisi di governo si passa al ritrovato sostegno e al rilancio: "Il presidente Letta ha rispettato le intese con il Pdl. Gli effetti positivi vanno a beneficio di tutti i cittadini".

Esulta con un tweet Angelino Alfano: "Cdm: missione compiuta! Imu prima casa e agricoltura 2013 cancellata. Parola Imu scomparirà dal vocabolario del futuro". Il Consiglio dei ministri è ancora in corso quando il segretario del Pdl anticipa alcuni dei provvedimenti in discussione sull'imposta. E aggiunge: "Per finanziare la cancellazione dell'Imu non aumentano altre tasse: tagli alla spesa pubblica e altre scelte virtuose!", definendo il dl Imu "una legge tax free". Poi al termine del Cdm non nasconde la "soddisfazione" per la "bellissima notizia".

E il leader del Pdl Silvio Berlusconi affida a una nota il compiacimento: "Una "promessa realizzata", un "punto cardinale pratico e simbolico, del programma che abbiamo voluto come scelta qualificante negli accordi che hanno portato alla formazione del governo di larghe intese".

Grande soddisfazione condivisa dai capigruppo Pdl alla Camera e al Senato Renato Brunetta e Renato Schifani che parlano del "governo Letta-Alfano" che "fa sul serio" e di un "bel giorno".

Scelte, che la maggioranza rivendica in vario modo: "I più deboli al centro del decreto
legge varato oggi. Rifinanziata la cassa integrazione per evitare che migliaia di lavoratori restassero senza reddito e salvati dalla disperazione e dalla povertà oltre 6000 esodati da licenziamenti individuali. E poi superata l'Imu sulla prima casa con l'introduzione di una tassa finalmente davvero federale e affidata all'autonomia dei comuni", dichiara il ministro per i Rapporti con il Parlamento Dario Franceschini al termine del Cdm.

Di decisioni "equilibrate e corrette" parla il segretario del Pd Guglielmo Epifani, "Il governo ha tenuto conto delle situazioni più difficili. Una soluzione equilibrata dal punto di vista sociale e delle emergenze. Anche la scelta sull'Imu è corretta, soprattutto in vista della riforma e della trasformazione nel senso di un'imposta federale a partire dal prossimo anno", ha commentato Epifani.

"Il governo pur in una situazione non facile e grazie al lavoro di squadra ha raggiunto un risultato estremamente positivo e utile per la modernizzazione del Paese ponendo molta attenzione a famiglie, imprese, giovani al termine di un confronto molto serio e costruttivo" ha affermato il responsabile Economia del Pd Matteo Colaninno, rivendicando l'azione del Pd per ottenere questo risultato.

"Siamo lieti che il premier abbia confermato che il governo garantisce ai Comuni la copertura del gettito Imu 2013 prima casa. Così come apprezziamo che la service tax sia introdotta a partire dal 2014, potendo cosi disporre del tempo necessario al miglior decollo di questo nuovo tributo", commenta Piero Fassino, Presidente della Anci, secondo cui si tratta di questioni che l'associazione aveva "ripetutamente sollecitato e che il governo oggi ha accolto".

Nel coro di approvazione non entrano però alcune voci: quella della Cgil, che riconosce al Cdm "primi atti, sia pur utili e importanti, ma che lasciano irrisolti i temi della cassa integrazione e degli esodati. I fondi sono totalmente esigui, servono a coprire solo l'immediata emergenza". Non solo, il sindacato mette l'accento su altre priorità da affrontare: "Si ripropone il tema di una restituzione fiscale al mondo del lavoro e delle pensioni in modo forte. Per la Cgil a questo punto non ci potrà essere una legge di stabilità senza una risposta fiscale al lavoro e alle pensioni".

Ma se viene sciolto il nodo Imu "solo per il 2013 perché aumentare tasse che nessuno toglierà, come le accise o le tasse sulle seconda casa?", chiede il leader della Uil Luigi Angeletti e avverte che, se sarà poi necessaria una "rimodulazione nel 2014 la copertura non può che essere una tantum. Io temo invece che si vadano ad aumentare accise che poi resteranno, e mi sembra la soluzione peggiore possibile".

Di una decisione deludente parla il presidente di Rete Imprese Italia Ivan Malavasi: "Siamo delusi. Il governo non ha ritenuto di alleggerire l'Imu alle imprese. I capannoni, i laboratori, i negozi, le botteghe per quest'anno rimangono equiparati alle abitazioni di lusso e continueranno a pagare fino all'ultimo euro", afferma.

L' intesa raggiunta tra Pd e Pdl sulla riforma dell'Imu non piace però all'ex premier Mario Monti, che attacca la scelta del governo, definendola un "cedimento di Enrico Letta e del Ministro Saccomanni, di cui ho in grandissima stima, e del PD alle pressioni del PDL".

"L'Europa - ha detto il leader di Scelta Civica -  chiedeva da tempo che l'Italia introducesse una tassazione per la prima casa, non per un sadico gusto di far pagare di più ai cittadini ma per poter ridurre semmai la tassazione sul lavoro, stimolando la produttività. Il governo ha scelto una strada diversa, quella di arrendersi alla forte pressione del Pdl. Quindi si avrà, se ho capito bene, un successo politico del Pdl, un'apparente soddisfazione per i proprietari di case e tutti i cittadini finiranno a pagare tutto questo con piccoli aumenti a piccole tasse e l'aumento dei tassi d'interesse". Monti ha concluso affermando: "Tutto questo dà la sensazione, all'interno e all'esterno del Paese, che anche se c'è un governo, si accettano pressioni che non hanno molto senso dal punto di vista economico e civile".


da - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/28/news/letta_dopo_oggi_governo_non_ha_scadenza_imu_decreto_varato_una_vittoria_per_tutti-65452550/
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« Risposta #22 inserito:: Settembre 03, 2013, 09:58:09 am »

CRISI

Letta: «Bene l'intesa Confindustria-sindacati È segno che l'Italia può uscire dal caos»

Il presidente del consiglio, dalla Slovenia, commenta la firma del documento con le priorità per la legge di stabilità


L'intesa raggiunta nel pomeriggio tra Confindustria e sindacati «è il segno che questo Paese, se vuole discutere di cose concrete, può uscire dallo stato di caos permanente nel quale si trova da troppo tempo». Lo ha detto il premier, Enrico Letta, parlando con i giornalisti a margine del «Bled strategic forum», in Slovenia. «È sicuramente una buona notizia», ha commentato il presidente del consiglio: « che Confindustria e sindacati facciano passi avanti per una maggiore politica attiva sui temi del lavoro, dell'economia e sulle politiche industriali a me sembra sicuramente una buona notizia». Letta ha aggiunto, raccogliendo l'invito del presidente di Confindutria Giorgio Squinzi, che «il Governo sarà molto attento ad essere un interlocutore importante ».

IN VISTA DEL G20 - Ma Enrico Letta ha rilasciato dichiarazioni anche in vista del G20 di San Pietroburgo, i prossimi 5 e 6 settembre. Specialmente sulla Siria: «Noi esprimiamo comprensione per l'atteggiamento americano e francese perché crediamo che non si possa lasciare impunito l'uso delle armi chimiche». «Ci auguriamo - ha detto ancora il premier italiano - che la presidenza russa tenga conto del grande gesto di buona volontà che il presidente Obama ha compiuto in queste ore». Letta ha aggiunto che anche l'Europa «deve fare la sua parte affinché il G20 e San Pietroburgo rappresentino il luogo in cui si facciano passi avanti per una soluzione politica della questione siriana».

2 settembre 2013 | 19:09
© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/politica/13_settembre_02/letta-dalla-slovenia_b3baca0a-13ec-11e3-b6d8-d9e68bde9db1.shtml
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« Risposta #23 inserito:: Settembre 08, 2013, 04:13:10 pm »

Cernobbio

Letta alla business community: «L'instabilità ha costi drammatici»

L'intervento del premier al Forum Ambrosetti. «Sono determinato a non galleggiare»


«Di fronte al terremoto le risposte tradizionali non bastano, sono venuto a dire questo. Siamo qui per una svolta». Così il premier Enrico Letta al forum Ambrosetti. «Se siamo qui per la svolta, dobbiamo avere chiaro che stabilità e instabilità sono come il sole e la luna. L'instabilità costa.Ha costi drammatici per voi imprenditori. La stabilità paga. Non è un inno astratto. E qualcosa nell'interesse dei cittadini», ha detto il presidente del Consiglio alla business comunity. «Quello che voglio è un cambiamento generazionale e una svolta sul genere. Siamo quasi tutti uomini qui dentro, è insopportabile».

Letta ha corretto il tiro sulla rappresentanza rispetto al ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, che proprio da Cernobbio in mattinata aveva criticato il patto di Genova tra imprese e sindacati. «Un accordo importante che va nella giusta direzione e noi lo sosterremo», ha affermato il capo del governo. Letta ha confermato ancora una volta la determinazione «a non galleggiare» e a portare avanti il governo, una "missione" che gli sta certo più a cuore dei giochi di partito. «Di fronte a un compito così improbo, impervio - ha detto - mi dedico totalmente a questa missione, che è già un'impresa. Figurare se uno si deve dedicare ad altre cose come il proprio futuro politico o a un partito».

8 settembre 2013 | 15:21
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Paola Pica

da - http://www.corriere.it/economia/13_settembre_08/cernobbio-intervento-letta_b445b352-1876-11e3-9feb-01ac3cd71006.shtml
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« Risposta #24 inserito:: Novembre 03, 2013, 06:35:32 pm »

Politica

01/11/2013 - intervista nell’ambito del progetto europa

Letta: “Combattere i populismi o distruggeranno l’Europa”

All’intervista con il presidente del Consiglio Enrico Letta hanno partecipato anche Andrea Bachstein (Süddeutsche Zeitung), Lizzy Davies (The Guardian), Philippe Ridet
(Le Monde), Pablo Ordaz (El País) e Tomasz Bielecki (Gazeta Wyborcza), con il direttore de La Stampa
Mario Calabresi. Foto Antonio Scattolon/A3/Contrasto per La Stampa
Focus  Il progetto Europa   
 
Il premier: “La Ue alzi la bandiera per il lavoro dei giovani e sia unita sull’immigrazione. La risposta italiana è eliminare il finanziamento ai partiti e cambiare legge elettorale”
Fabio Martini
Roma

Una chiamata alle armi politiche contro i tanti populismi che si aggirano per l’Europa. Il presidente del Consiglio Enrico Letta si rivolge alla opinione pubblica dei più grandi paesi della Ue attraverso una intervista concessa allo spagnolo «El Pais» , al polacco «Gazeta Wyborcza», al francese «Le Monde», al tedesco «Suddeutsche Zeitung», all’inglese «The Guardian» e a «La Stampa», invitando a scuotersi, ad abbandonare ogni «timidezza», perché se i movimenti euro-scettici dovessero ottenere un buon risultato alle elezioni Europee, l’Europarlamento ne uscirebbe «azzoppato». Menomato nella capacità di imprimere una svolta, di incidere nella vita quotidiana dei cittadini. Al tempo stesso Letta rassicura l’Europa, dicendo che è sicuro di andare avanti e affermando con più nettezza del solito che il traguardo del suo governo è il 2015, anno in cui si tornerà a votare, con una competizione tra centro-sinistra e centro-destra. E in Italia la politica potrà recuperare forza, soltanto se saprà auto-riformarsi, con le modifiche costituzionali e legislative ma anche con la capacità dei partiti di «ringiovanire» le proprie leadership. 

Nel suo studio di palazzo Chigi, Enrico Letta accoglie i giornalisti con un incipit scherzoso: «Su Berlusconi non vi dirò nulla, perché altrimenti titolate tutti su di lui!». Ma poi entra subito sulla questione che più gli sta a cuore: «Voglio cogliere questa occasione per lanciare un messaggio all’opinione pubblica europea: c’è una grande sottovalutazione del rischio di ritrovarsi nel prossimo maggio il più anti-europeo Parlamento europeo della storia, con una crescita di tutti i partiti e movimenti euro-scettici e populisti, in alcuni grandi Paesi e anche in altri più piccoli. E con un effetto molto pericoloso sul Parlamento europeo. Nella prossima legislatura la scommessa di fondo è passare dalla austerità alla crescita, una scommessa che il Parlamento più euroscettico della storia rischia di azzoppare. Un rischio del quale nei diversi paesi europei si parla, ma timidamente. Urge una grande battaglia europeista: l’Europa dei popoli contro l’Europa dei populismi. Questa è la posta in gioco nei prossimi sei mesi. E quando dico europeismo, so bene che non basta dire “più Europa” per avere un’Europa migliore». 
 
 

 

Quale è la soglia oltre la quale i populisti europei diventano protagonisti e, per lei, pericolosi? 

«Se i populisti in Europa superassero una percentuale del 25 per cento questo sarebbe molto preoccupante. Tutte le elezioni europee, dal 1979 fino ad oggi, sono state vissute come appuntamenti nei quali ogni Paese guardava il “suo” risultato , senza mai uno sguardo d’assieme. Stavolta sarà diverso e questo paradossalmente è la dimostrazione del successo del progetto europeo. Anch’io andrò a vedere il risultato del partito di Alternative in Germania».

In Italia è possibile che il Cinque Stelle risulti il primo partito alle Europee? 

«Questo rischio è molto forte. Le elezioni europee rappresentano il terreno migliore sul quale il Movimento Cinque stelle può esprimere il suo populismo. Non possiamo limitarci ad essere timidi con Grillo, o soltanto placcarlo».

Berlusconi va messo nel campo dei populisti? 

«Be’, un po ’ sì...».

 Un po’? 

«Il Pdl, secondo me, è un mix. Berlusconi in questi anni ha tenuto insieme pulsioni populiste e altre più istituzionali e moderate. Ora, nella divisione tra falchi e colombe sarebbe interessante sapere cosa pensano le due anime sui temi dell’Europa».

In Italia il populismo ha avuto una lunga incubazione: Bossi è entrato in Parlamento nel 1987 e 23 anni dopo un elettore su tre ha votato “populista”, tra Cinque Stelle e Lega. Per essere più credibili nel contrastarli, non fareste bene a fare un’autocritica sugli errori e sulle tante non-scelte che hanno favorito questa escalation? 

«Certamente. Non voglio essere malinteso: quando parlo di populismi, mi riferisco alle politiche e ai suoi rappresentanti, ma so che tra gli otto milioni che hanno votato per il Movimento Cinque Stelle ci sono tantissimi elettori che prima avevano votato per il Pd o per le formazioni moderate del centrodestra. È vero, il giudizio sul populismo non può essere auto-assolutorio e io non dirò mai: noi siamo i buoni e loro i cattivi. Ma il 90 per cento del successo dei partiti populisti in Italia è dato da una politica che ha impiegato troppo tempo a rinnovarsi e a tagliare i propri costi. Una delle chiavi del risultato delle prossime Europee sta nella capacità di far diventare leggi entro quella data, l’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti e la riforma elettorale. Sono ottimista: il governo ha varato (e la Camera approvato) un testo che abolisce il finanziamento pubblico e lo sostituisce con un incentivo al contributo personale del cittadino».

Basta per ridare l’onore alla politica italiana? 

«No, serve anche un generale rinnovamento e ringiovanimento delle leadership dei partiti. Dobbiamo dimostrare che la politica in Italia è capace di auto-riformarsi e non serve la presa della Bastiglia».

I partiti anti- sistema hanno buon gioco nel dimostrare che le riforme istituzionali restano chiacchiere... 

«Questo è il motivo per il quale io insisto tanto sul fatto che noi dobbiamo cambiare le regole istituzionali e lo dico contro i conservatori di casa nostra. Da noi ci sono tanti conservatori che dicono che questo Parlamento è delegittimato e quindi non può cambiare la Costituzione. In Italia serve un sistema, nel quale quando si vota, il cittadino elegge un Parlamento e non due con gli stessi poteri, come è oggi e nel quale siano presenti molti meno parlamentari. Obiettivi - lo ribadisco - che si raggiungono solo cambiando la Costituzione e dunque facendo le riforme, come del resto ci sprona a fare il presidente della Repubblica, Napolitano. Penso che entro l’estate possiamo chiudere la partita, con la riduzione dei parlamentari, la fine del bicameralismo, una nuova legge elettorale».

La grande coalizione può diventare un modello? 

«In Italia noi stiamo vivendo un momento straordinario nel vero senso della parola. L’ordinarietà è il confronto centro-destra e centro-sinistra con regole e istituzioni che lo consentano. Io lavoro perché si cambino le regole e si torni nel 2015... quando sarà, nel 2015 si torni a un confronto elettorale nel quale i cittadini possano scegliere tra due opzioni e questa scelta porti poi alla espressione di un governo. Questo l’ho detto nel discorso con il quale ho preso il voto di fiducia alle Camere, l’ho ridetto anche il 2 ottobre, sono fermamente intenzionato e convinto di andare avanti su questa strada. Anche perché i risultati si cominciano a vedere. Nel 2014 l’Italia sarà uno dei Paesi più virtuosi d’Europa: centreremo contemporaneamente cinque obiettivi. Per la prima volta, dopo 5 anni, il debito generale scenderà. Avremo il deficit di nuovo sotto il 3% per il secondo anno di fila. Avremo per la prima volta la spesa pubblica primaria che scende. Si fermerà la crescita delle tasse, avviando il calo. Avremo il segno più sulla crescita e speriamo di fermare l’aumento della disoccupazione. Un incubo, come confermano i dati di ieri. È la battaglia cui voglio dedicare il massimo della determinazione».

Dunque, lei oggi è più sicuro di restare fino al 2015? 

«Il primo ottobre, quando Alfano mi ha comunicato che i ministri del Pdl si dimettevano su richiesta di Berlusconi, io ho iniziato a fare gli scatoloni. Perché ho sempre pensato che in una situazione così complessa come quella italiana, non si può governare con un voto di maggioranza. Poi invece il Parlamento mi ha dato una fiducia larga e abbiamo vinto una battaglia molto complessa: dal 2 ottobre abbiamo maggiori forze e guardo al futuro con fiducia».

In mezzo ci sono le elezioni europee di maggio, per le quali lei chiama a raccolta gli europeisti di tutta Europa: concretamente come immagina questa battaglia? 

«La battaglia deve essere fatta a testa alta, rivendicando le ragioni di un europeismo del quale stiamo sottovalutando la portata positiva. La profonda crisi economica e finanziaria è dovuta, non all’Europa o alle sue colpe, ma semmai ad un deficit di Europa. Per dirne una: sono serviti 27 Vertici europei, dal 2008, prima di arrivare alla frase di Mario Draghi sul salvare l’euro «whatever it takes», una dichiarazione che ha cominciato a farci uscire dalla crisi. Poca Europa significa che non ci sono le istituzioni giuste. Chi è l’Europa? Chi ci rappresenta? La risposta è sempre balbettante e questo è il tema vincente di Grillo, Marine Le Pen, Farage, di tutti i populisti europei. Lo dico francamente: le istituzioni europee sono molto, troppo frammentate: il presidente del Consiglio, della Commissione, il presidente di turno del semestre, l’Eurogruppo, il rappresentate permanente. Quando ho parlato con Obama a Washington gli ho detto: è importante che tu venga a Bruxelles. Finora, in cinque anni, Obama non è mai venuto».

Cosa le ha risposto Obama? 

«Mi ha detto che verrà, ma il fatto che non sia mai venuto, mi dà l’idea che pure nella percezione americana, c’è una difficoltà nell’interpretare Bruxelles come luogo della rappresentanza europea. Provate a fare un sondaggio tra i cittadini europei con questa domanda: dimmi chi è il capo dell’Europa? Sarebbe interessante scoprire quanti rispondono Merkel, quanti Barroso. quanti Van Rompuy....».

Gli americani dicono da sempre che, se si vuole parlare con l’Europa, non c’è un numero di telefono... 

«Certo, è il tema che ha sempre posto Henry Kissinger. Paradossalmente - e lo dico alla luce di quel che ho visto in sei mesi - io sono un grande tifoso di Van Rompuy e di Barroso, due personalità che stanno facendo bene, che hanno dimostrato una grande conoscenza delle istituzioni europee. Il problema non è legato alle singole personalità. Ad esempio, i 18 Paesi dell’Euro - a gennaio entrerà anche la Lettonia - non hanno “proprie” istituzioni e così finiscono per scaricare sulla Bce, l’unica istituzione forte a 18, responsabilità e pesi che dovrebbero essere delle politiche economiche. Avremmo bisogno di un ministro permanente dell’Economia dei 18, di politiche economiche a 18, di un bilancio, di un’istituzione che ci unifichi. Tutto ciò premesso l’Europa è una storia di successo. A me colpisce che nessuno rilevi con forza che l’Unione, per la prima volta, è presieduta in questo semestre da un Paese, la Lituania, che 23 anni fa faceva parte dell’Unione sovietica. Una straordinaria storia di successo che stiamo rovinando con una timidezza nella battaglia politica».

 

Ma per l’autoriforma dell’Europa servono decenni mentre le elezioni europee sono fra pochi mesi: come se ne esce? 

«Sarà essenziale alzare la bandiera dell’Europa che lotta contro la disoccupazione, lanciando nei prossimi Consigli un grande Progetto giovani: questo parlerebbe a tutto il continente. E ancora: il Consiglio europeo di febbraio si occuperà di politiche economiche legate all’industria. In quella occasione potremo dare un messaggio burocratico, oppure dopo un “girone di andata” nel quale per 10 anni si era teorizzato che esistevano soltanto finanza e servizi, iniziare un virtuoso “girone di ritorno” per reindustrializzare, internazionalizzando le imprese: un’azienda va in Cina perché le interessa quel mercato e non per riportare i prodotti uguali in tutto e per tutto come li ha fatti lì».

L’Europa non continua ad essere affetta da lentocrazia? 

«Mettiamola così. Se fossi dittatore europeo per mezzora, farei due editti. Col primo proporrei una cosa che sarebbe immediatamente comprensibile e condivisa dall’opinione pubblica, l’unificazione del presidente della commissione e del presidente del consiglio europeo in un’unica figura, una modifica che si può fare senza cambiare i trattati. Basterebbe nominare la stessa persona. Una unione personale, diciamo così delle due funzioni. So benissimo che dal punto di vista della perfezione giuridica bruxellese, dico una specie di bestemmia perché il presidente del consiglio svolge un ruolo di gestione, mentre il presidente della commissione ha un altro ruolo. Tra l’altro un ruolo che Barroso - come ho visto nell’ultimo consiglio europeo - sta svolgendo con un approccio europeista molto forte, che mi è molto piaciuto».

Col secondo editto cosa farebbe? 

«Abolirei tutti gli acronimi europei, una cosa che fa impazzire noi e voi, sono incomprensibili per tutti. Sono la bussola per la burocrazia di Bruxelles, con la quale tu invece ti perdi: Efs,Esm, Sixpack, twopack. Bisogna chiamare le cose col loro nome».

L’emigrazione clandestina e i migranti sono un ottimo propellente per i populisti... 

«Con una gestione malaccorta di questi temi si rischia di perdere le elezioni Europee. Non è un caso che Grillo, restio su tante questioni a seguire politiche classicamente di destra, su tale questione abbia completamente sconvolto la sua bussola, prendendo la posizione che è stata di Bossi, Fini e anche di Berlusconi. Spiazzando i suoi stessi elettori. Sapendo che, in un Paese solidale come l’Italia, la paura del diverso è ancora molto forte. Eppure, ora che sono trascorsi sei mesi dalla nascita del mio governo, resto molto fiero della decisione di aver scelto Cecile Kyenge come ministro dell’Integrazione, una decisione che presi in solitudine. La chiave è questa: o lo risolviamo tutti assieme in Europa, oppure questo problema non si risolve. Nell’ultimo Consiglio il tema è stato affrontato in maniera più consapevole».
Al termine del recente Consiglio europeo perché lei ha giudicato «sufficiente» la risposta dell’Ue? 

«Sufficiente non vuol dire ottimo, ma mi aspetto che si possa migliorare. Però ho già visto il Consiglio europeo diventare un po’ come un consiglio dei ministri di uno stato membro, dove se scoppia un problema all’improvviso, cambi l’ordine del giorno, lasciando perdere le altre questioni. Finalmente è accaduto anche a livello europeo. Nella decisione di Barroso di venire a Lampedusa e di mettere alcune risorse in più, ho visto una reale volontà di affrontare la questione. Ho detto sufficiente perché penso che dobbiamo fare di più sia a livello nazionale che a livello europeo. E anche con i paesi terzi noi dobbiamo avere un approccio molto più forte di quello tenuto in questi mesi». 

Quale sarà l’impatto di Datagate nei rapporti con gli Stati Uniti? 

«Noi ci aspettiamo che ci sia il massimo disclosure e son sicuro che ci sarà, dopo ciò che ho ascoltato dagli interlocutori americani con cui ho parlato, a cominciare dal segretario di stato Kerry. I chiarimenti arriveranno perché l’alleanza tra Stati Uniti ed Europa è fondamentale, deve assolutamente continuare».

È vero che su questo tema lei e Cameron avete litigato? 

«Questa storia è girata, ma non so come sia uscita e non è vera. Mentre eravamo a cena, entrambi ci siamo detti: ma ti risulta che abbiamo litigato?».

Da - http://lastampa.it/2013/11/01/italia/politica/letta-combattere-i-populismi-o-distruggeranno-leuropa-sPgGW767vq2R3IF1p57EeJ/pagina.html
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« Risposta #25 inserito:: Novembre 25, 2013, 04:22:04 pm »

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Italia-Ue: Letta, più lucciole che lanterne

di Giampiero Gramaglia | 23 novembre 2013

Viste da Roma, le elezioni europee del maggio 2014 non sono lontane sei mesi, ma anni luce. Né le avvicina la retorica europeistica del premier Enrico Letta, che viaggia sul doppio binario del voto e del semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dei Ministri dell’Ue. E l’attesa di segnali di ripresa ingigantisce il rischio di scambiare lucciole per lanterne, mentre la formula ripetuta ‘Europa dei popoli’ ha un accento più gollista che federalista.

Ieri, Letta s’è esibito sull’Europa a due riprese: con la FederCasse, al mattino; a Berlino, la sera; e ha sempre battuto sui tasti dei conti in ordine –“nel 2014, debito e deficit saranno per la prima volta in calo insieme da anni”-, sulla ripresa alle porte e sulla scelta della crescita.

Un mantra, quello della crescita, declinato in chiave europea (legislatura della crescita, aveva già affermato giovedì, dopo il Vertice a Roma con il presidente francese François Hollande, riferendosi alla prossima legislatura del Parlamento europeo) e in chiave nazionale: “Solo Italia e Germania riusciranno a restare sotto il 3% di deficit nel 2014…Dobbiamo uscire dalla crisi passo per passo…L’anno prossimo sarà il primo anno di crescita per l’Italia dal 2008, noi ci attendiamo l’1%, la Ue si attende lo 0,7%”.

Dati, e Letta lo sa bene, tutti da verificare: il deficit di bilancio sarà funzione della Legge di Stabilità e del rispetto delle previsioni di spesa e di introiti; e, per la crescita, l’Italia, per il momento, ha solo un lungo filotto di trimestri negativi e non è certo che l’ultimo del 2013 passi dal meno al più.

Parlando a una conferenza organizzata dalla Suddeutsche Zeitung, il premier ha collegato il tema della crescita all’esito delle elezioni europee: “Se mettiamo sul piatto solo più tasse e meno spese, Grillo avrà la maggioranza, supererà il 50%…Dobbiamo dire ai cittadini che dopo i sacrifici si raccoglieranno i frutti, altrimenti gli anti-europeisti andranno al 50%: succederà in Italia, ma anche in altri Paesi, basta guardare la Francia con Marie Le Pen…Dobbiamo combattere contro populisti e anti-europeisti, per dare un futuro al nostro continente, ai nostri figli “.

E Letta ha ricordato: “Se guardiamo al ranking del G8, tra dieci anni non ci sarà più nessun Paese Ue”, neppure la Germania: “Il G8 ci vedrà assenti: l’unico modo per essere influenti sarà di essere uniti “. Giusto. Ma, prima di tutto, bisogna decidere che cosa fare uniti. Con i tedeschi, il premier può scherzare sui difficili negoziati per la nuova coalizione (“Credevo di trovare un governo e, invece, a due mesi dal voto, si discute ancora”). Ma è più difficile convincerli che “l’Unione deve essere più solidale” e che “l’Italia ha fatto i compiti a casa” e non merita la diffidenza che la circonda.

Prima di andare a Berlino, Letta aveva scandito “No agli ayatollah del rigore“: “L’Italia ha le carte in regole” per dirlo e per puntare su politiche di crescita, perché “abbiamo i conti in ordine”.

Discorsi tra realismo e retorica. Bene Draghi, che, alla guida della Bce “ha calmato la crisi”; ma crescita e investimenti sono affare della Bei; e tornano gli eurobond, che non sono nel programma di governo, così come si delinea, della Germania. L’Unione bancaria va completata entro l’anno, però i Vertici europei sono “a volte suq incomprensibili” –e lì bisognerà decidere a dicembre-. E poi all’Ue “serve un leader eletto, come il presidente Usa”: sì, ma per fare che?, e con che poteri?

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/11/23/italia-ue-letta-piu-lucciole-che-lanterne/788497/
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« Risposta #26 inserito:: Maggio 26, 2014, 06:31:11 pm »

Editoriali
25/05/2014

Quella scelta di impegnarsi in politica
Enrico Letta

Era il 1976. La contrapposizione tra le due parti in cui si divideva il mondo di allora era all’apice. Altrettanto duro era il confronto in Italia polarizzato attorno alla Dc e al Pci. Due poli che avevano attratto attorno a sé tutta, o quasi, la società italiana. Lo schierarsi dall’una parte o dall’altra aveva coinvolto tutte le forze vive del Paese perché il rischio, o la speranza, a seconda dei punti di vista, del «sorpasso» non era mai stato così concreto, in particolare dopo l’avvento di tante «giunte rosse» nelle regioni e nei comuni.

Un uomo curioso e interessato alla cosa pubblica, ma non avvezzo alla politica, come Umberto Agnelli, decise di fare il passo e di dare il suo contributo. Lo fece innanzitutto schierandosi con la Dc e candidandosi al Senato. Insieme ad un nutrito gruppo di intellettuali e di uomini e donne esterni alla politica ma attivi nella società e nell’economia italiana. Considerando come, pur con tutti i suoi limiti, la Dc rappresentasse il punto di resistenza del sistema e l’essenziale ancoraggio occidentale dell’Italia. Scelta consapevole quindi e per lui non scontata dato che una proposta simile gli era giunta da Ugo La Malfa. Ma lo fece in particolare consapevole del fatto che la Dc, pilastro insostituibile, necessitasse allo stesso tempo di un forte e radicale cambiamento. 

Troppi erano i retaggi del passato, i clientelismi, troppo forte era la stretta delle correnti e delle loro gerarchie sempre meno basate su merito e competenze. Attorno al professore, e anche lui neo senatore, Nino Andreatta si raccolsero alcune di queste personalità esterne alla politica e decisero di dare un senso alla loro presenza in Parlamento e alla loro scelta di campo. Tra queste Umberto Agnelli giocò un ruolo di primo piano. Decisero soprattutto che non potevano limitarsi ad essere i fiori all’occhiello della Dc, come invece una parte consistente del sistema di potere democristiano voleva fare in modo che accadesse. Ma come potevano dare il loro contributo, come potevano lasciare una traccia in un partito dominato da una ferrea organizzazione correntizia? Avrebbero dovuto loro stessi costruire un’area politica interna alla Dc? Avrebbero dovuto organizzarsi in Parlamento sul modello di quanto la Sinistra Indipendente faceva a partire dall’elezione nelle liste del Pci? Tutti interrogativi complessi. In particolare per personalità di tal rilievo ma così poco abituate a misurarsi con i problemi dell’organizzazione politica. Decisero allora di scegliere la strada più innovativa e complicata, quindi anche più lungimirante. Fondarono un think tank sul modello anglosassone, una rarità assoluta per l’Italia, in particolare per l’Italia di quel tempo. Fondarono l’Arel, quell’agenzia di ricerche e legislazione oggi presieduta da Francesco Merloni, che ha formato tante generazioni di studiosi e uomini delle istituzioni e che continua a lavorare con la freschezza di allora proprio grazie all’originalità e alla lungimiranza dell’idea alla base dell’intuizione di uomini come Nino Andreatta e Umberto Agnelli. 

Un think tank indipendente, sobrio e subito autorevole, basato su tante piccole quote di finanziamenti privati in modo che nessun singolo soggetto ne potesse mai essere il proprietario o il padrone. Soprattutto un luogo di riflessione e di discussione fin da subito aperto al confronto con diverse culture e fortemente collegato con analoghi luoghi di riflessione politica ed economica in quell’ Europa e in quegli Stati Uniti che sono stati uno dei riferimenti essenziali dell’Arel fin dalla sua fondazione. La scelta europea e quella atlantica sono state infatti la base della stessa non facile decisione che portò Umberto Agnelli ad impegnarsi in politica e a vivere da senatore quella delicata fase della vita italiana. Lo fece tra l’altro, è bene ricordarlo oggi a dieci anni dalla sua scomparsa, con una dedizione e un rispetto delle regole non scritte sui conflitti d’interesse da rimarcare oggi come insegnamento di grande attualità soprattutto alla luce dei fatti che hanno caratterizzato la storia politica di questi ultimi decenni.

Sono molte e significative le tracce del contributo di Umberto Agnelli per l’Arel a testimonianza di un periodo breve ma senza dubbio produttivo e intenso. Agnelli si concentrò soprattutto sulle questioni economiche connesse ai legami tra l’Italia e la dimensione europea. Si occupò dei primi passi del percorso verso l’Unione Monetaria, lavorò sulle politiche della concorrenza e sul completamento del mercato interno in Europa. Spinse con grande forza insieme ad Andreatta perché l’Italia fosse in Europa all’avanguardia nella costruzione di una Unione sempre più stretta ed efficiente. Partiva dall’idea che il confronto con la crescente competitività dell’industria americana da una parte e di quella giapponese ed asiatica dall’altra avrebbe obbligato a precorrere le tappe dell’integrazione tra i mercati europei, unico modo per mantenere il Vecchio Continente in grado di guidare nella competizione globale e non relegarlo ad inseguire. Temi di incredibile attualità in questo decimo anniversario dalla scomparsa di Umberto Agnelli che cade mentre si aprono un’altra volta le urne per il Parlamento di Strasburgo. Si vota, in Italia come in tutta Europa con crescente stanchezza e insofferenza, quasi con l’idea che tutte le conquiste e le opportunità che vengono dall’Europa siano scontate e acquisite per sempre. E invece probabilmente per la prima volta non tra contrapposte culture politiche si svolge il confronto bensì a favore e contro l’idea stessa di integrazione tra i Paesi europei. 

Da - http://lastampa.it/2014/05/25/cultura/opinioni/editoriali/quella-scelta-di-impegnarsi-in-politica-OCysJZ3Eh8hSliuEvHHZHJ/pagina.html
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« Risposta #27 inserito:: Aprile 23, 2015, 11:26:53 am »


Dall'Italia
Letta boccia Renzi: «racconta un Paese che non c’è, è come metadone»

L'ex premier ospite di Gianni Minoli a Mix24 su Radio24 | agr - Corriere TV

22 aprile 2015


(Agr) « «Renzi racconta un Paese che non c’è? È una fase in cui la percezione delle cose vale più del reale, aiuta a star meglio? Io cerco di dare un contributo perché non sia un tempo in cui la percezione conta più della realtà. Non aiuta a stare meglio è metadone». Così l'ex premier Enrico Letta intervistato da Gianni Minoli a Mix24 su Radio24. Sulla legge elettorale dice: «Votarla? Bisogna vedere come sarà»

Così l'ex premier Enrico Letta intervistato da Gianni Minoli a Mix24 su Radio24.
Sulla legge elettorale dice: «Votarla? Bisogna vedere come sarà»

da - http://video.corriere.it/letta-boccia-renzi-racconta-paese-che-non-c-e-come-metadone/975789e2-e8fd-11e4-88e2-ee599686c70e

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« Risposta #28 inserito:: Marzo 19, 2016, 04:18:33 pm »

Enrico Letta: "Matteo Renzi dica la verità. Le difficoltà vanno spiegate, non coperte"

Ansa
Pubblicato: 19/03/2016 10:30 CET Aggiornato: 20 minuti fa

"Vedo che purtroppo l'economia europea e italiana si sono fermate... Serve una operazione verità. Le difficoltà vanno spiegate, non coperte". Questo il messaggio che l'ex presidente del Consiglio Enrico Letta invia all'attuale premier Matteo Renzi. In una lunga intervista rilasciata a il Corriere della Sera, Letta non cela la preoccupazione per i destini dell'Europa e del suo partito.

"Il rischio di una crisi insanabile dovrebbe portare tutti a essere più responsabili, a partire da chi ha l'onore della guida e che ha dunque una responsabilità in più", dice in riferimento alla "crisi di valori, di comportamenti e di prospettive" nel Pd. "Mi aspetto che chi guida si assuma l'onere della inclusione e non l'onere del cacciare un pezzo di Pd", aggiunge.

Come voterà al referendum di ottobre?
    "Premesso che il mio governo impostò il lavoro per il superamento del bicameralismo, quando tutti i dati saranno chiari, dirò come la penso. Ma non mi sento di criticare Renzi per aver deciso di investire su questo tema. Lo stesso fece Berlusconi sul referendum del 2006, anche se poi lo perse".

L'ex premier si sofferma sull'immigrazione e l'accordo con la Turchia, giudicandolo "un piccolo passo positivo, ma un disegno complessivo non c'è". Paragona questa crisi a quella dell'euro del 2008: "L'Europa ci ha messo quattro anni per costruire gli strumenti adatti per fronteggiarla, quattro anni in cui è successo un disastro". Ora, "i leader hanno perso tre anni in trenta vertici e la risposta è inadeguata". Propone, in primo luogo, "una vera polizia di frontiera europea", "urge anche mettere fine a questa specie di turismo dei sistemi di accoglienza".

    "La leadership anche su questo tema se l'è presa la Merkel, quando invece tocca all'Italia indicare una soluzione europea", afferma. Vede il rischio di un "effetto collaterale": per ora il Consiglio Ue si è limitato a mettere "il lucchetto alla rotta balcanica".

Quanto alle polemiche sul rapporto con Verdini, Letta segna la differenza tra il suo governo e quello di Renzi: "Un paragone molto scorretto. Non si può paragonare un governo d'eccezione, nato perché non c'erano altre maggioranze possibili, con un governo di scelta come quello che Renzi rivendica sempre di essere".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/03/19/letta-renzi-dica-la-verita_n_9504522.html?utm_hp_ref=italy
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