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Autore Discussione: ENRICO LETTA.  (Letto 18060 volte)
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« inserito:: Giugno 15, 2007, 11:05:21 am »

Letta gira a 360 gradi
di Marco Damilano

Con una riunione in un'abbazia del Chianti il sottosegretario lancia la sua corrente. Dialogo aperto e più peso nei giochi di Margherita e Pd

Trecentosessanta. Gradi, sottinteso. Per giocare a tutto campo, si intende. Dialogare con tutti, ascoltare le categorie produttive in polemica con il governo Prodi, e poi i giovani, le donne, i non garantiti. Nell'ultimo weekend, nella splendida cornice dell'abbazia di Spineto a Sarteano, nel cuore del Chianti, di proprietà della nipote di Enrico Cuccia, Marilisa, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta ha dato questo mandato agli invitati a porte chiuse alla prima riunione di quella che si prepara a diventare la corrente lettiana nel futuro Partito democratico: l'associazione Trecentosessanta.

Presente una platea tutta margheritina, con qualche innesto prodiano: il presidente della regione Sardegna Renato Soru, per esempio, con Letta nel comitato dei 45 che guida il Pd. E i dioscuri dell'ex partito popolare che nei mesi scorsi, durante la campagna per il congresso della Margherita, si sono associati con Letta in quello che è stato definito il Tridente: il ministro Giuseppe Fioroni, il capogruppo dell'Ulivo alla Camera Dario Franceschini. Tre in corsa per la leadership del Pd o, almeno, per la rappresentanza della corrente popolare al suo interno. Con Franceschini in pole position per il posto di coordinatore del nuovo partito. E Fioroni attivissimo già da mesi nella costruzione della sua corrente, su e giù per l'Italia. Per nulla spaventato della crisi dei Ds, anzi: "Il loro indebolimento in fondo riequilibra i pesi all'interno del Pd. Specie con le elezioni che si avvicinano: quasi tutti puntano al voto nel 2009, ma basta uno scivolone e finiamo alle urne  l'anno prossimo".

Più prudente Letta, che in questi mesi è rimasto silenzioso a lavorare nel governo, accanto a Romano Prodi. Mai un'uscita, mai un'intervista. Un colpo messo a segno, il passaggio di Marco Follini nel campo del centrosinistra, decisivo per far risorgere il governo Prodi dopo la crisi di febbraio. Ora, in vista dell'assemblea costituente del Pd di ottobre anche il giovane Letta sente l'esigenza di organizzarsi sul territorio, come si diceva un tempo. Con un occhio, soprattutto al Nord, dove il centrosinistra gioca in trasferta e sulla difensiva, e dove Letta è stato eletto parlamentare europeo nel 2004.


"Sono stato in Spagna a studiare i rigassificatori. Vicino Gibilterra ne hanno messo in cantiere uno in soli 30 giorni: da noi sarebbe impossibile", racconta Marco Stradiotto, ex sindaco di Martellago nel veneziano, sottosegretario alle Attività produttive, sensore del governo nel profondo Veneto, uomo di raccordo tra i prodiani, Letta e Pierluigi Bersani con cui lavora spalla a spalla al ministero. "Non possiamo prendere da Zapatero solo i Dico, dobbiamo esportare soprattutto la modernità: altrimenti la gente ci dice che siamo fuori dalla realtà".

La corrente lettiana raccoglie a Nord e al Sud. In Piemonte c'è Enrico Borghi, il presidente dell'Unione comuni, comunità e enti montani. Al Sud c'è il pugliese Francesco Boccia, candidato nel 2005 alle primarie per la presidenza della Regione Puglia, sconfitto da Nichi Vendola, capo dipartimento per lo sviluppo a Palazzo Chigi. E il consigliere regionale della Margherita in Campania, Guglielmo Vaccaro, considerato uno dei motori organizzativi di Trecentosessanta. Una pattuglia chiamata a mobilitarsi nei prossimi mesi per difendere le sue posizioni nella Margherita e nel Pd. E soprattutto rilanciare le quotazioni di Letta: per ora il suo nome è sparito dagli organigrammi di testa del nuovo partito, ma domani chissà.

(14 giugno 2007)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 27, 2007, 09:51:43 pm »

Se la politica sceglie il click
Roberto Cotroneo


Anche Enrico Letta ha scelto You Tube per annunciare la sua candidatura alla leadership del futuro partito democratico. Lo avevano fatto prima di lui i due candidati democratici alla presidenza degli Stati Uniti: Hillary Clinton e Barak Obama. Lo faranno altri, perché You Tube, il sito dove si possono pubblicare liberamente i propri video e mandarli in giro per il web, sta diventando un fenomeno interessante, e per certi aspetti anche un po' controverso.

Ci sono una serie di motivi per cui un politico come Letta sceglie You Tube per formalizzare la sua candidatura. Il primo motivo è per una ragione di modernità. Sappiamo da sempre, anche se poi è anche un po' un luogo comune, che web significa modernità. Il futuro passa da lì, non più dalle tv, dai giornali, dalle campagne di comunicazione. Il web è dei giovani. E i giovani sono il futuro. Fin qui, non ci sono dubbi. Il web è dei giovani che sanno utilizzare, e spesso sono nati, con il computer. Il web è uno strumento di informazione e di comunicazione rapido e globale. Lo abbiamo visto nel passato con i Blog, lo vediamo oggi con il successo di You Tube in tutto il mondo. Non c'è evento importante, grande, o anche minimo, che non abbia un riflesso, un rimbalzo su You Tube.

Ma la modernità di You Tube viene anche da un altro aspetto, che non va sottovalutato. Ovvero: dal linguaggio. Già i blog avevano, per molti aspetti, innovato il linguaggio giornalistico, e cambiato il modo di raccontare le notizie. Spesso erano diari personali che diventavano dei veri reportage. Basti pensare ai blog dei soldati americani in Iraq, o anche ai blog più o meno clandestini dei cittadini cinesi che volevano far sapere al mondo quanto fosse difficile informarsi, capire o comunicare in rete vivendo sotto una dittatura. Ma se il blog è scrittura, e se il web da molti anni ormai, ospita i siti di esponenti politici, che aggiornano quasi quotidianamente gli elettori sul loro lavoro legislativo e politico, You Tube è un sito che raccoglie video. Video che richiedono un montaggio, una scelta di immagini, una microsceneggiatura, anche se semplice ed elementare. Enrico Letta, ad esempio, ha scelto Alessandro Piva, promettente regista barese, per confezionare il suo filmato.

Cosa significa questo? Significa che si entra in un mondo della comunicazione che vuole artificio, gusto delle immagini, e soprattutto che è fatto per colpire, interessare lo spettatore, in un modo abbastanza simile a quello che avviene per uno spettatore che va al cinema. I cortometraggi di You Tube, perché di questo si tratta, hanno l'apparenza dell'immediatezza, vogliono essere considerati autentici e naturali, ma in realtà sono qualcosa di molto più complesso. Sono strumento di seduzione, come la letteratura, il cinema, il teatro o il concerto musicale.

L'ultimo aspetto è quello ancora più serio, e in qualche modo riguarda noi giornalisti. C'erano due modi tradizionali per scendere in campo e candidarsi a qualcosa. O facendo un discorso, diciamo così, di tipo programmatico. Dunque mettendo nero su bianco le proprie intenzioni e quello che si intende fare. Oppure dando un'intervista a un giornale o a un canale tv, più o meno importante, per spiegare quello che si intende e si vuole fare. Tutti e due i modi presuppongono un "media". Nel caso del discorso, si deve scegliere la sede, capire che pubblico lo ascolterà, avere i giornalisti che riportano, e "mediano" quello che il candidato sta esponendo. E rilevano se il discorso ha avuto successo, se c'era molto o poco pubblico, e magari anche i commenti alla fine del discorso. Nel caso di un’intervista è il giornalista a mediare, a fare domande ulteriori, a rilevare punti di forza o contraddizioni.

Ma You Tube non è un media, non ha bisogno di un pubblico riconoscibile, non chiede un giudizio di un professionista dell'informazione che appunto media tra chi parla e i lettori che deve informare. You Tube è un calderone dove ognuno fa ciò che vuole. E per di più è un calderone privo di contesto. Ieri per cercare il video di Enrico Letta sono incappato in una cucciolata di Golden Retriver, in un video che dava la soluzione migliore per risolvere il rompicato del cubo di Rubik, e in un gatto parlante che fa un inno alle ciabatte.

Niente di più normale. La libertà del web è questa. E il successo di You Tube sta proprio nel suo essere eccentrico, sorprendente e persino imprevedibile. Ma i filmati fai da te sono una cosa. Comunicare la politica in un contesto simile, è un'altra. Nessuno pensa di criticare Enrico Letta per questa scelta, scelta che hanno fatto candidati importanti anche negli Stati Uniti: è il sogno di tutti arrivare ai propri elettori e simpatizzanti con un semplice click del mouse dal computer di casa. E senza mediazioni. Ma siamo così sicuri che la comunicazione politica senza "media", non sia alla lunga un boomerang, oltre che l'ulteriore segnale di una crisi sempre più forte tra politica e informazione?

roberto@robertocotroneo.it


Pubblicato il: 27.07.07
Modificato il: 27.07.07 alle ore 8.17   
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« Ultima modifica: Agosto 08, 2007, 08:01:47 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 30, 2007, 05:01:13 pm »

La lettera di Enrico Letta al Corriere della Sera

Pensioni povere e il protocollo Prodi 

 
Caro direttore,

sappiamo che i giovani andranno in pensione fra trent'anni con rendimenti medi molto più bassi degli attuali. Il problema diventa potenzialmente esplosivo. Consideriamo infatti che, di quanti oggi entrano nel mercato del lavoro, uno su due lo fa con un contratto atipico o parasubordinato, quindi accumulando ancora meno per la sua pensione. Mi offrono quindi una buona occasione per approfondire le conseguenze di questa così cruda verità le argomentazioni critiche che mi rivolge sul Corriere di ieri Nicola Rossi, mio collega nel Partito democratico e sostenitore della candidatura di Walter Veltroni alle primarie.

Di fronte al tema delle povere pensioni future dei giovani di oggi si possono ipotizzare due approcci, che tengano in equilibrio i conti pubblici. Si può scaricare il problema sulle scelte individuali di ogni lavoratore giovane e, in solido, su chi governerà nel 2030. Chi andasse in pensione in quegli anni, senza interventi oggi, si potrebbe trovare con la pensione pari a metà dell' ultimo stipendio al posto dei tre quarti e più di oggi. Se estesa a milioni di persone, questa condizione sarebbe ovviamente insostenibile e il welfare allora sarebbe gravato di costi imprevisti (esenzioni fiscali, estensione dell'incapienza, integrazioni al minimo), su voci, sempre di spesa pubblica, di natura assistenziale. Costi imprevisti, che graverebbero comunque sempre sulla spesa pubblica. Oggi però possiamo prevedere l'esplosione di questo fenomeno, e saggezza vuole che si ponga rimedio per tempo. Guardando quindi al futuro e senza nostalgie di rigidità del passato si deve perseguire un secondo approccio, che per tempo affini alcuni strumenti che possano disinnescare almeno in parte la mina.

Per questo si è voluto, per quattro mesi, concertare una riforma articolata del welfare e della previdenza tra governo e parti sociali senza limitarsi al solo superamento dello «scalone», ma cercando di affrontare i problemi dei pensionati del futuro, cioè degli attuali lavoratori giovani parasubordinati (categoria quasi inesistente ai tempi della fondamentale riforma Treu-Dini), con l'approccio della conferma degli automatismi che tengono in equilibrio il nostro sistema. Per questo nel protocollo che Prodi ha proposto si indica l'obiettivo del 60 per cento come tasso di sostituzione tra stipendio e pensioni dei giovani di oggi e si interviene con strumenti che potrebbero portare all' obiettivo: riscatto della laurea a costi ridotti, la «totalizzazione » dei contributi, contributi figurativi e diritti di maternità (vera emergenza per le tante donne che lavorano senza contratto a tempo indeterminato). A questi temi sono da aggiungere il definitivo decollo della previdenza integrativa con lo sblocco recente del tfr e la riduzione del costo del lavoro, resa ancora più evidente dagli accordi su incentivi alla produttività e detassazione degli straordinari compresi nel protocollo del 23 luglio. Un mercato del lavoro fluido accanto alla riforma degli ammortizzatori sociali sono altri tasselli del mosaico elaborato dal ministro Damiano.

L'obiettivo è quello di dare strumenti per la propria riqualificazione al lavoratore singolo licenziato, fino ad oggi meno tutelato rispetto ai licenziamenti collettivi e alle casse integrazioni. Il protocollo del 23 luglio si pone questi articolati obiettivi. Tutto ciò peraltro è reso ancora più complesso dal drammatico tasso di natalità del nostro Paese. Con l'1,3 di figli per donna da anni l'Italia è un Paese che si sta costruendo un futuro difficile. Con il tasso di natalità della Francia o dei Paesi scandinavi potremmo affrontare con minore affanno i problemi previdenziali del futuro. Ecco perché nella competizione delle primarie per il Partito democratico mi è parso essenziale porre la missione natalità al centro delle idee che sto proponendo. Tutte idee che si reggono non su un'astratta rivendicazione generazionale ma sul tentativo di proporre politiche responsabili per il presente e, soprattutto, per il futuro.

Enrico Letta


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La replica di Enrico Letta conferma l'onestà intellettuale e la serietà della persona. Doti che ne fanno un degno candidato alla segreteria del Partito democratico. La replica del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sgombra il campo, invece, da una seria fonte di preoccupazione. Da essa si evince, infatti, in maniera inequivoca che nessuna garanzia è stata offerta dal Governo ai sindacati — semplicemente perché in base alla legislazione vigente non poteva essere offerta — circa il livello minimo dei trattamenti pensionistici dei giovani nei decenni a venire. Una precisazione importante perché non immediatamente evidente non solo nell'intervista di Enrico Letta ma anche e soprattutto nelle dichiarazioni successive all'accordo, tanto di membri del Governo e della maggioranza quanto di esponenti sindacali.

Nicola Rossi
30 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Agosto 06, 2007, 10:13:39 am »

2007-08-05 21:00


LETTA, VOTI UDC? SOLO AGGIUNTIVI, MA SPERO DI SI'

 "Il protocollo deve essere approvato da questa maggioranza, però mi auguro che su punti qualificanti ci siano voti aggiuntivi".
Lo ha detto Enrico Letta parlando con i giornalisti a margine di un incontro su una spiaggia di Tirrenia nell'ambito del tour organizzato per la sua candidatura alla guida del Partito democratico e rispondendo ad una domanda su un possibile sostegno del partito di Pier Ferdinando Casini al protocollo sul welfare sottoscritto dalle parti sociali.

"I voti che mancassero dalla sinistra - ha continuato Letta - non possono essere sostituiti da quelli di altre forze". "Quindi, commentando un eventuale sostegno di Casini, Letta ha aggiunto: "E' un tema che è stato sovradimensionato perché il protocollo contiene riforme di buon senso, quindi è abbastanza naturale che siano apprezzate anche fuori dal centrosinistra".

LETTA, REGOLE PRIMARIE POTEVANO ESSERE MIGLIORI
"Sto facendo una campagna sui temi, ma è bene dire qualcosa anche sulle regole che potevano essere migliori. Sono state costruite intorno all'idea del candidato unico". Lo ha detto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Letta, parlando con i giornalisti a margine del suo primo incontro con la gente sulle spiagge nell'ambito della sua campagna per la guida del Partito Democratico. Secondo Letta, che oggi è allo stabilimento balneare Cosmopolitan Beach di Tirrenia per esempio "il fatto che chi partecipa al voto delle primarie si deve iscrivere, può limitare la partecipazione". Secondo Letta, le regole delle primarie "stanno facendo fare uno sforzo immenso ai candidati come me" e con le liste bloccate si è in qualche modo imitata "l'attuale legge elettorale alla quale siamo contrari".

LETTA, IL MIO GIRO PER LE SPIAGGE E' ANTIVERTICISMO
"Andare per le spiagge d'agosto può essere una grande occasione per parlare con la gente distesa, tranquilla, per parlare dei problemi e quindi per un Pd che vive le sue primarie non come una operazione di vertice ma come una operazione di apertura alle persone che vogliono partecipare". Lo ha detto Enrico Letta oggi a Tirrenia allo stabilimento balneare Cosmopolitan Beach per la prima tappa del suo tour nelle spiagge italiane come candidato alla guida del Pd. "Il Pd fallirebbe - ha aggiunto Letta, parlando con i giornalisti - se fosse un incontro di nomenclature di partito. Se invece è un grande lavoro di coinvolgimento largo, con una partecipazione anche esterna, il risultato sarà assicurato". Letta quindi ha detto che per lui questa esperienza significa "apertura massima, la più larga possibile, senza rete di protezione: vorrei che il Pd fosse così ". Quindi, parlando del suo tour per le spiagge, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio lo ha definito "un modo per interpretare in maniera veramente aperta questa logica delle primarie: non solo un circuito chiuso degli iscritti ai due partiti, Ds e Margherita, ma un percorso aperto alle persone". Le primarie, ha aggiunto Letta, devono essere "un'operazione che parte dalla base, dagli elettori, e non dal vertice. In fondo, le primarie devono essere così, sono i leader politici che si mettono in discussione di fronte agli elettori". 

da ansa.it
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« Risposta #4 inserito:: Agosto 07, 2007, 04:40:14 pm »

2007-08-06 20:29

PD: LETTA, A MILANO ORGANIZZIAMO LE PRE-PRIMARIE


 MILANO - Enrico Letta, candidato alla guida del partito Democratico, ha deciso di organizzare nel collegio uno di Milano le pre-primarie per eleggere i candidati della sua lista. Le pre-primarie del collegio 1 si terranno il 10 settembre prossimo. Lo ha annunciato lo stesso Letta nel corso di una conferenza stampa a Milano. "Il collegio 1 di Milano è il collegio emblematico di Berlusconi -ha spiegato Letta - per cui voglio che diventi un laboratorio politico". Letta ha quindi spiegato di aver scelto di organizzare le pre-primarie in quanto era contrario alle liste bloccate: "in questo modo mettiamo in campo un movimento ampio e articolato che consentirà anche a chi non ha mai fatto politica o che in questo momento è fuori di partecipare alla costruzione del Partito Democratico".

Letta ha sottolineato la necessità di far diventare Milano un laboratorio per la costruzione del partito Democratico a cominciare dal collegio 1: "non è una logica di rifiuto dei partiti - ha precisato - perché anche io vengo da un partito, ma è l'esigenza di coinvolgere il maggior numero di persone possibili alla costruzione del nuovo partito. Questa è l'ultima occasione per il centrosinistra, attraverso il partito democratico, di riconquistare Milano e la Lombardia". Secondo Enrico Letta, è inoltre necessario che l'elezione dei candidati nelle liste sia differenziata tra Milano e provincia. Letta ha quindi spiegato di non essere "alla ricerca di Vip. Non voglio fare la lista dei famosi". Alla domanda di tracciare un identikit del candidato per le sue liste, ha precisato: "é quello di una persona che ha voglia di fare politica senza per forza essere un generale, un colonnello o un tenente". Dopo aver ricordato l'importanza della decisione di assegnare quote alle donne e ai giovani "che sono i panda della politica", Letta ha sottolineato che nel Pd devono confluire quattro affluenti: "i militanti dei Ds, quelli della Margherita, tutti coloro che si riconoscono nello spirito ulivista e quelle persone che al momento sono fuori dalla politica". 

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« Risposta #5 inserito:: Agosto 08, 2007, 08:00:04 pm »

Enrico Letta: «Liberiamoci dalla personalizzazione della politica»

Alessia Grossi


«Ho individuato una modalità diversa di presentazione del programma e di formazione delle liste». Enrico Letta spiega così la sua candidatura alla segreteria del Partito democratico rispetto a quella di Veltroni e della Bindi durante la videochat su l'Unità.it. «L'appuntamento è a Piacenza il 14 e 15 settembre per una due giorni di discussione con la gente che vorrà partecipare sui temi da declinare nel Partito Democratico». «Ho individuato comunque delle parole chiave: libertà, mobilità, natalità e lavoro» risponde Letta a Giampaolo, uno dei tanti navigatori che gli domanda quali siano i contenuti del suo programma. «Il 10 settembre invece sarò a nel seggio di Milano1, tradizionalmente di Berlusconi, per le primarie della lista che appoggia la mia candidatura». Una sorta di primarie delle primarie, propone Letta, per superare il problema delle liste bloccate e perché il nuovo partito non sia necessariamente lo specchio della vecchia classe dirigente. «L'obiettivo dell'assemblea costituente del Pd deve essere la sintesi fra i dirigenti dei due partiti che generosamente hanno accettato di entrare nel Pd e volti nuovi che si spera siano più giovani e anche più al femminile» spiega il candidato.
«La candidatura di Veltroni?» domanda il direttore Antonio Padellaro. «Sono contento che si sia candidato. Bisogna essere grati a Veltroni per aver messo a disposizione la sua candidatura per il Pd, ma» aggiunge Letta «Non ho apprezzato la frase conclusiva del suo discorso del Lingotto: questo è il mio programma, si candidi chi ha un programma diverso dal mio». «Non credo che per candidarsi bisogna avere un programma necessariamente alternativo» continua. «Si candida chi ha qualcosa da aggiungere e chi può portare gente diversa e una maggiore affluenza nel nuovo partito».

«Cosa ne pensa invece della polemica sulla visione degli anni '80 che Rosy Bindi ha proposto durante la sua videochat all'Unità online, anni di involuzione e in cui è nato il berlusconismo». «Non sono d'accordo con la visione provincialistica di quegli anni. Credo che a livello internazionale siano stati anni di grandi svolte per la libertà dei popoli per l'Europa e che, se visti quindi in una dimensione globale, possiamo dire siano stati necessari per gli anni che stiamo vivendo».

Per il candidato Enrico Letta «la competizione, se virtuosa, rafforza il partito nascente che altrimenti finirebbe per essere come sempre identificabile con il suo leader e dunque personalistico come nel caso di Berlusconi». E allora, come pensa che il Pd possa superare questo pericolo, domanda Mario. «Dobbiamo essere esigenti con noi stessi» risponde il candidato. «Il Pd deve far svoltare l'intero sistema con la formazione di un partito che non si identifichi nel suo leader. Berlusconi ci ha berlusconizzati tutti» aggiunge. «La candidatura di Di Pietro mi ha colpito positivamente, anche se è stato giusto non accettarla. I Ds e La Margherita hanno fatto un'assemblea in cui hanno deciso di sciogliersi, il partito di Di Pietro no, ma» aggiunge «un ampliamento del nuovo partito trovo sia positivo». «Il caso Pannella è diverso» spiega Letta. «Pannella teorizza la doppia appartenenza che va contro le regole del partito democratico». A proposito di Berlusconi molti lettori domandano cosa pensa di fare rispetto al conflitto di interessi una volta alla guida del partito democratico perché non si ripresenti il problema nel caso di nuove elezioni. «La questione del conflitto di interessi va risolta in modo strutturale perché non sia la legge per un singolo» dichiara. «Meno parlamentari cui si chieda dedizione assoluta, stessa cosa vale per il governo» spiega. «Risolvendo strutturalmente il problema possiamo riuscire a eliminare il conflitto di interessi come non siamo riusciti a fare finora».

«Non sono d'accordo con le alleanze di nuovo conio» risponde Letta a chi domanda se pensa ad un allargamento dell'alleanza diverso da quello dell'attuale maggioranza. E la sinistra radicale o popolare crede sia un problema per il governo? «Credo che questo governo stia lavorando bene. Abbiamo ministri provenienti dalla sinistra popolare che stanno facendo un buon lavoro, sono impegnati e determinati. È stato appena approvato un protocollo del welfare che risolve grandi temi cari alla sinistra come quello delle pensioni, del precariato, giovani, maternità». «Certo» aggiunge «bisogna fare ancora di più e meglio, ma si deve anche valorizzare il lavoro fatto fin'ora».

È il candidato di Prodi? «Non so chi voterà Prodi», dice Letta sorridendo.


Pubblicato il: 08.08.07
Modificato il: 08.08.07 alle ore 15.40   
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« Risposta #6 inserito:: Agosto 21, 2007, 11:55:19 am »

Un Pd, tanti Pd

Enrico Letta


Richiamando i candidati a dire la propria sulla forma partito che dovrà assumere il Pd, Gianfranco Pasquino pone su l’Unità di sabato un tema cruciale per il dibattito delle primarie. Di programmi infatti si sta discutendo e si continuerà a farlo e credo sia decisivo che le candidature individuino priorità programmatiche che le caratterizzino. Senza per questo scavare forzatamente fossati per cercare presunte alternative che all’interno di uno stesso partito sarebbero peraltro alquanto singolari.

Sto provando a puntare molto sui contenuti, insieme a tutti coloro che stanno condividendo la costruzione del progetto della candidatura. Lo stiamo facendo con uno sforzo di elaborazione autonoma senza cercare la facile ma effimera visibilità che viene dalle polemiche del giorno per giorno. Stiamo lavorando attorno a tre parole chiave, libertà, mobilità, natalità con cui, negli incontri nelle spiagge, stiamo facendo discutere militanti del Pd ma soprattutto elettori incerti e in certi casi delusi. Stiamo lavorando all’organizzazione della due giorni di piacenza il 14 e 15 settembre per discutere sul programma da presentare ai militanti del Pd. Sono il segno dell’attenzione ai contenuti con cui si costruisce la campagna per le primarie della mia candidatura.

Ma in politica sappiamo che oltre a cosa vogliamo proporre è decisivo il come vogliamo attuarlo. La certezza delle regole e la loro condivisione è il segno di quel rispetto nei confronti della democrazia che deve iniziare all’interno del partito per essere coerentemente testimoniato nelle assemblee elettive e nella società.

La forma partito e le regole cioè sono tutt’uno con i programmi ed è giusto che la nostra discussione ne tenga conto. Anzi questo mi permette di segnalare come sia stata fuorviante la ricerca nelle scorse settimane di svilire il dibattito sulle regole. Penso per esempio alla questione dei gruppi dirigenti regionali del futuro Pd. È, mi pare, la prima questione chiave che stiamo affrontando in tema di forma partito e le due opzioni possibili sono, quelle sì, nettamente alternative. Decidere i segretari regionali a Roma rappresenta un modello di partito centralista in cui i gruppi dirigenti periferici sono cinghia di trasmissione verso il territorio di decisioni assunte dal centro nazionale. Modello legittimo, che non credo adatto ai tempi e all’Italia di oggi. Soprattutto un modello che non valorizza gli amministratori e la classe dirigente locale che è uno dei principali talenti del Pd e delle forze politiche che lo stanno facendo nascere. Per questo vi è un altro modello, decisamente preferibile, quello di un partito in cui ogni regione sulla base delle proprie priorità individua segretari e gruppi dirigenti. Vuol dire applicare un principio di sussidiarietà che consente di essere realmente con i piedi ben piantati sul territorio. Molto meglio di quanto potrebbero fare gruppi dirigenti regionali che dovrebbero la loro legittimazione principalmente a fedeltà a logiche romane.

Tra l’altro la costruzione di un vero partito delle autonomie è decisiva per convincere gli elettori. Sia al nord che al sud. Alle prossime elezioni regionali (Friuli Venezia Giulia, Alto Adige, Trentino e Sardegna votano nei prossimi venti mesi) quale fiducia potrebbe avere nei nostri gruppi dirigenti un elettorato incerto vedendoli succubi di decisioni dall’alto e non in grado di una propria forte e autonoma capacità di iniziativa politica?

Questo tema richiama la questione del partito del nord o di altre autonome iniziative che per specifiche esigenze territoriali potrebbero essere progettate in precise parti del Paese. Sono questioni importanti e da sviluppare, in una logica per l’appunto territoriale. Devono cioè nascere dal basso e non essere elaborate a Roma e calate dall’alto. Solo così dimostrano di avere un senso e solo così, a mio avviso, possono essere aiutate e riconosciute, come per esempio mi auguro accada per la questione della provincia autonoma di Trento, dal partito nazionale.

Quello dell’autonomia è un tema qualificante per il Pd. Direi che lo è per tutto il centrosinistra. Che in fondo da anni fa la differenza con il centrodestra anche sulla capacità di dialogo col mondo delle autonomie, da quelle speciali a quelle linguistiche. Di conseguenza il Partito democratico dovrebbe essere costruito attorno a forti e legittimati gruppi dirigenti regionali e cosi facendo potrebbe evitare una deriva correntizia vecchio stile a mio avviso non più adatta alle necessità di oggi. Questo darebbe spazio ad un dibattito nazionale che dalle aree culturali e programmatiche che si stanno definendo e rimescolando in queste primarie attorno alle varie candidature trarrebbe linfa vitale e alimentazione di idee continua.

Perché questo accada è necessario che vi sia una reale contendibilità delle cariche interne di partito attraverso logiche di trasparenza e competizione aperta. Va abbandonata ogni tentazione di deviare verso logiche di cooptazione. Queste sono il male dell’Italia, e non solo della politica italiana. Abbattere queste logiche significa far evolvere il nostro sistema e aiutare la politica a vincere l’antipolitica. Solo con la trasparenza, il mettersi in discussione e il rischiare i gruppi dirigenti possono riacquistare autorevolezza e dignità di fronte alla pubblica opinione. In questo le primarie si stanno dimostrando un gran terreno di rivincita della politica nei confronti dell’antipolitica. Questo metodo di competizione trasparente deve aiutare un fisiologico ricambio ma deve trovare anche un’attenzione speciale da parte del Pd sul tema della presenza delle donne. In questo senso le regole decise per le primarie paiono un buon viatico.

Un partito quindi nazionale, con una forte identità e grande radicamento sul territorio e attenzione al rispetto delle autonomie. Un partito con una capacità propria di elaborazione politica e culturale. Per quest’obbiettivo a parole facile, nei fatti oggi molto difficile, c’è bisogno di un grande impegno a favore di percorsi e luoghi di formazione politica. L’assemblea costituente deve su questo tema dedicare un forum specifico per provocare fatti concreti e innovativi.

La formazione dovrà essere una delle principali priorità del nascente Pd. Formazione attraverso strumenti provocati direttamente dalle strutture del Pd, ma non solo. Formaziona in grado di alimentarsi dei tanti luoghi esterni al partito e alle istituzioni elettive che possono, mantenendo la propria autonomia, dare un contributo decisivo in una logica di valorizzazione della società.

Questi temi rappresentano il cuore della nostra riflessione sul futuro Pd. Sono qui appena accennati e andranno completati attraverso la discussione e la presentazione di idee e progetti innovativi in questi mesi. Per questo a Piacenza uno dei forum tematici che lavorerà il 14 e 15 settembre sarà dedicato alla forma-partito. Lì la discussione sarà aperta e da lì mi auguro possa venire un contributo decisivo per far nascere quel partito moderno per il quale tutti stiamo lavorando.



Pubblicato il: 20.08.07
Modificato il: 20.08.07 alle ore 9.32   
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« Risposta #7 inserito:: Agosto 31, 2007, 12:13:00 am »

Le urne verranno aperte domenica 16 settembre nella sala Camm di corso Garibaldi, dalle otto alle venti

Partito democratico, pre primarie per i candidati della lista Letta

Rodolfo Sala


Domenica 16 settembre, sala Camm di corso Garibaldi, dalle 8 alle 20. Urne aperte per le «pre-primarie» di Enrico Letta. I sostenitori del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, rivale di Walter Veltroni e Rosy Bindi per la leadership del Partito democratico, scelgono con un anticipo di voto come comporre la lista dei quattro candidati che il 14 ottobre si presenteranno al collegio uno di Milano per l´elezione dell´assemblea costituente nazionale del Pd. Scelgono loro, non il leader: chi mettere in lista e in quale ordine. «Per superare - spiega il lettiano Davide Corritore - la logica nefasta delle liste bloccate e della cooptazione dall´alto».

È una sfida agli altri due competitor, soprattutto al sindaco di Roma. Ma c´è anche un invito: Veltroni e la Bindi dovrebbero fare lo stesso, trasformare questo appuntamento «in una grande festa dove tutto il Pd sperimenta nel cuore di Milano una cosa nuova che se va bene potrà essere seguita in tutt´Italia». Ma prima del pre-voto al collegio uno, c´è un altro passaggio: domenica 9 settembre, sempre in corso Garibaldi, gli aspiranti candidati alla Costituente si presentano ai potenziali elettori. In un´assemblea, e davanti a Letta. Generalità, curriculum, idee, indirizzi e-mail da fornire, in una sorta di agorà che dovrebbe sostituire le «stanze al chiuso» dove si teme che altri compilino liste «blindate». Girano già i nomi dei primi aspiranti candidati: la manager Anna Fuccio, l´economista Ferdinando Targetti, il musicista Filippo Del Corno, la capogruppo dell´ex lista Ferrante in zona uno Giulia Mattaca.

Ma l´invito di Corritore non entusiasma il veltroniano Maurizio Martina, candidato per ora unico alla segreteria lombarda del Pd (e con il sostegno trasversale dei lettiani): «Tutto quello che serve a favorire la partecipazione alla primarie va bene, ma per coinvolgere i cittadini ci sono tanti strumenti e tante strade». No grazie, insomma. Per i seguaci della Bindi parla Italo Ghitti, animatore della lista «Liberalitalia» che alle primarie sosterrà la ministra della Famiglia: «Vedo che Letta ha sposato la nostra idea delle pre-primarie di collegio; noi le faremo dappertutto, però è bene che ciascuno si organizzi come crede, nel nome di una sana competizione».

Ma Gitti ha in mente soprattutto un´altra partita: quella per la leadership lombarda del Pd. Non gli piace che lettiani e veltroniani convergano su Martina e vorrebbe, con l´avvallo di Rosy, presentare una candidatura alternativa, ovviamente per «dare più slancio alla competizione». Vedrebbe bene un candidato: Riccardo Sarfatti, presidente dell´associazione lombarda per il Pd e coordinatore dell´Unione al Pirellone. Il diretto interessato sì è già schierato con Veltroni, ma un pensierino lo ha fatto, in questi giorni sta avendo incontri a raffica e deciderà la prossima settimana. «Se Sarfatti si rendesse disponibile - butta là Gitti - giudicherei in modo positivo la sua candidatura». Nel campo veltroniano, intanto, si lavora alla seconda lista per Walter da presentare alle primarie, quella che ha come sponsor principale Pierfrancesco Majorino: si candidano il coordinatore delle sezioni milanesi dei Ds Gabriele Messina e il coordinatore del comitato referendario per la legge elettorale Stefano Facchi.(29 agosto 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #8 inserito:: Settembre 02, 2007, 12:02:34 pm »

No tessera, sì party
 
Durante il convegno di Dro, in Trentino, numerosi esponenti della società civile l'hanno avvicinato: "Vorremmo votare per te, ma abbiamo saputo che chi partecipa alle primarie si iscrive al Pd e allora resteremo a casa". Così il candidato Enrico Letta ha deciso di aprire la polemica: "Le regole delle primarie uccidono la partecipazione: chi va a votare aderisce automaticamente al Pd. Ma questa adesione, tradotta in italiano, significa iscriversi al partito: non va bene".

Insomma, adesione significa iscrizione?

Chi versa cinque euro e vota il 14 ottobre nei gazebo prende anche la tessera del nuovo partito? A sentire i garanti delle primarie la risposta è no, non c'è nessuna tessera e nessuna iscrizione. "Il regolamento è chiaro, a chi partecipa alle primarie non viene chiesta nessuna iscrizione al Pd", assicura Giuseppe Busia, uno dei garanti delle primarie. "Si partecipa alla fondazione del partito, ma l'iscrizione non può scattare dato che il partito nuovo ancora non c'è". "Non si chiede a nessuno di inquadrarsi rigidamente, come nei vecchi partiti ideologici", aggiunge il costituzionalista Stefano Ceccanti. "Il 14 ottobre votano tutti coloro che, dai sedici anni in su, se la sentono di aderire a un testo costituente, riservandosi poi di valutarne in libertà gli esiti successivi".

Tutto chiaro, dunque? Mica tanto.

Eppure, su questo punto, prima dell'estate c'è stato un dibattito tutto politico all'interno del comitato dei 45 presieduto da Romano Prodi. Da una parte, gli uomini dei partiti che segnalavano l'assurdità di far votare a cittadini che rifiutano perfino di iscriversi i leader della nuova formazione, non solo il segretario nazionale, ma anche i coordinatori regionali, i membri dell'assemblea costituente nazionale e quelli delle assemblee regionali, di fatto, la classe dirigente del nuovo partito. Posizione ragionevole, in effetti. Dall'altra, i movimentisti hard che invece volevano aprire a tutti, senza nessuna barriera. È stato Giuliano Amato, il ministro-giurista, a trovare la formula definitiva che appare all'articolo 1, comma 2 del regolamento: si aderisce all'inizio di un processo costituente, e alla fine chi vorrà potrà prendere la tessera. Potranno votare tutti, anche quelle categorie che altrimenti sarebbero escluse, non potendosi iscrivere a un partito. I magistrati, per esempio. Ma c'è da scommettere che la polemica è solo all'inizio.

da espressonline.it
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« Risposta #9 inserito:: Settembre 17, 2007, 06:42:42 pm »

Tremonti no i buoni sì

Enrico Letta


Caro Direttore,

ti ringrazio dell’intervento di ieri e della possibilità, rispondendo, di tornare su alcune mie affermazioni dei giorni scorsi circa politici del centrodestra, specie Tremonti. Non mi sono mai prestato al gioco di stilare la lista dei migliori per un ipotetico esecutivo, di indicare chi vedrei oggi volentieri in un mio governo. Ne approfitto per sottolineare, viceversa, chi senz’altro «non vi vedrei», vale a dire proprio Tremonti e gli altri esponenti della Casa delle libertà. Penso infatti che, in un sistema bipolare, qualunque politico decida di cambiare schieramento, pur dopo aver sottoposto tale scelta al giudizio del suo nuovo elettorato, debba comunque rimanere, almeno per una legislatura, estraneo a incarichi di governo. Questo proprio per il rispetto nei confronti degli elettori e di noi stessi cui ti sei richiamato: rispetto che condivido e che un minimo di «purgatorio» lo impone.

Non credo però che tutti i «buoni» siano da una parte e i «cattivi» dall’altra e rivendico il diritto di distinguere.

Così nei giorni scorsi ho semplicemente indicato, come ho fatto anche in altre occasioni, alcuni politici di centrodestra che stimo, al di là della divergenza di idee e di percorsi, passati e a venire. Avrei potuto indicarne molti altri, specie tra quelli più giovani, «bloccati» in una Casa delle libertà che da dodici anni ripropone immutabile lo stesso gioco, gli stessi personalismi. Quanto a Tremonti, ne ho, non da oggi, rispetto e considerazione come «avversario»: lo ritengo infatti tra i più preparati e insidiosi, per come si pone - lo so bene - nei nostri confronti.

Dunque, nessuna «libidine di maltrattare chi ci appoggia e porgere l’altra guancia a chi vuole cancellarci». Piuttosto, la consapevolezza di quelli che sono i nostri avversari più impegnativi e il tentativo di parlare anche a quanti, fin qui, si sono riconosciuti in loro e non in noi. Nello spirito di un partito democratico che «si apre», in ogni senso, e che con questa campagna elettorale per la leadership offre un’occasione di competizione agli antipodi rispetto alle rigidità e alle cooptazioni che caratterizzano il centrodestra.

Pubblicato il: 17.09.07
Modificato il: 17.09.07 alle ore 17.19   
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« Risposta #10 inserito:: Febbraio 27, 2009, 11:53:27 pm »

«Sì a nuove regole, ma solo per i trasporti pubblici»


di Laura Matteucci


«Il diritto di sciopero nei trasporti pubblici va regolamentato, certo non va compresso».

Enrico Letta, responsabile del Welfare per il Pd, chiede che il governo convochi un tavolo con le parti sociali. «Siamo pronti a discuterne, e lo stesso vale per Cgil, Cisl e Uil». A partire da un punto: «Questa non è l’avanguardia di una crociata contro il generale diritto di sciopero: se il governo si mettesse su questa strada, andrebbe poco lontano». E ad alcune condizioni.

Prima condizione?
«Che si discuta solo ed esclusivamente di un servizio pubblico essenziale com’è quello dei trasporti. Le regole non possono essere generali, devono riguardare un settore specifico: questa discussione non può in alcun modo venire traslata sul resto del mondo del lavoro».

Che altro?
«La concertazione è fondamentale. Si sta discutendo della possibilità di scioperare solo se si rappresenta il 51% dei lavoratori, o se la maggioranza di loro è favorevole. Ogni possibile soluzione deve comunque trovare l’assenso di tutte le parti».

Il ministro Sacconi pensa ad un “disegno di legge contenente deleghe”: è d’accordo?
«Dipende dal peso delle deleghe. Se diventassero lo strumento principale, non sarebbe la strada giusta. La possibilità di discutere e intervenire, tanto più su una materia così rilevante, dev’essere una priorità. Non è una questione di metodo, diventa un’essenziale questione di merito».

L’esigenza di regolamentare lo sciopero comunque la condivide.
«Questo è certo. Anche Cgil, Cisl e Uil ragionano da tempo sulla necessità di nuove norme in un settore così delicato. Non è pensabile che una qualunque sigla minoritaria possa tenere in pugno la collettività, si va in contrasto con il diritto dei cittadini alla mobilità. In quest’ottica, può avere senso anche lo sciopero virtuale».

Non teme che il sindacato possa perdere potere contrattuale?
«La stagione dell’Orsa ha fatto solo danni al sindacato. Dobbiamo rafforzare il sindacato confederale, e non le rappresentanze minoritarie, con una regolamentazione che porti una ventata maggioritaria».

Ventata maggioritaria?
«Intendo dire che lo sciopero si può fare se la maggioranza è d’accordo, fermo restando che gli strumenti per le valutazioni sono tutti da definire. Il principio guida è che nei trasporti pubblici essenziali non possa essere il pilota a decidere se l’aereo vola o se resta a terra».

Non le sembra di poter leggere nella proposta Sacconi un’ulteriore pressione sul sindacato, un’altra mina all’unità? La Cgil sarà anche d’accordo a discuterne, ma Epifani ha messo in guardia il governo dalle forzature.
«All’interno della maggioranza, registro che Bossi e Fini dicono cose molto simili a quelle che diciamo noi. La logica siamo pro o contro il diritto di sciopero non aiuta, se vogliamo far marciare la necessaria regolamentazione dobbiamo uscirne. Questa non è l’avanguardia di una crociata contro il diritto di sciopero. Su questa strada, il governo andrebbe poco lontano».

lmatteucci@unita.it

27 febbraio 2009

da unita.it
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« Risposta #11 inserito:: Giugno 26, 2013, 11:34:20 am »

Letta: scandalosi certi stipendi di manager pubblici

25 giugno 2013


Letta: scandalosi certi stipendi di manager pubblici -

Per il pacchetto lavoro 1,3 miliardi -


Per Enrico Letta nella lotta ai paradisi fiscali qualcosa negli ultimi anni è cambiato. «La quantità di denaro fuori dai confini italiani su cui non sono mai state pagate le tasse é scandalosa». Lo sottolinea il presidente del consiglio Enrico Letta intervenendo in aula al Senato. «Su questo tema», aggiunge il premier, «il clima è cambiato e nessun italiano con conti correnti nei paradisi fiscali può sfuggire» al fisco: «non è lo stesso clima di 10 anni fa», osserva ancora, perché c'è «una pressione collettiva, europea e dei paesi Ocse. Non è possibile vivere questa asimmetria tra chi paga le tasse e chi toglie quantità intere di risorse, è un tema collettivo, l'Europa ha fatto tanti passi avanti».

Letta: è uno scandalo che dirigenti pubblici e privati guadagnino così tanto
Il presidente del Consiglio affronta anche la questione stipendi dirigenti pubblici. «Penso anch'io che sia uno scandalo che in società private e pubbliche ci siano dirigenti che guadagnino multipli insopportabili rispetto a qualsiasi dipendente pubblico», afferma nell'intervento in Aula al Senato, nell'ambito del dibattito sul consiglio europeo di giovedì e venerdì. «E avendo io il solo stipendio da parlamentare - prosegue Letta - sarà più facile per me andare da un dirigente pubblico e dire "guadagni trenta volte più" del presidente che ti ha nominato».

Conti pubblici: ora gran premio della montagna, nel 2014 inizia la discesa
Letta parla anche di conti pubblici e usa una metafora ciclistica per descrivere il percorso che attende l'Italia «nei prossimi 18 mesi» dopo che il Paese, uscito dalla procedura d'infrazione, «non sarà più sorvegliato speciale in Europa». «Solo dall'anno prossimo» - continua Letta - l'Italia potrà avere «flessibilità» nei conti pubblici: quest'anno ci attende ancora il «gran premio della montagna», la fase «più difficile».

Il premier alla Camera: al vertice Ue rifuggire da ogni soluzione al ribasso
A Bruxelles ci attende un duro confronto politico. «E politico sarà il mio intervento in seno al Consiglio». Occorre «rifuggire da ogni soluzione al ribasso». Perché - sottolinea il presidente del Consiglio, Enrico Letta, nell'intervento tenuto in mattinata alla Camera in vista del vertice del Consiglio europeo di giovedì e venerdì - o l'Europa «dà risposte concrete e immediate ai problemi o lentamente muore». Il premier, che nel pomeriggio è intervenuto anche al Senato, sa bene che «se l'Europa non riprende un cammino di crescita, nessuna decisione porterà a una vera svolta».

Ciò detto, «se si ferma - avverte Letta - l'Europa così com'é é perduta». Del resto «le ombre sulla tenuta della moneta unica non sono state ancora fugate definitivamente». «Chiederò che l'Europa non abbandoni a se stessi gli stati membri», afferma. Sullo sfondo, l'emergenza disoccupazione giovanile. «Ora chiediamo decisioni immediate, risorse, timing stringenti per ottenere il massimo dell'impatto, subito». Risulta al momento confermato l'incontro previsto per questa sera tra il premier e Silvio Berlusconi. Il colloquio, già in programma nell'ambito di una serie di faccia a faccia tra il presidente del Consiglio e i leader delle principali forze politiche in vista del consiglio europeo (in mattinata il presidente del Consiglio ha visto il segretario del Pd Guglielmo Epifani; ieri Letta ha incontrato Mario Monti), dovrebbe essere o nel pomeriggio o in serata a Palazzo Chigi.

 Mercoledì Cdm: un secondo pacchetto disoccupazione giovanile
Domani all'esame del cdm ci sarà il decreto lavoro, che stanzia 500 milioni per coprire la decontribuzione finalizzata all'assunzione di giovani al Sud. Dopo il vertice Ue, anticipa Letta, arriverà un secondo pacchetto di misure: «Nei prossimi mesi - spiega il premier - vareremo un secondo pacchetto di interventi» proprio per dare attuazione alla "Garanzia per i giovani", il piano che il prossimo vertice Ue dovrebbe approvare sull'occupazione giovanile. Nell'intervento al Senato, Letta inserisce tra le priorità dell'Esecutivo il taglio del cuneo fiscale, da effettuare anche grazie risorse europee. È importante, sottolinea, che il «fondo sociale europeo sia utilizzato per finanziare incentivi all'assunzione dei giovani anche mediante la riduzione del cuneo fiscale che per noi rimane una grande priorità».

Nell'ordine del giorno del cdm anche Iva e carceri
Ci sono il dl sulle carceri ('Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della penà) e quello sull'Iva (Misure urgenti per il rilancio dell'occupazione e in materia di Iva) nell'ordine del giorno convocato per domani mattina alle 8:30 a Palazzo Chigi. Lo rende noto un comunicato di palazzo Chigi.

Il premier ricorda: la disoccupazione giovanile costa 153 miliardi
Che la lotta alla disoccupazione giovanile sia la priorità lo dicono i numeri. «Eurofund - ricorda Letta nell'intervento a Montecitorio -ha stimato che il costo della disoccupazione giovanile in termini di reddito perduto e di maggiori oneri per assistenza sociale é pari a circa 153 miliardi: una dissipazione senza pari, uno sperpero che la crisi esaspera in un paradossale circolo vizioso».

Letta: dl lavoro riguarda tutti ma maggiore attenzione a Sud
«Il decreto sul lavoro ci sarà domani. Non abbiamo ancora deciso, e le decisioni che prenderemo riguarderanno tutto il Paese, ma interverranno con più intensità nelle Regioni del Mezzogiorno dove la disoccupazione giovanile é più alta. Su quelle Regioni bisogna che l'intensità dell'intervento sia più forte». Lo dice Letta, replicando alla Camera durante il dibattito seguito alle comunicazioni in vista del Consiglio Ue.

«L'uscita dalla procedura di infrazione assicura flessibilità bilancio 2014»
Letta parla anche di conti pubblici. «L'uscita dalla procedura di deficit eccessivo - osserva - è un obiettivo importante che rende l'Italia più protagonista nel Consiglio europeo. Uscire dalla procedura è un elemento e un obiettivo perseguito tenacemente ed é un obiettivo molto importante per il nostro Paese che consentirà sul bilancio dell'anno prossimo più flessibilità, ci consentirà maggiore premialità, di poter gestire senza la condizione di vigilati speciali in cui saremmo altrimenti».

Presidenza italiana Ue, occasione per Stati Uniti d'Europa
L'Italia, secondo il presidente del Consiglio, è chiamata a ricoprire un ruolo di primo piano nella partita europea. «Il semestre di presidenza italiana nella seconda metà del 2014 potrà rappresentare l'opportunità per porre le questioni istituzionali e la dimensione politica al centro dell'azione della Comunità e degli Stati membri. Sarà un'occasione unica per dare il via, proprio dall'Italia, alla costruzione degli Stati uniti d'Europa».

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-06-25/letta-europa-risposte-concrete-102049.shtml?uuid=Abg05C8H&p=2
« Ultima modifica: Luglio 09, 2013, 05:10:42 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #12 inserito:: Luglio 09, 2013, 05:12:09 pm »

Politica
09/07/2013

Letta: troppi privilegi e troppi politici

Il premier sul Porcellum: vergogna da superare. Ma la legge elettorale non è la causa unica di tutti i mali

«Certo, uno dei punti principali del nostro lavoro è quello di mirare alle riforme e uno dei problemi della politica italiana è che ci sono troppi privilegi per i politici, e troppi politici». Enrico Letta in un’intervista, in inglese, al canale radiofonico Bbc4, critica la politica italiana. 

 

Si tratta, osserva il presidente del Consiglio, di «un problema di credibilità del sistema politico. Ecco perché - rileva - le riforme che abbiamo avanzato per cambiare il sistema della politica». Sul Porcellum il premier dice alla radio Bbc4 «E’ un monstrum che non garantisce né rappresentanza né governabilità. Una vergogna, peraltro a rischio di incostituzionalità, che va superata al più presto. Mi sono impegnato a farlo dinanzi al Parlamento». «Ciò detto - prosegue il presidente del Consiglio - non dobbiamo cercare scorciatoie e cadere nell’errore di considerare la legge elettorale la causa unica di tutti i mali della politica italiana. È un abito, informe, slabbrato, da sostituire, su un corpo che, però, anch’esso sempre di più svela la propria inadeguatezza e pesantezza rispetto alle trasformazioni della società italiana e, dunque, anche dell’elettorato».

 

L’intervistatore gli domanda se, alla fine del percorso di riforme della politica italiana appena sintetizzate da Enrico Letta agli ascoltatori del canale radiofonico `non ci saranno più Berlusconi´. Il presidente del Consiglio premette prima che «non so cosa accadrà in futuro» per poi assicurare che «i problemi giudiziari non avranno conseguenze sulla mia attività politica e di governo». 

 

Imu e riforme, intanto, continuano ad essere i capitoli più delicati nell’agenda del governo. Capitoli di enorme valenza politica, oltre che di assoluta importanza per i cittadini (si parla del taglio di una tassa e delle nuove regole attraverso le quali debbono funzionare le nostre istituzioni), sui quali la maggioranza continua a confrontarsi al proprio interno a volte in maniera molto accesa. Parlare di confronto in effetti è riduttivo perché è di tutta evidenza come - in maniera plateale sull’imposta sugli immobili e più sottotraccia, ma non per questo meno ruvido, sulle riforme istituzionali - sia in atto uno scontro vero e proprio tra i due partiti ’forti’ della coalizione, Pd e Pdl. Una contrapposizione che prende quotidianamente nuova linfa anche dalle divisioni che attraversano in maniera sempre più netta i due partiti. I berlusconiani sono impegnati nel passaggio dal Pdl a nuovamente a Forza Italia, e si scontrano sul ruolo, sulla collocazione (moderata o meno) che dovrà avere la nuova formazione. Senza dimenticare le frizioni sulle riforme istituzionali. Il Pd, invece, è impegnato nel suo percorso di avvicinamento al congresso e nella non facile definizione delle regole per le primarie e capire se il segretario debba essere anche il candidato premier o meno. Tutto questo accompagnato dallo scontro sotterraneo (ma non poi tanto) dei big del partito con il sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Ecco allora, di fronte ad un quadro del genere - con un Enrico Letta che si mostra fiducioso comunque sulla prosecuzione dell’esecutivo - il possibile svolgimento domani di un vertice di maggioranza. 

 

Il secondo in sette giorni (dopo quello sollecitato da Mario Monti) che lascia intendere come la navigazione del governo non sia affatto tranquilla. Letta sa bene che per la stabilità dell’esecutivo, e il conseguente buon governo del Paese, sull’Imu non è più possibile prendere tempo. La scadenza del decreto di sospensione dell’imposta si avvicina ed è quindi necessario capire dove si troveranno le risorse per ’’superare’’ - parole del premier - il sistema di tassazione degli immobili. Termine che non piace al Pdl, che pretende la cancellazione tout court della tassa pena, lascia intendere, la caduta del governo. Ecco allora l’attacco diretto dei ’falchi’ pidiellini al ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, colpevole di studiare le più varie soluzioni per il superamento appunto della tassa ma non di prendere in considerazione la sua abolizione. Un attacco, quello rivolto al ministro, che per molti osservatori altro non e’ che la continuazione di quel pressing su Enrico Letta che una parte del Pdl (Berlusconi in testa ovviamente) ha in atto sin dalla nascita del governo. Con l’obiettivo, mai nascosto, di far cadere l’esecutivo o comunque di far ricadere le colpe di un eventuale fallimento dell’operazione sulle spalle degli alleati-avversari. 

 

Ma le risorse per l’intervento sull’Imu (e sull’Iva, con il blocco dell’aumento dal 21 al 22%) non sembrano cosi’ facili da trovare. E’ di ieri l’intervento del presidente della Bce, Mario Draghi, che parla chiaramente di crisi non ancora superata, di recessione ancora in atto. In ogni caso, che la questione si affronti o meno all’eventuale vertice di domani - o, come per altro già annunciato, nella riunione della ’cabina di regia’ prevista per il 18 luglio - ciò non toglie che il tema rimanga di stretta attualità. Tanto da registrare l’apertura del ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, che parla di ’’riduzione’’ dell’Imu sulla prima casa e ’’sugli immobili strumentali delle aziende’’. I capannoni industriali, i negozi insomma, sui quali gli imprenditori avevano chiesto interventi. Un colpo al cerchio e un colpo alla botte, sembra fare Zanonato confermando però con questo rilancio le difficoltà a prendere in considerazione la richiesta di abolizione sollecitata dal Pdl. 

da - http://lastampa.it/2013/07/09/italia/politica/letta-troppi-privilegi-e-troppi-politici-XNxaXXJKGvZkFY7X7soJaJ/pagina.html
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« Risposta #13 inserito:: Luglio 09, 2013, 05:14:52 pm »


Larghe complicità

Sandra Bonsanti, di Giustizia e libertà


Il prezzo che la democrazia italiana sta pagando al governo delle larghe intese diventa ogni giorno più pesante.
E’ impossibile ormai tacere e guardare oltre, nel nome di un superiore interesse nazionale.
Oltre c’è solo il sonno della ragione.
Ecco alcuni dei silenzi del maggior partito di questo governo, o di parti consistenti di esso, su situazioni inaccettabili imposte dal Pdl: tre punti che possono anche essere uno soltanto e comunque tutti ugualmente importanti.
Presidenza di Camera e Senato: sono vergognosi gli attacchi a Laura Boldrini e a Piero Grasso. Senza precedenti nella storia delle istituzioni, e senza precedenti sarebbe prestarsi alla elezione della Santanché: chi guida e teorizza la rivolta contro la magistratura sia tenuta alla larga dalla vicepresidenza di un ramo del Parlamento. Finora la maggioranza dei democratici di sinistra si è opposta. Non si cerchino ora astuzie nei regolamenti che servano a cambiare posizione.
Assalto alla Costituzione attraverso l’assalto all’articolo 138: un grande, inaccettabile imbroglio,  che da solo dovrebbe convincere che non si può smantellare la Costituzione ricorrendo alle furbizie degli apprendisti stregoni.
Legge elettorale: la volontà di non toccare il Porcellum è camuffata dietro a inesistenti esigenze di raccordo con le riforme della Costituzione. Si sa che la classe politica delle larghe intese non ha nessuna intenzione di rinunciare a una legge che consente di tramandare e rafforzare il potere di far eleggere in Parlamento i fedeli e di tenere lontani i “dissidenti”.
Il silenzio imbarazzato su questioni di fondo come queste equivale arrendersi alle pretese del Pdl. Equivale a subire ricatti senza nemmeno protestare. Perché?
La necessità di chiarezza su questi punti è assoluta. Tacendo si diventa complici.
E se il governo delle larghe intese fosse il governo delle larghe complicità, su di esse basato e per esse destinato a durare, non porterebbe beneficio alcuno all’interesse del paese e della democrazia, né oggi né domani.
Prima se ne va, meglio è…

{ Pubblicato il: 08.07.2013 }

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da - http://www.criticaliberale.it/news/132336
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« Risposta #14 inserito:: Luglio 09, 2013, 05:15:50 pm »


Governo, Letta contro il Porcellum "E' una vergogna da superare"

Il presidente del Consiglio sottolinea il "rischio incostituzionalità" della legge elettorale e se la prende con il "bipolarismo muscolare e inconcludente". "Con conflitto di interessi non si può fare il premier"


ROMA - "Il Porcellum è un monstrum che non garantisce nè rappresentanza nè governabilità. Una vergogna, peraltro a rischio di incostituzionalità, che va superata al più presto. Mi sono impegnato a farlo dinanzi al Parlamento". Lo dice Enrico Letta in un'intervista, anticipata da Europa, per il nuovo numero della rivista dell'Arel. "Ciò detto - prosegue il presidente del Consiglio - non dobbiamo cercare scorciatoie e cadere nell'errore di considerare la legge elettorale la causa unica di tutti i mali della politica italiana. E' un abito, informe, slabbrato, da sostituire, su un corpo che, però, anch'esso sempre di più svela la propria inadeguatezza e pesantezza rispetto alle trasformazioni della società italiana e, dunque, anche dell'elettorato".

"Penso - prosegue Letta - all'insostenibilità del bicameralismo paritario, penso al numero eccessivo di parlamentari, penso alle ingessature della nostra democrazia decidente". "Riassumendo: il caos è ingenerato anzitutto da un sistema non all'altezza delle sfide con le quali un Paese come l'Italia deve oggi misurarsi. Tanto più - rileva il presidente del Consiglio - dopo vent'anni di bipolarismo muscolare e inconcludente che ha inibito ogni serio tentativo di riforma".

Quanto al Pd il premier riparte dalla clamorosa bocciatura di Romano Prodi da parte dei franchi tiratori democratici. "Si sono messe a repentaglio le nostre stesse ragioni fondative - dice - si è contaminato un momento solenne come la scelta della prima carica dello Stato con piccole contese interne o calcoli personalistici". "Confido - ha aggiunto Letta -  che l'esperienza serva a tutti come monito. Così come confido che la partita congressuale alle porte si riveli aperta, franca, costruttiva. Il Partito democratico - per la sua stessa fisionomia di grande e plurale forza riformista - può e deve essere un elemento di stabilità della politica italiana, non un catalizzatore del caos e della frammentazione".

Il presidente del Consiglio parla anche di conflitto di interessi. "Se c'è non si può fare il premier" e ricorda che prima di entrare a Palazzo Chigi si è dimesso da segretario generale di Arel.

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/09/news/letta_porcellum-62655149/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_09-07-2013
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