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Autore Discussione: Oreste Saccone - La delega fiscale all'esame del Senato...  (Letto 2150 volte)
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« inserito:: Gennaio 17, 2014, 12:20:01 pm »

Lunedì 13 Gennaio 2014 13:49

di Oreste Saccone -

La delega fiscale all'esame del Senato, nella parte relativa alla disciplina dell'abuso del diritto, presenta una palese ambiguità di fondo. I principi e criteri direttivi ai quali il Governo dovrà attenersi, nel loro insieme, sembrano fatti appositamente per limitare, attraverso un gioco di parole e di rinvii, la portata del principio antiabuso così come definito dalla Cassazione, svuotare di contenuto i criteri direttivi fissati dalla stessa Cassazione, affidare ai tecnici che scriveranno i decreti delegati un'ampia discrezionalità. In concreto, ridare una maggiore libertà di manovra a chi ha sempre operato sul filo del rasoio, sfruttando i vuoti normativi o le asimmetrie dei diversi sistemi fiscali per azzerare o ridurre il carico fiscale.

Fortemente censurabile è poi la disciplina sanzionatoria che sembra mirare a ridimensionare la rilevanze penale delle condotte abusive. Sul piano penale le mega evasioni milionarie pianificate attraverso l'abuso del diritto dai grandi contribuenti sembrano percepite come comportamenti meno pericolosi dei casi di ordinaria infedele dichiarazione.

Premessa - Sono passati oltre due anni dalle prime formulazioni delle bozze di delega fiscale. Il provvedimento che non riuscì a tagliare il traguardo nella scorsa legislatura a causa della fine prematura del governo Monti, sembra ora in dirittura d'arrivo. Nei prossimi giorni la Commissione finanze del Senato terminerà l'esame del disegno di legge di delega passato alla Camera, per consentirne la definitiva approvazione entro il mese di febbraio. Nell'ambito della delega particolarmente attesa dai grandi contribuenti (e dai grandi studi professionali che li assistono) è la disciplina dell'abuso del diritto. Fino al 2008 i grandi potentati industriali, economici e finanziari, sfruttando i vuoti normativi e le asimmetrie esistenti tra i sistemi fiscali dei Paesi in cui operano, erano abituati a pianificare raffinate operazioni elusive di alta ingegneria fiscale, al solo scopo di ottenere indebiti risparmi d'imposta. Tra i grandi contribuenti prosperavano schemi di tax planing palesemente elusivi, nel convincimento che, in assenza di una norma generale antiabuso, era permesso tutto ciò che non fosse espressamente vietato. E la svolta non è avvenuta certo per mano dei politici. Ma per l'intervento deciso e definitivo della Suprema Corte, sulla scia dell'orientamento assunto dalla Corte di Giustizia in tema di abuso del diritto ai fini IVA.

In particolare, nel 2006 la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha affermato la esistenza di una generale clausola antiabuso (sentenza Halifax, del 21.2.2006), considerata immanente alla sesta direttiva, direttamente applicabile nell'ordinamento nazionale ai fini IVA. Nel 2008 la Cassazione a Sezioni Unite, con tre storiche sentenze (1), ha riconosciuto l'esistenza di un principio generale antielusivo anche in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, rinvenuto non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento italiano (2). L'orientamento assunto dalla Corte in tema di abuso del diritto ha prodotto subito rilevantissimi effetti a beneficio dell'erario. Dal 2008 in poi l'Amministrazione finanziaria, basando la sua azione di controllo sulla esistenza di una generale clausola antielusiva, ha intercettato e contestato numerosi e rilevanti schemi elusivi/evasivi posti in essere dai grandi contribuenti, incrementando grandemente i recuperi fiscali conseguiti a seguito dei controlli ( nel 2011 l'incremento è stato dell'800% rispetto al 2007).

In questo scenario si è inserita la pressante richiesta di revisionare la normativa fiscale alla luce del principio generale di divieto dell'abuso del diritto esteso ai tributi non armonizzati, a partire da una esplicita definizione di ciò che si intende per condotta abusiva, nell'ambito della più ampia delega fiscale, in gestazione in Parlamento ormai da oltre due anni. Purtroppo le prime bozze del provvedimento di delega, che venivano diffuse già nella primavera del 2012 e di cui abbiamo dato ampia notizia su questo sito (3) sembravano fatte apposta per indebolire la portata del principio antiabuso fissato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione. Qui di seguito si analizza la formulazione della disciplina dell'abuso di legge contenuta nel disegno di legge attualmente all'esame della Commissione finanze del Senato (4).

Criticità della disciplina dell'abuso del diritto all'esame del Senato e rischi di incostituzionalità - Con lo scopo inserire in modo esplicito nel sistema tributario italiano il principio generale del divieto di abuso del diritto, la cui definizione è stata una volta per tutte scolpita a chiare lettere dalla Cassazione a sezioni unite e considerata immanente allo stesso principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53 Cost.), il periodo introduttivo del comma 1 dell'art. 5 (Disciplina dell'abuso del diritto ed elusione fiscale) della proposta in discussione sembra porsi l'ulteriore obiettivo di revisionare tutte le disposizioni antielusive presenti nel sistema tributario al fine di unificarle a tale principio e a quanto contenuto nella raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772 del 2012.
Se non che nella nostra legislazione non esiste una definizione generale di "norma antielusiva", ma sono considerate tali, accanto a talune disposizioni che il legislatore fiscale definisce espressamente antielusive (ad esempio l'art. 37-bis del DPR n. 600/73) altre fattispecie, e sono le più numerose, ritenute antielusive dalla prassi e dalla giurisprudenza a causa del loro contenuto.
Talune norme antielusive hanno carattere esclusivamente procedimentale, come nel caso del citato art. 37-bis, altre, e sono tante, presentano invece natura sostanziale, cioè mirano a limitare deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta o altre posizioni soggettive, a fini antielusivi, disapplicabili dall'Amministrazione se il contribuente fornisce la dimostrazione che nella fattispecie concreta gli effetti elusivi non si verificano (art. 37-bis, comma 8, DPR n. 600/73).

L'esempio storicamente più noto è la disposizione che fissa nel caso di operazioni straordinarie societarie (ad esempio in caso di fusione di società), una serie di limitazioni al fine di evitare il commercio di 'bare fiscali', mediante la verifica della vitalità dell'azienda le cui perdite vengono portate in detrazione dalla società risultante dalla fusione (5). Altro esempio è quello della disciplina relativa alle società non operative, che spesso nascondono schermi societari costruiti per ridurre il carico fiscale in occasione di investimenti immobiliari effettuati da persone fisiche. Il legislatore impone a tali società di dichiarare in ogni caso un reddito minimo (art. 30 della l. n. 724/ 94). Dunque, se così fosse, se cioè l'intenzione dei proponenti fosse realmente quella di mettere mano anche alla revisione delle norme antielusive, si palesano due evidenti criticità, la prima di rilievo costituzionale, la seconda di merito, di natura politica.

Nel testo di legge delega proposto non vengono individuate le disposizioni tributarie sostanziali considerate antielusive o, comunque, non viene indicato in modo chiaro il criterio che ne consentirebbe la puntuale individuazione, né sono chiari i limiti della delega. Ne conseguono evidenti dubbi sulla costituzionalità della disposizione per violazione dell'art. 76 della Costituzione, che impone di fissare in modo puntuale i criteri direttivi a cui il decreto legislativo deve attenersi. Nel merito e sul piano della opportunità politica, va poi considerato che rivedere la formulazione di tutte le disposizioni antielusive vuol dire rimettere in discussione la totalità della normativa antielusiva, fatta da una pluralità di fattispecie, così faticosamente edificata nel tempo per frenare (di volta in volta) la politica elusiva/evasiva dei grandi potentati economici e finanziari. In concreto si potrebbe provocare un pericoloso arretramento nel contrasto all'evasione fiscale dei grandi contribuenti.

Se, invece, la nostra valutazione fosse errata e l'unico obiettivo dei proponenti resta quello di rendere esplicito nell'ordinamento tributario il principio generale di divieto dell'abuso del diritto, (immanente al principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione) il testo normativo dovrebbe limitarsi ad esplicare il principio e prevedere la revisione solo delle disposizioni antielusive eventualmente in contrasto con tale principio (6). Tra l'altro, poiché il principio antiabuso ha valenza costituzionale, eventuali disposizioni in contrasto con tale principio sono già oggi censurabili dinanzi alla Corte costituzionale.

In conclusione, è evidente che una cosa è prevedere la revisione delle disposizioni antielusive in contrasto con il principio di divieto dell'abuso del diritto e con la raccomandazione comunitaria, altra cosa è la revisione dell'intero sistema favorendo modifiche di sostanza mascherate dietro un accezione generica e non vincolante come è quella della loro revisioni "al fine unificarle al principio di generale del divieto dell'abuso ....". Esaminando, poi, i successivi principi e criteri direttivi indicati nella proposta approvata dalla Camera si rileva una ambiguità di fondo. Essi, nel loro insieme, sembrano fatti a posta per limitare, attraverso un gioco di parole e di rinvii, la portata del principio antiabuso così come definito dalla Suprema Corte, svuotare di contenuto i criteri direttivi stessi, dare mano libera ai tecnici del Mef che scriveranno i decreti legislativi e, da ultimo, ridare una maggiore libertà di manovra a chi ha sempre operato sul filo del rasoio, sfruttando i vuoti normativi o le asimmetrie dei diversi sistemi fiscali per azzerare o ridurre il carico fiscale (7) .

In particolare, appare fortemente censurabile il primo criterio presente nella proposta di delega, teso ad inquadrare il concetto di condotta abusiva: "a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione;". (lettera a) del comma 1)
A prima vista la definizione sembra riprendere appieno il principio affermato dalla Suprema Corte secondo cui il contribuente "...non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcune specifiche disposizioni, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale..." . Ma la Corte di cassazione aggiunge anche "in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale" (Fico. Perché, ad esempio, si potrebbe utilizzare una fattispecie contrattuale anche in modo non distorto, ma con lo scopo esclusivo di conseguire un vantaggio fiscale indebito.

Emerge in modo evidente come la definizione di "condotta abusiva" formulata nella proposta in discussione al Senato sia monca ed equivoca, perché (forse volutamente) non esprime a chiare lettere quello che è l'essenza del principio dell'abuso del diritto in materia fiscale e cioè non chiarisce espressamente che l'uso distorto si concretizza nell'assenza di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dal mero risparmio fiscale (9). Ne emerge una definizione della condotta abusiva di dubbia conformità ai principi fissati in tema di clausola antiabuso dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e dalla raccomandazione UE (10). In concreto occorre una disposizione chiara ed esaustiva da parte del legislatore delegante che definisca in modo puntuale e non equivoco il concetto di condotta abusiva e richiami espressamente "l'assenza di ragioni economicamente apprezzabili" come elemento qualificante della condotta abusiva, senza lasciare margini di dubbio. Ovviamente il concetto di ragioni economicamente apprezzabili va inteso anche in modo prospettico, cioè con riguardo anche ad eventuali operazioni di riorganizzazione, strutturali o funzionali, i cui effetti si misurano nel tempo. Ma sul punto la delega è abbastanza chiara (comma 1, lettera b), n. 2).

Dall'analisi degli altri criteri e principi delineati sembrerebbe che l'ottica dei proponenti sia a senso unico, essenzialmente preoccupata di blindare la posizione dei contribuenti e prevenire probabili comportamenti vessatori degli organi di controllo fiscale. Sembra quasi che si voglia mettere un freno all'azione di controllo del fisco, che, va sottolineato, oggi sta continuando a dare ottimi risultati, nella stragrande maggioranza dei casi confermati anche in sede contenziosa. Chiaro esempio dell' orientamento a senso unico della disposizione si può rilevare dal criterio indicato alle lettera e) dell'art. 1 in commento che fissa, qualecriterio a cui il Governo dovrà attenersi nel disciplinare la norma generale antiabuso, quello di "prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell'accertamento, a pena di nullità dell'accertamento stesso". Innanzitutto appare sovrabbondante, atecnico e di nessuna valenza giuridica l'aggiunta degli aggettivi "formale e puntuale ai fini dell'individuazione della condotta abusiva. A meno che non si voglia aprire la strada ad una normazione attuativa che ponga ulteriori vincoli procedimentali all'azione di controllo dei funzionari del fisco.

Nel merito, poi, il criterio appare superfluo e tuzioristico. L'obbligo di motivare nell'atto di accertamento la condotta abusiva, cioè i presupposti di fatto e le ragioni giuridici su cui si fonda l'accertamento, a pena la nullità dell'atto stesso, è principio già presente nella normativa fiscale. In particolare, in tema di imposte dirette, la relativa disposizione è contenuta nel comma 3 dell'art. 42 del DPR 600/73. Non si vede la ragione di ribadirlo in questa sede. Anche in questo caso sorge il dubbio che si nasconda qualcosa di più, di cui si potrebbe avere contezza solo in sede di stesura del decreto legislativo. Altro aspetto fortemente critico del disegno di delega si rileva poi relativamente ai profili sanzionatori della condotta abusiva.

Criticità della disciplina sanzionatoria - L'art. 8 (Revisione del sistema sanzionatorio), nel delegare il Governo alla revisione del sistema sanzionatorio penale secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, indica come criterio anche quello di procedere alla "individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quella di evasione e delle relative conseguenze sanzionatorie". Anche in questo caso si tratta di un criterio monco, una sorta di delega in bianco, costituzionalmente censurabile (tenendo conto anche della riserva assoluta di legge in materia penale di cui all'art. 25 della Costituzione), sotto un duplice profilo. In primo luogo non viene indicato, né si può presumere, quale sia il criterio distintivo tra operazioni di elusione e quelle di evasione fiscale, visto che le operazioni elusive (poste in essere in violazioni della norma generale anti abuso), costituiscono una forma, peraltro di particolare gravità, di evasione fiscale. Secondo, non viene indicato alcun criterio sostanziale che consenta al delegante di stabilire la maggiore o minore pericolosità delle condotte abusive rispetto alle altre condotte evasive. Non vorremmo che nell'ottica dei proponenti le mega evasioni di svariati milioni di euro pianificate dai grandi contribuenti mediante condotte elusive/abusive siano percepite come comportamenti non particolarmente pericolosi e tali da non meritare la sanzione penale, come avviene viceversa nei casi più rilevanti di infedele dichiarazione.

Conclusione - In conclusione, il disegno di legge di delega passato alla Camera, pur presentando margini di miglioramento rispetto alla scandalosa formulazione della disciplina dell'abuso del diritto presente nelle numerose bozze che giravano fin dalla primavera del 2012 (ivi compreso un condono mascherato sul pregresso), lascia spazio, per talune evidenti ambiguità, ad operazioni di maquillage fiscale in sede attuativa, che potrebbero nuovamente frenare o sterilizzare (nel caso di ridimensionamento della sanzione penale) l'azione di contrasto condotta in questi ultimi anni in modo egregio dall'Agenzia delle entrate e dalla Guardia di finanza, sotto il mantello protettivo del principio del divieto dell'abuso del diritto, così come individuato dalla Suprema Corte.
In assenza di una sostanziale riscrittura della disciplina dell'abuso del diritto da parte del Senato, non sarebbe fuori luogo che i tecnici del Mef e i consiglieri del Ministro dell'economia, che certamente hanno da tempo approfondito la materia, se non altro per il lungo periodo di gestazione della delega fiscale, scoprissero le loro carte per fugare dubbi e ambiguità, facendo girare le prime bozze di decreto legislativo in materia di abuso del diritto che probabilmente sono state già elaborate.

Note:

(1) - Cassazione SS.UU., sent. 23 dicembre 2008 (2 dicembre 2008), n. 30055,30056, 30057 – Pres. Carbone . rel. D'Alessandro. In particolare la Corte ha affermato che "Non può non ritenersi insito nell'ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale".

(2) In concreto, il divieto dell'abuso del diritto si presenta come canone interpretativo delle norme impositive (art. 53 commi primo e secondo, Cost.), nel senso che, laddove il contribuente, attraverso un uso distorto degli schemi giuridici, ponga in essere uno o più atti, negozi o attività, in assenza di ragioni economiche non meramente marginali o teoriche , al solo fine di ottenere un vantaggio fiscale altrimenti non spettante perché contrario alla ratio della norma o delle norme che lo riconosce, l'operazione o le operazioni poste in essere vanno assoggettate al trattamento fiscale che l'ordinamento tributario normalmente prevede in relazione al risultato economico realizzato dal contribuente.

(3) Oreste Saccone, "Abuso del diritto, nella delega fiscale norme ambigue e inopportune", 21 aprile 2012, www. fiscoequo.it

(4) DISEGNO DI LEGGE approvato dalla Camera dei deputati il 25 settembre 2013, in un testo risultante dall'unificazione dei disegni di legge (V. Stampati Camera, nn.282, 950, 1122 e 1339) Trasmesso dal Presidente della Camera dei deputati alla Presidenza il 26 settembre 2013 - Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo,
trasparente e orientato alla crescita - Art. 5. (Disciplina dell'abuso del diritto ed elusione fiscale)
1. Il Governo è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, la revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell'abuso del diritto, in applicazione dei seguenti princìpi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n. 2012/772/UE del 6 dicembre 2012:
a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione;
b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale e, a tal fine:
1) considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente dell'operazione abusiva;
2) escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l'operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni extrafiscali non marginali; stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell'operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda del contribuente;                                                                                                                                                                                            c) prevedere l'inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lettera a) all'amministrazione finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio di imposta;
d) disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell'amministrazione finanziaria l'onere di dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l'onere di allegare l'esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti;
e) prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell'accertamento fiscale, a pena di nullità dell'accertamento stesso;
f) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l'amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di accertamento tributario.

(5) In particolare Il comma 7 dell'art. 172 del tuir, che si occupa di uno degli aspetti più rilevanti, sotto il profilo del contenimento dell'elusione fiscale, dell'intera disciplina sulle fusioni: il riporto delle perdite pregresse.
Ai sensi dell'attuale disciplina, -la società incorporante o risultante dalla fusione può utilizzare sotto il profilo fiscale delle perdite pregresse proprie o delle società incorporate o fuse, con le seguenti limitazioni, introdotte principalmente per verificare la vitalità dell'azienda le cui perdite si portino in detrazione:
1) non si può utilizzare l'ammontare delle perdite eccedente i rispettivi patrimoni netti, risultanti dall'ultimo bilancio, senza tener conto dei conferimenti effettuati nei ventiquattro mesi precedenti;
2) non si possono riportare perdite sofferte da una società il cui volume dei ricavi dell'attività caratteristica, nell'esercizio precedente quello di deliberazione della fusione, non sia stato superiore al 40% di quello medio degli ultimi due esercizi anteriori;
3) non si possono riportare perdite sofferte da una società il cui ammontare delle spese per lavoro subordinato, di cui all'art. 2425, lett. b), n. 9, lett. a) e b), nell'esercizio precedente quello di deliberazione della fusione, non sia stato superiore al 40% di quello medio degli ultimi due esercizi anteriori;
4) in ogni caso, tra i versamenti capaci di sterilizzare il plafond di patrimonio che funge da riferimento per la determinazione del quantum di perdite riportabili non possono essere ricompresi i contributi erogati a norma di legge dallo Stato e da altri enti pubblici;
5) le perdite fiscali pregresse sono ridotte fino a concorrenza delle precedenti svalutazioni della partecipazione della società incorporata da parte dell'incorporante, o del precedente detentore, dopo l'esercizio in cui si è manifestata la perdita e prima della fusione.

(6) Ad esempio potrebbe essere modificato nel modo che segue " Il Governo è delegato ad attuare con i decreti legislativi di cui all'art. 1, la esplicitazione del principio generale del divieto dell'abuso del diritto e la revisione delle vigenti disposizioni antielusive in contrasto con tale principio, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi".

(7) Molti imprenditori hanno il convincimento che, diversamente dagli altri cittadini, il costo dell'imposizione rappresenta un mero costo d'impresa e non invece una concreta espressione della funzione solidaristica della contribuzione fiscale ( art. 2 e 53,c. 2,Cost. ) a fini redistributivi della ricchezza.

(Fico " ... non può non ritenersi insito nell'ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcune specifiche disposizioni, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale." (Cassazione SS.UU., sent. n. 30057/2008)

(9) A meno che non si voglia sostenere che da un interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione il requisito necessario della presenza o assenza di apprezzabili ragioni economiche che giustifichino l'operazione, si può evincere in modo indiretto dai successivi criteri nelle lettere b) e d), che formulano rispettivamente ipotesi nelle quali non è certamente configurabile una condotta abusiva e la disciplina del regime delle prove.

(10) In particolare la raccomandazione comunitaria per contrastare la pianificazione fiscale aggressiva invita gli stati membri a inserire la seguente clausola "Una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l'imposizione e che comporti un vantaggio fiscale deve essere ignorata. Le autorità nazionali devono trattare tali costruzioni ai fini fiscali facendo riferimento alla loro sostanza economica"( 4.2). E poi ancora " .una costruzione o una serie di costruzioni è artificiosa se manca di sostanza commerciale..." (4.4).


Da - http://www.fiscoequo.it/index.php?option=com_content&view=article&id=836:delega-fiscale-nel-testo-allesame-del-senato-forti-ambiguita-e-dubbi-di-costituzionalita-su-disciplina-abuso-del-diritto&catid=63:lef-aumento-irpef-accresce-iniquita-sistema
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