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Autore Discussione: Giovanni ORSINA.  (Letto 3626 volte)
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« inserito:: Novembre 13, 2013, 04:42:25 pm »

Editoriali
13/11/2013

Due strategie fragili a confronto
Giovanni Orsina

Se all’indomani di Tangentopoli il sistema politico italiano ha assunto una struttura bipolare, molto del merito spetta a Berlusconi e all’operazione, fulminea ma sorprendentemente duratura, con la quale ha raccolto la frammentata e dispersa destra italiana.  

La parola «merito» non è stata usata a caso: non si danno paesi civili nei quali non vi sia un assetto per lo meno tendenzialmente bipolare. Anche se, senza dubbio, il nostro bipolarismo si è dimostrato immaturo, polarizzato e inefficiente.

La più profonda forse delle linee di frattura che attraversano oggi il principale partito del centro destra, e che potrebbero portarlo ben presto alla scissione, riguarda proprio la sostanza, e perciò i prossimi destini, del bipolarismo. Il Cavaliere, notoriamente ben più sensibile alle questioni personali che ai meccanismi istituzionali, proietta in un futuro indefinito un dato di fatto innegabile della storia d’Italia degli ultimi vent’anni: il centro destra «c’est moi».  

Lavia verso la maturazione del sistema politico italiano che egli aveva disegnato promuovendo la rielezione di Napolitano e le grandi intese – e che, avendo il bipolarismo radici personali, non poteva che passare attraverso la legittimazione della sua persona – è fallita prima per ragioni giudiziarie, poi per le scelte politiche del Partito democratico. Ma di fronte a questo fallimento Berlusconi ha deciso di confermare testardamente la proprio centralità quasi-istituzionale, facendo di questa conferma uno strumento sia di rivendicazione della legittimità dell’ultimo ventennio, sia di orientamento politico per i prossimi mesi – se non anni.  
 
Di fronte a quel fallimento, invece, l’ala «governativa» del Pdl ha scelto di prendere atto della fine della centralità del Cavaliere, e di passare oltre. Ambizioni personali, desiderio di accelerare il mutamento generazionale, ansia di ereditare il patrimonio politico berlusconiano? Certo, è naturale: chi non ambisce ad accrescere il proprio potere è bene non faccia politica. Ai governativi, tuttavia, non manca un ragionamento – il quale, a partire dalla rivendicazione e valorizzazione del ventennio berlusconiano, e passando per il venir meno del suo protagonista indiscusso, giunge alla conclusione che l’unico modo per salvaguardare l’eredità bipolarista del Cavaliere passa per la riforma del sistema elettorale e, ancor più, della costituzione. E, di conseguenza, proietta il governo almeno fino al 2015.

Sono due strategie fragili. L’intestardirsi di Berlusconi sulla propria centralità quasi-istituzionale, e perciò la decisione di rifiutare le grandi intese che non hanno saputo salvaguardarla, è per tanti versi comprensibile. Ma la presenza politica del Cavaliere non sarà certo garantita dalla crisi di governo. Poi, una parte importante dell’elettorato moderato sembra chiedere stabilità. Infine, e soprattutto, pare del tutto assente una strategia per il dopo che non conduca o al riproporsi degli equilibri attuali, e quindi al deteriorarsi ulteriore di un tessuto politico e istituzionale già insopportabilmente logoro; oppure alla netta vittoria elettorale di un Partito democratico guidato da Renzi. Berlusconi non vuole consegnarsi alla storia. Bene, nessun uomo politico lo vuole, e tanto meno può volerlo uno con la sua personalità. Su chi per non consegnarsi alla storia disperde la propria eredità, però – per poi finirvi consegnato comunque, fatalmente –, il giudizio della storia in genere è assai duro.

Il punto debole della strategia dei «governativi» non è nel loro ragionamento astratto, ma nella concreta possibilità che quel ragionamento si traduca in realtà. Nell’immediato, certo, la sopravvivenza del governo Letta e della legislatura, e l’eventualità quindi che il processo di riforma costituzionale sia portato a conclusione, sono nelle loro mani. Sul medio periodo tuttavia, e in particolare da metà dicembre, quando la Corte Costituzionale si sarà pronunciata sulla legge elettorale, e soprattutto il Partito democratico avrà scelto il suo nuovo segretario, il gioco si farà molto più largo e difficile. E in questo contesto proprio la decisione di Berlusconi di raggiungere Grillo all’opposizione potrebbe far crescere la pressione sul Pd fino a farla diventare insopportabile. Soprattutto nel momento in cui i democratici dovessero avere un leader neoeletto, ambizioso, impaziente, assai poco desideroso – si presume – di immolarsi per un governo che lui, il suo partito e i suoi elettori non considerano cosa propria.

Se la riforma delle istituzioni non dovesse concretizzarsi, la sopravvivenza del bipolarismo potrà allora incardinarsi soltanto sulla tenuta dei partiti. Ma il Pdl va verso la scissione – e per colmo di paradosso, proprio a motivo di un dissenso profondo su come far sopravvivere il bipolarismo. Se così sarà, e tanto più se il divorzio a destra sarà traumatico e non consensuale, allora tutto il peso del sistema politico italiano, che per vent’anni è stato sopportato da Berlusconi, cadrà sul Partito democratico. Saprà reggerlo?

Da - http://lastampa.it/2013/11/13/cultura/opinioni/editoriali/due-strategie-fragili-a-confronto-p5CnZJJCdcVFSSUmk44zCN/pagina.html
« Ultima modifica: Gennaio 19, 2014, 12:25:18 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 19, 2014, 12:22:56 am »

Editoriali
18/01/2014
Voto o non voto, Renzi scopra le carte
Giovanni Orsina

Finora il governo Letta ha fatto poco. È un giudizio largamente fondato, questo. Ma è anche piuttosto ingeneroso: da un esecutivo privo di prospettiva temporale e forza politica non si può pretender molto. Lo presiedesse pure il conte di Cavour, con Einaudi all’Economia e Giolitti agli Interni. Il gabinetto Letta ha giurato meno di nove mesi fa. Assai più breve, però, è stata la sua vita felice: un trimestre appena. A inizio agosto è arrivata la sentenza sulla compravendita dei diritti Mediaset, e per quattro mesi il governo è stato destabilizzato dalle sue conseguenze politiche – fin quasi a morirne. Votata poi a fine novembre la decadenza di Berlusconi, nemmeno due settimane dopo Renzi è stato eletto segretario del Pd. E il criceto-Italia, uscito esausto ed esasperato dalla ruota decadenza-crisi, è stato immediatamente rimesso a correre nella ruota Renzi-Letta.

È più di un mese che Renzi insiste di non voler in alcun modo andare alle urne, ripetendo che il suo unico interesse è che il governo faccia presto e bene. «Una cosa non riusciamo a capire – ha scritto tre giorni fa rispondendo a Luca Ricolfi sulla Stampa – come si possa ancora insistere con la tiritera: vuole solo logorare Letta».

Chi insiste con quella tiritera, però, non fa altro che constatare l’evidenza: mentre a parole giura eterna fedeltà al governo sol che faccia le cose, nei fatti Renzi continua da più di un mese a indebolirlo in ogni modo. Sulla base di una retorica decisionista, fattiva, centrata sugli interessi del Paese e ostile al «teatrino della politica». Ma riproducendo nella sostanza uno dei riti più antichi e più spesso officiati della Repubblica dei partiti: il rito del conflitto fra segretario del partito di maggioranza da un lato, presidente del consiglio (dello stesso partito) e alleati minori della coalizione dall’altro.

Per il criceto-Italia è una gran fortuna che questa vicenda stia infine giungendo a conclusione. Nei prossimi giorni, forse già nelle prossime ore, il Partito democratico prenderà posizione sulla riforma elettorale. E lì si vedrà chiaramente Renzi dove vuole andare a parare: se punta al sistema spagnolo in accordo con Berlusconi vuol dire che intende aprire la crisi di governo e avere le elezioni il prima possibile; se opta per il doppio turno di coalizione significa che vuole far vivere gabinetto e legislatura. Avendo lui stesso messo i due modelli sul tavolo, e avendoli dichiarati entrambi accettabili, non potrà giustificare la scelta in base a motivazioni tecniche, e dovrà assumersene la piena responsabilità politica.

In una logica di breve periodo, a Renzi potrebbe convenire battere la prima strada: andare al voto non appena possibile, con un sistema che sia il più maggioritario possibile, facendo di tutto per tenere politicamente in vita Berlusconi e scontrarsi direttamente con lui. Nel dualismo col Cavaliere Renzi avrebbe molto da guadagnare. Protagonismo e visibilità per entrambi – ma Renzi è molto più giovane e fresco, e Berlusconi è impossibilitato a partecipare in prima persona. I partiti di centro schiacciati, e i loro elettori sollecitati a defluire a sinistra o a destra – ma destinati in maggioranza ad andare a sinistra, perché ormai allergici al Cavaliere. Si dice spesso che Berlusconi avrebbe l’obiettivo di cancellare il nuovo centrodestra di Alfano. Se davvero è così, dev’essere per ragioni che hanno a che fare con gli umori personali e non con la razionalità politica: a Berlusconi serve che Alfano ci sia, sia abbastanza forte (non troppo), e sia autonomo ma alleato. A Renzi invece no: a Renzi farebbe gran comodo stritolare il nuovo centrodestra, andare allo scontro diretto con una Forza Italia che sia spostata più a destra possibile, e così facendo fare il pieno di voti centristi.

Le elezioni subito convengono al sindaco di Firenze, si diceva, in una logica di breve periodo. In una di lungo periodo gli converrebbero invece le riforme istituzionali: si illude chi pensa che basti cambiare il sistema elettorale per dare stabilità e forza a un eventuale futuro governo, ammesso pure che il Pd dovesse vincere bene le prossime elezioni. Il che, per altro, è tutto da dimostrare.

Quanto al Paese: al Paese conviene soprattutto che il criceto esca quanto prima dalla ruota. Renzi vuole che si voti subito? Lo dica chiaramente: non è certo impossibile sostenere che sia la scelta migliore anche per l’Italia. Ritiene invece che il governo debba vivere e fare, come continua a dire? Bene, ma allora si comporti di conseguenza. Ad esempio impegnando le sue donne e i suoi uomini nel gabinetto. Il «rimpasto» in questo caso non sarebbe affatto un rituale «da prima Repubblica»: al contrario, sarebbe l’antidoto principale al gioco – quello sì «da prima Repubblica», come s’è detto, e perniciosissimo – del segretario del partito di maggioranza che spara di continuo sul governo.

gorsina@luiss.it

DA - http://lastampa.it/2014/01/18/cultura/opinioni/editoriali/voto-o-non-voto-renzi-scopra-le-carte-BQlCNcWsgXBtf51yV48u0I/pagina.html
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 01, 2014, 04:25:27 pm »

La necessità di una destra normale

30/11/2014
Giovanni Orsina

Per chi ritiene che prima la politica italiana ritrova un assetto bipolare, meglio è, questa è stata una buona settimana. Buona perché la crisi del grillismo lascia cautamente sperare che il «terzo incomodo», rivelatosi quanto mai sterile, sia destinato a ridimensionarsi. 

E buona perché, sulla spinta delle regionali, l’encefalogramma dell’emisfero politico destro, rimasto per mesi piatto o quasi, ha cominciato a dare qualche pallido segnale. Questo lascia molto (davvero molto) timidamente sperare che Renzi non rimanga privo di opposizione fino al 2023. E magari che certe esigenze di destra che vanno montando in Italia, così come in tante altre terre d’Europa, possano essere affrontate con realismo e civiltà, e non finire rinchiuse in un circolo vizioso di estremismo e violenza.

«Inventato» ad Arcore, il centro destra è sempre stato Berlusconi-dipendente. Di politica al suo interno se n’è fatta pochina: la politica la faceva per tutti il Presidente. Gli eventi di questa settimana – l’affermazione della Lega, la fronda in Forza Italia – rendono legittima una domanda: che sia infine giunta l’ora? L’ora nella quale l’indebolirsi del Cavaliere e l’affermarsi di concorrenti politicamente autonomi proiettano il centro destra nell’età del post-berlusconismo? Perché in fondo, seppure in maniera caotica, non si può dire che nel frattempo a destra non sia salita in scena una nuova leva. Certo, nessuno può nemmeno lontanamente sognarsi di veder spuntare, fra Alfano, Fitto, Meloni, Salvini, Tosi o Toti, l’uniforme del General de Gaulle o la borsetta di Mrs. Thatcher. Però questi sono i tempi. E in questi tempi, questa è la generazione che dovrà giocarsi il futuro del centro destra.

Bisognerà avere pazienza per vedere come evolverà questo gioco. Berlusconi, per altro, è celebre per la sua tenacia e capacità di reinventarsi – e i suoi interventi di questi giorni non sono affatto quelli d’un leader in uscita. Quel che possiamo fare oggi, perciò, piuttosto che azzardare esercizi divinatori, è fissare cinque passaggi cruciali per il futuro della destra. Al ragionamento poi – correndo il rischio di passare per ingenui – aggiungeremo qualche indicazione su come quei passaggi dovrebbero essere affrontati, se la destra la si volesse ricostruire con un minimo di serietà e nell’interesse del Paese.

Il Nazareno, innanzitutto. Su questo Berlusconi ha sempre avuto ragione: è un’occasione storica per superare gli isterismi degli ultimi vent’anni; modificare l’indifendibile bicameralismo perfetto; scrivere una legge elettorale decente. Se però l’accordo si trasforma a destra in un’occasione di polemica costante; se il dialogo sulle regole viene inquinato dal conflitto politico; se una mattina il patto è confermato, la mattina dopo rimesso in discussione – allora degli eventuali benefici rimane ben poco, e l’esito stesso del processo riformistico è messo seriamente in dubbio. Da qui la domanda: è possibile che la cooperazione «costituzionale» con Renzi si trasformi per la destra in un disegno politico condiviso? Forse a certe condizioni sì.

 

Certamente sarebbe auspicabile – per la destra, ma soprattutto per il Paese.

L’elezione del prossimo Capo dello Stato, poi, che da tanti segnali appare non lontana. Inutile nasconderselo: data la balcanizzazione del Parlamento, visti i precedenti delle votazioni a scrutinio segreto, si preannuncia un caos inverosimile – una lotteria dalla quale potrebbe uscire qualsiasi numero. Come intendono muoversi in quell’occasione i partiti che stanno a destra del Pd? Intendono dare il loro bel contributo alla balcanizzazione, oppure convergere un minimo e trasformarsi in un elemento d’ordine? Fra l’altro, ne va della dignità delle istituzioni.

Il terzo, quarto e quinto passaggio sono strettamente collegati fra di loro. Le forme organizzative, in primo luogo: Renzi sta cercando di fare del Partito democratico il partito egemone, possibilmente l’unico, nell’area che sta fra il centro e la sinistra. Chiunque intenda contrapporglisi mobilitando l’area che va dal centro alla destra deve almeno provare a imitare il suo esempio. Modelli alternativi – le giustapposizioni di pezzetti e pezzettini nelle quali Berlusconi era maestro – hanno largamente fatto il loro tempo. L’elaborazione culturale e programmatica, in secondo luogo. Tradizionalmente assai debole a destra, oggi è all’anno zero. E invece è particolarmente urgente, per due ragioni: l’abilità con la quale Renzi ha saputo impadronirsi di parole d’ordine che furono dello schieramento berlusconiano; la crescita prepotente della destra più radicale – tale da rendere una convergenza programmatica non impossibile, ma nemmeno semplicissima. La destra, infine, deve aprirsi a una dialettica interna libera e regolata. La competizione politica e le primarie sono l’unico strumento possibile non soltanto per arbitrare oggi fra le molte ambizioni degli aspiranti leader ma, in prospettiva, per selezionare i talenti politici del futuro.

Un emisfero politico destro che si rimettesse a far politica in maniera costruttiva e lungimirante potrebbe rivendicare il merito di aver dato all’Italia, insieme al Pd, la riforma del Senato e del sistema elettorale. Potrebbe svolgere un ruolo di rilievo nell’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Potrebbe proporsi come un’alternativa reale a Renzi, all’interno di un sistema bipolare meno rissoso e sconclusionato di quello degli anni 1994-2011. Potrebbe perfino sognare di presentarsi in Europa come un modello di collaborazione fra destra e centro destra. Un emisfero politico destro che proseguisse lungo la linea che ha seguito finora contribuirebbe invece a far sprofondare l’Italia in una palude neotrasformistica. E meriterebbe senz’altro di annegarci anch’esso.

Da - http://www.lastampa.it/2014/11/30/cultura/opinioni/editoriali/la-necessit-di-una-destra-normale-CcAorYZD3wszHBrHUeY7EJ/pagina.html
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