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Autore Discussione: Energia alternativa "Svilupparla, tutelando il paesaggio"  (Letto 19845 volte)
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« inserito:: Giugno 15, 2007, 12:16:16 am »

AMBIENTE

Indagine Anev-Greenpeace: l'86 per cento vorrebbe sfruttare il vento

Tra le fonti rinnovabili preferite è al secondo posto dopo quella solare

Energia eolica, gli italiani sono d'accordo "Svilupparla, tutelando il paesaggio"

La Sardegna è una delle regioni più ventose ma ha limiti di produzione


 ROMA - L'energia eolica, nel giudizio degli italiani preoccupati per i cambiamenti climatici, nel nostro Paese è "poco sviluppata e dovrebbe esserlo molto di più", togliendo gli stretti limiti di produzione energetica imposti da alcune regioni e creando nuovi parchi eolici, pur nel rispetto delle zone di maggior interesse paesaggistico.

Sono queste le conclusioni a cui giunge un'indagine sul consenso sociale dell'energia eolica in Italia promossa dall'Anev (Associazione nazionale energia del vento) e da Greenpeace. Un sondaggio su un campione di 800 italiani, che fa il punto soprattutto sulla situazione sarda: una delle regioni più ventose, in cui era stato imposto un limite di produzione - 550 Megawatt, poi rimosso - e in cui permane il vincolo di utilizzare solo zone industriali degradate per impiantare le pale.

La salvaguardia del paesaggio è infatti una delle motivazioni chiave nel basso sviluppo dell'utilizzo del vento come fonte alternativa. Le enormi pale eoliche e il loro impatto creano preoccupazioni, eppure il 50,5 per cento degli intervistati crede che "si dovrebbero impiantare parchi eolici in aree di maggiore vento", tranne in alcune di rilevante interesse paesaggistico. Gli italiani assolutamente contrari allo sviluppo eolico per ragioni paesaggistiche sono invece il 5,4 per cento.

L'uso della forza del vento per produrre energia è, nella classifica delle fonti rinnovabili, al secondo posto nelle preferenze degli italiani, dopo il solare fotovoltaico (che, in una scala da 0 a 5, ottiene il voto 4,5) e prima dell'energia idroelettrica, di quella delle onde del mare e delle biomasse. Una larga maggioranza, l'86 per cento, ritiene che l'energia eolica sia poco sviluppata e che potrebbe esserlo molto di più.

Il 59,5 per cento dei residenti in Sardegna vede nell'incremento dell'uso dell'energia eolica "un'opportunità positiva per il nostro territorio e va accettato", mentre un'altra fetta ampia di sardi, il 30,5 per cento, non è contraria pur non credendo che questo porterà particolari benefici. Sulle limitazioni presenti nella regione, per il 19 per cento i 550 MW non dovrebbero essere superati, per il 42 il tetto va ripensato, mentre per il 36 per cento non vanno imposte limitazioni tranne che per le zone di pregio paesaggistico e turistico.

Anev e Greenpeace spiegano che nel mondo sono installati impianti eolici per 60mila MW con 150mila addetti, e il potenziale di sviluppo entro il 2020 è fino a venti volte maggiore. Tuttavia l'impatto occupazionale, per due italiani su tre, non sarebbe significativo pur a fronte di nuovi posti di lavoro. Quelli che potrebbero essere creati se si scegliesse di puntare sul vento per passare dall'attuale produzione di 2100 Megawatt a quella, possibile, di 10mila.

(14 giugno 2007)  

da repubblica.it
« Ultima modifica: Marzo 13, 2013, 04:54:44 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 14, 2007, 02:58:49 pm »

TECNOLOGIA & SCIENZA

In cellulosa, si può piegare come un normale foglio ed è resistente a temperature estreme

Le applicazioni in campo medico: può essere impiantata sotto pelle e alimentare i pacemaker

La pila del futuro è di carta

Ultrasottile, ricaricabile ed ecologica

di ALESSIA MANFREDI

 
La batteria di carta sviluppata dai ricercatori del Rensselaer Polytechnic Institute (Rensselaer/Victor Pushparaj)
ROMA - Ultrasottile, leggerissima, pieghevole, ricaricabile, in grado di sopportare temperature estreme senza perdere in efficacia. Guardandola, sembra solo un innocuo foglietto, ma all'interno nasconde una potente batteria. La "pila" del futuro è di carta: il piccolo miracolo di nanoingegneria è stato creato da un gruppo di scienziati al Rensselaer Polytechnic Institute, negli Stati Uniti, che presentano la loro scoperta sull'ultimo numero dei Pnas, la rivista dell'accademia nazionale delle scienze americana.

Per oltre il 90 per cento questa batteria di nuova concezione è formata da cellulosa, in cui sono stati integrati nanotubi in carbonio, microstrutture che funzionano come elettrodi e permettono alla pila di condurre elettricità. E' unica, spiegano i ricercatori, perché funziona sia come una batteria ad alta capacità che come supercapacitore - in grado, cioè, di rilasciare elettricità velocemente - che, di solito, sono componenti separate nei sistemi elettrici.

La pila del futuro, come la carta, può essere arrotolata, piegata, tagliata in una serie quasi infinita di forme e senza che la sua potenza o l'integrità meccanica vengano compromesse. Le sue possibili applicazioni, nel panorama elettronico sempre alla ricerca del componente più piccolo e potente, vanno dai vari gadget alle automobili, dall'industria aeronautica alla medicina più avanzata: questa batteria, per funzionare, può utilizzare i liquidi corporei come il sangue o il sudore ed essere inserita sotto la cute.

In questo mini pezzetto di carta intelligente i componenti sono integrati a livello molecolare: "In molte delle altre batterie pieghevoli non lo sono - spiega Robert Linhardt, co-autore della ricerca e professore al Rensselaer Institute. "Quelle sfruttano elementi messi a contatto gli uni con gli altri, ma in questo modo, quando vengono flesse, i componenti si staccano e l'apparecchio non funziona più". Qui, invece, i nanotubi in carbonio sono inglobati nella carta, che è immersa nell'elettrolita. E il risultato finale è in tutto e per tutto simile ad un normale foglio di carta, nero per la presenza del carbonio.

La scoperta è frutto di uno sforzo collettivo, che ha coinvolto ricercatori di diverse discipline: dai laboratori specializzati in biopolimeri del professor Linhardt ad altri, specializzati nella ricerca sui nanotubi e sull'elettronica. Ma è proprio l'applicazione in campo medico una delle più promettenti: "I liquidi corporei potrebbero funzionare come elettroliti. La batteria potrebbe essere inserita sottopelle per alimentare un pacemaker o altre apparecchiature per il rilascio di medicinali, come la pompa per insulina", spiega ancora il professore, con il vantaggio di evitare di inserire all'interno del corpo sostanze chimiche forti come quelle che si trovano nelle comuni batterie.

Per la loro pila, Linhardt e colleghi hanno usato un liquido ionico - un sale liquido, in pratica - che non contiene acqua, quindi non rischia di evaporare o di ghiacciare, rendendo così l'apparecchiatura adatta anche a temperature estreme. Ed è anche ecologica: "grazie all'alto contenuto di carta e alla mancanza di sostanze chimiche tossiche, non rappresenta un rischio per l'ambiente" aggiunge il dottor Manikoth Shaijumon, altro co-autore della ricerca.

Può essere prodotta in diverse dimensioni ma quella che i ricercatori hanno sperimentato era un quadrato di 2 cm per 2. Quello che rimane da capire sono i costi: "Per ora stiamo lavorando su scala sperimentale, in laboratorio. Dobbiamo ancora sviluppare metodi per produrle su scala commerciale e per ora non abbiamo idea di quanto potrebbero costare" continua Linhardt. I singoli componenti di per sé non hanno prezzi elevati e in futuro queste pile potrebbero venire stampate in grandi fogli, usando rotative simili a quelle per i giornali. Ma quando potremo trovarle nei negozi? "Ci vuole tempo - conclude Linhardt - Almeno un paio d'anni per le prime applicazioni, che saranno ancora di tipo speciale".

(13 agosto 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Agosto 21, 2007, 11:46:10 am »

NEWS
21/8/2007
 
Gli esperti giapponesi condannano le batterie al litio
 
 
 
TOKYO
Le attuali batterie al litio, utilizzate nella maggior parte dei computer portatili e nei telefoni cellulari, sono pericolose ed andrebbero cambiate: è quanto riporta il quotidiano britannico The Times citando un gruppo di esperti giapponesi.

Il problema è dato dal fatto che la tecnologia è relativamente «giovane» e ancora poco sviluppata: «Le aziende stanno ancora imparando, ma esiste un difetto fondamentale nel modo in cui le batterie vengono progettate e se le aziende si preoccupano veramente per la sicurezza, i metodi di produzione vanno cambiati», ha spiegato Masataka Wakihara, dell’Istituto Tecnologico di Tokyo.

Fino ad oggi invece gli sforzi maggiori si sono concentrati nella miniaturizzazione delle batterie e nell’aumento dell’energia erogata: i richiami ai quali sono state costrette di recente la Sony, la Sanyo e la Matsushita - che occupano il 60% del mercato mondiale - dipenderebbero dai metodi di fabbricazione adottati, in grado di causare cortocircuiti e surriscaldamenti delle batterie.
 
da lastampa.it
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« Risposta #3 inserito:: Settembre 27, 2007, 11:45:10 pm »

Fulvio Conti: «Un nuovo piano energetico per l’Italia»

Roberto Rossi


Energia. Poco carbone, niente nucleare, sbilanciato sul gas, il sistema energetico italiano è fragile. L’amministratore delegato dell’Enel, Fulvio Conti, lo ha denunciato più volte in Parlamento. Lo abbiamo sentito. Al mondo politico fornisce la sua ricetta con una preghiera: un piano nazionale dell’energia.

Lei ha detto che abbandonare il nucleare è stato «un tragico errore». Si può rimediare?
«Si può sempre rimediare agli errori. Ma in questo momento non credo che ci siano i presupposti. Comunque è importante che si parli della possibilità di tornare al nucleare, di riprendere la ricerca, come è importante che la politica si faccia garante che questo ritorno avvenga con tutte le tecnologie e le avvertenze per il rispetto della sicurezza».

È cambiata la sensibilità degli italiani rispetto al problema?
«Sta lentamente cambiando. Penso che ci sia spazio perché il dibattito continui e perché si favorisca la ricerca. Cosa che Enel sta già facendo in Slovacchia e Spagna».

Quanto costerebbe tornare al nucleare?
«Dipende. Impianti nucleari per essere significativi oggi si fanno su taglie molto grandi ma si stanno anche sperimentando dimensioni di scala più contenute. Rispetto ad altre soluzioni, il nucleare è conveniente come dimostra il caso della Francia. La costruzione, la gestione e il trattamento delle scorie, sono coperti dal minor costo della produzione di energia elettrica».

Una vasta cintura di paesi che ci circonda usa il nucleare. Da noi si fa fatica a mettere in piedi un rigassificatore. Siamo “il Paese del no”?
«È vero, l’Italia è il paese dei molti “no”. Ma qualche volta le cose si fanno. Le centrali a ciclo combinato lo stanno a dimostrare. Però l’Italia è un paese che a differenza di altri coinvolge nella decisione su quali e dove costruire nuove infrastrutture moltissime istituzioni, locali, regionali, provinciali, e segue una procedura molto articolata e complessa per arrivare alle scelte. C’è un’eccessiva frammentazione delle procedure. E soffre di discontinuità amministrativa. Basta che cambi una giunta perché investimenti già avviati siano rimessi in discussione».

Prodi ha ribadito di non essere del tutto convinto del ritorno al nucleare e di voler puntare sui rigassificatori …
«Anch’io punto sui rigassificatori, purtroppo però non si riesce a risolvere il problema proprio per questa selva di regolamenti e regolatori che spesso blocca l’investimento».

Meno burocrazia spesso porta anche a meno controlli...
«Io dico che va snellita la burocrazia non per diminuire il livello di attenzione ma per renderla più aderente a quelle che sono le vere esigenze di protezione dell’ambiente e della salute. Non dimentichiamoci che ogni investimento risponde alle leggi dello stato italiano che sono tra le più severe al mondo in materia ambientale. E inoltre è accompagnato da forme di ristoro per le popolazioni locali, come indennizzi o benefici indiretti».

Se dovesse fare una richiesta al governo, oltre a una semplificazione delle procedure, che cosa chiederebbe?
«All’Italia servirebbe un piano energetico nazionale. Anche se mi accontenterei anche di linee guida, di orientamenti. Perché, veda, la politica di approvvigionamento è ormai globale. Noi importiamo quasi il 90% dell’energia primaria dagli altri paesi. E, spesso, sono paesi con problematiche geopolitiche, oltre che tecniche. È importante che il governo indirizzi la politica per accedere ai paesi esportatori di materie prime».

Lei ha lanciato un allarme black out. Rischiamo di rimanere senza gas e al buio. I Verdi l’hanno accusata di allarmismo interessato: «Vuole solo avere mano libera sul carbone». Che risponde?
«Ognuno ha la propria opinione. Io, però, rappresento dei fatti. C’è una strozzatura logistica in questo Paese che per quest’inverno e il prossimo non avremo risolto. Non è polemica è un dato di fatto. I consumi di gas aumentano, le infrastrutture sono le stesse di due anni fa».

Ma lei se la comprerebbe una casa a ridosso di una centrale a carbone?
«Guardi, io ho vissuto molti anni della mia vita vicino a una centrale a carbone e sono qui tranquillo e in salute. Le centrali a carbone non sono pericolose. E le nuove abbattono gli inquinanti dannosi per la salute dell’80%. L'Enel ha impianti in linea con le più severe normative internazionali e nazionali e le assicuro che il fumo che esce dalle ciminiere è bianco».

Resta comunque la crisi energetica. L’Enel ha una ricetta per farvi fronte?
«Investire. Investire in infrastrutture. Nel caso del gas fare rigassificatori, nuovi gasdotti,, nuovi stoccaggi. E poi ridurre la dipendenza dalla stessa materia prima. Stiamo proponendo di convertire vecchi impianti a olio, ormai obsoleti, in centrali a carbone pulito. E poi spingere per il risparmio energetico e per realizzare fonti rinnovabili ovunque sia possibile e non sempre lo è».

Per lo sviluppo delle fonti rinnovabili c’è da aspettare molto?
«Non è solo un problema di tempo. C’è anche un problema di quantità. C’è sole per tutti ma non ci sono incentivi a sufficienza: ottenere energia con il fotovoltaico costa molto rispetto all’energia da fonti fossili. Alcuni paesi sono partiti prima di noi, come la Germania, ma sono ancora lontani da generare con il sole l’1% della loro energia».

La sua avventura alla guida operativa dell'Enel è iniziata con la suspense del caso Suez...
«….Sta sbagliando vocabolo. Non c'è stata suspense. L'Enel aveva necessità di espandersi nei mercati contigui dell'Europa perché è sempre più importante acquisire dimensioni di scala. Abbiamo valutato un progetto. C'è stata la reazione esagerata e fuori luogo da parte del governo francese. Ma chiusa una porta si è aperto un portone».

… Spagna e Russia.All’epoca si diceva che i rapporti con Prodi fossero tesi. Oggi come sono?
«I miei rapporti con la politica sono di assoluta, serena apertura e troviamo sempre molta collaborazione dal governo e dai ministri interessati, soprattutto per le nostre politiche internazionali. Non ho mai avuto preoccupazioni e continuo a lavorare tranquillamente ai nostri obiettivi. Stiamo facendo bene per l’azienda, per i 2 milioni e mezzo di azionisti, ma anche per il sistema paese».

La prossima primavera scade il suo mandato. Che futuro vede per Conti?
«Decideranno gli azionisti. Il mio mandato dipende da loro».

E per Enel?
«Futuro positivo. La nostra presenza in Spagna e America latina è promettente, come quella in Russia. In Italia, tutti i giorni, portiamo avanti con determinazione il progetto di fare di questo paese un paese efficiente dal punto di vista energetico, sicuro per gli approvvigionamenti e con un costo dell'energia il più basso possibile per le aziende e per tutti i nostri concittadini».


Pubblicato il: 27.09.07
Modificato il: 27.09.07 alle ore 8.59   
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« Risposta #4 inserito:: Ottobre 07, 2007, 11:45:21 am »

ENERGIA

CONTI: "POLITICA NAZIONALE, LOCALISMO BLOCCA SVILUPPO"


Non ci possono essere tante politiche energetiche, una per Regione: ci deve essere un'unica politica energetica nazionale, ricorrendo alla riforma del Titolo V della Costituzione.

Anche perche' c'e' un rischio di "atarassia industriale".

E' l'allarme lanciato dall'ad di Enel Fulvio Conti che invita la classe politica ad accentrare le scelte di politica energetica, anche attraverso una modifica dell'articolo V della Costituzione.

Parlando in occasione del convegno dei giovani imprenditori, Conti ha rilevato che oggi sui giornali "non c'e' solo la notizia che l'Enel diventa il secondo operatore europeo ma anche quella del blocco in Liguria del rigassificatore dell'Eni di Panigaglia, l'unico in Italia. E leggo che il presidente di quella Regione, che pur stimo, spiega che 'la Liguria non e' una colonia dell'Eni'. C'e' - ha detto Conti - una microdemocrazia diffusa che riesce a interferire su progetti come questi, ma su temi come questi di politica ce ne deve essere una sola, quella nazionale. Va riformato l'articolo V della Costituzione che delega le competenze sull'energia a livello locale".

Conti ha ricordato che il caso di Montalto di Castro sottolineando che l'industria energetica italiana "ha gia' pagato il dazio: sono 25 anni - ha ribadito - che cerchiamo di fare un rigassificatore e mentre noi parliamo in Spagna ne hanno fatti sette, tre in Gran Bretagna e solo perche' di tre ne hanno bisogno".

(AGI) - Capri, 6 ott. -
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« Risposta #5 inserito:: Novembre 28, 2007, 05:44:47 pm »

Primo impianto del genere al mondo in area urbana, alimenterà quattro aziende orafe

Arezzo, l´energia del futuro arriva dai tubi sottoterra

Maurizio Bologni


Entro la fine dell´anno via all´idrogenodotto

"Nel giro di cinque anni diventerà un vettore energetico concorrenziale al metano"
 
Ideato dalla piccola cooperativa Fabbrica del Sole che scommette sullo sviluppo della rete  Il primo idrogenodotto al mondo in area urbana debutterà ad Arezzo entro la fine dell´anno, al massimo nei primi mesi del 2008, mancano solo le ultime autorizzazioni. Si tratta di una tubatura sotterranea, già posata nei mesi scorsi e analoga a quelle dell´acqua e del gas metano, che trasporta invece l´energia del futuro.

Per ora è solo un chilometro di tubi da 6-8 centimetri, nei quali l´idrogeno viaggia da un deposito verso quattro aziende orafe in località San Zeno, la Mgz, la Falco, la Treemme e la Co. Ar, che utilizzano l´energia pulita per le loro lavorazioni specifiche, ma anche per dare luce, riscaldare l´azienda, presto generare aria condizionata.

La piccola cooperativa che ha ideato l´idrogenodotto di Arezzo - che si chiama Fabbrica del Sole, occupa una decina di persone e ha saputo catalizzare intorno a questo progetto pilota attenzioni e collaborazioni di primo livello - scommette però sul futuro sviluppo della rete. Non solo ad Arezzo.

«Con l´attuale andamento del prezzo del petrolio pensiamo che nel giro di cinque anni al massimo l´idrogeno diventerà vettore energetico concorrenziale al metano» dice Paolo Fulini, che assieme al presidente della cooperativa Emiliano Cecchini ha presentato in questi giorni la rete di Arezzo alla Fiera Campionaria di Milano.

Al progetto pilota di Arezzo hanno fin dall´inizio collaborato con la Fabbrica del Sole la Sapio srl, l´Arcotronics e l´Enea, poi si sono accodate Coingas, Regione Toscana, Comune e Provincia di Arezzo, Assindustria, Cna e Confartigianato. Obiettivo sperimentale, dunque, quello di servire le aziende orafe aretine che utilizzano l´idrogeno insieme all´ossigeno e all´azoto per le lavorazioni dei preziosi. Le quattro aziende che si sono attaccate alla nuova tubatura, finora ricevevano a domicilio l´idrogeno in bombola. Adesso dovranno semplicemente aprire un rubinetto della conduttura comune. «Risparmieranno diversi soldi» dice Fulini.

A sua volta la baia di stoccaggio che alimenta l´idrogenodotto è rifornita una volta a settimana da un carro bombolaio, ma in parte produce in proprio l´idrogeno grazie all´Hidrolab, ovvero un laboratorio per il monitoraggio, la ricerca e lo sviluppo delle energie rinnovabili completamente autosufficiente dal punto di vista energetico. Ed è sullo sviluppo di questa struttura che poggiano le speranze di futura produzione autonoma, sul posto, di energia pulita, senza più trasporti via gomma. La Fabbrica del Sole progetta di posare accanto alle tubature dell´idrogenodotto anche la fibra ottica nell´ambito di un progetto di cablatura. Così le informazioni viaggeranno assieme al vettore di energia.

(27 novembre 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #6 inserito:: Gennaio 06, 2008, 04:24:39 pm »

«Con l’Lhc sveleremo la natura della materia»

Fisica, l’ora della rivoluzione

Al Cern, centro europeo di ricerche nucleari di Ginevra, sta per essere acceso l’acceleratore più potente del mondo


La ricerca fondamentale sembra oggi un po’ dimenticata di fronte agli straordinari entusiasmi per gli sviluppi tecnologici e ambientali. Ciononostante la ricerca fondamentale, quella esclusivamente guidata dal desiderio umano di conoscere e di sapere, è ora in una fase di straordinario progresso. E in questo gli enti europei Cern, Eso, Esa e italiani Infn e Asi continuano ad avere un ruolo determinante. Il 2008 si annuncia come un anno molto interessante per la fisica delle particelle e per l’astrofisica. La densità e la 
La ricostruzione al computer del decadimento del bosone di Higgs, detto anche «particella di Dio» (dal sito www.mppmu.mpg.de)
composizione della materia ed energia nell’Universo sono di importanza fondamentale. Stiamo adesso arrivando ad una svolta, come è stato dimostrato dal premio Nobel per la fisica 2006 a John Mather e George Smoot per i loro studi sul Big Bang con il satellite Cobe, lanciato dalla Nasa nel 1989. Queste misure, che hanno aperto alla cosmologia il ruolo di una scienza esatta, proseguite con il satellite Wmap e il futuro satellite europeo Planck, stabiliranno con ancora più dettaglio il comportamento dell’Universo «bambino», nel primo istante in cui la luce si separò dalla materia, offrendoci oggi, 12 miliardi di anni dopo, questa meravigliosa immagine sferica dell’Universo incandescente.

LA MATERIA OSCURA DELL'UNIVERSO - Con simili misure si è riusciti per la prima volta a «pesare» l’Universo e a confermare con una precisione del 2% il valore predetto dalla cosiddetta teoria inflazionaria, basata sulla meccanica quantistica dei primissimi istanti della creazione dell’Universo. Oggi sappiamo, dunque, che la materia luminosa contribuisce solamente con una piccolissima frazione, lo 0.5% della massa dell’Universo, mentre la materia ordinaria, quella di cui è costituito il mondo a noi visibile, rappresenta solo il 6%. Quantunque le stelle siano straordinariamente interessanti e attraenti alla vista, esse rappresentano in realtà solamente una frazione piccolissima della materia e dell’energia complessive presenti nell’Universo. Come risaputo da parecchi decenni, la maggioranza della materia e dell’energia dell’Universo sono «oscure », invisibili all’astronomo e quindi solo indirettamente osservabili attraverso gli effetti indotti. La fisica delle particelle elementari ha tra i suoi compiti principali anche quello di aiutarci a comprendere quale ne sia l’origine, accomunando la fisica dell’infinitamente piccolo delle particelle elementari e quella dell’infinitamente grande della cosmologia. E’ questo uno dei compiti principali del nuovo Lhc (Large Hadron Collider), che entrerà presto in funzione al Cern. La fisica nucleare associata alla cosmologia ci ha permesso di ricostruire recentemente e con precisione il processo di nucleosintesi degli elementi della materia ordinaria (per intenderci i noti elementi della chimica) che, come descritto nel famoso libro di Steve Weinberg, avvenne nei famosi «tre minuti» dopo il Big Bang. Sappiamo oggi che questa materia ordinaria, quella di cui noi ed ogni oggetto esistente sulla Terra sono costituiti, rappresenta solo una piccola frazione della materia ed energia dell’Universo. Tutta la materia con cui siamo a visibile contatto fa parte di questo 6%. E i rimanenti 94 %? Intuitivamente ci si aspetterebbe che l’Universo sia sinonimo di materia ordinaria. Oggi sappiamo che questa intuizione è grossolanamente falsa, come è dimostrato dal valore globale della materia osservata dell’universo e dalla forte insufficienza della nucleosintesi.

LE PARTICELLE «SUSY» - Sappiamo dunque che vi è molta più materia di quanto sia dato dalla materia ordinaria: quest’ultima non è la forma dominante della materia nell’Universo. Quantunque la quantità di questa materia oscura sia oggi compiutamente confermata da un gran numero di osservazioni, la sua vera natura rimane ancora un completo mistero. La fisica delle particelle elementari propone una soluzione attraente a questo problema ipotizzando che siano particelle elementari residuate dal Big Bang. Particolarmente interessante sono le cosiddette particelle «supersimmetriche», battezzate «Susy», di massa sufficientemente elevata per non essere state finora prodotte artificialmente ad esempio con l’acceleratore Lep del Cern, ma che lo potrebbero essere con la nuova grande macchina Lhc e i relativi esperimenti. Esse sono fortemente sostenute da teorie che hanno come scopo quello di unificare le forze della natura.
La possibilità che le particelle Susy possano anche costituire la materia «oscura» è una straordinaria coincidenza e un’alternativa da studiare con vigore, anche se evidentemente la soluzione del puzzle offre molte altre possibilità. Quantunque Susy sia un candidato convincente, i fisici delle particelle elementari lo devono ancora scoprire. Non va dimenticato che la Natura ha in riserva molte altre alternative tra cui altre particelle stabili, sufficiente pesanti e senza interazioni apprezzabili, genericamente chiamate Wimp, o Weakly Interacting Massive Particles, le quali potrebbero giocare il ruolo della materia «oscura». L’enorme numero di particelle «oscure» generate dal Big Bang nel cosmo, sia Susy o altre, dovrebbe produrre come conseguenza qui sulla Terra un impressionante flusso di milioni di particelle per ogni centimetro quadrato. E’ quindi anche possibile ricercare questi Wimp grazie alle rarissime collisioni in laboratori sotterranei, dove la presenza di altri eventi ordinari è fortemente attenuata. Il ben più piccolo esperimento Warp nel Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn, oggi in fase di avanzata realizzazione e a cui io partecipo personalmente, costituisce l’esperimento più avanzato mondialmente in questo campo.

 L'ITALIA NON DEVE RIMANERE INDIETRO - Evidentemente le due ricerche, quelle della produzione artificiale di tali particelle al Cern con l’Lhc e quelle dell’osservazione del flusso naturale proveniente dal Big Bang con Warp sono esperimenti complementari, ma ciononostante in diretta concorrenza per una possibile scoperta. Più in generale, al fine di dare risposta alle molte questioni fondamentali, nuovi dati sperimentali cosmologici e di laboratorio sono urgentemente necessari, sia in astronomia che nelle particelle elementari, come ad esempio nella ricerca di nuove particelle esotiche e non interagenti, e in fisica nucleare, ad esempio per comprendere a fondo la nucleosintesi. Abbiamo davanti a noi un affascinante e multidisciplinare periodo di scoperte, nelle quali gli esperimenti più precisi e sensibili saranno i migliori. E a tale fine, nuovi strumenti e, permettetemi di dirlo, anche nuovi finanziamenti sono necessari. Ma, ancora più importante, è che oggi ci troviamo di fronte una vera concordanza nei primi istanti dell’Universo e una guida su dove dirigere la ricerca sperimentale. Questa situazione ricorda quella delle particelle elementari negli anni Ottanta quando fu completato il Modello Standard. La scoperta sperimentale nel laboratorio della natura della materia «oscura» e la sua dominanza nella dinamica del cosmo sarebbe una straordinaria rivoluzione di portata confrontabile alla rivoluzione copernicana quando fu compreso che la Terra non era il centro dell’Universo o alla rivoluzione darwiniana quando si capì che l’uomo era solo l’ultimo elemento di una lunga catena di evoluzioni della specie. In questo nuovo ed eccitante periodo di sviluppi rivoluzionari, la scienza europea e in particolare quella italiana non possono restare indietro.

Carlo Rubbia
Premio Nobel per la fisica
05 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #7 inserito:: Marzo 31, 2008, 12:39:50 am »

Esposto contro l’acceleratore di particelle di Ginevra.

Deciderà un giudice delle Hawaii

Il Cern finisce in tribunale «Può distruggere la Terra»

L’accusa: il buco nero creato dagli esperimenti inghiottirà l’intero pianeta. Gli esperti: ipotesi infondate


MILANO — Il più grande e più costoso acceleratore del mondo costruito al Cern di Ginevra per decifrare la natura dell’Universo potrebbe non entrare in funzione nei mesi prossimi come stabilito per uno strano caso giudiziario nato, addirittura, alle Hawaii. Qui, due signori, Walter L.Wagner e Luis Sancho, hanno presentato un ricorso contro la supermacchina europea sostenendo che gli esperimenti immaginati «potrebbero creare un buco nero capace di mangiarsi la Terra e forse l’intero Universo». L’accusa è pesante. La Federal District Court di Honolulu, che non poteva ignorare l’esposto, ha avviato il 21 marzo il procedimento fissando un primo incontro con le parti il 16 giugno prossimo.

Uno dei due protagonisti, Wagner, ha un passato da fisico all’Università di California, ma laureatosi poi in legge ha preferito la vita tra i codici. Il personaggio è già noto alle cronache fisico-giudiziarie avendo intentato la stessa causa nel 1999 ad una macchina americana dei Bookhaven National Laboratory impegnata in ricerche analoghe ma ad energia più bassa. Di Luis Sancho, invece, si sa quel poco riferito da Wagner e cioè che studia la teoria del tempo e che vive in Spagna, forse a Barcellona. L’accensione imminente del Large Hadron Collider (Lhc) ginevrino costato 5 miliardi di euro ha offerto dunque all’americano l’opportunità di estendere la sua azione contraria a questo genere di studi in base ad un principio di grave pericolosità. Egli sostiene che gli scienziati non hanno indagato a sufficienza le conseguenze del loro futuro lavoro.

Il portavoce del Cern precisa che il tribunale di Honolulu non ha alcun potere per interdire le attività in Europa e che comunque già due indagini hanno dimostrato la sicurezza delle ricerche. Inoltre, per togliere ogni possibile dubbio residuo, una terza è in corso e sta per essere completata e sarà discussa il prossimo 6 aprile. Ma Wagner non si preoccupa delle affermazioni provenienti dalla Svizzera e si dice sicuro questa volta di arrivare ad un risultato. «Perché — spiega—al progetto collaborano anche il Fermi National Accelerator Laboratory e l’Energy Department americani fornendo dei magneti superconduttori. Quindi su di loro il tribunale federale può far sentire la sua azione bloccando di conseguenza la grande macchina». Egli chiede che il giudice ordini l’interruzione delle operazioni di accensione fino a che gli scienziati non produrranno un rapporto definitivo e dettagliato sulla sicurezza che a suo avviso «ancora non esiste».

«Il Large Hadron Collider riproduce delle reazioni analoghe a quelle che accadono centomila volte al giorno in modo naturale quando i raggi cosmici piovono sull’atmosfera e mai nessun buco nero si è creato », ha dichiarato al New York Times Nima Arkani-Hamed dell’Institute for Advanced Study di Princeton. «È un’accusa infondata quella della possibile apocalisse scatenata dal nuovo acceleratore perché priva di dimostrazioni attendibili», nota Roberto Petronzio, direttore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Seicento fisici italiani dell’Istituto hanno partecipato alla costruzione dell’Lhc e ora saranno impegnati nelle ricerche. Negli Stati Uniti la guerra alla scienza e la fede nell’irrazionale, come dimostrano anche i nemici di Darwin, spesso finiscono davanti al giudice.

Giovanni Caprara
30 marzo 2008

da corriere.it
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« Risposta #8 inserito:: Aprile 04, 2008, 05:27:44 pm »

Energie rinnovabili realtà e fantasia.


di Umberto Poli * (Corriere della Sera, 02/04/2008)

Premetto che ho lavorato per oltre 35 anni nei settori nucleare e delle energie rinnovabili in Italia e Francia. Condivido perfettamente e completamente la replica del lettore pubblicata sul Corriere dei 30 marzo. Quando si parla di energie rinnovabili e delle loro possibilità di sostituire l`energia di base che muove le industrie, i trasporti e gli ospedali di un Paese si dicono delle grosse menzogne prodotte solo dalla volontà, di chi le dice, di acquisire consensi elettorali o di potere. I costi degli impianti che utilizzano le energie rinnovabili, a parte il solare termico per produrre acqua calda, sono enormi. Un impianto fotovoltaico in grado di produrre la stessa energia fornita da una centrale nucleare da 1000 MW di potenza costa oltre dieci volte questa centrale e il costo del kWh prodotto è dell`ordine di 0,3-0,4 euro.

Anche il solare termodinamico tanto propagandato ha costi elevati e nessuno ci dice quanto costa il kWh prodotto da questi impianti, a parte le centinaia di kmq di territorio occupati da questi impianti. Anche la proposta di installare questi impianti nel Sahara e importare l`energia prodotta in Europa via cavo in corrente continua a un milione di volt è pura fantascienza. Coloro che ipotizzano il deserto dei Sahara forse non sanno che le dune si muovono continuamente e i venti che lo spazzano sono carichi di sabbia con un elevato effetto distruttivo sulle superfici degli specchi e delle celle fotovoltaiche. Il discorso, puramente tecnico sulla necessità di un velocissimo ritorno al nucleare, sarebbe molto lungo. A titolo puramente informativo, la costruzione e messa in produzione di una centrale nucleare si fa in 4-5 anni, una volta ottenute tutte le autorizzazioni, che sono il vero problema di questo Paese. Sarebbe opportuno informare ì nostri concittadini che noi paghiamo il kWh il doppio della media europea e siamo sottoposti ai ricatti dei Paesi che ci forniscono il gas e il petrolio.

Gestione delle risorse energetiche, Università di Urbino

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« Risposta #9 inserito:: Maggio 28, 2008, 07:21:51 pm »

SCOPERTA della Technische Universiteit di Delft, IN OLANDA

Energia solare moltiplicata per tre

Coi «nanoconduttori» anziché ottenere un solo elettrone da ogni fotone è possibile averne tre

 
 
AMSTERDAM (OLANDA) - Un team di ricercatori dell’Università di Tecnologia di Delft (Olanda) e della Foundation for Fundamental Research on Matter hanno utilizzato nanocristalli come semiconduttori, approdando a una significativa scoperta: la capacità di produzione di energia delle celle solari con l’uso di questi semiconduttori viene triplicata. Gli studiosi hanno ribattezzato il processo di moltiplicazione «effetto valanga».

LO STUDIO - Lo studio verrà pubblicato sulla rivista Nano Letter e subito dopo inizieranno le prime sperimentazioni. L’effetto valanga era già stato individuato in passato e nel 2004 uno studio dei ricercatori del National Laboratories di Los Alamos, in Nuovo Messico, ipotizzava che il miglioramento nelle prestazioni di un impianto per l'energia solare, grazie ai nanocristalli, potesse essere ben maggiore. Ora viene finalmente dimostrata la validità dell’effetto moltiplicatore di questo materiale, anche se si tratta di un’incidenza inferiore a quella ipotizzata.

L’ENERGIA SOLARE - Pannelli costosissimi per produrre relativamente poca energia: questo è uno dei mali dell’energia solare, ritornata più che mai in auge in tempi di crisi energetica. In Italia si annuncia la riapertura delle centrali nucleari, Veronesi e Rubbia dibattono sulla quarta generazione dell’energia all’uranio, sulla sua validità e sulle alternative esistenti, mentre ancora una volta ci si chiede perché, in un Paese come l’Italia, l’energia pulita e poderosa che ci regala il Sole non venga sfruttata a dovere. Dall’Olanda potrebbe arrivare una piccola rivoluzione.

Emanuela Di Pasqua
27 maggio 2008

da corriere.it
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« Risposta #10 inserito:: Ottobre 01, 2008, 10:27:50 pm »

L’hanno inventata e costruita all’Università di Calgary, in Canada

La torre che aspira l'anidride carbonica

Funziona perfettamente e potrebbe risolvere il problema dei tagli al gas serra che altera il clima

 
(da www.ucalgary.ca)

L’hanno battezzata «CO2 Tower», la torre dell’anidride carbonica, perché è sormontata da un grande e alto cilindro d’acciaio che svetta in posizione verticale. E’ la prima macchina per aspirare anidride carbonica direttamente dall’aria costruita dall’uomo, il sogno dei governanti e degli industriali di mezzo mondo, alle prese con il difficile esercizio dei tagli alle emissioni di questo onnipresente gas serra responsabile dei cambiamenti climatici.
Il professor David Keith e il team di scienziati e tecnologi che l’hanno progettata e realizzata all’università di Calgary, Alberta, in Canada, ne illustrano senza trionfalismi le caratteristiche e le prospettive di sviluppo: «E’ un prototipo sperimentale già funzionante, un impianto relativamente semplice che si basa su tecnologie mature. Ha il pregio di poter svolgere la sua funzione in qualunque posto del pianeta, separatamente da un impianto di produzione energetica. Ne stiamo mettendo alla prova l’efficienza per verificare la nostra ipotesi che possa essere conveniente realizzarlo e distribuirlo in una molteplicità di esemplari». Nessuna promessa spericolata, insomma, ma la presentazione di una soluzione pratica e già operativa, da sottoporre al giudizio della comunità scientifica internazionale per le necessarie verifiche.

COME FUNZIONA - Alla base del funzionamento della macchina, c'è un processo chimico-termodinamico sicuro: l’aria aspirata viene posta a contatto con una pioggia di particelle di idrossido di sodio (NaOH) che provocano la separazione della CO2 presente, la quale può essere raccolta e stoccata nella forma più opportuna per il suo smaltimento (I dettagli tecnici del processo possono essere studiati nella pubblicazione scientifica disponibile online. Keith e collaboratori ci tengono a che non si faccia confusione fra la loro tecnologia e quella detta CCS (cattura e stoccaggio del carbonio), anch'essa in corso di sperimentazione in varie parti del mondo: «La CCS preleva l’anidride carbonica ai camini di centrali elettriche o industrie, dove si trova in alte concentrazioni, la nostra macchina, invece, direttamente dall’aria». E’ spontaneo chiedersi, a questo punto, quale vantaggio c’è ad aspirare CO2 dall’aria, dove è presente con una concentrazione di appena lo 0,04%, invece che dai fumi di un impianto energetico, dove la sua concentrazione balza al 10%. «Il fatto è che una larga fetta di CO2 è prodotta da sorgenti mobili: auto, aeroplani, navi, dove la tecnica CCS è inapplicabile -spiega Keith-. Di qui la necessità di pensare anche a una rimozione direttamente dall’aria».

UNA «TORRE» SU OGNI TETTO? - I primi conteggi, riferiscono Keith e collaboratori, sembrano incoraggianti: il loro prototipo richiede 100 kilowattora per tonnellata di CO2 estratta. «Questo vuol dire che, usando una centrale elettrica a carbone per alimentare la nostra macchina, per ogni unità di elettricità prodotta per farla funzionare, catturiamo CO2 dieci volte di più di quella emessa dalla centrale per il nostro fabbisogno». Insomma, l’efficienza del processo sarebbe fuori discussione. Ora c’è da valutare la convenienza economica di una produzione su larga scala di queste macchine. Galoppando con la fantasia, potremmo immaginare un futuro in cui ognuno di noi, sul tetto, accanto all’antenna della televisione, ha una torretta aspira-CO2 per smaltire i gas serra emessi dalle nostre attività quotidiane!

Franco Foresta Martin
01 ottobre 2008

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« Risposta #11 inserito:: Ottobre 01, 2008, 10:33:00 pm »

Surclassati tutti i modelli fino ad ora progettati

Celle solari: nuovo record di efficienza

Messa a punto una tecnologia in grado di convertire in energia elettrica il 40,8 per cento delle radiazioni

 
Nuove celle solari sono in grado di convertire il 40,8% delle radiazioni in energia (Reuters)

Il nuovo record mondiale per l'efficienza fotovoltaica è a stelle e strisce. Gli scienziati del Dipartimento di Energia degli Stati Uniti hanno creato un dispositivo a celle fotovoltaiche che è in grado di convertire il 40,8 per cento delle radiazioni solari in elettricità pulita. Il primato arriva solo pochi giorni dopo l'annuncio del record europeo, conquistato dall'Istituto Fraunhofer per i Sistemi a energia solare, che si è fermato a un'efficienza del 39,7 per cento.

CELLA A TRIPLA-GIUNZIONE - L'innovativa tecnologia per la conversione dell'energia solare ha surclassato tutte le altre fino ad ora progettate e ha già ottenuto un riconoscimento dalla rivista R&D come una delle più innovative scoperte del 2008. La cella è stata disegnata, fabbricata e testata presso il Laboratorio nazionale di energia rinnovabile (Nrel). Si tratta di una cella a tripla-giunzione, costituita da una combinazione di semiconduttori. Su di essa la luce solare è stata concentrata fino a raggiungere un'intensità pari a 326 volte quella che raggiunge la superficie terrestre in una giornata serena.

CANDIDATE PER LO SPAZIO - Le celle solari a multi-giunzione sono l'ultima frontiera in campo fotovoltaico. Ma questo nuovo sistema di conversione dell'energia solare differisce da tutti quelli disegnati in precedenza. I ricercatori del Nrel hanno fatto in modo che lo spettro solare venga scisso in tre parti tramite l'utilizzo di una struttura composta da strati di fosfuro di indio e gallio (GaInP) e arseniuro di indio e gallio (GaInAs): ogni porzione dello spettro viene quindi assorbita da ciascuna delle tre giunzioni alla sua massima efficienza di conversione. A tutto ciò va aggiunto che la cella viene sviluppata su un wafer di arseniuro di gallio, che in una seconda fase viene rimosso. Il risultato è un dispositivo ultra leggero e sottile che costituisce una nuova classe di celle fotovoltaiche con molti vantaggi nelle performance, nel design e nei costi. Le caratteristiche di queste celle le rendono ottime candidate per essere utilizzate nello spazio, sui satelliti, e nelle centrali fotovoltaiche che sfruttano la luce solare concentrata

Valentina Tubino
30 settembre 2008


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« Risposta #12 inserito:: Marzo 15, 2011, 05:07:22 pm »

15/3/2011

L'incubo dell'effetto Fukushima

PIERO BIANUCCI

Non sappiamo ancora come si evolverà l’emergenza dei reattori nucleari giapponesi messi in crisi da terremoto e tsunami. L’«effetto Fukushima» però è già in atto. In Germania Angela Merkel, che aveva deciso di prolungare di almeno dieci anni la vita di 17 vecchi impianti tedeschi, sta tornando sui suoi passi. Ci saranno tre mesi di riflessione ma l’orientamento è verso una chiusura immediata, atto che porterebbe Berlino all’uscita dal nucleare.

In Svizzera il governo federale sospenderà la procedura per autorizzare tre nuove centrali: solo dopo una radicale revisione dei sistemi di sicurezza il progetto potrà andare avanti. Un blocco del nucleare si profila in Belgio e in Polonia. La Polonia si trascinerebbe dietro Paesi che come Slovacchia e Repubblica Cèca avevano puntato sull’opzione nucleare per conquistare autonomia energetica. Persino in Francia, dove sono in funzione 59 reattori e l’80 per cento dell’elettricità è di origine nucleare, serpeggiano dubbi e imbarazzo, mentre il movimento ecologista reclama il referendum sull’atomo. Quanto all’Unione Europea nel suo insieme - ha comunicato il commissario all’energia Gunther Oettinger - intende riesaminare gli standard di sicurezza.

Nel mondo sono in funzione 450 reattori che complessivamente forniscono il 14 per cento dell’elettricità consumata globalmente. Molti sono di vecchia generazione. Da vent’anni la costruzione di nuovi impianti segnava il passo. Solo di recente era iniziata una inversione di tendenza, dovuta soprattutto alla decisa scelta nucleare compiuta dalla Cina e dall’India. Ora tutto ciò è messo in discussione.

La logica di una retromarcia così generalizzata è ben comprensibile. Il Giappone ha una forte cultura antisismica, e infatti la grande edilizia civile ha sopportato persino la scossa devastante di un terremoto di magnitudo 9 (altro discorso vale, naturalmente, per le piccole case vicine alla costa spazzate via dallo tsunami). Il Giappone ha anche una solida cultura nucleare: metà dell’energia di questa che è la terza potenza economica mondiale viene dall’atomo. In più il Paese è, per così dire, vaccinato dalla tragedia delle bombe che nell’agosto 1945 distrussero Hiroshima e Nagasaki. L’esperienza di quegli orrori bellici e delle loro conseguenze ha accentuato l’attenzione al problema delle radiazioni e della sicurezza nel nucleare civile.

Nonostante ciò, siamo qui con il fiato sospeso a seguire gli sviluppi di incidenti gravissimi ai reattori di Fukushima, due dei quali già semidistrutti da esplosioni dovute all’accumulo di idrogeno. La situazione è così difficile che per raffreddare il nocciolo dei reattori si sta pompando acqua di mare. E’ una soluzione che indica la gravità di quanto sta accadendo: poiché è salata, l’acqua marina danneggerà gli impianti in modo tale da renderli irrecuperabili. Ma anche così non è detto che si riesca a evitare la fusione del nocciolo dei reattori. Un incidente ora classificato di livello 4 balzerebbe quindi al livello 7, il più grave ipotizzabile, quello toccato dal reattore di Cernobil.

Se il Giappone con tutta la sua tecnologia antisismica e la sua esperienza nucleare si trova di fronte a questa emergenza – è il ragionamento che molti cittadini e decisori politici stanno facendo – come si può ancora sostenere che le centrali nucleari sono sicure? Ed ecco che l’«effetto Fukushima» si potrebbe tradurre in un nuovo e forse definitivo stop all’atomo. Ogni ragionamento è naturalmente legato ai tentativi in atto per bloccare la fusione dei noccioli dei reattori, il successo o meno di questi sforzi segnerà il corso della storia.

In Italia i ministri Prestigiacomo e Alfano hanno già detto che si va avanti: mai cambiare linea sull’onda dell’emotività. L’impressione però è che i ripensamenti di Germania, Svizzera, Belgio, Polonia e altri Paesi avvengano proprio sull’onda della razionalità. Gli eventi giapponesi sono chiari nel loro messaggio. D’altra parte, anche da un punto di vista pragmatico, se fino a ieri era difficile collocare centrali nucleari in Italia non tanto perché gran parte del territorio è inadatta a causa della sismicità e della scarsità di acqua per il raffreddamento, quanto piuttosto perché ci si scontra con l’ostilità delle popolazioni, ora costruire il consenso sembra davvero una missione impossibile.

Certo, le centrali di Fukushima hanno la loro età e i quattro reattori Epr (European pressurized reactor) acquistati chiavi in mano da Berlusconi al mercato di Sarkozy dispongono di qualche precauzione in più (un ulteriore edificio di contenimento, un «pavimento» che dovrebbe limitare i danni dell'eventuale fusione del nocciolo, una minor produzione di scorie radioattive). Ma nella sostanza gli Epr sono ancora reattori convenzionali, e solo presentando all’opinione pubblica una generazione di reattori del tutto innovativa si potrebbe forse rimontare quell’«effetto Fukushima» che in questo momento sembra prevalente.

Se poi si aggiunge che queste quattro centrali produrrebbero solo il sei per cento del nostro fabbisogno elettrico, e non domani ma tra dieci anni, lo sviluppo nucleare, in parte condiviso anche da settori dell’opposizione, in queste ore sembra avere poche speranze.

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« Risposta #13 inserito:: Maggio 23, 2011, 05:00:05 pm »

23/5/2011

Nuova e vecchia comunicazione

PIERO BIANUCCI

Berlusconi parla da cinque televisioni, tre sue e due di tutti. I fan di Pisapia si tengono in contatto con messaggini sui cellulari, «cinguettii» su Twitter, scambi di opinioni con Facebook. La lotta all’ultimo voto che va in scena a Milano è interessante anche dal punto di vista dei mezzi di comunicazione utilizzati.

Si confrontano due tipi di rete. Berlusconi usa la rete a stella: l’emittente è centralizzata. Siamo in un universo tolemaico. Terra al centro e tutto il resto – Luna, pianeti e stelle – gira intorno. Il rapporto è monodirezionale: dal centro alla periferia, da chi emette il messaggio a chi lo riceve. La rete a stella è potente, nessuno dei suoi singoli utenti è in grado di intaccarla. Ma è anche fragile: un guasto al faro lascia tutti al buio.

I fan di Pisapia usano una rete multicentrica. Il loro rapporto è pluridirezionale. Non va dall’alto al basso, procede orizzontalmente a zig-zag. Inoltre è un rapporto interattivo. Ogni fan con il suo cellulare o i social network è un piccolo centro ricetrasmittente. Il singolo fan è debole. Ma l’insieme è forte. Se una piccola emittente per qualche motivo viene meno, ce ne sono migliaia pronte a subentrare creando percorsi alternativi. Negli Anni 60 il governo americano per rendere la rete di telecomunicazione inattaccabile creò Arpanet, la nonna di Internet, e lo fece proprio privando la rete di un centro unico e distribuendo il «potere» tra tanti centri minori interconnessi.

La rete multicentrica delle comunicazioni sta trasferendosi nel sociale. In Spagna «los indignatos» ne sono lo specchio. Da noi qualche tempo fa decine di piazze dalle Alpi al mare Ionio si sono affollate per difendere la Costituzione. Poi è successo per la scuola pubblica, la dignità delle donne, la ricerca scientifica, l’occupazione. Queste manifestazioni hanno una caratteristica comune. Sbocciano in pochi giorni, persino in poche ore. Non sono organizzate ma si auto-organizzano. Manca la regia. La diffusione delle idee e dei sentimenti che animano questo fenomeno ha i connotati del contagio. Come avviene che persone geograficamente e socialmente lontane si mobilitino insieme?

Paul Erdos, geniale matematico ungherese dalla vita nomade (non ebbe mai una casa, i suoi beni stavano tutti in una valigia), affrontò il problema di stabilire quante strade servono per collegare 50 città. Con 1225 strade la connessione è assicurata. Ma qual è il numero minino? Erdos ha dimostrato che ne bastano 98.

Se aumenta il numero dei punti da collegare ci sono sorprese. In media per connettere ciascuno dei 7 miliardi di abitanti della Terra a uno qualsiasi degli altri sono sufficienti sei passaggi. Per esempio un contadino del Brasile conosce il parroco del suo villaggio, che a sua volta dipende dal vescovo locale, il quale è in contatto con qualche cardinale che ha incontrato il Papa. Tra il contadino brasiliano e Benedetto XVI esistono soltanto tre gradi di separazione. E’ la teoria delle reti, e la troviamo nascosta sotto le realtà più diverse: il funzionamento del cervello, il diffondersi delle epidemie, l’imprevedibile successo di un libro, finanza e commerci, mode e fenomeni sociali. Se poi ad accelerare le connessioni interpersonali provvedono Internet e telefoni cellulari, che sono reti allo stato puro, il gioco è fatto.

Nel 1998 i matematici Duncan Watts e Steve Strogatz (Cornell University) scoprirono che in una rete sono decisivi pochi legami tra punti lontani distribuiti in modo intermedio tra ordine e caos. Sono questi legami a rendere veloci i rapporti, e l’esito può essere esplosivo. Ma pare che i nostri politici sappiano poco di Erdos, Watts e Strogatz.

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