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Autore Discussione: MICHELA SCACCHIOLI  (Letto 4244 volte)
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« inserito:: Novembre 04, 2013, 05:46:09 pm »

Consiglieri regionali, fondi e 'spese pazze': pecore, penne e le (proprie) tasse sui rifiuti

In 16 Regioni inchieste per peculato, truffa e concussione sui rimborsi dei gruppi nei 'parlamentini'.
Ma indulto e amnistia potrebbero rappresentare un colpo di spugna normativo, caso Fiorito in primis.
A deputati e senatori il compito di decidere quali reati condonare. Nel 2013, intanto, sforbiciate sui fondi: da 47 milioni di euro a 9 milioni. La mappa delle indagini

di MICHELA SCACCHIOLI
14 ottobre 2013

ROMA - Sono finiti sotto inchiesta per peculato, truffa e concussione. Un'indagine che - da nord a sud - si è allargata a macchia d'olio su un 'esercito' di consiglieri regionali. Un pentolone di 'spese folli' che la magistratura ha iniziato a scoperchiare più di un anno fa ma che ora rischia di esplodere in un nulla di fatto in virtù dell'indulto e dell'amnistia. Caso Fiorito in primis (l'ex capogruppo del Pdl in Lazio è già stato condannato in primo grado). Nei giorni scorsi il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha invocato provvedimenti di clemenza per scongiurare il sovraffollamento nelle carceri: ma sarà compito di deputati e senatori (serve l'accordo dei due terzi del parlamento) 'perimetrare' tali misure e decidere quali reati infilare sotto l'ombrello del condono (della pena) e dell'oblìo (dei reati).

Il dibattito imperversa sulle sorti di Silvio Berlusconi, condannato in Cassazione per frode fiscale, e sulle ripercussioni reali di tali misure. I dubbi, però, ora investono anche lo scandalo sui rimborsi spese dei gruppi consiliari regionali, e serpeggia il timore che la gestione 'allegra' di tali fondi possa chiudersi con un colpo di spugna normativo. Ci si aspetta il braccio di ferro in aula visto che sarà compito di deputati e senatori fare sì che reati considerati di particolare 'allarme sociale' rimangano fuori dalla cornice. Di sicuro c'è che, accanto alle inchieste penali, a spulciare scontrini, fatture e ricevute di dubbia provenienza ci si è messa ovunque la Corte dei conti: ai giudici contabili rimarrà comunque la  facoltà di sanzionare coloro che saranno ritenuti colpevoli, e di obbligarli alla restituzione del maltolto laddove ci sarà chi deciderà di costituirsi parte civile.

Il denaro a disposizione dei 'parlamentini'. Spalmati lungo tutta Italia, nel 2011 i soldi pubblici a disposizione dei consiglieri regionali eletti sono stati ben 47 milioni di euro. Rimborsi extra destinati ai gruppi, s'intende, che sono andati ad affiancarsi al lauto compenso percepito mensilmente. Ma complici le inchieste giudiziarie che hanno aperto uno squarcio inquietante sulla gestione 'allegra' del denaro versato dai contribuenti e destinato - sulla carta - al funzionamento dei singoli parlamentini, la mannaia normativa ha tentato di ridimensionare la portata dello scandalo sulle 'spese pazze' e di calmierare l'ammontare dei rimborsi elargiti a uso e consumo dei singoli gruppi consiliari. Nell'elenco degli acquisti effettuati negli anni passati col denaro di rappresentanza, infatti, è finito davvero di tutto: dai profumi alle penne d'oro, dalla lap dance alle pecore, passando per il buffet a base di cornetti, paste secche e latte di mandorla offerto, dopo un funerale, ai parenti del caro estinto. Ma c'è stato perfino chi ha usato quei soldi per saldare la propria tassa sui rifiuti. A pagare, in realtà, i cittadini.

SFOGLIA LA MAPPA DELLE INCHIESTE REGIONE PER REGIONE
Parlamentini e 'spese pazze', la mappa delle inchieste
E così, dalla Calabria al Piemonte, la sforbiciata imposta dalla nuova legge varata alla fine dello scorso anno dal governo Monti ha sottratto 37,3 milioni di euro dalle tasche delle singole assemblee legislative. Di fatto, una riforma del finanziamento pubblico ai gruppi politici, dettata da Roma ai territori. Peccato che si sia deciso di 'chiudere la stalla' quando ormai i buoi erano scappati. Tuttavia, a partire dal 1° gennaio 2013 i fondi a disposizione sono, complessivamente, poco più di 9 milioni. Il calcolo è presto fatto: 5mila euro per ciascun consigliere più 0,05 euro per abitante di ogni regione

Da sinistra a destra, dentro allo scandalo ci sono finiti tutti. Ma se dal punto di vista mediatico la stretta sui costi è stata anche un modo per provare a contenere l'indignazione popolare generata negli anni dai diffusi sentimenti anti casta e riesplosa furiosa dinanzi a vicende come il 'caso Fiorito', sul fronte giudiziario le singole procure sono ampiamente al lavoro.

Dopo le segnalazioni legate a presunte irregolarità riscontrate negli anni passati e inviate dalla Corte dei conti ai tribunali, 16 Regioni su 20 sono finite, una dietro l'altra, nel mirino della magistratura. Che in queste ore continua ad analizzare le note spese dei gruppi consiliari accusati, a seconda dei casi, di peculato, di truffa e/o di concussione. Il quadro a oggi è complesso e variegato, a partire dalle teste già saltate. In Sardegna, Umbria e Basilicata alcuni politici sono finiti a processo, mentre in Friuli Venezia Giulia talune posizioni sono appena state archiviate. Altrove sarebbe in dirittura d'arrivo l'avviso di conclusione delle indagini. Accade anche che gli indagati fossero già stati rieletti nell'attuale legislatura: sulla base della legge Severino, i consigli voteranno la sospensione (ma non la decadenza) dalla carica qualora arrivassero condanne di primo grado.

© Riproduzione riservata 14 ottobre 2013
la Repubblica quotidiano digitale

http://www.repubblica.it/politica/2013/10/14/news/le_spese_pazze_dei_consiglieri_regionali_con_la_clemenza_si_rischia_colpo_di_spugna-68396136/?ref=HREC1-2
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 19, 2014, 06:04:56 pm »

Legge elettorale, c'è "profonda sintonia" dopo il lungo incontro Renzi-Berlusconi in casa Pd

Al termine di un faccia a faccia che scatena il caos tra i democratici e dentro al governo, il segretario lancia il messaggio ad Alfano: "Sì a bipolarismo, stop a ricatto dei più piccoli". Poi apre alle altre forze politiche. E il Cav: "Accordo con Matteo per rafforzare i grandi partiti". All'orizzonte accordo sull'ispanico modificato. Lunedì la direzione dem voterà la riforma. Intesa raggiunta anche su titolo V ed eliminazione del Senato. Domani il segretario a Parma da Bersani

di MICHELA SCACCHIOLI
   
ROMA - Se si tratti o no del modello ispanico corretto, Matteo Renzi non lo vuole dire. Vero è che la "profonda sintonia" che lo accomuna a Silvio Berlusconi sulle modalità con cui metter mano a una legge elettorale - il Porcellum - che la Consulta ha già provveduto a bocciare impietosamente, si basa su due cardini ben precisi. A sottolinearli ci pensa lo stesso Renzi nel corso della (breve) conferenza stampa convocata al termine del (lungo) faccia a faccia col Cav in casa del Pd: "Favorire governabilità e bipolarismo da un lato - dice il leader dem - ed eliminare il potere di ricatto dei partiti più piccoli". Un messaggio chiaro al vicepremier Angelino Alfano e al suo Nuovo centrodestra, bersaglio dell'affondo contro i 'partitini'. E a chi gli chiede se, di fatto, assieme all'ex premier si sia deciso di procedere con il modello spagnolo rivisitato, la risposta è stata: "Non ci resta che attendere il lavoro che presenteremo lunedì". Già, perché lunedì prossimo - dopodomani - alle 16 la direzione del partito potrà esprimersi su un testo che per allora dovrà essere definito. E che chiarirà anche se le liste saranno bloccate o meno.

"C'è una profonda sintonia - aveva sottolineato qualche minuto prima Renzi nell'esordire dinanzi ai giornalisti -  tra le proposte del Pd e quelle che abbiamo discusso oggi con Berlusconi su tre temi delicati e capaci di segnare la svolta: la riforma del titolo V, con l'eliminazione dei rimborsi ai gruppi consiliari regionali; la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie senza elezione diretta dei senatori (altro messaggio indirizzato a Ncd, ndr); e la riforma delle legge elettorale" su cui annuncia: "Abbiamo condiviso un'apertura alle altre forze politiche per scrivere il testo della legge che, se nelle prossime ore saranno definiti i dettagli, presenteremo alla direzione del partito che lunedì alle 16 lo voterà". Secondo indiscrezioni, il modello che Renzi ha proposto a tutti i suoi interlocutori, e di cui nelle ultime ore ha discusso con l'ex premier, è il modello spagnolo 'made in Italy' con una soglia - a livello nazionale - all'8 per cento.

Contemporaneamente, da Forza Italia viene diramato un comunicato stampa in cui Berlusconi dice che le critiche al premier Enrico Letta restano tutte in campo ma "auspicando di poter al più presto ridare la parola ai cittadini, ho garantito al segretario Renzi che Forza Italia appoggerà in Parlamento le riforme". Poi, sulla riforma del Porcellum: "L'accordo con Renzi prevede una nuova legge elettorale che porti al consolidamento dei grandi partiti in un'ottica di semplificazione dello scenario politico. Insieme, abbiamo auspicato che tutte le forze politiche possano dare il loro fattivo contributo in Parlamento alla rapida approvazione della legge, che speriamo possa essere largamente condivisa".

Un'intesa, dunque, che sconquassa il Pd e che divide la maggioranza. Un faccia a faccia, quello di oggi, che scatena il caos politico. Attorno alle 15 Renzi varca per primo l'ingresso del Nazareno - blindatissimo per l'occasione -, dove a ridosso delle 16 arriva pure il leader di Forza Italia condannato in Cassazione per frode fiscale. Assieme a Renzi, c'è il portavoce della segreteria Lorenzo Guerini. Con Berlusconi - che entra da un ingresso secondario e che dopo più di due ore lascerà via Sant'Andrea delle Fratte dileguandosi con la scorta senza rilasciare dichiarazioni - il 'fedelissimo' Gianni Letta. Un cordone di forze dell'ordine ha tenuto lontani curiosi e giornalisti per lasciar passare, tanto all'entrata quanto all'uscita, la macchina dell'ex premier. All'arrivo di Berlusconi un piccolo gruppo di manifestanti, tra cui alcuni esponenti del Popolo Viola, ha gridato: "vergogna, vergogna" e poi "non si tratta con i criminali". Sono state lanciate anche alcune uova che hanno colpito la macchina dell'ex premier.

Si è trattato indubbiamente di un pomeriggio ad altissima tensione per la maggioranza: è stata la 'prima volta', infatti, che Berlusconi ha messo piede in casa del Partito democratico. L'incontro con Renzi sulla riforma della legge elettorale si è svolto nella stanza in cui campeggia il quadro che ritrae Fidel Castro e Che Guevara. L'aveva annunciato, peraltro, lo stesso segretario dem ieri sera alle Invasioni barbariche. A quanto si apprende, il primo a prendere la parola è stato il padrone di casa, che ha illustrato a Berlusconi la propria visione.

La lunga giornata di Renzi è cominciata stamani, a Firenze, con un incontro con Scelta civica. Il segretario, Stefania Giannini, uscendo da Palazzo Vecchio dice: "Se con Berlusconi si andasse a un'intesa sul modello spagnolo nella forma in cui è stato presentato, sarebbe un tavolo parallelo e allora credo che ci sarebbero dei problemi". Ma quando ormai il summit al Nazareno stava volgendo al termine, a parlare è Renato Balduzzi, deputato di Sc. Che ribalta le dichiarazioni della Giannini e sull'ispanico modificato afferma: "Potrebbe tenere insieme i diversi ingredienti di una legge elettorale adatta al nostro Paese".

Tuttavia, il problema principale resta quello del rapporto tra il segretario Pd e il premier Letta. Un rapporto che si è ormai logorato tanto che il presidente del Consiglio minaccia apertamente le dimissioni: "Avanti così e mi dimetto", sono state le sue parole. Di sicuro non sono state d'aiuto le parole pronunciate ieri sera da Renzi nella trasmissione di Daria Bignardi: "Letta? Lo stimo molto quando si occupa di esteri". E poi l'ironia: "Diamo un hashtag: #Enricostaisereno nessuno ti vuole prendere il posto".

Domani Renzi a Parma da Bersani. Il segretario del Pd farà visita domani a Pier Luigi Bersani, ricoverato da quasi due settimane all'ospedale di Parma. E' quanto si apprende da ambienti del Pd.

© Riproduzione riservata 18 gennaio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/01/18/news/governo-76264722/?ref=HREA-1
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 05, 2014, 07:17:45 pm »

Sindaci, domenica Comuni al ballottaggio: ecco dove è mancato l'effetto Renzi

Elezioni amministrative, in 17 capoluoghi di provincia il Pd è costretto al secondo turno.
La prima volta di Modena e Livorno, dove la sfida è con il M5S che incassa il placet di Giovanardi. Spareggio anche a Bari

di MICHELA SCACCHIOLI
05 giugno 2014
   
ROMA - Una valanga. Alle europee del 25 maggio il Pd di Matteo Renzi ha trionfato. Con il 40,8% dei consensi ha stravinto nelle cinque circoscrizioni italiane e si è trasformato nel primo partito dell'area socialdemocratica europea. E' arrivato quasi a doppiare i grillini e a stringere all'angolo i berlusconiani. In percentuali, ha battuto il record di Walter Veltroni (era il 2008) e rievocato la Dc di De Gasperi e Fanfani.

Un plebiscito per quel che è stato un test sull'operato dell'esecutivo. Ma che, in qualche modo, ha finito quasi col far passare in secondo piano i risultati delle comunali. O meglio: quei risultati, pochi sul totale ma in taluni casi incisivi, su cui l'effetto Renzi non si è fatto sentire (a Fiesole il Pd è stato sconfitto). Numeri, e divisioni interne a sinistra, che ora trascineranno i democratici al ballottaggio, anche laddove sembrava impossibile. Una sorpresa su tutte: la prima volta di Livorno. Come pure Modena, territori 'rossi' per storia, sangue e tradizione. E poi un esempio: soltanto in Campania - dove al primo turno il Pd non conquista alcun municipio di rilievo - sono ben 14 i Comuni che viaggiano verso lo spareggio. Non a caso, all'indomani dello spoglio Renzi dirà: "Non bisogna soltanto andare avanti, ma raddoppiare".

Tra il primo e il secondo turno, però, è esploso lo scandalo del Mose a Venezia, con l'inchiesta sugli appalti e gli arresti eccellenti bipartisan: avvisi di garanzia e misure restrittive che si abbattono come una bufera sulle 'larghe intese' e che, a livello locale, rischiano ora di lasciare un segno. In tutta Italia sono 139 i Comuni che domenica prossima - si vota dalle 7 alle 23 - dovranno tornare alle urne per eleggere il proprio sindaco: 17 sono amministrazioni capoluogo di provincia. Tre, invece, sono anche capoluoghi di regione. Si tratta di Potenza, Bari e Perugia a cui si aggiungono Bergamo, Biella, Cremona, Foggia, Livorno, Modena, Padova, Pavia, Pescara, Teramo, Terni, Verbania, Vercelli e Caltanissetta. Al voto andrà anche Urbino, nelle Marche, uno dei centri principali della provincia di Pesaro-Urbino.

Livorno. C'è sempre una prima volta. La sinistra si divide e manda Livorno al ballottaggio: è l'unico capoluogo di provincia in Toscana che domenica dovrà tornare alle urne. La coalizione guidata dal candidato del Pd, Marco Ruggeri, paga le divisioni e lo sfarinamento della sinistra. Si giocherà la poltrona da sindaco con l'ingegner Filippo Nogarin, il candidato del M5S che - seppur in calo rispetto alle politiche 2013, dove avevano raggiunto il 27% - a Livorno riescono dove nessuna delle truppe grilline è riuscita in regione (nella foto in alto a destra, i due candidati).

Modena. L'effetto Renzi non è bastato a Gian Carlo Muzzarelli. Il candidato del Pd a Modena si è fermato al 49,7% dei consensi e, per una manciata di voti, non è riuscito a passare al primo turno, indebolito da primarie al veleno e da una forte concorrenza a sinistra. Ora Muzzarelli dovrà vedersela con Marco Bortolotti, candidato del Movimento 5 Stelle. Come per Livorno, anche per Modena si tratta del primo ballottaggio della storia. Ma al candidato della coalizione di centrodestra, Giuseppe Pellacani, non va giù che lo spareggio sia coi Cinque Stelle: "Potevamo esserci noi, di questo dobbiamo ringraziare solo il senatore Carlo Giovanardi", che con la sua lista Ncd ha portato a casa il 4 per cento. Soltanto pochi giorni fa, la mossa a sorpresa dell'ex ministro modenese che ha indicato i pentastellati come il "male minore". Nessun patto, ma un chiaro sostegno (video). Come lui, anche Lega Nord e Fratelli d'Italia.

Bari. Nessun accordo. A Bari il Movimento 5 Stelle ha già fatto sapere che non appoggerà nessuno dei due candidati in corsa. Si tratta di Domenico Di Paola, per il centrodestra, che ha ottenuto al primo turno il 35,7%, e di Antonio Decaro, per il centrosinistra, che ha portato a casa il 49,4 per cento. Un vantaggio notevole - 15 punti di differenza - ma è stato lo stesso sindaco uscente Michele Emiliano (Pd) a invitare a lottare "con il coltello tra i denti" fino all'ultimo minuto. Di sicuro c'è che al ballottaggio Decaro mira a confermare i consensi presi il 25 maggio, e quindi a spingere chi lo ha già votato a tornare alle urne l'8 giugno. Di Paola, invece, vuole convincere ad andare al voto soprattutto gli astenuti e sono stati tanti: si è recato ai seggi il 67% degli aventi diritto il 74% delle precedenti amministrative.

Perugia. Ballottaggio a Perugia, dove domenica prossima se la giocheranno Wladimiro Boccali (Pd) e Andrea Romizi (Forza Italia). Il primo ha ottenuto il 46,5% delle preferenze, mentre il secondo si è fermato al 26,3 per cento ma nelle ultime ore ha incassato l'appoggio di due liste civiche.

Terni. Niente apparentamenti e niente confronti pubblici a pochi giorni dal ballottaggio a Terni. Archiviato il primo turno (quando i candidati alla seggiola di primo cittadino erano addirittura dodici), domenica lo spareggio sarà tra il sindaco uscente di centrosinistra, Leopoldo Di Girolamo (che ha incassato il 48,47%) e Paolo Crescimbeni (centrodestra), staccato di 27 punti.

Potenza. Niente apparentamenti in vista di domenica, a Potenza - è stato scritto - vince la diffidenza. Per il turno di ballottaggio che deciderà domenica prossima il nuovo sindaco del capoluogo lucano non ci saranno nuova alleanze: la sfida è tra il candidato del centrosinistra Luigi Petrone (Pd) che ha ottenuto il 47,82% dei voti e Dario De Luca, candidato di Fratelli d'Italia che si è piazzato secondo col 16,79 per cento.

Bergamo. A Bergamo - quarta città della Lombardia, tradizione bianca  -  il Pd schiera l'ex spin doctor di Renzi, Giorgio Gori, che corre contro l'uscente Franco Tentorio (centrodestra). I bergamaschi hanno votato soprattutto per loro due, i principali contendenti: la coalizione di Gori arriva al 45,9%, l'alleanza a sostegno del secondo tocca il 42,18 per cento. Il grillino Marcello Zenoni si è fermato attorno all'8,24 per cento.

Cremona. A Cremona il Pd ha appoggiato una creatura del mondo civico: si tratta del 45enne ricercatore universitario Gianluca Galimberti, uscito vincente dalle primarie interne alla coalizione, un passato nell'Azione Cattolica. Galimberti è in vantaggio (45,81%) sull'uscente Oreste Perri (33,33%), ex medaglia d'oro ai Mondiali di canoa e dominus - in quota centrodestra - della politica locale. La Lega correva con un proprio candidato, Alessandro Zagni, che si è fermato all'8,4. Per il M5S, Maria Lucia Lanfredi non va oltre il 6 per cento.

Pavia. In Lombardia, tra le sfide più difficili per il centrosinistra c'era quella pavese: una sorta di mission impossible secondo gli stessi vertici regionali dem. Il sindaco uscente, infatti, è il giovane "formattatore" di Forza Italia, Alessandro Cattaneo, ingegnere di 41 anni, sempre sul podio dei primi cittadini più amati d'Italia secondo le classifiche di gradimento stilate periodicamente dagli istituti di ricerca. Un volto noto anche a livello nazionale, e un ruolo di rilievo nell'Anci. Ma l'onda lunga dei democratici è arrivata anche qui, con lo sfidante Massimo Depaoli - professore di liceo che viene dal mondo ambientalista e che vinse senza problemi le primarie del Pd - che ora dovrà ripartire dal 36,43% contro il 46,68% dell'avversario.

Padova. Inedito il ballottaggio di domenica a Padova tra una Lega che ora punta a prendersi gli elettori di Forza Italia e un Pd che ha governato il capoluogo veneto per 10 anni con l'ex ministro Flavio Zanonato. A contendersi l'eredità ora saranno Ivo Rossi, Pd, e Massimo Bitonci, capogruppo del Carroccio al Senato.

Biella. Con il 36,17% dei voti guadagnati al primo turno, il sindaco uscente di Biella, Dino Gentile (Forza Italia), domenica dovrà vedersela con Marco Cavicchioli (Pd) che ha avuto il 36,62% dei consensi.

Verbania. Sfida al femminile a Verbania dove la democratica Silvia Marchionini supera il primo turno con il 46% contro la candidata di Lega Nord, Forza Italia e Fratelli d'Italia, Mirella Cristina, che si ferma al 17,53 per cento.

Vercelli. Domenica i vercellesi dovranno scegliere tra Maura Forte (Pd e liste civiche) che sfiora al primo turno il 36%, e il candidato di centrodestra Enrico Demaria (fermo sotto al 27).

Pescara. Il sindaco uscente in quota centrodestra, Luigi Albore Mascia, il 25 maggio ha cercato la rielezione ma la sua coalizione è spaccata e lui ne ha pagato le conseguenze (col 22,83 per cento). L'ex primo cittadino ora andrà al ballottaggio con Marco Alessandrini del Pd (più Sel e tre liste civiche) che ha ottenuto il 43% dei consensi.

Teramo. Fermento elettorale a Teramo per la scelta del sindaco nel ballottaggio di domenica. Apparentamenti conclusi per la candidata del Pd, Manola Di Pasquale, che godrà di molti appoggi ma non di quello del Movimento 5 Stelle. Il sindaco uscente, in quota centrodestra, è Maurizio Brucchi che correrà da solo, forte delle sei liste in appoggio e del suo quasi 50% di consensi, pari a circa ottomila voti in più rispetto all'avversaria. Al primo turno, l'annuncio del ballottaggio arrivò solo a 20 ore dall'inizio dello spoglio, perché nell'ultima delle 80 sezioni elettorali del Comune abruzzese fu necessario uno scrutinio-bis. La commissione elettorale centrale, infatti, aveva dovuto ripetere lo spoglio a causa della contestazione di una cinquantina di schede tracciate con una matita 'ufficiale', ma di colore diverso rispetto alle altre e non registrata nell'inventario del seggio.

Foggia. A contendersi la poltrona di primo cittadino a Foggia saranno Franco Landella che, in campo per il centrodestra e sostenuto da 7 liste, è risultato in leggero vantaggio rispetto al candidato del centrosinistra Augusto Marasco, anch'egli espressione di una coalizione di 7 liste. Dietro di loro, Leonardo Di Gioia, assessore regionale al Bilancio nella giunta di Nichi Vendola dopo il rimpasto del 2013, in lizza col sostegno di 5 liste. Decisivo, dunque, il suo ruolo per il ballottaggio di domenica: Di Gioia ha già fatto sapere che starà con Marasco.

Caltanissetta. In Sicilia, Caltanissetta è l'unico capoluogo chiamato, quest'anno, a rinnovare sindaco e assessori. Il 25 maggio il biologo Giovanni Ruvolo, sostenuto da Udc e Pd ma anche da una lista che ha messo insieme i Drs di Cardinale e il Megafono di Crocetta, sfiora la vittoria al primo turno. Domenica sfiderà Michele Giarratana sostenuto da due liste civiche.

Sui territori, la sfida politica è infuocata. Intanto, scatterà sabato 7 giugno il 'silenzio elettorale', vale a dire il divieto di effettuare, nel giorno precedente e in quelli stabiliti per la votazione, comizi, riunioni di propaganda elettorale diretta o indiretta in luoghi pubblici o aperti al pubblico, nuova affissione di stampati, giornali murali, manifesti e trasmissioni radiotelevisive di propaganda elettorale.

© Riproduzione riservata 05 giugno 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/06/05/news/amministrative_2014_e_sindaci_domenica_8_giugno_ballottaggio_per_17_comuni_capoluogo-87960455/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_05-06-2014
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« Risposta #3 inserito:: Giugno 10, 2014, 10:51:03 am »

Benigni e Scalfari tra politica e poesia (con selfie)

Il premio Oscar: "Teatro pieno, i sondaggi lo davano vuoto". L'omaggio a Troisi. Il fondatore di Repubblica si commuove per Berlinguer. Il dialogo è un'esplosione di gioia, tra comicità irriverente e lucida analisi del presente. Filo conduttore: gli scandali e la corruzione. Le battute: da Argù allo 'scalfie' alla Cappella Sistina

Di MICHELA SCACCHIOLI
08 giugno 2014
   
NAPOLI - Parlano due linguaggi differenti. Differenti sono anche le pause, la metrica e l'ironia. Ma sul palco del teatro San Carlo di Napoli, per Repubblica delle Idee, Roberto Benigni ed Eugenio Scalfari dialogano e interagiscono in un'esplosione di gioia, tra comicità irriverente e lucida analisi del presente, scandali e corruzione in primis a fare da fil rouge dell'avvenimento.

Una gioia che Benigni vorrà "raggruppare" e dedicare all'attore napoletano Massimo Troisi - scomparso venti anni fa - prima di iniziare a declamare il XXVI canto dell'Inferno di Dante (video). Quello dedicato a Ulisse, "uno che lascia la moglie a casa, va con tutte le donne che incontra, e che ha pure avuto uno storia con una ninfa che era la nipote di Poseidone...", scherza il premio Oscar in un rimando continuo di link e citazioni all'attualità politica. La platea risponde al ciclone Benigni che evoca Silvio Berlusconi, si affida a lui e si lascia condurre in un crescendo di entusiasmo. Il tandem con Scalfari funziona ("mi piaceva stare accanto a lui", dice Benigni avvicinandosi alla sua poltrona, "oh, giù le mani" è la replica immediata), e quando il fondatore di Repubblica interviene per dire: "Ma Ulisse non ha il cane Dudù", il pubblico vuole interagire: "Ulisse aveva Argo", suggeriscono dal basso. E subito nasce "Argù" (video).

I neologismi si sprecano in un teatro pieno "che i sondaggi davano vuoto", scherza Benigni (video). In onore di Scalfari, il selfie arriva a trasformarsi in 'scalfie' "che così fa 2 milioni di mi piace" (video). L'esordio viaggia a tutta velocità. E le battute si concatenano. Come quando Benigni dice che il giornalista "ha avuto un colloquio col Papa durante il quale hanno parlato di Dio. Poi il Papa è rimasto solo con Dio e hanno parlato di Scalfari...". E' un tripudio che non si arresta: Eugenio  - prosegue -"sembra un po' Dio, quello della Cappella Sistina. Vi ricordate che negli anni Settanta e Ottanta la Repubblica il lunedì non usciva? Perché la domenica Scalfari si riposava... Se vuoi" ora "io ti faccio l'Adamo".

Ma i sentimenti si alternano. Alla risata fa da contraltare la memoria, l'omaggio sentito. Nell'intro, Scalfari si commuoverà per Enrico Berlinguer nel ricordarne il trentennale della morte (video): "Fa parte della storia non solo del Pci, ma della storia della democrazia italiana - dice emozionato - io ero molto amico di Berlinguer. Nell'intervista del 1981 lui disse che i partiti dovevano uscire dalle istituzioni che avevano indebitamente occupato. E questo purtroppo è il programma che abbiamo ancora da adempiere. Fece il possibile perché questo avvenisse".

Una questione - quella morale - che è stata il leit motiv della giornata. Benigni non si lascia scappare neanche un'occasione: le stoccate fioccano in maniera ponderata e intelligente. Come quando esalta le virtù di Napoli e con lo sguardo abbraccia il San Carlo: "Un teatro - sottolinea, citando il Nabucco e le grandi opere liriche - che è un fiore all'occhiello". Ma poi: "Certo, oggi abbiamo grandi opere come l'Expo e il Mose...". Suggerisce Scalfari: "Proprio l'altroieri qui hanno fatto I Pagliacci...". Il pubblico si scalda, applaude, partecipa. Benigni ironizza, ma in maniera tagliente. Da Milano a Venezia, da Genova a Torino, gli scandali delle ultime settimane pugnalano al cuore il Nord dell'Italia: "Al Sud oggi c'è gente che vuole la secessione dal Nord. Leggevo di Giancarlo Galan", già presidente della Regione Veneto arrestato nell'inchiesta sulla tangentopoli di Venezia, "al quale arrivavano 100mila euro al mese. Beh, a maggio ha preso 100mila e 80 euro...", con chiaro riferimento al bonus Irpef varato dal governo Renzi.

Ma il premier, insiste Benigni, "ieri al teatro San Carlo e intervistato dal direttore di Repubblica, Ezio Mauro, non ha detto che chi ha rubato deve andare in galera". Perché i corrotti "sono talmente deboli e vili da non poter essere che gli ultimi. Ma in questo caso gli ultimi non saranno i primi, rimarrano ultimi". E poi: "Costoro devono restituire i soldi rubati, che sono soldi nostri".

Il 'valzer' ballato in coppia, in un'alternanza continua di spunti, battute e riflessioni, prosegue con una sintonia magistrale. Benigni scherza sui risultati elettorali del Pd: "Se nel suo editoriale Scalfari fosse arrivato a scrivere 'amo Renzi', il premier avrebbe preso il 90 per cento. Ormai in Bulgaria dicono 'voto renziano'...". Il dialogo è incessante, l'uno continua dove l'altro si ferma. Scalfari riprende Benigni: "Non mi interrompere", gli dice benevolmente. E parte l'escalation: "Roberto conosce a menadito Dante, la Costituzione e canta a memoria l'Inno di Mameli". Dunque, è l'uomo ideale per il Quirinale, posto che Giorgio Napolitano - "io lo amo molto", precisa il fondatore - "tra pochi mesi compirà 90 anni e a quel punto dovremo scegliere qualcuno" (video). In platea c'è chi sussurra 'Benigni for president'. Ma dal palco arriva la frenata: "Quando lo dissi, molti furono a favore. Ma vi fu gente, più di quelli a favore, che mi tolsero il saluto". Giù applausi.

Il gioco prende piede, e il dialogo si sviluppa in un crescendo continuo di candidature: dal Quirinale, Scalfari rilancia Benigni a Palazzo Chigi (video). Già perché se è vero che Matteo Renzi ha preso il 40,8% alle europee del 25 maggio, è anche vero - sottolinea - che in termini assoluti si tratta di 11 milioni di voti. Walter Veltroni ne prese 12 milioni, ma in percentuali si fermò al 34 per cento. Berlinguer arrivò a prendere 17 milioni di consensi "ma tutto dipende da quanta gente vota. Con Renzi alle urne ne è andata poca. Ma se Benigni fa il premier, prenderà il 70% dei voti". Il candidato avanza un dubbio: "Quirinale e Palazzo Chigi insieme non si può?". Certo, è la risposta, "con una Repubblica presidenziale".

Dalla presidenza del Consiglio, però, più avanti si 'scende' al rettorato di una grande università italiana. Benigni scherza sul ridimensionamento: "Fra un po' mi dirai che posso andare a fare il maestro alle elementari...". Allora si riparte, e il posto ideale diventa il Vaticano: "Puoi fare il Papa", annuncia Scalfari.

Nel frattempo, la chiacchierata vira - senza perdere il filo conduttore - e si sposta sul ruolo dell'eroe moderno. Ulisse. Colui a cui Dante - un laico, beninteso, non un prete - costruisce un monumento salvo poi piazzarlo all'Inferno. Nell'ottava bolgia. Il profondo inferno. Il peccato di Ulisse? La ubris, la prevaricazione. Egli vuol conoscere ciò che non è permesso. Nutre il desiderio di possedere l'infinito, ma ciò non è possibile. "Dobbiamo capire che c'è un limite - dice l'attore -, non arriveremo mai a svelare il senso della fine della vita". L'ironia sottile di Benigni torna a essere la chiave di lettura: l'ottava bolgia "è il cerchio dei consiglieri fraudolenti, una roba medievale, quando c'erano i politici che rubavano", mica storie dei tempi nostri.

E' l'ora della declamazione. Al San Carlo scende il silenzio. La pagina più alta "dell'umana poesia" prende forma in un teatro ammutolito: "... infin che 'l mar fu sovra noi richiuso", sussurra Benigni. Ancora silenzio. Poi, unanime, esplode l'ovazione che si trascina una standing ovation. Scalfari a quel punto gli dirà: "No, tu non devi fare il Papa. Tu devi fare il Poeta". E scatta l'abbraccio.

© Riproduzione riservata 08 giugno 2014

Da - http://www.repubblica.it/la-repubblica-delle-idee/napoli2014/dialoghi/2014/06/08/news/repubblica_delle_idee_2014_roberto_benigni_eugenio_scalfari_napoli_all_inferno_con_ulisse-88373142/?ref=HREA-1
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 31, 2015, 04:41:20 pm »

Mattarella eletto al Quirinale con 665 voti. "Pensiero a difficoltà e speranze dei cittadini"
Renzi su Twitter gli augura subito buon lavoro.
Napolitano lo definisce "uomo di assoluta lealtà e correttezza".
I centristi l'hanno votato, ma con qualche malumore: Sacconi si dimette da capogruppo.
Forza Italia si spacca: non tutti votano scheda bianca.
Martedì alle 10 il giuramento

Di MICHELA SCACCHIOLI
31 gennaio 2015
   
ROMA - Applausi (tanti) e standing ovation a ripetizione per la prima volta di un siciliano al Colle. Con la quarta votazione a Camere congiunte, Sergio Mattarella supera il quorum, incassa 665 voti (e 'manca' la soglia ostica ma non più necessaria dei due terzi per soli 7 sì) e diventa il nuovo presidente della Repubblica italiana. "Il pensiero va soprattutto e anzitutto alle difficoltà e alle speranze dei nostri concittadini. E' sufficiente questo", le sue prime parole da capo dello Stato. Ieri Matteo Renzi aveva auspicato "la più ampia convergenza" sul nome del giudice costituzionale ed ex ministro della Difesa e oggi su Twitter gli ha subito augurato "buon lavoro". Martedì alle 10 il giuramento nell'aula di Montecitorio.

Quanto agli altri candidati, Ferdinando Imposimato ha ottenuto 127 voti, Vittorio Feltri 46, Stefano Rodotà 17, Emma Bonino, Antonio Martino, Giorgio Napolitano e Romano Prodi 2. I voti dispersi sono stati 14, le schede bianche 105, le nulle 13.

A chiamare Mattarella per congratularsi è stato il 'reggente' Pietro Grasso che gli ha detto: "Sarai un grande presidente". Stamani è stato Napolitano a sottolineare: "E' importante la più ampia convergenza su di lui, è sempre importante avere grandi numeri. La convergenza è certamente importante per rafforzare il consenso e dare una caratterizzazione che non abbia a che vedere con questioni tattiche politiche contingenti. Area popolare aveva ragione ad essere polemica, ma hanno assai più ragione per la scelta che si realizzerà stamattina". Parole che l'ex capo dello Stato pronuncia dopo aver depositato nell'urna la propria indicazione di voto per il successore al Quirinale: "La mia presenza qui è doverosa - aggiunge, e su Mattarella racconta: "Lo conosco sul piano dell'assoluta lealtà e correttezza, sensibilità e competenza istituzionale e certamente dell'imparzialità. Caratteristiche importantissime per disegnare la figura del capo dello Stato".

Un'elezione che secondo Enrico Letta "allunga la legislatura e aiuta le riforme". Fino alla fine si sono contati i possibili numeri immaginando che l'obiettivo potesse essere tranquillamente centrato. A seguito dell'appello del premier, infatti, l'Ncd del ministro Angelino Alfano ha dato il contrordine e detto sì a Mattarella. Ma i mal di pancia interni si sono sprecati e i malumori sono usciti subito allo scoperto. In disaccordo con la svolta, il capogruppo di Area popolare a Palazzo Madama, Maurizio Sacconi, ha presentato le dimissioni da presidente dei senatori di Ncd. L'ex ministro, infatti, era stato fra i più convinti, nei giorni scorsi, a non cedere al candidato presentato dal Pd.

In mattinata, prima dello scrutinio, la riunione dei gruppi di Area popolare aveva sancito ufficialmente il via libera - senza unanimità e con lo stesso Sacconi assente - al candidato unico lanciato dal Pd di Renzi. I grandi elettori di Ncd e Udc si sarebbero espressi per alzata di mano. E il pollice verso sarebbe arrivato da cinque moderati: Barbara Saltamartini (che voterà scheda bianca e che si dimetterà da portavoce di Ncd), Gabriele Albertini, Antonio Azzolini, Carlo Giovanardi e il viceministro Enrico Costa. Ma non è tutto: anche Nunzia De Girolamo, presidente dei deputati di Ncd, avrebbe espresso irritazione per il cambio di linea e starebbe valutando l'ipotesi di lasciare l'incarico di capogruppo a Montecitorio.

"Voteremo Mattarella - ha poi dichiarato il parlamentare Fabrizio Cicchitto - perché il problema non è mai stato costituito da lui, che ci auguriamo sia un presidente al di sopra delle parti come lo è stato Napolitano. Poi si aprirà una discussione sul metodo adottato da Renzi, che ha causato una serie di problemi". A ruota è stato lo stesso Alfano a spiegare: "Alla fine, anche grazie alle parole di Renzi di ieri, abbiamo scelto di far prevalere la persona giusta rispetto al metodo sbagliato. La nostra scelta riguarda una persona che ha i requisiti di probità, di capacità, di alto livello istituzionale". Poi, ai microfoni di SkyTg24 il titolare del Viminale ha rincarato la dose: "I fatti gli hanno fatto capire (a Renzi, ndr) che Ap non è un monocolore del Pd, Area popolare c'è e non va mai data per scontata". Dal Pd è stato poi il vicesegretario Lorenzo Guerini a chiosare: "Ci sono le condizioni che tutti auspicavamo. E' importante che Ncd sia con noi in questo passaggio".

Di contro, Forza Italia - fronda interna dei fittiani compresa - ha continuato ad annunciare scheda bianca (video) anche se Silvio Berlusconi ha valutato la situazione fino alla fine e il capogruppo Renato Brunetta non ha perso tempo ad agitare le acque sulle riforme: "Noi - ha detto oggi - ci teniamo le mani libere sulla legge elettorale" che deve tornare alla Camera, "le stesse mani libere che si è tenuto Renzi". Ecco perché a distanza di pochi minuti è stato il ministro Maria Elena Boschi a parlare di necessità di "lavorare per ricucire". A disobbedire rispetto alla scheda bianca, però, è parso potesse essere Domenico Scilipoti, già protagonista assieme ad Antonio Razzi della campagna acquisti dell'ex Cav: "Sì, potrei anche votare Mattarella - ha fatto sapere mentre varcava la soglia di Montecitorio -. Disubbidendo a Berlusconi? E perché? C'é una indicazione di scheda bianca, poi ognuno è libero di fare quel che vuole. C'è libertà. Fi a un passo dalla scissione? E perché? Questo é un argomento che si vedrà dopo". Alla buvette di Montecitorio, intanto, il consigliere politico di Fi, Giovanni Toti, ha bevuto un 'caffè della pace' assieme a Renzi dopo gli screzi politici di ieri. Vero è che, alla luce del risultato, sulla scheda bianca Fi si è spaccata.

Dall'opposizione, M5s non ha escluso colpi di scena, ma ufficialmente è rimasto sulle proprie posizioni. Ai pentastellati Pier Luigi Bersani lancerà un piccolo appello: fidatevi - dirà loro - stiamo parlando di uno (Mattarella) con la schiena dritta. Tra i parlamentari ex M5S è prevalso invece l'orientamento a votare anche oggi Stefano Rodotà. Sono infatti in 17 a confermare la preferenza per l'accademico. In 6 invece hanno deciso di optare per Mattarella. Dalla Lega, è stato Luca Zaia a far sapere che le preferenze del Carroccio continueranno a confluire su Vittorio Feltri.

Oggi nella quarta chiamata bastava la maggioranza assoluta: 505 voti. Sulla carta, il giudice costituzionale poteva contare su circa 645 consensi. Ora, con l'elezione di Mattarella al Colle inizia una sorta di rito laico che culminerà con l'insediamento al Quirinale del nuovo capo dello Stato.

Dopo la proclamazione nell'aula di Montecitorio, la presidente della Camera, Laura Boldrini, insieme alla vicepresidente vicaria del Senato, Valeria Fedeli, si è recata da Mattarella per annunciargli l'avvenuta elezione. Quindi nei prossimi giorni, probabilmente martedì, il nuovo presidente della Repubblica dovrà recarsi alla Camera (in seduta comune col Senato) per il giuramento e il discorso di insediamento. Una prassi rimasta immutata dal 1948.

© Riproduzione riservata 31 gennaio 2015

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-repubblica-edizione2015/2015/01/31/news/quirinale_quarta_votazione-106185169/?ref=HREA-1
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« Risposta #5 inserito:: Giugno 09, 2015, 11:10:32 am »

RepIdee, Sepulveda: "Podemos non è M5s, ha progetto politico e democrazia interna"
Lo scrittore cileno intervistato da Concita De Gregorio parla di politica, di diritto-dovere di andare a votare il giorno delle elezioni e di corruzione: "Si pensava che la tangentopoli italiana fosse il punto più alto, invece è globale"

Di MICHELA SCACCHIOLI
07 giugno 2015

GENOVA - La "rabbia dell'oceano" irrompe nella stanza dalla finestra di casa sua, mentre "l'aroma del pane fragrante" è ancora lì, dopo tanti anni, su quel tavolo dove ancora scrive. A lui piacciono entrambi - l'oceano e il pane fragrante - così come gli piace ripetere: "Io mi sento profondamente un uomo del sud, un uomo della Patagonia, sotto al parallelo 42, anche se sono nato nel nord del Cile". Luis Sepulveda è in collegamento via Skype - dalle Asturie, in Spagna - con la Repubblica delle Idee. Un incontro dedicato al 'desiderio ostinato di vita', che si articolerà molto su temi che stanno a cuore allo scrittore cileno: dalla corruzione alla necessità di organizzare il dissenso, dai progetti politici che vivono a sinistra fino al diritto-dovere di andare a votare il giorno delle elezioni.

Intervistato da Concita De Gregorio - dal palco del teatro Carlo Felice a Genova -, Sepulveda, l'uomo che ha lottato con l'azione per la libertà del suo Paese e con la scrittura per far conoscere al mondo l'intoccabilità di un bene così alto, parla della dittatura di Pinochet, del carcere vissuto per mano del regime e dice: "Non bisogna mai perdere la fiducia nel futuro, nonostante tutto". Nonostante la corruzione "in Cile come in Spagna". Una riflessione che tocca anche l'Italia quando lo scrittore dice: "Si pensava che la tangentopoli italiana fosse il punto più alto della corruzione", invece si scopre che è modello globalizzato. Come reagire? "Bisogna mandare all'inferno questi corrotti - dice - e sono convinto che anche in Italia abbiate la forza di dire basta". Il problema, semmai, è come fare a organizzare il dissenso. "C'è una maggioranza di persone oneste che non riesce a sconfiggere una minoranza di persone corrotte. Con il crollo del muro di Berlino - era il 1989 - la sinistra si è chiesta e adesso che facciamo? Non abbiamo avuto il tempo di costruire un progetto politico veramente alternativo all'attuale. Ora è tempo di reinventarla questa alternativa".
RepIdee, Sepúlveda: Il desiderio testardo di vita - L'integrale

Arrivare a parlare di Podemos è un attimo: in Spagna, poche settimane fa, il risultato elettorale del voto amministrativo e regionale ha consegnato Barcellona ai post-indignados i quali hanno imposto un drastico ridimensionamento ai due grandi partiti tradizionali, il Pp e il Psoe. Concita De Gregorio sollecita lo scrittore per un confronto tra le esperienze italiana, greca e spagnola. Accostare Podemos al Movimento 5 Stelle, secondo Sepulveda, non ha alcun senso: il secondo - dice - non c'entra niente col primo. Perché il primo "è dotato di democrazia interna" e perché col primo "è possibile costruire una società produttiva nella quale i lavoratori non paghino il prezzo del mantenimento della società stessa".

Certo, prosegue, la disillusione e il sentimento anti-casta sono comprensibili. Tuttavia, "il primo dovere del cittadino è andare a votare il giorno delle elezioni". Una frase che colpisce dopo le cifre sull'astensionismo in Italia: Sepulveda è un uomo che ha fatto della politica la ragione della sua vita, voleva fare la rivoluzione e ne ha pagato il prezzo sulla propria pelle. Quaranta anni dopo, però, ha il coraggio di dire alla platea di Genova "votiamo" e ha la capacità di distinguere: nella politica "non sono tutti uguali". Vero è che "non possiamo aspettare che qualcuno faccia le cose al posto nostro". Podemos, insiste, ne è un esempio: dietro di sé "ha un progetto politico preciso".

Dalla politica alla letteratura è un altro passo breve. De Gregorio lo invita a parlare dell'Uzbeko Muto e di Ultime Notizie dal Sud. Si arriva al "pane sacramentale", a quel tavolo che un amico panettiere di Amburgo - dove lui ha vissuto - ha voluto donargli prima di andare in pensione a causa dell'artrosi alle mani. Dal pane al cibo, e dal cibo "all'amore per la cucina" che "caratterizza la famiglia Sepulveda". E poi l'ammirazione e l'amicizia con Francisco Coloane, romanziere cileno, uno che "ha vissuto una vita che è stata come le opere che ha scritto". Di Coloane gli piace raccontare la prima volta che è andato a trovarlo a casa sua. Di come gli abbia trasmesso l'amore per la Patagonia e di quel "brindisi a Pablo" Neruda che ha chiuso quel loro incontro. Un incontro fissato alle 5 del pomeriggio: un tipico appuntamento cileno, "l'ora delle 11". Undici come i caratteri di 'aguardiente', la bevanda alcolica che in Cile gli uomini sorseggiano a quell'ora del giorno.

© Riproduzione riservata
07 giugno 2015

Da - http://www.repubblica.it/la-repubblica-delle-idee/genova2015/straparlando/2015/06/07/news/repidee_2015_genova_sepulveda-116315485/
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