LA-U dell'OLIVO
Aprile 24, 2024, 12:36:48 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Alessandro De Nicola. Lo Stato non è inutile, spesso è dannoso  (Letto 1894 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Settembre 29, 2013, 04:39:16 pm »


7
set
2013

Lo Stato non è inutile, spesso è dannoso


di Alessandro De Nicola


L’1 settembre si è spento alla venerabilissima età di 102 anni il premio Nobel per l’economia Ronald Coase, uno dei pensatori che ha avuto e continua ad avere la più duratura influenza sul dibattito economico.
Nato a Londra nel 1910, si laureò in “commerce” alla London School of Economics e considerò sempre una benedizione il fatto di aver studiato da giovane l’economia reale contrapposta a quella che lui chiamava l’”economia della lavagna”, fatta di modelli popolati da “consumatori senza umanità, imprese senza organizzazione e persino scambi senza mercati”.

Quali sono le idee fondamentali elaborate da Coase e che gli hanno valso non solo il riconoscimento dell’Accademia delle scienze Svedese, ma, cosa ben più importante, il raro privilegio di aver cambiato il modo di pensare di generazioni di studiosi?
Il suo primo articolo fu concepito durante un suo viaggio in America poco più che ventenne e fu pubblicato nel 1937 dalla rivista “Economica” con il titolo “The Nature of the Firm”. In quello scritto, senza formule matematiche o modelli econometrici particolarmente complicati (verso i quali Coase mantenne sempre diffidenza), si evidenziava una cosa semplice: nonostante il fatto che ogni bene o servizio potrebbe essere reperito sul mercato attraverso contratti appositi, in realtà esistono le imprese che internalizzano tali contratti attraverso una struttura gerarchica dove c’è qualcuno che dirige e qualcun altro che esegue. Come mai? Perché approvvigionarsi sul mercato ha dei costi di negoziazione, di reperimento di informazioni, di parcelle dei consulenti, insomma  i famosi “costi di transazione”. In un’azienda tali costi vengono abbattuti e fino a che questo succede conviene organizzarsi internamente piuttosto che ricorrere al mercato. Il meccanismo funziona perché, al contrario di quel che succede nelle economie pianificate, le imprese si basano su decisioni e sulla cooperazione volontarie e quindi, quando conveniente, si può tranquillamente tornare sul mercato e smettere di produrre internamente. Gli studiosi successivi hanno arricchito il “primo teorema di Coase” (sottolineando, ad esempio, il valore del capitale umano all’interno dell’impresa) ma non messo in discussione.
L’altro articolo che influenzò grandemente il pensiero economico  fu pubblicato nel 1960 e si intitolava “The Problem of Social Costs”. Fino a quel momento la questione delle cosiddette esternalità negative, vale a dire i costi imposti ad altri dall’attività di un soggetto (tipico esempio, gli scarichi inquinanti di un’industria) erano trattati in un modo piuttosto semplice. O si proibiva la produzione dell’esternalità o la si tassava. Coase dimostro che una volta che lo Stato avesse ben definito i diritti di proprietà le parti potevano mettersi d’accordo tra di loro a patto che i costi di transazione non fossero molto alti. Un’esempio? Se l’industria ha il diritto di inquinare e facendolo  provoca un danno  di 100 a ciascuno di 2 vicini e un depuratore costa 120, i due vicini potranno mettersi d’accordo per contribuire 60 a testa e comprare loro il depuratore all’industria. Se gli inquinati sono 20.000 i costi di transazione, però, possono essere troppo alti. Ed in ogni caso, poichè le esternalità esistono quasi in ogni situazione, perché una commissione governativa dovrebbe avere l’onniscienza necessaria a far si di ridurle con beneficio di tutti senza crearne di aggiuntive?
Altra intuizione di Coase riguardò le esternalità positive. I fari, affermavano gli economisti, sono un bene pubblico che può essere posseduto solo dallo Stato perché la loro luce serve a tutte le navi cui non si può far pagare il biglietto. Errore. Coase dimostrò che nel XVIII secolo in Gran Bretagna i fari erano privati e le navi pagavano il ticket entrando in porto rendendo l’attività utile e profittevole.
Infine, in un altro famoso saggio, egli contestò l’assegnazione diretta delle frequenze radio da parte della Commissione Federale delle Comunicazioni, affermando che era più efficiente metterle all’asta.
Lezioni applicabili negli ultimi tempi? Microsoft deve aver deciso che era meglio “internalizzare” la produzione di telefoni cellulari piuttosto che approvvigionarsi sul mercato e ha comprato la divisione di Nokia che li produce.
Gli interventi sempre più minuziosi delle autorità regolamentari per correggere in modo autoritario (l’azione liberalizzatrice è un altro paio di maniche) questo o quel fallimento del mercato nel campo dell’elettricità, trasporti, comunicazioni e persino bancario e finanziario, hanno eliminato le esternalità e reso più efficiente il mercato? A voi giudicare.
Oppure, il gran parlare di monopoli “naturali” che devono rimanere necessariamente in mano allo stato o agli enti locali, come la rete ferroviaria o l’acqua o alcuni servizi pubblici locali, é un nonsenso ad uso e consumo dei politici che semplicemente amano detenere potere.
Inoltre, le società in-house dei comuni sono delle aberrazioni. Meglio indire aste per assegnare appalti a chi è in grado di svolgere al meglio un determinato servizio pubblico.
Coase è riuscito a pubblicare l’ultimo libro sulla Cina, l’anno scorso, a 101 anni. Oltre alla durevolezza delle sue intuizioni non si può non ammirare la tenacia della sua curiosità intellettuale. Ci mancherà.
Twitter@aledenicola
adenicola@adamsmith.it
L’1 settembre si è spento alla venerabilissima età di 102 anni il premio Nobel per l’economia Ronald Coase, uno dei pensatori che ha avuto e continua ad avere la più duratura influenza sul dibattito economico.
Nato a Londra nel 1910, si laureò in “commerce” alla London School of Economics e considerò sempre una benedizione il fatto di aver studiato da giovane l’economia reale contrapposta a quella che lui chiamava l’”economia della lavagna”, fatta di modelli popolati da “consumatori senza umanità, imprese senza organizzazione e persino scambi senza mercati”.
Quali sono le idee fondamentali elaborate da Coase e che gli hanno valso non solo il riconoscimento dell’Accademia delle scienze Svedese, ma, cosa ben più importante, il raro privilegio di aver cambiato il modo di pensare di generazioni di studiosi?
Il suo primo articolo fu concepito durante un suo viaggio in America poco più che ventenne e fu pubblicato nel 1937 dalla rivista “Economica” con il titolo “The Nature of the Firm”. In quello scritto, senza formule matematiche o modelli econometrici particolarmente complicati (verso i quali Coase mantenne sempre diffidenza), si evidenziava una cosa semplice: nonostante il fatto che ogni bene o servizio potrebbe essere reperito sul mercato attraverso contratti appositi, in realtà esistono le imprese che internalizzano tali contratti attraverso una struttura gerarchica dove c’è qualcuno che dirige e qualcun altro che esegue. Come mai? Perché approvvigionarsi sul mercato ha dei costi di negoziazione, di reperimento di informazioni, di parcelle dei consulenti, insomma  i famosi “costi di transazione”. In un’azienda tali costi vengono abbattuti e fino a che questo succede conviene organizzarsi internamente piuttosto che ricorrere al mercato. Il meccanismo funziona perché, al contrario di quel che succede nelle economie pianificate, le imprese si basano su decisioni e sulla cooperazione volontarie e quindi, quando conveniente, si può tranquillamente tornare sul mercato e smettere di produrre internamente. Gli studiosi successivi hanno arricchito il “primo teorema di Coase” (sottolineando, ad esempio, il valore del capitale umano all’interno dell’impresa) ma non messo in discussione.
L’altro articolo che influenzò grandemente il pensiero economico  fu pubblicato nel 1960 e si intitolava “The Problem of Social Costs”. Fino a quel momento la questione delle cosiddette esternalità negative, vale a dire i costi imposti ad altri dall’attività di un soggetto (tipico esempio, gli scarichi inquinanti di un’industria) erano trattati in un modo piuttosto semplice. O si proibiva la produzione dell’esternalità o la si tassava. Coase dimostro che una volta che lo Stato avesse ben definito i diritti di proprietà le parti potevano mettersi d’accordo tra di loro a patto che i costi di transazione non fossero molto alti. Un’esempio? Se l’industria ha il diritto di inquinare e facendolo  provoca un danno  di 100 a ciascuno di 2 vicini e un depuratore costa 120, i due vicini potranno mettersi d’accordo per contribuire 60 a testa e comprare loro il depuratore all’industria. Se gli inquinati sono 20.000 i costi di transazione, però, possono essere troppo alti. Ed in ogni caso, poichè le esternalità esistono quasi in ogni situazione, perché una commissione governativa dovrebbe avere l’onniscienza necessaria a far si di ridurle con beneficio di tutti senza crearne di aggiuntive?
Altra intuizione di Coase riguardò le esternalità positive. I fari, affermavano gli economisti, sono un bene pubblico che può essere posseduto solo dallo Stato perché la loro luce serve a tutte le navi cui non si può far pagare il biglietto. Errore. Coase dimostrò che nel XVIII secolo in Gran Bretagna i fari erano privati e le navi pagavano il ticket entrando in porto rendendo l’attività utile e profittevole.
Infine, in un altro famoso saggio, egli contestò l’assegnazione diretta delle frequenze radio da parte della Commissione Federale delle Comunicazioni, affermando che era più efficiente metterle all’asta.
Lezioni applicabili negli ultimi tempi? Microsoft deve aver deciso che era meglio “internalizzare” la produzione di telefoni cellulari piuttosto che approvvigionarsi sul mercato e ha comprato la divisione di Nokia che li produce.
Gli interventi sempre più minuziosi delle autorità regolamentari per correggere in modo autoritario (l’azione liberalizzatrice è un altro paio di maniche) questo o quel fallimento del mercato nel campo dell’elettricità, trasporti, comunicazioni e persino bancario e finanziario, hanno eliminato le esternalità e reso più efficiente il mercato? A voi giudicare.
Oppure, il gran parlare di monopoli “naturali” che devono rimanere necessariamente in mano allo stato o agli enti locali, come la rete ferroviaria o l’acqua o alcuni servizi pubblici locali, é un nonsenso ad uso e consumo dei politici che semplicemente amano detenere potere.
Inoltre, le società in-house dei comuni sono delle aberrazioni. Meglio indire aste per assegnare appalti a chi è in grado di svolgere al meglio un determinato servizio pubblico.
Coase è riuscito a pubblicare l’ultimo libro sulla Cina, l’anno scorso, a 101 anni. Oltre alla durevolezza delle sue intuizioni non si può non ammirare la tenacia della sua curiosità intellettuale. Ci mancherà.

Twitter@aledenicola
adenicola@adamsmith.it

da - http://liberoscambio.blogautore.repubblica.it/2013/09/07/97/
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!