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Autore Discussione: Il caso TELECOM agita il governo  (Letto 2553 volte)
Admin
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« inserito:: Settembre 26, 2013, 04:51:51 pm »

Politica
24/09/2013

Il caso Telecom agita il governo

Letta: “Capitali Ue possono aiutare”

I sindacati: 16 mila posti a rischio.

Pd e Pdl esprimono preoccupazione. Confindustria: «Snodo importante»

Il premier: «Vigileremo, ma è una società privata». Barnabè in Senato


Dal Pdl al Pdl, il caso Telecom agita le acque del governo. E la vendita di azioni Telco alla società spagnola Telefonica fa discutere il mondo del lavoro. Secondo Confindustria, l’operazione «è uno snodo importante e le bandiere non contano». Molto preoccupati invece i sindacati, che puntano l’accento sul rischio occupazionale e chiedono garanzie. Domani intanto il numero uno di Telecom, Franco Bernabe’, sarà ascoltato in Senato.

 

Parlando da New York il presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha promesso che il suo governo vigilerà «sui profili occupazionali e sugli aspetti strategici per l’Italia» nell’acquisizione di Telecom da parte di Telefonica, ma ha sottolineato che «capitali europei potrebbero aiutare Telecom a essere migliore rispetto a come è stata in questi 15 anni».

 

I sindacati sul piede di guerra: 16 mila posti a rischio  

I sindacati sono sul piede di guerra. A rischio, secondo le stime di Michele Azzola della Slc Cgil, ci sono fino a 16mila posti. Di fronte a questo scenario il Governo «ha il compito di convocare subito le parti sociali e Telefonica per conoscerne il piano e valutare l’utilizzo della golden share prevista dall’articolo 22 dello Statuto di Telecom». Quella con Telefonica «è la prima operazione - spiega Azzola che è segretario nazionale della Slc Cgil - che consegna agli stranieri un gruppo strategico italiano. Un’operazione mai avvenuta in nessun Paese occidentale». Il rischio è, secondo le sigle di settore, che Telefonica adotti per Telecom lo stesso modello di esternalizzazione del Call center e dell’Information Technology che ha usato in casa propria: «In questo caso ci sarebbero 16mila lavoratori a rischio», spiega Azzola. Per Salvo Ugliarolo, segretario nazionale della Uilcom Uil, la priorità, «è garantire la tenuta occupazionale di Telecom. Siamo contrari a operazioni che comportino spezzatini dell’azienda e che mettano a rischio altri posti di lavoro». Il Governo, aggiunge Annamaria Furlan, segretario confederale della Cisl, «deve attivare subito un tavolo per capire cosa intende fare perché la proprietà della rete non sia esclusivamente di un’azienda spagnola». Per la Cisl, inoltre la rete deve restare italiana, mentre per la Cgil lo scorporo di questo asset, anche dopo l’operazione con Telefonica, non fa che impoverire l’azienda. Vito Vitale, segretario della Fistel Cisl, pur sottolineando «il rammarico perché non è un’azionista italiano ad aver acquistato Telecom» sottolinea che Telefonica «è uno dei più grandi gruppi industriali mondiali e può dare una svolta alla crisi di Telecom Italia. Anche Vitale chiede «un incontro immediato col Governo e un tavolo istituzionale in cui si possano affrontare elementi strategici come la destinazione della rete che deve restare sotto il controllo italiano. Inoltre occorrono un piano di investimenti certo sulle reti di nuova generazione e soprattutto - aggiunge il sindacalista - le garanzie sui livelli occupazionali».I sindacati lamentano infine la mancanza di intervento del Governo nella trattativa con Telefonica. Per Azzola «siamo l’unico Paese in cui si decide di cedere asset strategico senza minimo di dibattito politico». Per Ugliarolo «sarebbe stato opportuno che il Governo si fosse interessato delle dinamiche che interessano l’infrastruttura della rete e migliaia di lavoratori».  
 
Confindustria: uno snodo importante  

«L’operazione Telefonica - Telecom e’ uno snodo molto importante per il nostro futuro industriale» per il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci, che ai microfoni di L’Economia prima di tutto’ su Rai Radio1,ha spiegato che «noi della Confindustria siamo neutri rispetto alla soluzione, nel senso che quello che rileva non è la nazionalità del capitale ne’ le bandiere, quello che rileva e’ che siano promosse le condizioni di concorrenza che peraltro ci sono un mercato come quello delle telecomunicazioni. E soprattutto, che sia consentito di sfruttare al massimo le potenzialita’ delle reti di nuova generazione, quindi staremo a vedere quale sara’ il piano che presentera’ Telefonica».  

 

Le preoccupazioni del mondo politico  

Il nuovo assetto di controllo di Telecom Italia è «una perdita» per Matteo Colaninno, responsabile delle Politiche economiche del Pd, intervenuto stamane ad Agorà, su Rai Tre.«Quando l’Italia resta priva di un pezzo industriale importante, è una perdita. A rischio c’è la garanzia dei dipendenti e del piano industriale. Viene meno un imprenditore che comunque risponde al Paese. In questi casi bisogna domandarsi se esiste un socio industriale in grado di garantire futuro». Si dice preoccupato Renato Brunetta, presidente dei deputati del Pdl : «Serve un quadro dettagliato per esprimere qualsiasi giudizio ma è evidente che è proprio la mancanza di dettagli e di chiarezza che alimenta le preoccupazioni». «Chiedo al presidente del Consiglio, Enrico Letta, -continua Brunetta - di venire in Aula alla Camera dei deputati a illustrare la valutazione e le considerazioni del governo su un’operazione che rientra nelle logiche di mercato, e come tale non è stata preannunciata, ma coinvolge da molto vicino tutti gli sforzi e gli investimenti che le imprese e le pubbliche amministrazioni stanno mettendo in campo per affrontare la sfida dell’economia digitale». «In particolare eravamo rimasti fermi alle frammentarie e contraddittorie informazioni sullo scorporo della rete fissa, - sostiene Brunetta - all’ipotesi d’ingresso della Cassa Depositi e Prestiti, alla trasformazione di Telecom Italia da azienda nazionale di telecomunicazioni ad attore protagonista della sfida mondiale dei servizi via internet, alla necessità di ingenti investimenti in infrastrutture per le reti di nuova generazione, alle preoccupazioni sull’indebitamento e sulle tariffe».  

 

Durissimo Paolo Ferrero, segretario Prc: «I nostri governanti stanno svendendo l’argenteria di famiglia, stanno svendendo il paese per regalarlo alle banche a cui paghiamo a tasso di usura 90 miliardi di euro all’anno di interessi. I nostri governanti non fanno gli interessi del paese ma delle grandi multinazionali e dei loro amici banchieri»

da - http://lastampa.it/2013/09/24/italia/politica/il-caso-telecom-agita-il-governo-N5rfINrM6u9TT1CbB8rG4M/pagina.html
« Ultima modifica: Settembre 26, 2013, 04:56:24 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 26, 2013, 04:57:01 pm »

Gli errori degli azionisti e lo schiaffo al mercato



Il nostro Paese sarà misurato sulla vicenda Telecom Italia. Il destino di questa società dagli orizzonti incerti sarà il frutto di come il mondo della finanza, la politica, le classi dirigenti italiane riusciranno a orientarne il futuro. Se dovessimo volgere lo sguardo al passato, quello che è accaduto a partire dalla privatizzazione nel 1997 appare come una lunga catena di errori. Un passato dove è scritto ed è evidente il rischio che l'affare Telecom Italia si trasformi in un'altra sconfitta per l'intero establishment italiano.

Una sconfitta che è misurata dall'investimento con il quale la spagnola Telefonica si appresta a diventare azionista di maggioranza nella Telco, la scatola finanziaria che controlla il 22,45% di Telecom Italia. Si parla di 850 milioni iniziali. Una cifra impressionante per la sua esiguità. In Borsa oggi tutta la società vale 11 miliardi. Inutile nascondersi dietro il fatto che la percentuale in mano a Telefonica sia bassa: è innegabile il peso che giungono ad avere nel gruppo gli spagnoli. Anzi, proprio le scatole finanziarie, le complicate architetture societarie dei vari passaggi di mano di Telecom Italia, hanno fatto da schermo alle responsabilità di manager e azionisti in questi anni.

Si comincia con la privatizzazione del 1997 avviata dal governo Prodi. Gli imprenditori italiani non sembrano molto propensi ad accollarsi l'impresa. Alla fine si ritroveranno ad acquistare le quote Telecom l'allora finanziaria della famiglia Agnelli, Ifil, accompagnata però solo da fondazioni e banche per un totale di circa il 7% del capitale. È il cosiddetto nocciolino duro. Che si scioglierà due anni dopo, davanti a un'offerta pubblica d'acquisto.

Peccato che l'Opa lanciata da una cordata guidata da Colaninno fosse un'offerta fatta a debito (scaricato poi sulla società), che diede inizio all'era delle scatole finanziarie dove posteggiare le azioni che, in caso di mercato avverso o disamore, potessero essere girate facilmente e con profitto al prossimo compratore.

La scatola si chiamava Bell. Due anni di fusioni, acquisizioni, operazioni finanziarie, ma i debiti non sono più sostenibili. È il momento di lasciare, siamo nel luglio del 2001. A comprare è Tronchetti Provera, accompagnato da Benetton, Intesa, Unicredito e residui della cordata Colaninno. Nessun passaggio dal mercato. Si crea una nuova scatola, Olimpia, dove depositare i titoli acquisiti dalla Bell. Il prezzo viene deciso nelle stanze di venditori e compratori. Un prezzo alto. Anche perché si acquisisce il controllo ma evitando di passare dal mercato e quindi senza dover lanciare una ancora più costosa Opa.

Si avvia un'altra girandola di operazioni finanziarie e societarie. Si cedono attivi all'estero. Ma per Telecom Italia non c'è pace. I debiti restano come un macigno. Finché il governo di allora (siamo nel 2006, c'è di nuovo Prodi), inizia a pensare di mettere in sicurezza la rete attraverso uno scorporo. Ma la rete è uno degli attivi principali di Telecom Italia. Reggere l'indebitamento senza l'infrastruttura è difficile. Lo scontro è forte. Tronchetti tenta l'uscita trattando con Murdoch e At&t. Il dibattito si avvita sull'italianità e nel 2007 un'altra cordata si dice pronta a subentrare. Questa volta si tratta di Generali, Intesa Mediobanca, Telefonica. Viene creata un'altra scatola, Telco, dove finiscono le azioni acquistate dalla Pirelli. Cambia il management e arriva Franco Bernabè. I debiti sono sempre in capo a Telecom Italia e restano ingestibili. Sei anni dopo, siamo all'oggi, si ripete un copione ormai conosciuto. Telecom Italia nel frattempo è un'azienda sfinita, spossata. Ci sono responsabilità specifiche di chi ha caricato la società di debiti, di chi l'ha sottoposta a una girandola di operazioni finanziarie, di chi l'ha gestita nascondendosi dietro le colpe degli azionisti, di chi ha tentato e voluto piegarla a interessi politici. E quali che siano state le intenzioni, il risultato è un nuovo passaggio di mano

Tutti responsabili non significa nessun colpevole. Anzi, è proprio in queste occasioni che si misura la capacità di una classe dirigente: imparare dai propri errori. Innanzitutto ammettendoli. Possibile che nessuno dei protagonisti di questi anni abbia avuto il coraggio di ammetterne almeno uno? Ma che tutto sia dipeso da fattori indipendenti dalla volontà di chi ha gestito, controllato e regolato Telecom Italia in questi 16 anni, appare poco credibile. Anche per una società privata. E così ancora una volta ci apprestiamo ad assistere all'arrivo di un nuovo socio di controllo più o meno mascherato. È vero, perché si debba lanciare un'Opa si deve comprare una quota superiore al 30% del capitale della società acquisita. Ma in questo caso con Telefonica si tratterebbe del terzo passaggio che avviene penalizzando gli azionisti di minoranza. Davvero troppo.

Ma se questo deve essere, si abbia almeno il coraggio di fare un'asta internazionale per Tim o per le attività commerciali di Telecom. Che si possa telefonare grazie a un gestore inglese, russo o cinese, accade già oggi con Vodafone, Wind e 3. Poco importa se accadrà anche con Tim. Si permetta invece che la rete sia gestita e sviluppata da chi è in grado di garantire investimenti. E non da una Telefonica indebitata che in Telecom Italia è interessata molto alle sorti del suo concorrente in Brasile Tim e poco al resto. Se non saremo in grado di trovare una soluzione per la rete, avrà poco senso continuare a parlare di Agenda Digitale, di infrastrutture necessarie allo sviluppo del Paese. Le soluzioni possono essere trovate. Ma si deve volerlo.

25 settembre 2013 | 7:43
© RIPRODUZIONE RISERVATA
DANIELE MANCA

da - http://www.corriere.it/economia/13_settembre_25/gli-errori-degli-azionisti-e-lo-schiaffo-al-mercato-daniele-manca_18ad3e9a-25a2-11e3-baac-128ffcce9856.shtml
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