Ahmad Sadiddin : «L'America deve intervenire»
L'ordine era chiaro: «Sparare sulla folla»
Un ex ufficiale siriano racconta i giorni della repressione «L'unica via d'uscita era disertare. E io l'ho fatto»
«Uccidere o essere uccisi»
Jacopo Storni
«Entravano nelle case e distruggevano tutto. Sparavano se qualcuno tentava di difendersi. Abusavano delle donne. Bruciavano negozi. Uccidevano. Chiamavano le vittime terroristi, eppure erano persone qualunque, siriani stanchi del regime di Assad. E poi, quando tornavano in caserma, si vantavano dei crimini commessi. E io ero lì ad ascoltare, incredulo e spaventato». La memoria dell’ex ufficiale Ahmad Sadiddin è inchiodata al marzo 2012, quando l’esercito siriano fece irruzione nella città di Saraqeb per stanare i ribelli. Bombardamenti aerei e assalti di terra. Era l’inizio della guerra e Ahmad faceva parte dell’esercito: Brigata 93, forze di terra, 60 chilometri a nord di Al Raqqa. Era l’ultimo periodo del servizio militare. Ha avuto la fortuna di partecipare a pochissime azioni armate e non ha mai ucciso nessuno e neppure sparato. Ma ha visto scorrere il sangue dei suoi connazionali e, soprattutto, ha ascoltato le storie raccapriccianti dei soldati che rientravano dalle operazioni militari. Ha sentito parlare anche di armi chimiche: «I generali dicevano che avrebbero usato armi di distruzione di massa contro l’America in caso di un intervento contro Assad». E poi quel giorno indimenticabile, quando il vice-comandante della brigata ordinò il massacro: «Tenetevi pronti, andiamo a combattere i manifestanti».
UCCIDERE O ESSERE UCCISI - Le principali città siriane erano focolari delle proteste civili. Sempre più imponenti. Non ribelli, ma gente del popolo. «L’ordine era chiaro: sparare sulla folla». Il cuore di Ahmad pulsava di terrore. «Andare in missione significava due cose: o sparare sulla folla oppure, in caso di rifiuto, rischiare di essere ucciso dai generali». Un’aritmetica di morte che non lasciava scampo. «Nelle battaglie molti di noi facevano finta di sparare, ma rischiavi grosso». «Ma una via d’uscita c’era – ricorda oggi Ahmad – Disertare l’esercito. Tanti miei compagni l’avevano fatto. Sin dalle prime rivolte della primavera araba in Tunisia l’esercito aveva cominciato a spezzarsi in due: i sostenitori di Assad, convinti della presenza dell’Occidente dietro le rivolte, e quelli che volevano un rinnovamento al vertice. Man mano che passava il tempo, i disertori crescevano».
FUGA NEL DESERTO - Ma come fare a scappare? L’occasione si presenta quando arrivano i due giorni di permesso, a pochi giorni dall’operazione di Aleppo. Ahmad avverte moglie e figlie: «Scappate in Egitto». Torna nella sua casa di Damasco, prepara la valigia e sale in macchina. Quella di amici ribelli. Direzione Turchia, l’unica via di fuga percorribile. Un viaggio di pochi chilometri compiuto col cuore in gola in due giorni di viaggio, tra posti di blocco governativi, arrampicate in motocicletta, ore di deserto. Oggi Ahmad è un uomo libero. Vive a Firenze, dove ha vinto un assegno di ricerca in politica agraria. Parla perfettamente l’italiano perché dieci anni fa ha fatto il dottorato a Napoli per cui ha ricevuto il premio per la miglior tesi dalla Società Italiana di Economia agraria.
«FERMARE LO STERMINIO» - Dopo aver assistito in prima persona agli orrori delle forze governative siriane, combatte a distanza il regime di Assad divulgando ciò di cui è stato testimone. Non ha paura di nulla, nemmeno di metterci la faccia, vuole raccontare quello che «da voi non si vede». Passa le giornate a cercare gli amici perduti, i compagni disertori di cui non ha più notizia e con cui ha condiviso notti e inquietudini. E mentre in Italia si moltiplicano le adesioni alla pace, lui è sempre più confuso. A Firenze dilagano le manifestazioni arcobaleno, ma lui non ci è mai andato. E lascia intendere che non disdegnerebbe un intervento armato dell’Occidente: «Assad ci massacra giorno dopo giorno. Bisogna fermare questo sterminio. L’America deve intervenire».
12 settembre 2013 (modifica il 13 settembre 2013)
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Jacopo Storni
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