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Autore Discussione: Paolo Ercolani. L’idiozia degli «anti» (Critica Liberale)  (Letto 2179 volte)
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« inserito:: Agosto 12, 2013, 09:04:12 am »


L’idiozia degli «anti»

Paolo Ercolani


Il Paese del buon senso perduto! Questo siamo, ormai da molto tempo. E su questo crinale insidioso e sterile amano baloccarsi intellettuali, più o meno autorevoli, in cerca dell’anti-conformismo fine a se stesso, dell’idea diversa e inaudita, magari «oscena» e, quindi, potenzialmente in grado di smuovere le acque ferme e maleodoranti della bollente estate.
Nel regno del semplicismo innalzato a sistema e della fame perpetua di riconoscimento, magnificamente rappresentati da quel consesso di anime troppo spesso cazzeggianti che è rappresentato dai social network, a recitare il ruolo di cavalieri del nulla in frac non possono che essere i professionisti dell’idea e della parola. Idee e parole che, però, devono comunque deragliare da ogni sentiero che appaia segnato o scontato, perché l’obiettivo, ma anche la ragione fondante di questa comunicazione «social», non può che essere quello di stupire e suscitare il dibattito. Possibilmente e anzi, preferibilmente, proprio su ciò su cui nulla o poco vi sarebbe da dibattere.
E’ il caso di studiosi di diversa estrazione, di idee differenti e anche di valore difforme come Corrado Ocone, Dino Cofrancesco e Diego Fusaro, tanto per fare nomi e cognomi (non tutti), quest’ultimo autore di un recentissimo articolo in cui si scaglia contro «l’idiotismo» dell’anti-berlusconismo. Berlusconismo e anti-berlusconismo, questa la tesi di fondo di Fusaro, sarebbero due facce della stessa medaglia, ossia di un Paese che, morta la distinzione fra destra e sinistra, si è rassegnato al pensiero unico del neo-capitalismo selvaggio, con radicale e convinta genuflessione di fronte ai poteri forti delle banche e degli istituti internazionale del grande moloch economico (Fmi, Banca mondiale etc.).
Deplorevoli entrambi, secondo Fusaro, ma con l’anti-berlusconismo ad occupare una posizione, se possibile, ancora più miserevole e vergognosa, venuta completamente alla luce con il giubilo (ma dove? Ovvio, sui social network, perché il Pd ci governa, con Silvio…) seguito alla recente e definitiva condanna di Berlusconi per frode fiscale.
Un Paese normale, una società civile non starebbe a impegnare troppe energie, per di più in tempi di crisi, dove le forze intellettuali servirebbero, o dovrebbero servire, per escogitare proposte in grado di aiutarci ad uscire dal pantano, baloccandosi sulla bontà o meno dell’opposizione morale e civile di fronte a un personaggio che, in fatto di reati, non si è fatto mancare davvero nulla.
E invece no, nell’epoca dell’immagine (per di più virtuale) assurta a epitome dell’unico reale possibile, nell’epoca dello spettacolo in cui la pauperizzazione di un’intera classe media (oltre alla distruzione di diritti sociali storici) viene mascherata dal cazzeggio social, il nostro Paese sembra quasi originale e curioso, perché adesso si mette nientemeno che a condannare i delinquenti! C’è da chiedersi preoccupati dove finiremo di questo passo?! Combatteremo sul serio la mafia? L’evasione fiscale? Il regime da casta privilegiata e intoccabile che si è costruito su misura una classe dirigente indegna di questo nome?
Sì, certo, il discorso degli anti-antiberlusconiani è chiaro e persino sensato: una sinistra che ha preteso e pensato di sconfiggere l’avversario soltanto attraverso l’arma giudiziaria, senza impegnarsi a ridisegnare un manifesto programmatico di idee di fondo e di obiettivi chiari e netti, è una sinistra vigliacca e sterile, incapace di una visione di fondo che la differenzi e le permetta di rappresentare un’alternativa credibile e sensata al pensiero unico del liberismo selvaggio tornato in auge.
La sconfitta della sinistra, la cui intera classe dirigente dovrebbe andare a fare altro e lasciare spazio a forze nuove, è nata anzitutto dall’incapacità di costruire una proposta seria e sensata di governo una volta caduto il Muro di Berlino e, con esso, la conventio ad excludendum che impediva ed avrebbe impedito con ogni mezzo al Pci di salire al governo del Paese. In questa sconfitta inappellabile e ingiustificabile, che in compenso ha consentito a molti dirigenti dell’ex Pci di assurgere anch’essi al ruolo di casta privilegiata  e protetta, risiede però solo una parte della sconfitta di un intero Paese come l’Italia.
Essì, perché non andiamo da nessuna parte se non consideriamo l’ovvio, quell’ovvio che è stato ed è sotto gli occhi di tutti da un ventennio ma che evidentemente non rende abbastanza «fighi» rimarcare: il degrado culturale e morale, di impegno civile e di senso di appartenenza alla nazione, la mortificazione del merito, l’inqualificabile degenerazione di una classe politica (e quindi di governo del Paese!) composta da saltimbanco e incompetente truffaldini, il tradimento di quella rivoluzione liberale promessa e mai neppure iniziata, rappresentano dei colpi mortali capaci di affondare qualunque nave, anche la più grande e attrezzata. E sono colpi che non possiamo non attribuire a una destra italiana che non dal 1989, ma dai tempi della «destra storica» di fine Ottocento (cioè praticamente dalla nascita dell’Italia unita) non ha mai, e sottolineo mai, saputo dotarsi di una cultura degna di questo nome, oscillando sempre fra la protesta sterile della demagogia e del populismo, e il ribellismo violento di squadre e squadracce di picchiatori.
E’ una posizione ridicola quella di chi, oggigiorno, se la prende con l’anti-Berlusconismo e con le sentenze della magistratura, perché volutamente (o inconsapevolmente?) rimuove quel dato essenziale della storia patria per cui siamo stati l’unico Paese senza un vero partito liberale, senza un vero partito conservatore (o di destra che dir si voglia) capaci di innalzare il livello operativo e la cultura politica della classe dirigente.
In questo scempio che ha radici lontane e mai analizzate fino in fondo, Berlusconi e le sue condanne rappresentano una tappa perfettamente coerente, intrisa di furbizia e malaffare, cortigiani e puttane, incompetenza e degrado del Paese.
Un Paese che, è ormai ora di ammetterlo, visto che siamo ben dentro il baratro, ha potuto sollevarsi e persino prosperare grazie al fatto che era situato in una posizione geografica strategica quando il mondo era diviso nei due blocchi.
Piano Marshall, appoggio costante della vecchia dirigenza democristiana, aiuti economici a profusione, sono stati gli ingredienti fondamentali che hanno permesso l’esistenza di una non-nazione, di un non-popolo (per cultura, provincialismo, odi reciproci) quale è quello italiano. Non è un caso che la nostra pacchia, e forse non solo la nostra, sia cominciata a declinare e forse a finire per sempre proprio con il 1989.
Mai come oggi, ammesso che siamo ancora in tempo, dovremmo lavorare per creare una nuova cultura politica, una destra e una sinistra (o chiamiamole come vogliamo) veramente degne di questo nome, una classe dirigente meritevole, selezionata, persino un popolo mediamente più informato e impegnato, dove per esempio si consenta il «diritto-dovere» di voto soltanto a coloro che sono in possesso di una cultura politica e istituzionale che vada al di là dell’appartenenza partitica.
Un lavoro duro, profondo, immenso, in cui sono richieste le forze e l’impegno costante di tutti. Un lavoro che però è già fallito in partenza se le classi intellettuali, pur di stupire o di raccogliere qualche «mi piace» in più nei social network, concentrano la loro attenzione in un anti-moralismo sciocco, che finisce col giustificare il degrado culturale e civile di un intero Paese.
Non c’è più spazio né tempo per ambiguità e tentennamenti: dobbiamo decidere, qui e ora, se la legalità, il rispetto delle regole, l’etica istituzionale e professionale, il rispetto delle leggi vigenti, l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge rappresentano dei punti fondamentali su cui tutti, nessuno escluso, concordiamo e per cui siamo disposti a combattere prima ancora di dividerci nei diversi schieramenti economici.
Se è così, allora sarà poco originale ma indispensabile gioire della condanna di un truffatore dello Stato e soprattutto darsi da fare per rimettere in sesto la macchina di un Paese allo sbando. Non solo per colpa del capitalismo, ma anzi tenendo ben presente che il pensiero unico dell’economia e del profitto che mortificano, mercificano e strumentalizzano l’essere umano, trionfa proprio laddove si è deciso di abdicare di fronte al compito immenso di difendere i valori e la cultura umanistica. Lascio decidere a lorsignori quanto Silvio B. e il berlusconismo degli ultimi vent’anni c’entrino poco, molto o per nulla con quel miracolo immenso e fragilissimo che chiamiamo umanità!


{ Pubblicato il: 06.08.2013 }
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