Addio a Nello Ajello: morto a Roma 83 anni.
Con lucidità e ironia ha raccontato il '900
Il giornalista e scrittore si è spento a Roma a 83 anni dopo una lunga malattia. La moglie era morta il mese scorso.
di SIMONETTA FIORI
Addio a Nello Ajello: morto a Roma 83 anni. Con lucidità e ironia ha raccontato il '900 Nello Ajello
È MORTO a Roma il giornalista e scrittore Nello Ajello, storica firma di Repubblica e dell'Espresso. Avrebbe compiuto 83 anni il 20 novembre. Era da tempo malato di tumore, ma l'ha scoperto solo di recente perché concentrato su un dolore più grande: la malattia della moglie Giulia, scomparsa lo scorso 25 luglio. Una storia d'amore d'altri tempi, un legame che non poteva essere reciso.
Elegante, ironico, una leggera somiglianza con l'attore David Niven, Nello Ajello incarnava esemplarmente la stirpe degli "anglonapoletani", una specie antropologica e intellettuale che Beniamino Placido faceva risalire alla fine del Settecento, l'epoca di Emma Hamilton, moglie dell'ambasciatore britannico nel Regno di Napoli. Inconfondibili nel rigore. Inconfondibili nel modo di vestire. Inconfondibili nell'amare la loro imbarazzante città - imbarazzante per "l'eccesso" e "l'incoscienza" - opponendole uno stile che non conosce approssimazione. Né in termini etici né in quelli estetici.
Anche il percorso intellettuale di Nello Ajello non conobbe approssimazioni, essendosi definito sin dagli anni Cinquanta attraverso alcuni santuari della cultura democratica e progressista. I primi passi a Nord e Sud, la rivista di Francesco Compagna che coniugava meridionalismo ed europeismo ("il capitolo più appassionante della mia giovinezza"). Il lavoro a Torino all'Olivetti, al fianco del mitico mecenate Adriano ("Mio padre si mostrò stupefatto: 'Che vai a fare a Torino? È 'nu paisiello! 'Vado a Torino, risposi, perché la amo molto e perché non posso andare a Helsinki non conoscendone la lingua").
La collaborazione al Mondo di Pannunzio e la successiva attività nelle stanze dell'Espresso, di cui per tanti anni fu condirettore al fianco di Livio Zanetti ("Mi occupavo di qualsiasi cosa, dal salotto di Croce alla vallata vietnamita di Da-Nang, dalla legge Merlin alla Guerra dei sei giorni"). Infine l'approdo nelle pagine di Repubblica, dove dall'89 al '91 diresse il supplemento culturale Mercurio e poi restò firma d'eccellenza, sempre nel segno della levità e della destrezza. Un itinerario politico e culturale coerente, che egli amava restituire con il consueto understatement: "Mi pare di aver provato simpatia per una liberaldemocrazia a sfondo laico che fosse davvero tale, senza sconfinamenti verso utopie di segno diverso o verso cangianti settarismi. E senza aderire - per farla breve - ai più acrobatici revisionismi a' la page. Ciò non toglie che nella classica distinzione a firma di Norberto Bobbio tra destra e sinistra, io mi riconosca nel secondo corno del dilemma, pur non rinunziando allo sgomento cui mi induce l'oltranzismo anche in veste progressista".
Maestro di antiretorica, ha saputo raccontare il Novecento - ma anche gli esordi del nuovo secolo - senza tracce di sussiego, nella lucida consapevolezza delle mine nascoste in un mestiere che ha contribuito a reinventare. Nelle migliaia di articoli e profili critici - che compongono una sorta di enciclopedia dell'intellighenzia contemporanea - non ci si imbatte mai né nell'accademia né nell'astrattezza. Considerava il giornalismo culturale una specialità a sé, che richiede a chi vi si cimenta un'ardua quadratura del cerchio. "La figura del redattore culturale", diceva Nello, "è esposta a un pericolo: sta in bilico tra il professore che non sa scrivere e il dilettante che magari sa scrivere ma non sa. Professionalmente parlando, egli può o deve essere un centauro. Ossia deve sapere, e deve sapere scrivere". E se non sa, aggiungeva, deve sapere dove mettere le mani.
Lettore colto e raffinatissimo, Ajello apparteneva alla specie di chi sapeva. E sapeva scrivere con rara capacità narrativa. Ma non è rintracciabile negli innumerevoli interventi un sospetto di supponenza. Rigore storiografico, cura del dettaglio sapido e il cannocchiale rovesciato dell'ironia: nel territorio assai vasto del dibattito delle idee, il suo approccio è sempre rimasto giornalistico, capace di nutrire l'intelligenza senza mai renderla stanca od opaca. Anche nel fare i titoli - genere in cui esercitava un indiscusso magistero - scuoteva gerarchie e monumenti. E in redazione non erano ammessi musi lunghi: se in questo mestiere non ci si diverte - era il suo monito - forse è meglio sceglierne un altro.
Nelle sue istantanee poco ossequiose, intere schiere di maîtres a' penser sono scese dal piedistallo per acquistare abitudini, ossessioni, nevrosi, fragilità proprie di uomini comuni. Romanzieri, poeti, critici, editori, umoristi, attori, filosofi, statisti, sociologi, politologi. Maggiori e minori. La sua galleria di Illustrissimi (un libro del 2006) mostra "un alternarsi di pensoso e ilare" che era anche una metodologia di lavoro. "Un giornale è per definizione quanto di più pragmatico e di meno protocollare esista quando ospita temi culturali. Incenso e gloria: ecco due ingredienti che mi piacerebbe non figurassero in queste pagine". E divenuto egli stesso "illustrissimo", evitò fino alla fine di impancarsi a venerato maestro. Una tentazione, diceva, che nella vecchiaia è assolutamente da evitare.
I suoi due saggi sui rapporti tra intellettuali e Pci, che coprono mezzo secolo di vicende nazionali, resteranno un caposaldo della bibliografia storica contemporanea (Intellettuali e Pci e Il Lungo addio, entrambi di Laterza). Il consueto stile mercuriale, accompagnato da una sterminata documentazione anche inedita su episodi e personaggi, ne fanno dei classici destinati nel tempo a essere letti, riletti e consultati. "Una paziente e modesta monografia", li definiva l'autore rubando il termine a Francesco De Sanctis, il quale inclinava a credere che "accertare un fatto desta più interesse che stabilire una legge". Il libro-intervista con Alberto Moravia, suo grande amico, fu adottato nei corsi universitari di Lettere. E nella stessa collana laterziana avrebbe firmato più di recente L'editore fortunato, una partecipe conversazione con Carlo Caracciolo, insieme a Eugenio Scalfari suo compagno di viaggio nell'avventura dell'Espresso e di Repubblica.
Erede dei Flaiano e dei Maccari, i cui acquerelli affollavano le pareti di casa, Ajello era anche un formidabile autore di corsivi. Tra il 1992 e il 1993, sulle pagine politiche del quotidiano, ritrasse il naufragio della prima Repubblica. Per Bettino Craxi coniò il motto "l'irritation au pouvoir", a ricalco dello slogan del Sessantotto francese. Con De Mita intonava "Fratelli d'Irpinia". E Formigoni era la "prova ontologica dell'inesistenza di Dio". Quello del corsivo era un genere che gli somigliava. "Confina con l'aforisma e l'epigramma", lo definì una volta. "Nasconde l'animosità dietro l'ironia. Chiude la cattiveria dietro la gabbia del distacco. La sua perfidia, quando c'è, va servita fredda. È un tipo di prestazione che, con la sua brevità, fulmina l'autore per primo. Non sopporta il sussiego. Somiglia all'articolo di fondo come una lucertola a un coccodrillo: o è agile o non è".
Agile Nello lo era anche nella vita. Ogni parola fiammeggiava di ironia. "Per una battuta si mangerebbe una casa", scrisse una volta Valerio Riva curandone un'antologia di scritti. Epigrafe che non gli dispiaceva. Un'arguzia affidata al rovesciamento parodistico, in cui lui scivolava agli ultimi gradini e gli altri erano pericolosamente promossi a sovrani pro tempore. Niente gli era più estraneo di quello che definiva il "soufflé dell'ego", quanto mai contagioso nella varia umanità che rallegra il nostro mestiere. Ma se nella professione e nello stile intellettuale esercitava e predicava distanza, nella convivenza con amici e colleghi non c'era lutto o anche solo dispiacere che non lo vedesse coinvolto. Umanissimo e sensibile. Impeccabile e generoso. Attento e a tratti malinconico. Distratto da sé fino all'ultimo, tanto da non accorgersi del male che lo minava.
Anche nei giorni del dolore per l'agonia di Giulia, non ha mancato di inviare a Repubblica una serie di articoli per l'anniversario del crollo del fascismo. Puntuale, come sempre. Documentato, come nessun altro. Il mestiere non contempla lacrime, in pubblico. Ciao, Nello. E grazie.
Ai figli Elvira e Mario l'abbraccio affettuoso della redazione di Repubblica.
da -
http://www.repubblica.it/cultura/2013/08/11/news/addio_morte_nello_ajello-64610968/?ref=HRER2-1