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Autore Discussione: Il Palazzo nelle mani del giudice - Luigi De Magistris (non lasciamolo solo!).  (Letto 7841 volte)
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« inserito:: Ottobre 04, 2007, 04:14:07 pm »

4/10/2007 (6:53) - UN'INCHIESTA A RISCHIO

Il Palazzo nelle mani del giudice

Da Prodi a Berlusconi, da Amato ai capi degli 007: il pm De Magistris che Mastella vorrebbe trasferire ha acquisito le telefonate di mezzo mondo

GUIDO RUOTOLO


Luigi De Magistris, il pm di Catanzaro che il ministro di Giustizia Clemente Mastella ha chiesto di punire, e che decine di migliaia di giovani calabresi e non solo, Beppe Grillo, l’Italia dei Valori e decine di associazioni della «società civile» difendono a spada tratta, ha acquisito migliaia di tabulati telefonici di cittadini le cui utenze telefoniche (di cellulari ma anche di rete fissa) erano emerse tra i contatti di diversi suoi indagati. E’ impressionante l’elenco di personalità, di vertici delle istituzioni e dei centri nevralgici della Repubblica, i cui traffici telefonici sono finiti sulla scrivania del pm De Magistris. All’appello manca solo il Capo dello Stato.

Nell’elenco ci sono, tra gli altri: il presidente del Consiglio, Romano Prodi, l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, i ministri dell’Interno, Giuliano Amato, e della Giustizia, Clemente Mastella; il viceministro dell’Interno Marco Minniti; il presidente del Senato, Franco Marini, l’ex presidente della Camera, Pier Ferdinando Casini, il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa. Altri nomi che emergono sono quelli del vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, che proprio lunedì, come presidente della Sezione Disciplinare, si troverà a dover decidere sul trasferimento «cautelativo» del pm De Magistris chiesto da Mastella.

I movimenti dei numeri telefonici acquisiti riguardano anche il capo di gabinetto del ministro Amato, il prefetto Gianni De Gennaro, il vicecapo vicario della Polizia, il prefetto Luigi De Sena, il direttore del Sisde, Franco Gabrielli, il direttore del Servizio di polizia postale e delle comunicazioni, Domenico Vulpiani, il generale di divisione Cosimo Sasso, direttore della Dia, il generale di Corpo d’armata Giorgio Piccirillo. Non mancano i magistrati: il presidente dell’Anm, Giuseppe Gennaro, il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, il pm antiterrorismo di Roma Pietro Saviotti, i quattro sostituti della Procura nazionale antimafia Alberto Cisterna, Giovanni Di Leo, Enzo Macrì e Roberto Pennisi (ci sarebbe anche un quinto sostituto del procuratore antimafia Piero Grasso). E ancora: diversi membri della Commissione parlamentare antimafia, deputati e senatori, questori della Camera, presidenti di commissioni di Palazzo Madama.

La notizia della mole di tabulati acquisiti dalla Procura di Catanzaro naturalmente ha messo in fibrillazione i «palazzi». E la notizia è trapelata all’esterno per via di un imprevisto. Dunque, il pm Luigi De Magistris, nell’ambito delle sue diverse inchieste sugli intrecci tra imprenditoria e politica - in particolare la «Why Not» (quella nella quale risulta indagato anche il presidente del Consiglio, Romano Prodi), ha affidato al vicequestore (fuori ruolo da 15 anni) Gioacchino Genchi le consulenze tecniche sul traffico telefonico (mobile e di rete fissa). In questi mesi, Genchi ha inoltrato circa venti provvedimenti di acquisizione di tabulati ai diversi gestori della telefonia (da Tim a Wind e Vodafone), l’ultima dovrebbe risalire agli inizi di settembre. Ogni provvedimento comprendeva richieste di decine di numeri di utenze. E oggi Genchi ha una banca dati impressionante. Autorevoli costituzionalisti e luminari del diritto confermano che il pm De Magistris nel chiedere l’acquisizione di questi tabulati ha agito secondo la norma. Insomma, anche se esiste un programma informatico dei ministeri dell’Interno e delle Comunicazioni che, inserendo il numero telefonico, consente di risalire in tempo reale all’identità del suo titolare, De Magistris ha agito nel rispetto della legge. Se volesse utilizzare i tabulati telefonici di personalità protette dall’immunità, il pm, anzi il gip dovrebbe inoltrare una richiesta di utilizzazione al Parlamento. Resta inquietante e misterioso il motivo per il quale De Magistris maneggi i tabulati dei vertici della Repubblica.

Una volta che il numero telefonico viene inoltrato al gestore della telefonia mobile o fissa, questo viene trattato con procedure automatizzate, a garanzia della privacy e soprattutto del segreto investigativo. In questo caso, però, il meccanismo automatizzato si sarebbe «inceppato» e il pescaggio dei tabulati sarebbe avvenuto manualmente. Diversi responsabili della sicurezza dei gestori della telefonia si sarebbero così resi conto della materia «incandescente» che avevano tra le mani. E come una scossa tellurica, la notizia si è propagata nei «palazzi» della capitale. Ovviamente, la disponibilità di tabulati di migliaia di telefoni utilizzati da «personalità», imprenditori, magistrati, esponenti della intelligence e delle forze di polizia, di semplici cittadini è di per sé una miniera di «informazioni». Secondo gli addetti ai lavori che si occupano di privacy, per certi versi è più importante il tabulato della stessa intercettazione telefonica perché le informazioni che fornisce sono molte di più (il luogo dove si trovava l’utente, chi aveva chiamato prima e dopo quella telefonata, ecc.).

In questi mesi di polemiche al vetriolo tra magistrati di Catanzaro, di indagini ispettive del ministero di Giustizia, i fascicoli aperti alla Prima commissione del Csm, le inchieste giudiziarie sulle ripetute fughe di notizie, l’inchiesta «Why Not» è andata avanti. Il pm De Magistris ha proceduto a perquisizioni e atti d’indagine che hanno messo a soqquadro la politica calabrese e non solo. Lunedì la Sezione disciplinare del Csm dovrà decidere se trasferire «cautelativamente», come chiede il Guardasigilli Mastella, De Magistris e il suo capo, il procuratore Mariano Lombardi. Per (una parte) della società «civile» calabrese De Magistris è un eroe. Se sarà trasferito diventerà un martire.

Martire o eroe? In questa partita che si sta giocando tra Roma e Catanzaro, la posta in gioco alla fine è un’altra: la credibilità della giustizia.

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 04, 2007, 11:25:47 pm »

Palazzo d'ingiustizia

di Riccardo Bocca


Il rafforzamento degli uffici giudiziari calabresi voluto dal governo. E affidato a personaggi vicini a Saladino. Proprio l'indagato del pm De Magistris. Che Mastella vuole trasferire  Il Ministro della Giustizia Clemente MastellaLunedì 8 ottobre il Consiglio superiore della magistratura deciderà se trasferire il sostituto Luigi De Magistris dalla Procura di Catanzaro. Nell'attesa, l'atmosfera è pesante per tutti. E lo sarà ancora di più per una vicenda che vanta tra i protagonisti sia il ministro della Giustizia Clemente Mastella (cioè colui che ha chiesto di allontanare De Magistris), sia l'ex capo della Compagnia delle opere in Calabria Antonio Saladino: principale indagato del pm De Magistris nell'inchiesta 'Why not' sullo scippo dei fondi pubblici, ma anche manager smaliziato che al telefono si rivolge a Mastella con un amichevole "Clemente", ricevendo in cambio un affettuoso "Tonì".

Adesso, il guardasigilli Clemente e l'indagato Tonì si ritrovano in una storia delicatissima. Tema: il sostegno da parte delle istituzioni alla lotta contro la 'ndrangheta. È questo il fulcro della convenzione firmata il 14 maggio scorso dai ministeri della Giustizia e dell'Interno. Un documento che ha concretizzato nel migliore dei modi il 'Patto Calabria sicura', siglato a febbraio da ministero dell'Interno, presidente della Regione Calabria e altre autorità locali. Nel testo si parla di "interventi urgenti nelle zone di Lamezia, Gioia Tauro e della Locride" per potenziare "le risorse umane e tecnologiche dell'apparato di prevenzione e contrasto anticrimine". Si annuncia l'assunzione con "contratto di lavoro interinale di dieci mesi di 60 unità". E si dice che i nuovi arrivi aiuteranno uffici giudiziari e procure varie "nell'archiviazione, formazione e predisposizione degli atti".

Fin qui, tutto bene. Anzi benissimo, perché la convenzione di maggio indica anche i requisiti per gli aspiranti operatori. I candidati, si legge, devono avere almeno "il diploma di istituto di istruzione professionale, equipollente a quello di istruzione secondaria superiore". Non devono essere stati "destituiti o cacciati per motivi disciplinari da una pubblica amministrazione". E devono avere tenuto "una condotta irreprensibile come previsto per l'accesso alla magistratura". Viceversa,
non si fa cenno alle caratteristiche dell'agenzia di lavoro che sarà incaricata delle selezioni. E non si trova un rigo sulle procedure che la stessa azienda dovrà seguire. Si dice solo che la selezione dovrà avvenire con una procedura ispirata al "massimo dell'oggettività e della trasparenza". Il che significa tutto e niente.

Anche per questo c'era curiosità, lo scorso 7 settembre. Quel giorno la Prefettura di Reggio Calabria ha annunciato la stipula del contratto con l'agenzia di lavoro Worknet spa. Ma non ha cancellato tutte le perplessità. Ad esempio: come si è giunti all'assegnazione? C'è stata una gara pubblica? E che condizioni sono state fissate dallo Stato? A rispondere è Luisa Latella, vice prefetto vicario a Reggio. La quale spiega che non c'è stata alcuna gara pubblica. Anzi: seguendo il decreto 163/2006, "la Prefettura ha attuato la trattativa privata plurima". Ha cioè convocato a sua discrezione una serie di ditte. "Selezionate su Internet", dice Latella. Dopodiché ha scelto soltanto "in base all'offerta più bassa". Che era appunto quella di Worknet spa: un'azienda della filiera Gi Group, il cui amministratore delegato è Stefano Colli Lanzi, docente di Economia alla Cattolica di Milano.

Da parte sua, la direzione business di Worknet spa conferma. E va oltre. Per vincere, dice, ha presentato un ribasso del 22,77 per cento, con un'offerta finale di 1 milione 258 mila 816 euro. Il che sarebbe perfetto se la storia finisse qui. Invece la storia inizia qui. Nel momento in cui telefoniamo alla filiale di Reggio Calabria della Worknet spa, e poniamo due domande: chi è il capo di questa sede? E chi ha seguito, giorno per giorno, le selezioni dei 60 operatori giudiziari finite il 26 settembre? Le risposte sono esplosive. L'uomo forte della sede, spiega un dipendente al registratore, si chiamaBruno Idà. Un nome noto, in Calabria, da quando lo scorso inverno è stato arrestato in un'inchiesta sui traffici di carne avariata.

della cosca di 'ndrangheta Iamonte. Lo stesso Idà, sostengono i lavoratori di Worknet spa, ha seguito le selezioni del 'Patto Calabria sicura' a Reggio. E sempre Idà è citato nell'inchiesta 'Why not' di De Magistris: in una telefonata tra Saladino e un'impiegata, dove si parla di un appuntamento a Milano con "Daniele e Dario alla Compagnia delle opere, venerdì".

Riassumendo: l'assunzione di 60 elementi anti 'ndrangheta, obiettivo della convenzione tra il guardasigilli Mastella e il sottosegretario agli Interni Marco Minniti (firmata anche dall'ex prefetto di Reggio Calabria Luigi De Sena, attuale vice capo della Polizia, e dal direttore generale del personale al ministero della Giustizia Carolina Fontecchia), sarebbe stata gestita in parte da un arrestato per sospetta mafiosità, in contatto con la Compagnia delle opere e quindi con Saladino. Ma c'è di più. Sempre alla Worknet avrebbe lavorato al 'Patto Calabria sicura' un'altra figura, femminile. "A coordinare le selezioni", spiega un dipendente, "c'era anche Nadia Di Donna, del settore commerciale. Idà seguiva l'area di Reggio, lei quella di Lamezia e Catanzaro". Una versione confermata dalla stessa Di Donna, la quale contattata dice: "È vero, ho seguito le selezioni. Però non posso rispondere ad altre domande. Devo chiedere l'autorizzazione al superiore... Scusi, ma sono stata assunta da un mese".

A prima vista, una dipendente rispettosa del capo. Ma solo a prima vista. Gli investigatori la descrivono in tutt'altro modo: "(Di Donna) gestisce per conto di Antonio Saladino tutti i contratti del lavoro in affitto fra la Regione Calabria e la società Piazza del lavoro", si legge negli atti, "con i vantaggi economici che vengono quantificati da loro stessi in un'altra conversazione". Addirittura, mostrano le carte, "le attività decisionali (di varie società, ndr), a dispetto degli statuti e degli amministratori in carica, sono assunte di fatto dal Saladino, che amministra tutto avvalendosi della collaborazione e della consulenza di Nadia Di Donna. (Ad esempio), le dimissioni dei vari soci e facenti parte dei direttivi sono decise da questi due".

Non deve stupire, quindi, se Saladino al telefono chiama Di Donna "Nadiuccia". Ed è comprensibile che lei scivoli nel confidenziale "Tonino". Funziona così, in terra di Calabria. Gli amici si aiutano, si alleano. A volte creano comitati d'affari. Comandano con massonerie coperte, come secondo l'accusa avrebbe fatto Saladino. E quando lo Stato italiano assume 60 collaboratori giudiziari, chi finisce a gestire la partita? Persone che in un modo o nell'altro compaiono nell'inchiesta 'Why not'. Quella che tante rogne sta causando a De Magistris. E che rendono surreali le parole del deputato Ennio Morrone (Udc): "Il ministro della Giustizia Mastella", ha detto il 24 settembre, "ha siglato una convenzione (.) per assumere 60 unità di personale amministrativo per gli uffici giudiziari di Lamezia, Palmi, Locri e delle Procure di Catanzaro e Reggio (.). Lo stesso Mastella si sta poi adoperando per rafforzare la magistratura delle parti della Calabria in cui ce n'è più bisogno (.). Sono iniziative di primaria importanza, che lanciano un chiaro segnale alla criminalità organizzata". La speranza è che sia vero.

(ha collaborato Paolo Orofino)

(04 ottobre 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 06, 2007, 12:04:22 am »

Federica Fantozzi


«La crisi del sistema ha intaccato tutti i gangli istituzionali. O si fa una riforma costituzionale che consenta al premier o al presidente di governare, o la partita diventa disperata». A Clemente Mastella, Guardasigilli e leader dell’Udeur, portare a casa la legge elettorale non basta più: presidenzialismo o premierato forte, altrimenti «saranno solo macerie, in gioco non c’è la maggioranza ma la democrazia».

Mastella annuncia una proposta di revisione della Legge Gozzini basata sull’entità del reato commesso e sul monitoraggio costante del reo. Sulle celle che scoppiano di nuovo, niente amnistia: Via Arenula prevede «nuove carceri ma nessun atto di clemenza». E se fa marcia indietro sui segretari di partito in piazza il 20 ottobre («Non è il massimo, ma niente crisi»), non cede sul caso De Magistris: «Non lo trasferisco a cuor leggero, ma nessuno è insostituibile. La giustizia dell’eroe non è una buona giustizia». Il pm di Catanzaro spieghi piuttosto i tabulati in suo possesso: «Chi mi garantisce che non hanno ascoltato le mie telefonate private?».

Ministro, l’Unità ha ricevuto più di 5mila lettere che alla coalizione di centrosinistra chiedono unità. A questi, elettori anche suoi, cosa risponde?
«Io ho lavorato con molte difficoltà e atteggiamenti anche poco amichevoli da parte della mia coalizione per tenere in piedi questo governo, che equivale a tenere in piedi questa maggioranza. In altri momenti della politica italiana i governi potevano cambiare restando espressione della stessa maggioranza o di una poco diversa. Gli elettori di sinistra sono delusi che non si risolva il conflitto di interessi o le leggi vergogna, ma non abbiamo numeri tali da far corrispondere sogni e speranze a realtà. L’aritmetica è contro di noi. Oggi al Senato quasi non c’è maggioranza».

Con questa situazione bisogna fare i conti. Il governo potrà arrivare a fine legislatura oppure è a tempo?
«La risposta dipenderà dalle decisioni che prenderemo. Non può esserci indecisione di fronte al malessere esistente. La crisi del sistema è ampia e diffusa, l’epidemia ha contagiato i tutti i gangli istituzionali e le articolazioni locali. O si cambia sul piano costituzionale o la partita diventa disperata».

Una riforma costituzionale in che direzione?
«Ho una mia proposta. In Francia la debolezza dei partiti ha portato a modificare la Carta. Chi cita Sarkozy e Gonzales, deve aggiungere che il sistema di quei Paesi dà al premier o al presidente i poteri di prendere decisioni e di rispondere con prontezza alle situazioni. L’indecisione da noi non esiste perché Prodi è indeciso come persona: è strutturale all’esecutivo. Il premier non può eliminare un sottosegretario senza aprire la crisi. Questo ormai deve essere spazzato via».

Vuole una repubblica presidenziale o un premierato forte?
«Sì, serve un’autentica rivoluzione. Sono sempre stato contro il bonapartismo, ma ora ritengo che un presidente eletto da assemblee forti come negli Usa sia l’unico modo per uscire dalla crisi. Perché credo che la debolezza dei partiti durerà».

Questo sembra mettere una scadenza al governo in carica. È così?
«Durerà quanto durerà. La cosa più seria è stabilire un giro di boa oltre cui c’è la caduta il prosieguo della corsa. Per me è il 2009. Le elezioni Europee sono l’unico sondaggio vero: si vedrà se c’è recupero dei consensi, quali sono le alleanze in campo, come e dove va il Pd. Siamo a un punto limite: coalizioni troppo estese non garantiscono la governabilità».

Scusi, non basta cambiare la legge elettorale?
«Ne abbiamo già cambiate 4 senza cambiare nulla. Maggioritario, Mattarellum, Porcellum... La crisi è altrove. La legge elettorale mi è indifferente».

Indifferente? Ma se ha minacciato sfracelli se si tocca il proporzionale...
«Qui non è in discussione l’interesse di partito. Di fronte al terremoto, la pioggia è l’ultimo dei problemi. Il meccanismo elettorale arriva a cascata».

È un auspicio o la sua condizione per rimanere nel governo?
«È un appello a tutti, non solo alla maggioranza. Siamo nel Mar dei Sargassi: fermi, senza vento, nella calma piatta. La condizione dell’Italia è che non va né avanti né indietro. In gioco non c’è solo la maggioranza ma la democrazia. Perché “intellettuali dei miei stivali” e poteri particolari usano anche scorciatoie per scivolare non nel presidenzialismo ma in un bonapartismo un po’ tirannico. L’idea che il Parlamento non serve, che siamo nullafacenti, che la politica costa: è tutto funzionale».

Eppure lei ha detto: siamo pagati un po’ meno del giusto. Se le cerca?
«Fare il populista non è nella mia natura: un onorevole che versa la metà dello stipendio al partito deve poter girare nei collegi. Va bene eliminare gli sprechi, ma non distinguere il grano dal loglio non funziona. Attenzione: avanti così ci saranno solo macerie. Anche per chi ritiene di poter accarezzare la tigre: nel ‘92 si distingueva tra chi rubava e chi non, tra legalità e illegalità, stavolta è il qualunquismo che avanza».

Sia sincero: non è solo paura dell’antipolitica che minaccia le poltrone, delle piazze piene e arrabbiate?
«Oggi il fenomeno tocca anche Berlusconi, il re dell’antipolitica che cavalca i circoli e la Brambilla. L’Istat dice che ci sono 7 milioni di poveri. E l’analisi stavolta è diversa: prima la frustrazione antipolitica maturava nel centrodestra, oggi a sinistra. È questo il dato drammatico. Ma tra semina e raccolto serve tempo. Marchionne per fare bene alla Fiat ci ha messo 5 anni. Prodi dice lo stesso».

Come valuta lo scenario di una riforma costituzionale dopo il referendum?
«Non so se arriviamo al referendum. Certo non arriviamo con questa maggioranza allargata».

Chi si sfilerà?
«Lega e Udc non lo accetteranno».

E l’Udeur?
«Noi siamo leali».

Però ha minacciato: se i ministri o i segretari di partito scendono in piazza il 20 ottobre, sarà crisi. Se i ministri non ci saranno, farà comunque le barricate?
«Se vanno i segretari non è il massimo però... Diciamo che loro possono anche dire come la pensano, ma i ministri devono essere rispettosi del governo».

L’ultimo fronte di Via Arenula sono i benefici di cui godeva l’ex Br Piancone. Lei vuole aprire il dibattito sulla legge Gozzini. Da cattolico, sapendo che i casi di recidiva sono minimi, non è demagogia?
«Guardi, mi hanno già crocifisso per l’indulto quando la Legge Simeoni, che non ho fatto io, è un indulto permanente. Sulla Gozzini dico di aprire un dibattito culturale. È una legge nata quando l’area cattolica insisteva sulla funzione rieducativa della pena. Vogliamo portare avanti un’idea diversa? Discutiamone. Noi faremo una proposta».

Una proposta di modifica della Gozzini? In che termini?
«Non può avere rilievo solo la valutazione psicologica del reo, ma anche l’entità del reato commesso. Poi, il Tribunale di Sorveglianza deve operare un monitoraggio costante dello stile di vita della persona. Bisogna eliminare al massimo il margine di errore. Sono pronto a discutere la mia bozza con l’opposizione, però il centrosinistra decida la linea: non posso ogni volta essere sconfessato».

Un anno dopo l’indulto le carceri scoppiano di nuovo. Qual è la soluzione?
«Dove sono le carceri dei 5 anni di governo di centrodestra? Senza indulto, oggi ci sarebbero 70mila detenuti. Il 40% sono clandestini dovuti alla Bossi-Fini. Io porto avanti l’idea cristiana di carceri nuove e nuove carceri, vivibili. Abbiamo speso 80 milioni in 3 anni per edilizia carceraria».

Ci sono all’orizzonte altri atti di clemenza? Un’amnistia?
«Assolutamente no. Andremo nella direzione della certezza della pena, per eliminare di fatto la Simeoni».

Grillo, Di Pietro, calabresi e società civile: tutti contro di lei per il trasferimento di De Magistris. Ha fatto la cosa giusta?
«Non lo faccio a cuor leggero. Nella scorsa legislatura c’è stato fuoco contro i giudici, e ho trovato gusci vuoti sul piano finanziario. Era una scelta, non mia, che ha portato allo scontro duro con tutta la magistratura. Io ho lavorato per ricucire. Ora il nuovo ordinamento giudiziario mi consente di agire, cosa che ho già fatto in altri casi».

Con il pm di Catanzaro sembra un fatto personale.
«Non lo è. Non c’è un contrasto. Non ho agito su De Magistris a sfizio ma perché altri magistrati hanno mosso rilievi. La Procura della Cassazione lo ha fatto due volte, a Salerno è sotto inchiesta. E quando io ho avuto un avviso di garanzia, ho atteso pazientemente l’evolversi della vicenda, come un magistrato avrebbe il dovere di fare. Se uno è sereno che bisogno ha di manifestazioni di piazza? Se Berlusconi quando era sotto processo avesse mobilitato i suoi elettori sarebbe stato disastroso per giustizia e democrazia».

De Magistris era in possesso di tabulati di ministri e vertici istituzionali, lei compreso. Ma rivendica la correttezza dei suoi atti. Lei cosa pensa?
«Non lo so. So solo che questi tabulati c’erano. Come cittadino chi mi garantisce che qualcuno non abbia ascoltato le mie telefonate private? Non una delle indagini di De Magistris è stata lasciata in piedi da tribunale e Cassazione. Allora tutti i giudici sono conniventi? Non dubito che lui sia onesto, ma gli altri sono disonesti?»

Non c’entra che nell’indagine sia coinvolto Prodi né che lei sia stato intercettato?
«Io non ho interrotto l’indagine. Un magistrato non è insostituibile: ce ne sono migliaia perbene. Chi andrà al posto di De Magistris proseguirà. L’idea dell’eroe non mi appartiene perché la giustizia dell’eroe non è una buona giustizia. Ho appena firmato la conferma del 41-bis per Cutolo e Brusca. Poi: Genchi, un vicequestore in aspettativa, ha avuto dal pm per consulenze sulle trascrizioni 1 milione nel 2005. È strano: sarà un consulenze eccezionale che tutto il mondo ci invidia...»

Perché ha chiesto la visione preventiva di Annozero? Non è un boomerang?
«Non ho chiesto di censurare. Ma in quella trasmissione non c’è pluralismo. Chiedo regole come tra Berlusconi e Prodi. Da quando sono andato via, l’anno scorso, ogni puntata si apre e chiude con me».

Pentito di aver abbandonato lo studio di Santoro?
«No. Ero andato da Santoro perché mi avevano implorato. Avevo firmato per il suo ritorno in Rai ed ero convinto di poter esprimere un libero pensiero. Non è stato così e non ci tornerò più».

Pubblicato il: 05.10.07
Modificato il: 05.10.07 alle ore 8.43   
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