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Autore Discussione: Tommaso LABATE.  (Letto 8033 volte)
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« inserito:: Agosto 08, 2013, 04:37:37 pm »

Dietro le quinte

Il Cavaliere si prepara: «Devono capire che io resto il leader»

Ad Arcore un consiglio di famiglia permamente, mentre si attende un «segnale» dal Colle


ROMA - «Io aspetto un segnale dal Quirinale». E sull'invito a «fare un passo indietro» che Epifani gli ha indirizzato nell'intervista di ieri al Corriere , c'è anche la risposta: «Il Pd deve capire che sono il leader del Pdl. E deve sapere che se vuole che il governo rimanga in piedi, non può continuare a vergognarsi di noi». La rotta non è ancora tracciata. Ma il messaggio che Silvio Berlusconi manda alla prima cerchia di fedelissimi ieri al tramonto è chiaro. Chiarissimo. Ad Arcore, rinchiuso in quello che assomiglia sempre più a un fortino e circondato soltanto da familiari e amici più stretti, l'ex premier aspetta quello che lui stesso definisce «un segnale». E lascia intendere che la sopravvivenza del governo Letta dipende solo da questo. Dal «segnale».

Gliel'hanno spiegato fino allo sfinimento, sia Gianni Letta che il tandem Schifani-Brunetta che gestisce operativamente i contatti col Colle. Gli hanno detto che il Quirinale e i vertici del Pd non possono tirare troppo la corda con la storia della «pacificazione a tutti i costi», anche perché il centrosinistra si ritroverebbe mezzo secondo dopo con gli elettori in rivolta. E gli hanno suggerito di stare il più possibile alla larga dai «toni da guerra civile». Tutti ragionamenti rispetto a cui Berlusconi è stato comprensivo ma irremovibile. «Io aspetto quel segnale perché io ho poco tempo. E sono pronto a tutto».

Il «poco tempo» è quell'inesorabile clessidra che lo avvicina al fatidico 15 settembre, giorno in cui gli verrà notificato l'atto del tribunale di Milano. Ed è un tempo che scorre talmente veloce che lunedì sera, congedando la Santanchè e Alfano dopo un incontro a Palazzo Grazioli, Berlusconi ha lasciato tutti senza parole: «Adesso è arrivata l'ora di decisioni che posso prendere solo con la mia famiglia». Da quel momento in poi, la residenza di Arcore s'è trasformata nel teatro di un consiglio di famiglia permanente. In cui l'andirivieni dei figli è stato interrotto soltanto da telefonate o visite di persone che si contano sulle dita di una mano. Da Gianni Letta a Fedele Confalonieri, passando per Ennio Doris. Un «segnale» che il Pdl ha interpretato come la vigilia di un momento storico. Non foss'altro perché, esclusi i figli e Marcello Dell'Utri, si tratta dello stesso pacchetto di mischia a cui il Cavaliere vent'anni fa sottopose la «pazza idea» di «scendere in campo».

È ad Arcore, insomma, che Berlusconi studia la strategia per quella che s'annuncia come la più importante «campagna» dell'«uomo», non solo del politico. La decisione di avviare il cantiere della nuova Forza Italia è ufficiale. Come ufficiale è il sostegno, annunciato ieri da Denis Verdini, di «raccogliere le firme per i referendum sulla giustizia» dei Radicali. Che la firma del Cavaliere in persona sia imminente è un dato acquisito. Ma non sarà un semplice gesto della mano. Su questo, Berlusconi ha ascoltato i suggerimenti più svariati. Qualcuno gli ha ricordato i referendum sulla responsabilità civile dei magistrati dopo il «caso Tortora». Qualcun altro gli ha persino suggerito lo sciopero della fame. Altri ancora l'hanno spinto a valutare l'ipotesi di «fare un discorso in tv agli italiani» sulla giustizia, magari sfruttando la scia delle polemiche seguite all'intervista del giudice Esposito.

Ma questa è solo una parte del film che sta andando in scena ad Arcore, dove un Berlusconi in perenne oscillazione tra la voglia di combattere e quella di arrendersi aspetta quel «segnale» da Roma. Le scrivanie sono ricoperte dai sondaggi che l'ex premier continua a commissionare. Ha fatto testare «Marina leader», che non è andata al di sotto dal 30% preso dal padre nel febbraio scorso. E, soprattutto, il Cavaliere s'è fatto spiegare da Denis Verdini che una finestra elettorale tra ottobre e novembre c'è. Con possibile colpo di scena. Il coordinatore ha raccontato al Presidente che, se i lavori della giunta del Senato procederanno a rilento, c'è una piccola strada per consentirgli di candidarsi a premier. Direttamente dagli arresti domiciliari.

8 agosto 2013 | 9:15
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Tommaso Labate

da - http://www.corriere.it/politica/13_agosto_08/cavaliere-rimane-leader-labate_d8d83f9c-ffe3-11e2-b484-e2fa3432c794.shtml
« Ultima modifica: Settembre 13, 2013, 04:33:43 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 27, 2013, 11:34:31 pm »

Equilibri

Il fronte dei mediatori trasversali e il paracadute del «Letta bis»

Naccarato (Gal): al Senato maggioranza silenziosa.

Cuperlo: «Se centrodestra dovesse togliere fiducia cercare altra maggioranza»


ROMA - «Io continuo a non pensare che Silvio Berlusconi provochi la crisi di governo. Ma se la provoca...». A questo punto il senatore del gruppo «Gal», la pattuglia a cui tutti guardano nell'attesa di azionare il pallottoliere del possibile Letta bis, trattiene il fiato. Poi lo dice: «Se Berlusconi provocasse la crisi di governo, io penso che al Senato verrà fuori una maggioranza silenziosa. E che il Cavaliere, in questo caso, si troverebbe ad avere a che fare con molte sorprese e moltissime delusioni». È il primo a venire allo scoperto. Il primo senatore eletto col centrodestra a parlare esplicitamente di una nuova maggioranza de-berlusconizzata. E non si nasconde dietro l'anonimato. Anzi. Il suo nome è Paolo Naccarato. È stato sottosegretario nell'ultimo governo Prodi ed è molto legato a Giulio Tremonti, che l'ha inserito nella sua «quota» nelle liste della Lega. E, soprattutto, è uno di quei democristiani doc allevati alla scuola di Francesco Cossiga.

«Sa perché dico che, secondo me, alla fine Berlusconi non staccherà la spina al governo? Perché, pensando a quello che ci aspetta al Senato, mi è tornata in mente come un piacevole ronzio una cosa che mi diceva Cossiga», racconta Naccarato. «"Vedi Paolo", mi diceva, "sono tantissimi quelli che non hanno capito l'ultima metamorfosi di Berlusconi. Adesso pensa davvero al bene del Paese". Sembravano parole esagerate. Eppure, negli ultimi anni, s'è sempre fermato prima di scombinare il quadro politico. Se lo facesse questa volta, avrebbe amarissime sorprese, a Palazzo Madama...», conclude il suo racconto. In fondo, non è un'analisi troppo dissimile rispetto a quella in cui si esercita un altro ex giovane democristiano, in questo caso allevato alla scuola di Giulio Andreotti. Si tratta di Beppe Fioroni. «Attorno alla persona di Silvio Berlusconi c'è gente che si sta impegnando a incassare a fini personali il massimo del lucro», è la premessa dell'ex ministro. Esaurita la quale Fioroni sgancia un siluro all'interno del suo partito: «Io sono preoccupato più dei nostri che dei berlusconiani. Sono preoccupato dalla presenza sullo scacchiere di Massimo D'Alema e Matteo Renzi. Evidentemente, queste due persone non si sono rese conto che ci sono partite che sembrano vinte, come nel 1994 e nel 2013, e che poi invece si perdono. E sono guai...».

Il sospetto dell'ala «governista» del Pd a cui Fioroni dà voce, e neanche troppo velatamente, è che il tandem D'Alema-Renzi, in caso di resa dei conti, possa trascinare tutti alle elezioni. O puntare ad altre maggioranze che non siano quelle legate a un «Letta bis». E qui, nel famoso pallottoliere del Senato bisogna aggiungere almeno una cifra. Il numero 13, i senatori renziani che - nonostante finirono per votare col resto del partito - premevano per le dimissioni di Alfano dopo «il caso Kazakistan». Il prodiano Sandro Gozi, che sta alla Camera e sostiene Renzi, infatti, sembra chiudere le porte a un «bis» dell'attuale inquilino di Palazzo Chigi. «Io spero che il governo non cada. Ma se cade dobbiamo farne un altro che faccia almeno la legge di stabilità e la riforma elettorale. E visto che dovremmo darci una mossa anche su liberalizzazioni e lavoro - aggiunge Gozi - credo che si debba riprovare a dialogare con Sel e M5S. E il governo, in quel caso, non lo potrebbe guidare Letta».

«Il mister X», secondo i vendoliani di Sel, ci sarebbe già. E si chiama Matteo Renzi, il nome più citato nelle conversazioni private in cui Nichi Vendola parla di possibili scenari futuri. Anche se, da oggi, bisogna fare i conti con la prima uscita allo scoperto nel fronte del centrodestra. Con quella previsione in cui s'è cimentato Naccarato. Con quel sibillino richiamo a una «maggioranza silenziosa» che starebbe lì, pronta per un nuovo governo guidato da Letta. E i eri sera, alla festa democratica di Firenze, anche il candidato alla segreteria del Pd Gianni Cuperlo ha accennato al «dovere di cercare una diversa maggioranza se il centrodestra dovesse togliere la fiducia all'esecutivo». Sempre che Berlusconi, alla fine, non decida di dare retta agli amici di una vita, da Gianni Letta a Ennio Doris, che premono perché non si vada alla rottura. E di far contento Fedele Confalonieri, che poco più di un mese fa - incontrandolo al matrimonio di Paola De Micheli - prese da parte Enrico Letta e gli disse: «Enrico, spero che il tuo governo duri molto, molto a lungo ».

26 agosto 2013 | 7:49
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Tommaso Labate

da - http://www.corriere.it/politica/13_agosto_26/il-fronte-dei-mediatori-trasversali-e-il-paracadute-del-letta-bis-tommaso-labate_1abe6228-0e0e-11e3-94c3-5ad04b7d12ed.shtml
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 13, 2013, 04:34:08 pm »

L'attesa

Insonnia e passeggiate da quasi un mese

L'autoesilio del Cavaliere

A fianco dell'ex presidente del Consiglio la fidanzata Francesca con il cagnolino Dudù, definito «la mia gioia»


ROMA - Dicono che il dramma sia la notte. E che a chiudere occhio durante le ore di buio Silvio Berlusconi non ci riesca proprio. Qualche volta prende Dudù, il cane di Francesca Pascale per il quale ha un'autentica venerazione, e lo porta a fare due passi nel mastodontico prato della villa San Martino. «Questo cane è la mia gioia», ripete a tutti. E lo si capisce dalla libertà granitica, totale, assoluta, che l'ex premier ha conferito all'animale domestico nel perimetro della residenza Arcore, dove Dudù sceglie a piacimento come , quando e soprattutto dove fare i suoi bisogni.

Altre volte, per sconfiggere l'insonnia e sempre in compagnia di un Dudù che ha preso l'abitudine a dormigli addosso, il Cavaliere si abbandona davanti alla televisione, anche se la «vede» ma non la «guarda». Ma questo l'ha sempre fatto, di notte. Anche ai bei tempi in cui era presidente del Consiglio. Come nel giugno del 2008, quando in piena notte aveva telefonato al «numero in sovraimpressione» e aveva ordinato i coltelli che gli si erano materializzati di fronte, nel bel mezzo di una televendita che «vedeva» ma non «guardava».

La decisione finale su come scontare la pena principale dovrà prenderla presto. E dovrà presto confermare o smentire la tesi di chi tra i suoi aveva scommesso sulla scelta dei servizi sociali. Magari per dare una mano alla casa di riposo di Mortara, provincia di Pavia, dove l'amata e compianta zia Bice aveva trascorso gran parte della sua vita dopo essersi fatta suora (e aver preso il nome di suor Silviana). Quale che sia la scelta, però, è un fatto che il Cavaliere, da oltre un mese, si è praticamente autoconsegnato a un regime di arresti domiciliari. Cominciato in quel lunedì 5 agosto, all'indomani della manifestazione convocata a Palazzo Grazioli in cui aveva urlato il suo «io non mollo», e aveva pure pianto. E, tolta una sortita capitolina, di fatto da allora l'ex premier non s'è mosso da Arcore. Fino ad oggi, sono stati 37 giorni. Per un totale di 888 ore e 53.280 lunghissimi minuti.

Giorni, ore e minuti interminabili in cui dalla residenza di Arcore non si sono praticamente mai mosse neanche la fidanzata Francesca Pascale e nemmeno Maria Rosaria Rossi, il parlamentare che dagli ultimi anni è più a stretto contatto con l'ex premier. Va e viene, anche se sono a villa San Martino praticamente in pianta stabile, il tridente di legali composto da Franco Coppi, Niccolò Ghedini e Piero Longo. A seguire, in questa speciale classifica, ci sono Gianni Letta, i manager-amici Fedele Confalonieri ed Ennio Doris, più i figli, il fratello Paolo e anche il giornalista Paolo Del Debbio, con cui il Cavaliere sta praticamente ri-studiando «i materiali» della Forza Italia che fu. Compreso il mastodontico archivio di testi e immagini che nel 2001 portò al confezionamento del libretto autobiografico Una storia italiana , poi spedito nelle case degli italiani.

I figli sono una storia a sé. Quelli di primo letto (Marina e Piersilvio) si muovono d'intesa con quelli di secondo (Barbara, Eleonora e Luigi) come mai era capitato prima. E sono tutti pronti a chiedere la grazia. Nelle confidenze umane a cui s'abbandona anche con gli interlocutori «politici», Berlusconi parla sempre più spesso di Barbara, la figlia più eretica con cui è tornato ad andare d'amore e d'accordo. «Avete visto Barbara come lotta?», è stato il commento affidato a più d'un amico rispetto alle uscite con cui la terzogenita ha difeso con le unghie e con i denti «mio padre, che non è un delinquente». E gli interlocutori devono essere stati maliziosi assai se è vero che, nelle retrovie del Pdl, qualcuno si sta già domandando: «E se fosse Barbara», che in passato aveva confessato le sue simpatie politiche per il sindaco di Firenze, «a sfidare Renzi, un domani?».

Voci, soltanto voci, per adesso. Rumori di sottofondo per un Berlusconi che s'è divorato - nell'ordine - gli atti dei vecchi congressi di Magistratura Democratica («Le toghe rosse»), il libro di Fabrizio Cicchitto sull'Uso politico della giustizia e anche l'intervento che il magistrato Carlo Nordio («Bravissimo», è stato il commento) ha letto domenica a Cernobbio. Dudù, per la felicità del nuovo padrone, è sempre tra i piedi. Settimane fa, durante una riunione con i maggiorenti del partito, il Cavaliere l'ha preso in braccio e l'ha scherzosamente avvicinato a un bicchiere di vino bianco, come fanno i nonni al battesimo dei nipotini. Francesca non era presente. Non si fa quasi mai vedere se ci sono «i politici».
E, quando capita, non apre mai bocca. Gli parla soltanto quando «i politici» del Pdl non ci sono. E gli ripete sempre la stessa cosa: «Adesso devi pensare solo a te stesso».

13 settembre 2013 | 9:24
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Tommaso Labate

da - http://www.corriere.it/politica/13_settembre_13/insonnia-passeggiate-berlusconi-003_da061f66-1c3e-11e3-8df2-24a872f62c06.shtml
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 26, 2014, 11:43:40 pm »

Dietro le quinte Il servizio sul Sunday Times

Le rughe sul Sunday Times, Berlusconi: «Non ho paura di mostrarmi vecchio»
«Così io più vero di Renzi». Dietro la scelta anche una strategia di conquista dei voti over 60


ROMA - «Bene, molto bene. Questo servizio è uscito molto bene». Nessuna imboscata. Nessun accordo violato. Nessun piano di comunicazione nato bene e finito male. Al contrario, quando ha visto il suo volto riflesso sulle pagine del Sunday Times Magazine, quando ha soppesato le rughe, la pelle che pareva increspata, lo sguardo serio che sembrava volgere al triste, e financo l’occhio sinistro leggermente più chiuso del destro, ecco, di fronte a quelle foto Silvio Berlusconi non è riuscito a trattenere un ghigno beffardo di soddisfazione. Come quello del Dorian Gray di Oscar Wilde, il cui responso dello specchio era decisamente più lusinghiero. Una soddisfazione comprovata dal fatto che quegli scatti, che due giorni fa avevano fatto il giro d’Europa via Internet, ieri sono stati ripubblicati in prima pagina solo dal Giornale e da Libero.

Dietro quelle foto scattate da Paul Stuart, che compongono quel servizio che il settimanale britannico ha mandato in pagina dedicandogli la copertina (titolo «After the fall», traduzione «Dopo la caduta»), ci sono due storie. Una piccola storia, che è quella del contatto col Sunday Times. E una storia più grande, che dimostra come la scelta berlusconiana di mostrarsi senza alcun trucco risponde in realtà a un «piano» su cui ad Arcore hanno meditato parecchio.

Sembrava una mossa suggerita dagli «uomini nuovi». E invece no. A prendere per buone le confidenze che Giovanni Toti ha fatto ai colleghi - «Quelle foto le ho viste direttamente in pagina, non ne sapevo nulla» - nessuno del nuovo cerchio magico era al corrente dell’uscita del servizio. Su cui infatti avrebbero trattato, per conto del Cavaliere, due forzisti di antico conio. Innanzitutto Valentino Valentini, il ministro degli Esteri personale di Berlusconi, uno che conosce la stampa straniera meglio di quella italiana. E poi Deborah Bergamini, deputata ed ex manager della Rai, oggi responsabile del settore comunicazione di Forza Italia. Senza dimenticare il via libera, che in questi casi è sempre decisivo, della fidanzata Francesca Pascale e della senatrice-assistente Maria Rosaria Rossi.

Ma per comprendere a fondo la scelta del Cavaliere di mostrare le sue rughe bisogna introdurre nella storia un altro personaggio: l’inconsapevole Matteo Renzi. Da quando il sindaco di Firenze ha iniziato la sua marcia trionfale verso la leadership del Pd, diventando di fatto «lo sfidante» dell’ex premier, più d’uno ha sentito Berlusconi abbandonarsi a una frase inizialmente scambiata per una battuta. «Renzi non solo è giovane. Ma è anche più giovane di me. Io sono più vecchio e più vero. E non ho paura di mostrami così». Da qui l’intuizione che nella war room di Forza Italia spiegano con poche parole: «A differenza di quanto non accadesse con Prodi, o Veltroni, o D’Alema, magari anche con Rutelli, Berlusconi non sembrerà mai un signore della stessa fascia d’età di Renzi. Ogni sforzo per mostrarsi più giovane, di fronte a cotanta differenza di anni, sarebbe controproducente...».

Oltre i puntini di sospensione c’è un ragionamento politico. Il Cavaliere ha capito che l’ingresso sulla scena del quarantenne sindaco di Firenze, unita alla presenza solida del Movimento Cinquestelle nello scacchiere politico, lo mette sì in difficoltà sulla caccia al voto degli «under 40». Ma potrebbe favorirlo sugli «over 60», dove il Pd pre-renziano la faceva da padrone. Per capire quanto sia decisivo «coprirsi» sugli ultrasessantenni basta incrociare - come hanno fatto alcuni berlusconiani - i dati di ascolto dei programmi televisivi e le fasce d’età dei telespettatori. «Qualche settimana fa, un pubblico di 5,5 milioni di italiani, che aveva come età media 63 anni, ha fatto di un concerto in differita di Al Bano trasmesso da RaiUno il programma più visto della prima serata», racconta uno degli uomini-comunicazione più scaltri di Forza Italia. Che poi si fa una domanda, a suo dire retorica: «È o non è il paese in cui un settantasettenne, che per giunta si chiama Berlusconi, può ancora vincere le elezioni?».

Tutto questo è stato trasformato in strategia. Renzi gira in camicia? Berlusconi abbandona la camicia e punta sul pullover. Renzi parla da un palco sobrio ma moderno alla Leopolda? Berlusconi punta sui palchi tra il kitsch e l’improvvisato sotto casa sua a Palazzo Grazioli. Renzi è giovane? Berlusconi si definisce, come mai aveva fatto prima, «un vecchietto». E qualcuno giura che la prossima mossa del Cavaliere sia intestarsi una campagna contro il taglio delle pensioni. Nel frattempo, «niente trucco stasera», come nella vecchia canzone di Renato Zero. Con quei versi che ad Arcore sembrano quasi un auspicio: «Qualunque trucco sbiadirà, la mia canzone resterà».

26 gennaio 2014
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Tommaso Labate

DA - http://www.corriere.it/politica/14_gennaio_26/rughe-sunday-times-berlusconi-non-ho-paura-mostrarmi-vecchio-099dd74c-865b-11e3-a3e0-a62aec411b64.shtml
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« Risposta #4 inserito:: Giugno 22, 2014, 05:58:10 pm »

Il retroscena Minzolini: se il testo resta questo io non lo voto. E come me tanti altri
Dal Pd a FI, le manovre dei ribelli in attesa della prova dell’Aula
Chiti: non ci spostiamo di un millimetro dalle nostre posizioni


Di Tommaso Labate

ROMA - «Abbiamo iniziato a lavorare bene sulla strada di un accordo che, comunque, è ancora lontano. Ma non è affatto detto che, una volta trovato, la prova del voto in Aula sarà una passeggiata. Anzi...». Nelle confidenze notturne che Paolo Romani ha fatto ad alcuni colleghi di partito subito dopo l’incontro col ministro Maria Elena Boschi, e siamo a venerdì sera, c’è una storia che va molto al di là dei comunicati congiunti, dell’euforia di Palazzo Chigi, delle fughe in avanti del leghista Roberto Calderoli. Perché, a prendere per buono il timore confessato agli amici dal capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama, la strada delle riforme è ancora in salita. «In commissione, una volta trovato l’accordo sul testo, filerà tutto liscio», è stato l’adagio del presidente dei senatori azzurri. «Ma tutti i “ribelli”, tutti coloro che dentro il centrosinistra e tra di noi vogliono ancora il Senato eletto direttamente dal popolo, tutti questi non sono sconfitti in partenza. In Aula può cambiare tutto...».

La lunghissima partita che comincerà il 3 luglio è tutt’altro che scritta. E la sorte dell’eterogeneo fronte di chi si oppone alla «madre di tutte le riforme» non è ancora segnata. Corradino Mineo risponde da una Palermo dove è già estate piena. «Posso dirla con una battutaccia di quelle che mi hanno rovinato la vita?». La battuta arriva dopo mezzo secondo. «Sicuramente nell’ultima formulazione del testo ci sono dei passi in avanti. Ma il punto centrale della nostra battaglia rimane ancora là. Stiamo passando da un Senato di Razzi (nel senso di Antonio, ndr) a un Senato di Fiorito (nel senso del Batman del vecchio Consiglio regionale del Lazio, ndr). Un’Aula non eletta direttamente dal popolo, che comunque conserva dei poteri costituzionali per cui non avrebbe la legittimazione necessaria, produrrà solo danni. Noi non arretriamo di un millimetro».

Nel «noi» citato da Mineo ci sono tantissimi colleghi senatori che ancora si nascondono nell’ombra. Oltre a chi, dentro i confini del Pd renziano, aveva finito addirittura per autosospendersi, una settimana fa. Come Vannino Chiti. Che infatti dice: «Mi creda, sull’elezione diretta del Senato poi porteremo avanti la nostra battaglia con fermezza e lealtà. Da quella posizione non ci spostiamo di un millimetro». Tra l’altro, aggiunge l’ex ministro e governatore della Toscana, «sono molto inquieto rispetto a certe frasi che i giornali hanno attribuito a Renzi sulla riforma elettorale. Anche perché, per quanto mi riguarda, delle due l’una. O torneranno i collegi uninominali oppure che si rimettano le preferenze. Altrimenti, una volta riformato il Senato, non ci sarebbero praticamente più dei parlamentari eletti dal popolo».

Non ci sono solo i niet di un pezzo del Pd. Anche dentro Forza Italia il tema della ribellione dei senatori agli «ordini di scuderia» del partito comincia a farsi largo nella nebbia. «Lo dico da adesso, così nessuno potrà far finta che non lo sapeva. Io, se la riforma del Senato rimane questa, non la voto», scandisce Augusto Minzolini. «E come me, immagino, anche tanti altri miei colleghi», aggiunge. D’altronde, ricorda l’ex direttore del Tg1, «la proposta che ho presentato, e che prevede l’elezione diretta del Senato, era stata firmata da trentasette colleghi di Forza Italia. La maggioranza di noi. E visto che quel testo è in antitesi rispetto a quello che sta confezionando il governo, e soprattutto visto che la gente di solito legge prima quello che firma, tutto questo qualcosa vorrà dire, no?».
In fondo, basterebbe un voto secco. Basterebbe che la maggioranza dei senatori confermasse l’elezione del Senato così com’è per far crollare il castello di carte. «Non siate così sicuri che il pressing dei capipartito faccia presa su tutta la maggioranza dell’Aula. Altrimenti avrete delle sorprese», è la profezia di Mineo. «Non so quanti parlamentari siano disposti a votare una riforma che trasforma la Camera dei Deputati in un qualcosa di molto simile alla Duma sovietica», sottolinea Minzolini. Anche Renato Brunetta, che sta alla Camera, sente puzza di bruciato. «Dieci euro di tasca mia sul fatto che questa riforma sarà approvata non me li gioco di certo. Non me li gioco io come credo che non se li giocherebbe nessun altro», sorride il capogruppo forzista a Montecitorio. La clessidra scorre inesorabile. I ribelli affilano le lame. Il timer del 3 luglio è già stato innescato.

22 giugno 2014 | 08:20
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_giugno_22/dal-pd-fi-manovre-ribelli-attesa-prova-dell-aula-f8b5ab12-f9d2-11e3-88df-379dc8923ae4.shtml
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« Risposta #5 inserito:: Luglio 20, 2014, 06:07:59 pm »

Politica e giustizia
Berlusconi archivia la grazia e cambia il partito
Il Senato? Non si riforma in 15 giorni. Il leader parla di ricomposizione dei moderati
E su Renzi: «Un fuoriclasse, ma come comunicatore»

Di Tommaso Labate

«La grazia? No, quello non è un tema in agenda. E neppure serve, tra l’altro». E non è neanche la sorpresa principale visto quello che si sente, ad Arcore, nel «Giorno Uno» dalla sentenza di assoluzione nel processo Ruby. «Renzi è un fuoriclasse, come comunicatore», sussurra Silvio Berlusconi nel chiuso delle stanze di Villa San Martino. Ma, aggiunge, «non ha una compagine all’altezza e ha tanta fretta. Il Senato è un’istituzione che esiste da duemila anni. E non è possibile cambiarlo in 15 giorni». E poi è fiducioso sui diritti tv: «Otterrò la revisione del processo».

È sabato 19 luglio, ieri. L’ex Cavaliere si sveglia presto, passa tutta la mattinata al lavoro, esclude dal bouquet l’ipotesi di ritornare alla carica con Giorgio Napolitano sul tema della clemenza e, soprattutto, medita di lanciare nel dibattito delle riforme il più classico dei fulmini a ciel sereno. Forse tutto questo ha poco a che vedere col rispetto del Patto del Nazareno. Forse. Di certo, quel pensiero finora affidato a pochissimi è chiaro. «Renzi ha fretta. Il Senato non si può cambiare in quindici giorni».

Berlusconi pranza con la fidanzata Francesca Pascale e gli altri familiari, si concede un riposino pomeridiano, di quelli che lo risarciscono in parte delle notti insonni delle ultime settimane. E poi torna a lavorare. «La mia voglia sarebbe pari a zero», si lascia andare nell’istante in cui il tempo dedicato al relax è appena scaduto. «Però», dice subito dopo l’ex premier, «ho delle responsabilità che non posso non assumermi. La sentenza di venerdì è stata un messaggio importante per il destino del centrodestra». Anzi, di più, «può addirittura favorire la ricomposizione delle forze di centrodestra». Altrimenti, è lo spettro che intravede davanti ai suoi occhi, «rischiamo di trovarci davanti a un bipolarismo con Renzi da un lato e Grillo dall’altro».

Oltre allo stop al tema della grazia e alla clamorosa riapertura (quantomeno sulla tempistica) del «dossier Senato», c’è un altro lavoro che Berlusconi ha in mente. Il lavoro che sta facendo segretamente l’ex premier riguarda quella Forza Italia che, a pochi mesi dalla nuova rifondazione, sta di nuovo per cambiare pelle. «Cambiamo tutto. Ci serve un partito più leggero, un partito nuovo, con una nuova sede», è la confidenza che l’ex Cavaliere affida a pochi intimi. Un partito in cui, probabilmente, il «Capo» terrà per sé i galloni del «Padre Nobile». Un partito in cui la classe dirigente sarà selezionata durante un percorso che culminerà con le primarie, che dovrebbero essere messe in programma nel mese di dicembre. Una contesa ampia, insomma, ma con candidature che alla fine saranno selezionate dal «Fondatore» in persona.

Sullo scrittoio di Arcore, reso celebre dal discorso della «discesa in campo» del 1994, Berlusconi è concentrato su tre oggetti. Il primo è una cartella che contiene ventotto pagine che riportano decine e decine di nomi, corrispondenti ad altrettante «telefonate in entrata» che sono arrivate al centralino di Villa San Martino dalle ore 13 di venerdì, quando è arrivata la sentenza di assoluzione. Di telefonate se n’è fatte passare poche, pochissime, l’ex premier. Però la lista di coloro che l’hanno cercato nelle ultime quarantott’ore l’avrebbe compulsata più volte, accompagnando lo sfoglio di alcune pagine con un sorrisino tra il divertito e il beffardo. «Ah, vedo che ha chiamato Angelino Alfano... Guardate qua, m’ha cercato pure Roberto Formigoni...».

Ma non è la lunga lista di chiamate in entrata l’oggetto più importante che sta sullo scrittoio. Sono le altre due cose. L’agenda innanzitutto, dove alla data «martedì 22 luglio», e cioè dopodomani, è fissato un incontro - «noi due, da soli» - con Raffaele Fitto, colui che per mesi ha guidato la rivolta della cosiddetta «fronda» che pare aver sotterrato l’ascia di guerra. E soprattutto i fogli dove, da settimane, l’ex premier avrebbe buttato giù le idee per la rifondazione di Forza Italia. «Cambio tutto», «partito più leggero», «nuova sede», «primarie a dicembre», sono gli ingredienti della formula magica che sta nella mente berlusconiana. I candidati per la grande contesa, secondo lo schema che circola ad Arcore, sarebbero imprenditori e politici (una dei tanti, per esempio, dovrebbe essere Mariastella Gelmini). Tutti rigorosamente selezionati da Berlusconi. E tutti in corsa, l’uno contro l’altro. Una competizione piena di concorrenti e «aperta». Da cui, a dicembre, verrebbe fuori il nome del successore del leader che, per sé, potrebbe tenere il ruolo di «Padre nobile».

L’eco della sentenza, ascoltata da un televisore della Fondazione Sacra Famiglia, è rimasto impresso, indelebile, nella sua mente. «Sono rimasto ammirato dal coraggio di questi magistrati», ha detto ancora ieri Berlusconi durante il pranzo. «Ammirato», ha aggiunto, «per come questi uomini coraggiosi sono riusciti a resistere alle tantissime pressioni che arrivavano da sinistra». Che dietro le parole di quei giudici si nascondesse il destino di un uomo era chiaro a tutti. Adesso però quelle parole - pronunciate in un’aula di tribunale alle ore 13 di venerdì 18 luglio 2014 - rischiano di essere l’incipit di una nuova storia. Una storia in cui ci sono il «Renzi fuoriclasse ma senza una compagine all’altezza», quel Senato «che non possiamo mica cambiare in quindici giorni», «la ricomposizione del centrodestra», la Forza Italia in cui sta per «cambiare tutto» e anche il successore di Berlusconi. Che arriverà a dicembre, come il Natale.

20 luglio 2014 | 08:15
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_luglio_20/dopo-verdetto-berlusconi-archivia-grazia-cambia-partito-6535d6f6-0fd4-11e4-85b4-48e325e86ce9.shtml
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« Risposta #6 inserito:: Agosto 21, 2014, 06:50:45 pm »

Berlusconi e il governo: non cerco poltrone
L’ex Cavaliere pessimista: tempesta a ottobre. Renzi da solo non ce la farà

Di Tommaso Labate

ROMA - «Renzi è un ragazzo scaltro e in gamba. Ma il peggio per lui arriverà a ottobre. Se ci sarà la tempesta dello spread, da solo non ce la farà a restare in sella». Difficile da stabilire se dietro quel «da solo», infilato ieri in una frase su Renzi che Silvio Berlusconi pronuncia al telefono con alcuni della cerchia ristretta, si nasconda quel «salvacondotto» sull’economia che l’ex Cavaliere è pronto a offrire a Palazzo Chigi. Com’è difficile, ormai, stabilire che gradazioni di grigio - tra il nero dell’opposizione dura e pura, e il bianco dell’appoggio pieno alla maggioranza - assumerà dopo l’estate il rapporto tra Forza Italia e il presidente del Consiglio.

Sta di fatto che Berlusconi, che oggi potrebbe decidere di passare il Ferragosto concedendosi un giro in barca sul Lago di Como insieme a Francesca Pascale, è ormai sicuro di aver riacquistato «de facto» l’agibilità politica che andava cercando. Così com’è sicuro che, «dalla fine di settembre all’inizio di ottobre», il governo guidato da Renzi si troverà a «gestire delle emergenze che fino a poche settimane fa non aveva messo in considerazione».

Perché non c’è soltanto il generico «rischio 2011», ossia il remake del film andato in scena quando lui stesso fu costretto a dimettersi, nei pensieri berlusconiani. L’ex Cavaliere, nelle conversazioni riservate, lo dice ostentando il massimo della sicurezza. «A ottobre arriverà il momento peggiore. L’Italia rischia di rimanere incastrata tra le mire degli speculatori da un lato e l’incubo del commissariamento della troika dall’altro». Una situazione di fronte alla quale, è l’adagio più in voga ad Arcore, Forza Italia «farebbe la sua parte» per respingere l’assalto dei primi e per scongiurare il secondo.

Già, ma a che prezzo? Basta che Renzi peschi a piene mani da quell’ «agenda Berlusconi» sull’economia che l’ex premier sta mettendo a punto in questi giorni di vacanza, mutuando ricette ora dalla Gran Bretagna di Cameron (spending review) ora dalla Spagna di Rajoy (riforma del lavoro)? O c’è di più? La verità sta in mezzo. Come dimostrano alcuni dettagli di quello che è successo, sull’asse Arcore-Roma, nelle ultime quarantott’ore.

Ai berlusconiani, infatti, risultano ben due contatti telefonici tra Denis Verdini e Palazzo Chigi (Renzi? O qualcun altro?) nella giornata di mercoledì. Uno prima del faccia a faccia tra il premier e il capo dello Stato. E uno subito dopo l’incontro di Castelporziano. Difficile dire se sul piatto della bilancia ci fosse «la garanzia del sostegno di Forza Italia alle riforme condivise, giustizia compresa» che Renzi avrebbe potuto spendere sia nel colloquio con Draghi che in quello con Napolitano. Sta di fatto che, da Arcore, il «capo» del centrodestra è pronto a fare tutto il possibile per «impedire il tracollo dell’Italia». Togliendo tra l’altro dal bouquet di possibili scambi la richiesta di un rimpasto.

«Ma davvero qualcuno crede che siamo in cerca di poltrone ministeriali?», ha sorriso Berlusconi negli ultimi giorni quando qualcuno dei suoi gli ha sottoposto l’interrogativo. Di certo, l’ex premier aspetta che sia Renzi a fare la prima mossa. «Matteo deve stare attento. Ora ha i poteri forti contro. E tra l’altro, si sta esponendo troppo», ragionava ieri l’ex Cavaliere al telefono con alcuni dei suoi. «Più fa dichiarazioni, più si attira le critiche. Dovrebbe stare più coperto». Altre parole che danno la conferma di come una tela importante - tra Arcore e Roma - sta per essere tessuta. Questione di settimane. E lo dimostra il fatto che l’ex premier avverta dentro di sé che il tempo del «relax forzato» sia ormai agli sgoccioli.

15 agosto 2014 | 08:31
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_agosto_15/berlusconi-governo-non-cerco-poltrone-7828de68-2445-11e4-a121-b5affdf40fda.shtml
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« Risposta #7 inserito:: Dicembre 07, 2014, 05:59:10 pm »

Il retroscena
Un sospetto inquieta l’ex premier: vuole l’arma per votare a marzo
Berlusconi dopo l’incontro con il presidente del Consiglio: «Oggi ho avuto la sensazione che Renzi voglia andare a votare a marzo. Ne sono quasi certo, ormai»

Di Tommaso Labate

ROMA «Oggi ho avuto la sensazione che Renzi voglia andare a votare a marzo. Ne sono quasi certo, ormai». Non l’aveva mai fatto, quantomeno negli ultimi mesi. Neanche in privato Silvio Berlusconi aveva attribuito al premier l’intenzione di voler accelerare la corsa verso le urne. Eppure ieri, quando rientra dal vertice di Palazzo Chigi e s’infila in una riunione con Letta, Verdini e Ghedini, l’ex Cavaliere la dice come prima cosa. Aggiungendo che «noi, l’arma della legge elettorale, non possiamo concedergliela adesso».

Perché quello che Berlusconi ha opposto ieri a Renzi è stato un «non possumus». «A me va anche bene la formula dell’Italicum che piace a voi, col premio alla migliore lista», è stato il ragionamento berlusconiano di fronte al presidente del Consiglio. «Ma per prendere un impegno», ha aggiunto, «devo avere il via libera dei miei parlamentari. La maggior parte di loro è contraria perché pensa che voi vogliate il voto anticipato. Se invece facciamo le cose senza fretta, li convinciamo del contrario. E tutto andrà a posto».

Nel menù dell’incontro - oltre al premio di maggioranza alla lista, allo sbarramento per piccoli partiti al 5% e al ballottaggio che scatta se nessuno raggiunge il 40% - c’è stata anche la questione delle quote dei «nominati», che Berlusconi vorrebbe molto più alte. E anche una frase, che l’ex Cavaliere avrebbe lasciato cadere lì: «Quando si andrà a votare, dovrò avere la possibilità di candidarmi»

A qualcuno quel passaggio è sembrato il remake della dichiarazione con cui Maria Rosaria Rossi, domenica, aveva chiesto al Pd di estendere il patto del Nazareno anche alla legge Severino. Ma più in là non si è andati, visto che i due erano passati già oltre. A dirsi reciprocamente quanto «una parte dei parlamentari voglia condizionarci». E a chiarirsi sul fatto che «un passo in avanti sulla legge elettorale, a Napolitano, dobbiamo garantirlo».

Ha bisogno di tempo, insomma, Berlusconi. Difficilmente, infatti, riuscirebbe a convincere la maggioranza dei suoi parlamentari a votare subito il nuovo Italicum. Basta vedere i numeri che ha ostentato l’oppositore interno Raffaele Fitto, che ieri ha convocato una conferenza stampa sulla legge di Stabilità affiancato da ben 32 parlamentari, di cui 17 senatori.

Tra i forzisti, la paura che Renzi tiri fuori la clausola segreta per modificare l’articolo 2 della legge elettorale, quella che estende la legge anche al Senato, è molto alta. Sarebbe la certificazione che, come ripete l’ex Cavaliere, «il premier vuole andare al voto a marzo». Il premio alla lista piuttosto che alla coalizione, paradossalmente, è il tema minore.

Tra i berlusconiani, al riparo da microfoni, c’è chi teorizza che a Forza Italia converrebbe arrivare «terza e non seconda» perché così, all’eventuale ballottaggio, sposterebbe i voti sul Pd (e non sul M5S) guadagnandosi un posto in maggioranza dopo. Ma sono teorie, per adesso. Solo teorie. Berlusconi, ora, pensa solo a come fare melina. E a come non concedere all’inquilino di Palazzo Chigi «l’arma per votare subito».

6 novembre 2014 | 09:54
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Da - http://www.corriere.it/politica/14_novembre_06/sospetto-inquieta-l-ex-premier-vuole-l-arma-votare-marzo-4f409356-6590-11e4-b6fa-49c6569d98de.shtml
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« Risposta #8 inserito:: Marzo 07, 2015, 04:00:21 pm »

Il no di Berlusconi
Al «Carroccio estremista»
Critiche a Salvini, nuovi veleni con Fitto.
L’ex premier bloccato da una frattura al malleolo

Di Tommaso Labate

ROMA «Devo dire che Matteo Salvini non mi è piaciuto per niente. E che la sua operazione, almeno a quello che s’è capito dal comizio di Roma, sta diventando velleitaria e anche un po’ estremista». Ai pochi parlamentari che ieri sono riusciti a mettersi in contatto con lui, Silvio Berlusconi (che si è procurato una piccola frattura composta al malleolo che lo costringerà a camminare con una stampella) affida una stroncatura della manifestazione del Carroccio di Roma che parte da due aggettivi. «Velleitaria» ed «estremista».

Sembrano passati secoli da quando il presidente di Forza Italia salutava l’ascesa dell’astro Salvini arrivando addirittura a ventilare l’ipotesi che, un giorno, proprio il segretario federale della Lega avrebbe potuto guidare il centrodestra. Adesso, al termine dell’ennesima settimana di «guerra di posizione» tra gli azzurri e il Carroccio, il pensiero berlusconiano si spinge fino al punto di considerare la vecchia Lega di Umberto Bossi migliore di quella della Nouvelle Vogue salviniana. E così, subito dopo aver ascoltato in tv le parole di Salvini, Berlusconi s’è abbandonato con i suoi anche a una rivalutazione della vecchia Lega dell’«amico Umberto». Di Bossi, è il ragionamento di un Berlusconi pronto a fare appello a Luca Zaia e Roberto Maroni perché cessino i veti, «ciascuno può pensare quello che crede. Ma è un fatto che si muovesse con più “testa politica” rispetto al giovane Salvini».

Ma non c’è solo la «grana» delle alleanze. Sul fronte interno, infatti, continua la sfida a distanza con l’area di Raffaele Fitto. Ieri, come già successo per i vertici forzisti della Puglia, sono stati commissariati i coordinamenti cittadini di Torino e Verbania, entrambi guidati da due fedelissimi dell’eurodeputato pugliese (Ettore Puglisi e Valter Zanetta), tra gli organizzatori del suo tour in giro per l’Italia. «C’è un vero e proprio allarme democratico nel nostro partito. E riguarda tutta l’Italia» ha scritto Fitto sul suo blog, solidarizzando con i coordinatori commissariati. E ancora: «Di cosa sono colpevoli questi amici? Di voler liberamente e democraticamente discutere in un’assemblea del futuro di FI e del centrodestra. Esprimo a loro piena solidarietà contro questi metodi illiberali e perdenti. E soprattutto contro metodi inaccettabili, perché mettono in discussione la possibilità stessa di discutere democraticamente in una forza che si dice liberale».

Il commissariamento di FI a Torino e Verbania è stata l’occasione per un ritorno sulla scena di Sandro Bondi, l’ex coordinatore che da tempo s’è chiuso in un inscalfibile silenzio. Ieri, però, ha parlato. Nega di essere «fittiano» e ribadisce: «Con questa politica ho chiuso». Ma spiega: «Mai avrei pensato che nel partito che ho contribuito a fondare si potesse arrivare a livelli tanto bassi... Il mancato rispetto delle opinioni, delle regole e addirittura delle persone è cosa inaccettabile» ha detto. E ancora: «Sono molto amareggiato, perché hanno colpito persone perbene senza alcun motivo, non capisco il metodo...».

E quando gli è stato chiesto chi fossero i mandanti dei provvedimento, il senatore toscano ha evitato ogni eufemismo. È andato dritto al punto: «Questa è opera del cerchio magico che ruota attorno a Berlusconi».

1 marzo 2015 | 09:24
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_marzo_01/berlusconi-salvini-lega-estremista-centrodestra-2d19a1cc-bfeb-11e4-9f09-63afc7c38977.shtml
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« Risposta #9 inserito:: Marzo 23, 2015, 11:21:15 am »


Il caso Lupi e la «resistenza» dei sottosegretari nel mirino
I membri del governo coinvolti in vicende giudiziarie fanno muro contro l’ipotesi della loro estromissione Del Basso De Caro: la mozione di sfiducia su di me?
È stata respinta. Barracciu: ho già dato in Sardegna

Di Tommaso Labate   

ROMA «A parte che non succederà nulla di nulla, com’è ovvio, mi spiegate io quante volte debbo essere crocifisso per questa storia?». All’appuntamento tra Matteo Renzi e Sergio Mattarella, che si vedranno domani per parlare del riassetto del governo tra ministri dimessi (Maurizio Lupi) e sottosegretari indagati, mancano ormai poche ore.

E Umberto Del Basso De Caro, uno dei sottosegretari nel mirino, più che organizzare la «resistenza» al ministero, racconta di tutte le volte che è «già sceso vivo» dalla medesima croce. «Vedete», scandisce il deputato pd, noto penalista campano che ha avuto tra i suoi assistiti anche Bettino Craxi, «c’è una data che dovete appuntare ben bene: 18 novembre 2014. In quella data, la Procura della Repubblica di Napoli ha presentato richiesta di archiviazione nei miei confronti per non sussistenza del fatto. Ma mica è tutto...». Infatti, Del Basso De Caro rivendica di essere «l’unico sottosegretario indagato già stato sottoposto a mozione di sfiducia. È successo al Senato: 169 voti contro la mozione. E solo 8 voti contro di me, tutti del M5S. Dov’erano finiti gli altri grillini? Scappati via per la vergogna».

Giuseppe Castiglione, ras siciliano del Nuovo centrodestra e sottosegretario all’Agricoltura, risolve il problema alla radice: «Perché, per me, problema non c’è. Non sono indagato, nessun magistrato mi ha mai chiamato, non ho mai ricevuto avvisi di garanzia».

L’inchiesta in questione è quella relativa al centro di accoglienza di Mineo, provincia di Catania. E riguarda una gara d’appalto che, dice, «è stata bandita quando io non ero più soggetto attuatore da un anno e mezzo». Comunque sia, Castiglione difende quel centro d’accoglienza («Andate a leggere quello che ha scritto Salvini dopo averlo visitato. Sembra un hotel a cinque stelle, hanno il wi-fi, i campi da calcio»), difende la permanenza sua e del suo partito al governo («Abbiamo fatto cose fantastiche, anche grazie al lavoro di Maurizio Lupi») e, per il prossimo futuro, giura che si autotutelerà da «questo modo che ti impedisce di fare politica come si deve». Come? «Io amo fare programmazione politica. Ma come faccio a tutelarmi rispetto alla burocrazia a cui è affidata la gestione delle cose? Allora mettiamo telecamere e microfoni negli uffici, filmiamo tutto, registriamo tutto...». L’uscita di scena dal governo, ovviamente, non è nel novero delle cose.

Come non lo è per Francesca Barracciu, del Pd, sottosegretaria ai Beni culturali indagata - insieme a molti colleghi, per l’epoca in cui era consigliere regionale - per le spese pazze in Sardegna. «Ho già dato», fa sapere agli amici, ricordando che quell’inchiesta gli è costata il passo indietro dalla corsa a governatore. Fuori da questi schemini c’è, invece, il viceministro all’Interno Filippo Bubbico, altro pd, che ha già festeggiato l’happy end della sua vicenda. Quando nacque il governo era sottoposto a giudizio per abuso d’ufficio. Ha rinunciato alla prescrizione e, a dicembre, è stato assolto perché il fatto non sussiste. Anzi, al passato, non sussisteva.

22 marzo 2015 | 08:58
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_marzo_22/caso-lupi-resistenza-sottosegretari-mirino-c601d8b4-d067-11e4-a378-5a688298cb88.shtml
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« Risposta #10 inserito:: Agosto 16, 2015, 04:36:34 pm »

Berlusconi a Renzi: «Si tratta solo dopo la riforma della giustizia»
Il Pd non ha i numeri per le riforme al Senato, così il leader di Forza Italia aspetta dalla Sardegna un segnale.
Convinto che Renzi senza il soccorso forzista non arriverà al 2018

Di Tommaso Labate

«Sono giorni che mi dite che il Pd vuole tornare a dialogare con noi. L’hanno capito pure loro che non hanno i voti al Senato per le riforme, eh? Bene, ho la risposta che dovete dargli. Fate pure sapere a Renzi che sono disposto a tornare al tavolo con lui. Ma a una condizione. Deve discutere con noi sulla riforma della giustizia».

Non il Senato elettivo o semi-elettivo, non gli interventi sull’Italicum e nemmeno una collaborazione sul taglio delle tasse. Nulla di tutto questo. Per sedersi al tavolo con Matteo Renzi, e «in un contesto che non potrà mai essere simile alle cose che abbiamo dovuto ingoiare col patto del Nazareno», Silvio Berlusconi vuole una cosa sola. La giustizia. O, per essere più precisi, che il governo imbastisca insieme ai forzisti un «tavolo» sulla riforma della giustizia.


Il messaggio parte da Palazzo Grazioli e arriva a destinazione, cioè a Palazzo Chigi, la settimana scorsa. È mercoledì 5 agosto, ora di pranzo. Fedele Confalonieri ha appena finito di parlare al telefono con Renzi. Una telefonata importante, visto che da quello scambio di battute viene fuori l’accordo per l’elezione di Monica Maggioni ai vertici della Rai. Berlusconi, che per la trattativa sui vertici di Viale Mazzini ha lasciato campo libero ai suoi ambasciatori, ascolta le parole del suo capo-azienda, che è anche l’amico di una vita. «Visto che con Renzi si può ancora discutere?», è l’argomentazione del presidente di Mediaset. Neanche un’ora dopo, l’ex premier prepara il rilancio. «Fate sapere a Renzi che sono pronto a discutere con lui e ad aiutarlo sulle riforme. Ma prima lui deve “aprire” a un dialogo con noi sulla giustizia».

Neanche un giorno dopo, e siamo a giovedì scorso, sul tavolo di Berlusconi si materializza una serie di vecchie proposte di Forza Italia in materia di giustizia. I faldoni si assottigliano fino a diventare una specie di programma in quattro punti. Primo, una stretta sulle intercettazioni telefoniche, sugli ambiti del loro utilizzo nelle indagini e sulla possibilità che vengano pubblicate. Secondo, una revisione del ricorso alla carcerazione preventiva, che secondo i desiderata berlusconiani dovrebbe essere limitata a una serie di reati particolarmente gravi. Terzo, la separazione delle carriere dei magistrati, altro antico cavallo di battaglia dell’ex premier, con l’istituzione di due diversi Consigli superiori della magistratura (uno per chi indaga, l’altro per chi giudica). Quarto, un cambio radicale sui meccanismi di formazione dei collegi giudicanti.


La base di dialogo sulla giustizia, preparata da Forza Italia, viene inviata a un ristrettissimo gruppo di persone. E, tra gli azzurri, viene anche indicato un mediatore. È Paolo Romani, capogruppo in Senato, i cui modi (e anche toni) sono da sempre apprezzati anche dal fronte pd. Non ha solo innate doti da «moderato», Romani. Ha anche altre due «caratteristiche». La prima è che, insieme a Gianni Letta e a Fedele Confalonieri, il presidente dei senatori azzurri è da sempre un sostenitore dell’ala morbida nei confronti del governo. La seconda, ed è un dettaglio di poco conto, è che Romani sta trascorrendo le sue vacanze a Forte dei Marmi, in Versilia. E quindi ha la possibilità di incontrare Renzi e il gotha del renzismo (leggasi, Luca Lotti e Maria Elena Boschi) senza macinare troppi chilometri e senza dare nell’occhio.

La trattativa Renzi-Berlusconi sulla giustizia è davvero possibile? Tra gli elementi di difficoltà, oltre quelli «politici» (che però sono tutti in capo al Pd), c’è anche la resistenza dell’ala dura di Forza Italia (da Giovanni Toti a Daniela Santanché, passando per Debora Bergamini), che si oppone a qualsiasi dialogo col governo. Se qualcosa succede, mormorano tra i berlusconiani, «succede ad agosto». Berlusconi aspetta dalla Sardegna un segnale dal governo. Ed è convinto, come mai lo era stato prima, che Renzi - senza il soccorso forzista - non arriverà al 2018. Per questo ha messo in gioco una posta alta. Molto alta.

13 agosto 2015 (modifica il 13 agosto 2015 | 09:48)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_agosto_13/berlusconi-renzi-si-tratta-solo-la-riforma-giustizia-e7991b80-4183-11e5-b414-c15278464aa4.shtml
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« Risposta #11 inserito:: Dicembre 10, 2016, 11:27:27 pm »

L’ex segretario dei Ds: provai a farlo tornare in Italia
D’Alema a sorpresa: Matteo? Dovrò difenderlo, come Bettino Craxi
«Tantissimi che sono renziani solo per convenienza, opportunismo e conformismo».
«Qualcuno sta già prendendo appuntamenti con me per il dopo referendum»

Di Tommaso Labate

Se dovesse vincere il No, «può anche capitare che Renzi debba difenderlo io. Questo è il Paese che allo sconfitto riserva il calcio dell’asino, è già capitato in passato...». La sala contiene duecento posti a sedere. Ma dentro ci sono forse più di trecento persone. Campobasso, palazzo della Provincia, martedì sera. Il pubblico che sta ascoltando Massimo D’Alema, ospite d’onore di un’iniziativa sulla riforma della Costituzione organizzata dal deputato pd Danilo Leva, che fino a quel momento aveva tributato all’ex premier ovazioni e applausi, per un attimo ammutolisce. Come se in trecento, contemporaneamente, avessero capito male. Ma come, lo scenario è quello in cui il 4 dicembre vince il No e l’indomani D’Alema si mette a difendere Renzi?

«Colonnelli berlingueriani»
E così l’ex presidente del Consiglio, dal palco, riannoda i fili del discorso e sfoglia l’album dei ricordi. Ragiona sulla maggioranza del partito e dei gruppi parlamentari, sui «tantissimi che sono renziani solo per convenienza, opportunismo e conformismo». Si lascia scappare, senza fare nomi, che «qualcuno sta già prendendo appuntamenti con me per il dopo referendum». E poi arriva al parallelo. «Mi è già capitata, in passato, una situazione simile. All’epoca di Berlinguer, io ero tra quelli che la stampa chiamava i “colonnelli berlingueriani”. Chissà perché, poi, “colonnelli”...». Il loro nemico numero uno era Bettino Craxi. E — ricorda D’Alema — «quando Craxi cadde, mentre molti dei suoi fedelissimi si avventavano su di lui come cani pur di salvarsi e di rifarsi una verginità, toccò a me difenderlo. Lo stesso Craxi, tramite un ambasciatore, mi avrebbe poi fatto sapere che aveva apprezzato». La sala continua a trattenere il fiato. D’Alema fa anche il nome dell’ambasciatore tra lui e Craxi. «Era Yasser Arafat», il presidente dell’Olp. «Quando Craxi stava per morire, io, che ero premier, tentai una trattativa umanitaria con la Procura di Milano per farlo tornare a curarsi in Italia. Non ci riuscii. Vedete, molti sostengono che Renzi sia simile a Craxi. Forse nel piglio del potere, nel modo di gestire l’autorità... Ma Craxi era di sinistra, Renzi non lo è. Craxi frequentava Arafat, Renzi frequenta Netanyahu», il premier conservatore israeliano.

Compagni di una vita
Nella serata molisana D’Alema, forse per la prima volta, ammette l’amarezza provata per il distacco di alcuni dei suoi. Non fa nomi, non cita Cuperlo o Orfini. «Nella vita non ho mai fatto battaglie partendo dalla compagnia. Per le cose in cui ho creduto, ho combattuto. In ogni caso, ci sarà un “dopo” in cui si tornerà a discutere. E, tra i renziani, discuterò più volentieri con chi ha sostenuto Renzi per convinzione che non con quelli che l’hanno sostenuto per convenienza». I compagni di una vita, invece, ci sono e ci saranno sempre. Anche quelli con cui lo scontro è stato aspro. «Con Veltroni, per esempio, ho un ottimo rapporto. Ci sentiamo ancora oggi, le nostre famiglie sono vicine e le nostre figlie sono molto amiche, vivono entrambe in America e hanno già votato per il referendum. Mia figlia ha votato No, seguendo me. La figlia di Veltroni ha votato Sì, come il padre». Segno, insomma, di come si possa stare da diverse parti della barricata senza che i rapporti personali vengano interrotti o compromessi. «Noi», scandisce D’Alema, «abbiamo sempre fatto così. E mai, mai nella nostra storia, abbiamo portato in politica la rottamazione delle persone». Quello, sussurra, «è un lascito di Renzi».

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28 novembre 2016 (modifica il 1 dicembre 2016 | 12:41)

Da - http://www.corriere.it/referendum-costituzionale-2016/notizie/referendum-costituzionale-2016-d-alema-sorpresa-matteo-dovro-difenderlo-come-bettino-craxi-7066ba42-b5b1-11e6-a2c1-e1ab33bf33ae.shtml
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