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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 06, 2007, 12:02:18 am » |
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Cofferati e la sindrome bolognese
Onide Donati
Cofferati, all’indomani della crisi della sua maggioranza, ha detto che «i cittadini sanno valutare e giudicare». Già, i cittadini: cosa penseranno e cosa avranno capito della partita che si gioca a Palazzo d’Accursio?
Il sindaco di Bologna si è detto «tranquillo», ma certo la ferita c’è. Ed è una ferita seria per l’Unione. Riguarda Cofferati, ma anche Prodi e il futuro Pd. Perché la rottura tra sinistra radicale e riformista non può essere rubricata come problema locale. E anche se lo fosse, si manifesta nella città dove tre anni fa il centrosinistra aveva trovato un felice equilibrio: un sindaco dall’ineccepibile curriculum reduce dal trionfo sull’articolo 18 a coronamento della guida della Cgil, un partito di lotta - Rifondazione - che sembrava ansioso di mettersi alla prova con il governo, una coalizione motivata sul piano programmatico e non solo su quello della voglia di rivincita verso il quinquennio civico di Guazzaloca. «Laboratorio» è espressione abusata, ma tale era la Bologna tornata al centrosinistra.
In tre anni il laboratorio che pareva perfezionare una (ardita?) sintesi politica si è trasformato in un’officina dove riparare i conflitti. E alla fine nessuno ha trovato la chiave per aggiustare l’ultimo guasto (per la cronaca, l’irritazione della sinistra per un possibile accordo dai contenuti misteriosi tra Cofferati e An sulla sicurezza, all’indomani dello svolgimento del corteo non autorizzato di un centro sociale). Una dinamica micidiale, tipica - ahinoi - dell’autolesionismo di sinistra, che potrebbe innescare tentativi di imitazione con effetto domino sull’Unione.
Perché è successo? È chiaro che Rifondazione si aspettava un Cofferati più movimentista e meno riformista; è chiaro che Cofferati si aspettava una Rifondazione più decisa nell’opzione di governo, o forse pensava di esercitare su quel partito la sua influenza di leader della sinistra; è chiaro che hanno inciso aspetti caratteriali dei protagonisti dello scontro. Ma tutto questo fa ancora parte della fisiologia della politica e non spiega la rottura avvenuta su un unico tema: la legalità. Cioè non sulle politiche sociali, o sulle scelte di sviluppo urbanistico.
L’Unione si rompe - e sembra una pazzia - sulla legalità in una Bologna che non sarà più quella paciosa dei «biassanot» o dell’Osteria delle Dame ma è pur sempre una città media efficiente, benestante, governata bene. Poi, certo, ci sono i conflitti, soprattutto generazionali, in una città che fatica a sopportare i giovani, salvo trarre enormi profitti da una università che calamita 90 mila studenti. Cofferati questi conflitti ha cercato di risolverli, dando però l’impressione di agire sugli effetti e non sulle cause.
Poteva tentare la gestione della conflitto invece ha scelto una strada diretta. Il «sindaco-sceriffo» dei media ha messo in ombra l’amministratore che non solo dice no all’alcol di notte, alle parate dello sballo, ai muri sporchi, ai lavavetri ma cerca di combattere gli affitti in nero e lo sfruttamento dei clandestini.
Paradossalmente la grande forza mediatica del personaggio ne esalta molto l’aspetto che porta alla divisione e poco all’unità. Allora torna la domanda: cosa pensa la città? Ed è ben riposta la certezza di Cofferati sui cittadini che sanno valutare e giudicare? Difficile azzardare una risposta. Certo il sindaco - tre anni fa in solitudine, poi imitato da molti - ha detto che la sicurezza non è di destra o di sinistra ma un diritto dei cittadini. Banale? Mica tanto, se si considera che ha preso di petto un tabù della sinistra. Di fatto ha capito che la percezione dell’insicurezza crea una preoccupazione sociale pari a quella dei prezzi che aumentano o del lavoro che manca. Le periferie, le belle periferie bolognesi, probabilmente hanno apprezzato gli sgomberi degli insediamenti abusivi, le demolizioni delle baracche cresciute come funghi con Guazzaloca. Lì molte contraddizioni sono state risolte. Resta tutto il carico di problemi del centro storico, non diverso da quello dei centri di altre città. E resta il problema degli spazi di aggregazione giovanile rivendicato dai centri sociali. Su questo c’è da registrare l’inedita apertura di Cofferati a «Crash», il collettivo che domani vorrebbe sfilare a Bologna: oggi Cofferati incontrerà questi ragazzi «specializzati» nell’occupazione di case sfitte e spazi abbandonati e chissà se avranno qualcosa da dirsi.
Comunque vada, è improbabile che Rifondazione e gli altri della sinistra radicale tornino sui loro passi. Loro hanno deciso di abbandonare Cofferati per giocare una partita non solo bolognese: pensano, forse, che sia il momento di riconquistare libertà d’azione. Calcolo di convenienza in un orizzonte corto? Quale che sia la risposta, il segnale di Bologna rimanda al mai risolto problema della - presunta - inconciliabilità tra sinistra radicale e riformista.
È per questo che la crisi sotto le due torri deve preoccupare Prodi e irrompe nell’agenda del Partito democratico. Perché è evidente che da Bologna si va dritti al tema delle alleanze possibili (o impossibili) nel campo del centrosinistra.
Pubblicato il: 05.10.07 Modificato il: 05.10.07 alle ore 8.44 © l'Unità.
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