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Autore Discussione: ONORIAMO I NOSTRI MILITARI PIU' SPESSO E NON SOLO DA MORTI!  (Letto 2250 volte)
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« inserito:: Giugno 09, 2013, 10:59:20 am »

 24/03/2013

Inteqal

 
Maggiore Mario Renna - comando brigata alpina 'taurinense'

 

  Oggi è l’ultimo giorno in Afghanistan, per gli Alpini della 'Taurinense', a cui daranno il cambio i ‘gemelli’ della 'Julia', ed è arrivato il momento di tracciare il bilancio di un semestre intenso, trascorso nella prospettiva della transizione, cioè del passaggio entro il 2014 della responsabilità del Paese alle autorità e alle forze di sicurezza di Kabul.

Iniziando a parlare di queste ultime, c’è stato – rispetto agli anni passati – un progresso notevole. Numerico, innanzitutto: all’inizio del 2010, nella regione occidentale, gli effettivi di polizia ed esercito non superavano le 10.000 unità, mentre adesso siamo praticamente a quota 30.000. Il triplicarsi delle forze ha comportato automaticamente una maggior presenza sul territorio e l’assunzione formale e sostanziale della leadership da parte afghana – oltre l’80% delle operazioni sono oggi guidate dalle unità di Kabul - comportando un cambio di ruolo per le unità italiane, chiamate a una funzione di sostegno e di advising. Il nuovo ruolo sta portando a un ridimensionamento del contingente nazionale: durante il mandato della Taurinense, la base operativa di Bakwa è stata passata al 207° Corpo dell’Esercito afghano e il numero dei militari italiani schierati nella regione occidentale dell’Afghanistan è sceso da 4.000 a meno di 3.000.

Il progresso non è stato solo un fenomeno di quantità, ma anche di qualità: i soldati e i poliziotti afghani sono molto meglio equipaggiati e addestrati rispetto a dieci anni fa, e operano autonomamente in larga parte del territorio occidentale, anche nelle aree a rischio. I bollettini che i Comandi emanano con cadenza praticamente giornaliera raccontano di un impegno costante nella lotta agli insorti e di risultati sul campo molto positivi, conseguiti spesso con notevoli sacrifici.

 

Ai passi avanti sul fronte della sicurezza si sono sommati, in un’ottica globale, quelli nel campo dello sviluppo socio-economico. L’Afghanistan rimane un Paese difficile, se lo si considera in termini assoluti, ma presenta – a dodici anni dalla fine del regime Talebano e dall’inizio dell’intervento internazionale – molti segnali di crescita forte. Certo, l’aspettativa di vita è ancora bassa: le ultime statistiche delle Nazioni Unite la fissano a 48,7 anni (in Italia è di 80 anni circa), ma nel 2000 era più bassa ancora, di quasi quattro anni. Nello stesso arco di tempo il reddito pro-capite si è più che triplicato, mentre cresceva in modo netto il livello di istruzione: nel 2000 un giovane afghano frequentava – in media – soltanto due anni di scuola, mentre oggi siamo a circa dieci, con un incremento straordinario della presenza femminile nelle aule scolastiche e universitarie (a Herat circa metà degli undicimila studenti dell’ateneo sono ragazze). L’istruzione è tradizionalmente al centro dell’impegno del contingente italiano, che nella provincia di Herat ha costruito 81 scuole dal 2004 a oggi (13 delle quali inaugurate nel semestre della Taurinense), il che sta permettendo a migliaia di bambini e bambine di frequentare le lezioni all’interno di strutture coperte, solide, riscaldate e attrezzate. 

 

Non si può nascondere che le autorità politiche e governative di Herat si dibattano ancora tra diverse difficoltà. La sicurezza della popolazione, in primis: all’espansione economica si è accompagnata quella criminale, che colpisce soprattutto i civili (ma nel 2012 si è registrata una notevole diminuzione del numero di vittime). Le richieste dei cittadini si fanno più pressanti, frutto di una maggiore consapevolezza: l’informazione, fino a pochi anni fa, era il dominio di pochi mentre oggi, secondo la BBC, 2/3 della popolazione possiede un cellulare (il che fa circa sedici milioni di telefonini). I media locali, radio in testa, oggi non parlano più solo di fatti sanguinosi o di episodi di corruzione, ma pure del campionato di calcio e del tour mondiale dell’orchestra nazionale afghana. Le donne sono più emancipate, si arruolano nell’esercito e in polizia, anche se in certe parti del Paese sono ancora oggetto di violenze assurde. Insomma l’Afghanistan di oggi è in trasformazione, talvolta tumultuosa. Le incognite e i nodi da sciogliere non mancano, ma l’impegno internazionale per la sicurezza e il sacrificio di molti militari italiani – il cui modus operandi continua a riscuotere il plauso degli Afghani e degli Alleati - ha indiscutibilmente aiutato un popolo segnato da trent’anni di guerre a rialzarsi, creando le condizioni minime necessarie per un domani migliore. Adesso il futuro dell’Afghanistan sta giustamente passando nelle mani degli Afghani e negli ultimi sei mesi, il Governatore di Herat – un uomo istruito e pacato con cui è nata un’eccellente collaborazione – ha ripetuto più di una volta che è venuto il momento di fare da sé e che l’Inteqal, la transizione, non è affatto cominciata troppo presto: semmai il contrario. 

da - http://www.lastampa.it/2013/03/24/blogs/diario-da-herat/inteqal-3iPc1dN9JRb9SYYkJNK26M/pagina.html
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