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Autore Discussione: MAFIA - MAFIE - CORRUZIONE  (Letto 70298 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Ottobre 31, 2008, 11:20:14 pm »

Torna Gelli e tifa Berlusconi: l'ex venerabile maestro in tv, è polemica

 
FIRENZE (31 ottobre) - Licio Gelli torna a scatenare polemiche e preoccupazioni. L'ex gran maestro della P2 ha parlato oggi a Firenze nel corso di una conferenza stampa per presentare la trasmissione televisiva "Venerabile Italia" su Odeon tv. Iniziativa che ha scatenato subito polemiche.

Gelli in tv. Solo nell'ultima puntata di "Venerabile Italia", talk show che andrà in onda da lunedì prossimo su Odeon Tv e che lo vede protagonista Gelli sarà, per la prima volta, presente in uno studio televisivo. Ma l'ex venerabile maestro della P2 ha lasciato già oggi la sua villa Wanda nell'aretino per venire a Firenze, negli studi dell'emittente, per presentare il programma e rispondere come un fiume in piena alle domande dei giornalisti presenti. Suscitando reazioni preoccupate nel mondo politico: dal capogruppo Pd al Senato, Anna Finocchiaro, che sollecita una reazione di Berlusconi, indicato da Gelli come il suo erede, al vicepresidente Pdl alla Camera, Osvaldo Napoli, che respinge un «apprezzamento che si trasforma in veleno per chi lo riceve», fino al senatore Pd Vincenzo Vita che chiede l'intervento del Garante delle Comunicazioni perché «la P2 non può andare in onda».

Le polemiche. Stessa richiesta dalla Federazione della Stampa che afferma: dargli spazio è insulto a storia italiana.  Per l'Udc «i cattivi maestri in tv destabilizzano il clima del Paese». Se un'autorità intervenisse con azioni di censura preventiva sarebbe un palese attentato alla democrazia, avverte il proprietario di Odeon Tv Raimondo Lagostena Bassi, che spiega: «Licio Gelli non sarà il conduttore di un programma, ma si è prestato a raccontare davanti alle telecamere di Odeon Tv le sue memorie, che diventeranno materiale per gli storici». «Ci auguriamo che Oden tv voglia riflettere se sia il caso di affidare a un signore come Licio Gelli la conduzione di una trasmissione televisiva. Noi non invocheremo mai censure ma ci sembra una scelta non proprio felice e nel momento meno adatto», ha detto Giuseppe Giulietti, deputato dell'Idv.

Gelli, quasi 90 anni, completo scuro e piglio deciso, non si sottrae a domande sulla politica attuale e del passato: dalle caratteristiche principali del Piano di rinascita democratica alle stragi, dal fascismo («sono fascista e fascista morirò») alla massoneria, dagli aneddoti («una volta incontrai, in un hotel a Firenze, Tina Anselmi che aveva dato ordine di cercarmi in tutto il mondo e lei non mi riconobbe, ma la foto di quell'incontro è nell'archivio di Stato coperta da segreto») alle forze politiche attuali e alle manifestazioni studentesche.

Di Berlusconi Gelli dice che sul Piano di rinascita democratica è «l'unico che può andare avanti, non perché era iscritto alla P2, ma perché ha la tempra del grande uomo che ha saputo fare, anche se ora è in momento di debolezza perché usa poco la maggioranza parlamentare».

«I partiti veri non esistono più, non c'è più destra o sinistra. A sinistra ci sono 15 frange e la destra non esiste. Se dovesse morire Berlusconi, cosa che non gli auguro perché la morte non si augura a nessuno, Forza Italia non potrebbe andare avanti perché non ha una struttura partitica», è ancora l'opinione di Gelli. A proposito dell'esecutivo ha aggiunto: «non condivido il governo Berlusconi perché se uno ha la maggioranza deve usarla, senza interessarsi della minoranza. Non mi interessa la minoranza, che non deve scendere in piazza, non deve fare assenteismo, e non ci devono essere offese». «Ci sono provvedimenti che non vengono presi - ha proseguito - perché sono impopolari e invece andrebbero presi: bisogna affondare il bisturi o non si può guarire il malato. L'immunità ai grandi dovrebbe essere esclusa, perché al Governo dovrebbero andare persone senza macchia e che non si macchiano mai».

Poi attacca la magistratura. «Se oggi in Italia c'è un potere forte, costituzionale, è la magistratura, perché quando sbaglia non è previsto risarcimento del danno», ha detto ancora Gelli, secondo il quale «la magistratura non funziona: il pubblico ministero dovrebbe arrivare da un concorso diverso rispetto al giudice e dovrebbero odiarsi». «In Italia - ha sottolineato Gelli - poteri forti ora non ce ne sono e non ce ne sono mai stati. Oggi la massoneria non esercita nessun potere. Ci sono tre, quattro comunioni che contano e che dovrebbero chiedere che gli elenchi dei massoni non debbano essere consegnati al commissariato. Rotary, Lions, associazioni sportive o religiose non hanno questo dovere e la massoneria dovrebbe prendere dallo Stato non il segreto ma la riservatezza. La P2 era riservata, non segreta, ed è stata perseguitata per distogliere l'attenzione da altre questioni». E ai giornalisti che gli chiedevano del suo archivio ha risposto: «Archivi completi non né ho mai conosciuti: alcune cose vengono sepolte nell'oblio e poi possono riemergere».
 
Le proteste studentesche. «Le manifestazioni non ci dovrebbero essere, gli studenti dovrebbero essere in aula a studiare», sostiene approvando la legge Gelmini «perché ripristina un po' di ordine». «Le stragi ci sono sempre state e ci saranno sempre perché non c'è ordine: infatti sono arrivate dopo gli anni '60. Se domani tornassero le Br ci sarebbero ancora più stragi: il terreno è molto fertile perché le Br potrebbero trovare molti fiancheggiatori a causa della povertà che c'è nel paese», ha detto ancora l'opinione dell'ex Gran maestro della P2 Licio Gelli. «Le stragi - ha aggiunto Gelli - sono frutto di guerra tra bande».

«Marcello Dell'Utri è una bravissima persona, onesta e di profonda cultura, non credo che sia mafioso», ha detto ancora l'ex Gran maestro della P2. «C'è una sentenza che Dell'Utri si trascina dietro - ha aggiunto - e che sarà tirata fuori al momento opportuno perché tutto è guidato. La magistratura prende decisioni su teoremi e non su prove e su Dell'Utri il processo non ha fatto chiarezza».

da ilmessaggero.it
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« Risposta #31 inserito:: Ottobre 31, 2008, 11:25:27 pm »

POLITICA

Conferenza stampa a Firenze dell'ex Gran maestro della P2 alla presentazione del programma 'Venerabile Italia', in onda da lunedì su Odeon Tv

Gelli, la P2 e il Piano di rinascita nazionale

Scoppia il caso sull'ex Venerabile in tv

"Solo Berlusconi può proseguire il mio progetto. Usi la sua maggioranza"

Il Pd insorge e attacca: "Il presidente del Consiglio non ha nulla da dire?"

 

FIRENZE - Nell'attuazione del Piano di rinascita democratica "l'unico che può andare avanti è Berlusconi". Lo ha detto l'ex Gran maestro della P2. Licio Gelli, a Firenze, dove ha presentato il programma tv 'Venerabile Italia'. Gelli sarà protagonista di una ''ricostruzione inedita'' della storia del Novecento in Italia: dalla Guerra di Spagna agli anni Ottanta, dalla P2 al crack del Banco Ambrosiano. La conduttrice e autrice del programma Lucia Leonessi ha raccolto le testimonianze di Gelli a Villa Wanda, di Giulio Andreotti, Marcello Veneziani e Marcello Dell'Utri. Lo stesso Gelli sarà in studio per l'ultima puntata, dedicata alla sua attività di poeta. Le otto puntate da lunedì prossimo fino a dicembre andranno in onda su Odeon Tv.

Gelli, nel corso della conferenza stampa, ha risposto alle domande dei cronisti su passato e presente d'Italia, passando dalla riforma della scuola alla politica, fino alle vicende giudiziarie di Marcello dell'Utri.

Politica. A proposito del giudizio di Berlusconi e del suo Piano di rinascita democratica, Gelli ha chiarito che il premier è "l'unico che può andare avanti non perché era iscritto alla P2 ma perché ha la tempra del grande uomo che ha saputo fare, anche se ora è in momento di debolezza perché usa poco la maggioranza parlamentare". Gelli ha quindi precisato di non condividere il governo Berlusconi "perché se uno ha la maggioranza deve usarla, senza interessarsi della minoranza''. Gelli ha anche commentato il cosiddetto 'Lodo Alfano': "L'immunità ai grandi dovrebbe essere esclusa, perché al Governo dovrebbero andare persone senza macchia e che non si macchiano mai''.

Fini. ''Avevo molta fiducia in Fini - ha detto Gelli - perché aveva avuto un grande maestro, Giorgio Almirante. Oggi non sono più dello stesso avviso, perché ha cambiato''.

Partiti. Quanto ai partiti, ai giornalisti che gli chiedevano se ci sia una forza politica che ha messo in pratica il Piano rinascita democratica, Gelli ha risposto che ''tutti si sono abbeverati, tutti ne hanno preso spunto'', però, ha notato, ''i partiti veri non esistono più, non c'è più destra o sinistra. A sinistra ci sono 15 frange e la destra non esiste. Se dovesse morire Berlusconi, cosa che non gli auguro perché la morte non si augura a nessuno, Forza Italia non potrebbe andare avanti perché non ha una struttura partitica''.

Riforma Gelmini. "In linea di massima sono d'accordo con la riforma Gelmini perché ripristina un po' di ordine", ha detto l'ex Gran maestro della P2. "Il maestro unico è molto importante - ha spiegato - perché, quando c'era, conosceva l'alunno. Poi il tema dell'abbigliamento è importante perché l'ombelico di fuori non dovrebbe essere consentito, e poi la confidenza tra alunno e professore dovrebbe essere limitata".

"Studenti in aula e non in piazza". E a proposito della manifestazioni di piazza "non ci dovrebbero essere, gli studenti dovrebbero essere in aula a studiare - ha sottolineato Gelli -. Nelle piazza non si studia; se viene garantita la libertà di scioperare dovrebbe essere tutelato anche chi vuole studiare, e molti in piazza non ne hanno voglia. Dovrebbe essere proibito di portare i bambini in piazza perchè così non crescono educati".

"Dell'Utri? bravissimo". "Marcello Dell'Utri è una bravissima persona, onesta e di profonda cultura, non credo che sia mafioso", ha detto l'ex Gran maestro. "C'è una sentenza che Dell'Utri si trascina dietro - ha aggiunto - e che sarà tirata fuori al momento opportuno perché tutto è guidato. La magistratura prende decisioni su teoremi e non su prove e su Dell'Utri il processo non ha fatto chiarezza".

Magistratura. "Se oggi in Italia c'è un potere forte, costituzionale, è la magistratura, perché quando sbaglia non è previsto risarcimento del danno".

Stragi e terrorismo. "Le stragi ci sono sempre state e ci saranno sempre perché non c'è ordine: infatti sono arrivate dopo gli anni '60. Se domani tornassero le Br ci sarebbero ancora più stragi: il terreno è molto fertile perché le Br potrebbero trovare molti fiancheggiatori a causa della povertà che c'è nel paese". Secondo Gelli "le stragi sono frutto di guerra tra bande".

Massoneria. "In Italia - ha sottolineato Gelli - poteri forti ora non ce ne sono e non ce ne sono mai stati. Oggi la massoneria non esercita nessun potere. Ci sono tre, quattro comunioni che contano e che dovrebbero chiedere che gli elenchi dei massoni non debbano essere consegnati al commissariato". "La P2 era riservata, non segreta, ed è stata perseguitata per distogliere l'attenzione da altre questioni".

Reazioni. Per Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd
al Senato, è "sconcertante che dal Popolo delle Libertà non giunga una parola a commento delle dichiarazioni di Gelli che, tra le tante cose gravi dette, indica nell'attuale capo del governo l'unico erede del Piano di rinascita democratica". "E' dall'inizio della legislatura che sosteniamo questa tesi: il programma di governo di Berlusconi ed il piano di Gelli sono la stessa cosa", afferma il capogruppo alla Camera dell'Idv, Massimo Donadi. "Tornano i fantasmi del passato ed è inquietante che in vada in onda l'autocelebrazione di Licio Gelli e un nuovo tentativo di inquinare la vita pubblica", afferma Rosy Bindi, del Pd, vicepresidente della Camera.

(31 ottobre 2008)


da repubblica.it
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« Risposta #32 inserito:: Novembre 01, 2008, 10:04:54 am »

P2, più di 900 adepti per sovvertire lo Stato


La P2 è la loggia massonica Propaganda Due. La P2 era una loggia segreta, il cui scopo era reclutare membri con la finalità di sovvertire l'assetto socio-politico-istituzionale. La P2 riunì in segreto circa mille esponenti di primo piano del mondo politico-istituzionale, spesso molto noti. L'allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, definì la P2 «un'associazione a delinquere».


Le origini della P2 si perdono nella storia visto che la loggia chiama in causa il mondo della massoneria. Di sicuro nel 1969 fu chiesto all'allora sconosciuto Licio Gelli, entrato nella massoneria solo nel 1965, di operare per la unificazione delle varie comunità massoniche. Nel 1970 a Gelli fu delegata la gestione della P2.

La lista degli appartenenti alla P2 fu tenuta riservata anche dopo la scoperta. I tentennamenti nel rendere pubblica gli appartenenti alla loggia costò ad Arnaldo Forlani la carica di presidente del Consiglio. La lista fu poi resa nota nel 1981. Tra i 932 iscritti c'era Silvio Berlusconi. Anche personaggi dello spettacolo come Claudio Villa, Alighiero Noschese e Maurizio Costanzo erano nella lista. Inoltre facevano parte della P2 Michele Sindona e Roberto Calvi, Umberto Ortolani e Leonardo Di Donna (presidente dell'ENI), Duilio Poggiolini ed i vertici dei servizi segreti italiani.

I numeri della loggia sono impressionanti: 44 parlamentari, 3 ministri del governo allora in carica, un segretario di partito, 12 generali dei Carabinieri, 5 generali della Guardia di Finanza, 22 generali dell'esercito italiano, 4 dell'aeronautica militare, 8 ammiragli, vari magistrati e funzionari pubblici, ma anche giornalisti ed imprenditori.

«Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo», queste le parole che Licio Gelli rilasciò nel 2003 in un'intervista a Repubblica realizzata da Concita De Gregorio. E nel 2003, guarda caso, al governo c'era Berlusconi.


Pubblicato il: 31.10.08
Modificato il: 31.10.08 alle ore 16.57   
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« Risposta #33 inserito:: Novembre 04, 2008, 05:56:48 pm »

POLITICA

Il senatore Pdl replica a Giancarlo Caselli che aveva sostenuto l'impossibilità di processare i politici collusi.

E ribadisce: "Mangano? A suo modo un eroe"

Antimafia, la sentenza di Dell'Utri "Costa troppo per quello che produce"

"L'antifascismo, un concetto obsoleto. Quando c'era il Duce lo Stato funzionava meglio"

Sulla tv: "Non cambierà nulla finché ci saranno quelle facce tristi messe dalla sinistra"

 

ROMA - "L'Antimafia non è finita. C'è e ci sarà finchè esiste la mafia ed è un bene. Credo, tuttavia, che, allo stato attuale, il rapporto tra costi e benefici sia assolutamente sproporzionato, soprattutto quando alcuni procuratori antimafia 'fanno politica'". Così il senatore del Pdl Marcello Dell'Utri, durante una conversazione con Klaus Davi nel corso di KlausCondicio, contenitore di approfondimento politico in onda su YouTube. Dell'Utri - eletto nelle file del Popolo della libertà nonostante una condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa e una condanna in Cassazione per frode fiscale - replica a Gian Carlo Caselli che aveva sostenuto l'impossibilità, per i giudici, di processare i politici collusi con la mafia. Poi, come già fatto in passato, definisce "un eroe" Vittorio Mangano (condannato nel 2000 all'ergastolo per duplice omicidio), "lo stalliere di Arcore", e se la prende anche con alcuni conduttori televisivi, in particolare del Tg3, a suo giudizio "troppo dark". Quanto alle polemiche su destra e sinistra, commenta: "L'antifascismo? Un concetto obsoleto".

"Sì antimafia ma senza fare politica". Secondo Dell'Utri "è giusto che l'Antimafia faccia il suo lavoro e si impegni. Certamente tra le tante richieste e accuse che ha lanciato, alcune sono finite nel nulla. Ad esempio, io ero certo dell'innocenza di Calogero Mannino. Antimafia sì, insomma, ma evitando di fare politica. Questo per me è un must".

"Io, vittima dei procuratori". In un Paese civile, aggiunge Dell'Utri, "deve essere così ma purtroppo spesso non lo è stato. Non solo l'Antimafia, quanto piuttosto i procuratori di Palermo hanno usato molto e a sproposito lo strumento dell'aggressione politica. Io me ne sento in assoluto una vittima". A suo giudizio, l'accusa nei suoi confronti "non ci sarebbe stata se non ci fosse stata la grande affermazione di Forza Italia in Sicilia nel 1994".

"Mangano? Un eroe". Lo aveva già detto qualche mese fa, ora lo ribadisce: lo stalliere di Arcore, pluricondannato e accusato di reati di mafia, era "un eroe": "Era tra le tante persone assunte alle dipendenze di Berlusconi, io lo conoscevo e sapevo che era bravo nella conduzione degli animali, e lì c'erano cani e cavalli. Fu scelto per stare ad Arcore come stalliere e si comportò benissimo". E ancora: "Malato com'era (Mangano è morto in carcere nel 2000 a causa di un tumore) sarebbe potuto uscire dal carcere se avesse detto solo una parola contro di me o Berlusconi. Invece non lo ha fatto. Per me è un eroe, a modo suo".

Antifascismo, "concetto obsoleto". "Ogni qual volta si tocca questo tasto - sostiene Dell'Utri - ecco l'insurrezione, e questo accade perché la situazione non è mai stata chiarita del tutto, la verità non è mai venuta a galla. Credo che ci sia ancora da lavorare da parte di tutti". E conclude: "C'è anche da dire che il concetto di antifascismo, di per sé obsoleto, torna puntualmente in auge perché mancano nuovi argomenti seri di discussione, e si finisce con il rivangare sempre gli stessi".

Quando c'era Lui... "Mussolini sbagliò, non c'è dubbio, ma quando era al potere lo Stato era più presente di quanto non lo sia adesso. Aveva dato al paese, ed è stato l'unico, un senso di patria non c'era prima e non c'è stato dopo". Dopo l'elogio di Mangano, anche alcune considerazioni sul ruolo di Mussolini. Dell'Utri parla anche sulla scorta della scoperta di alcuni diari del Duce, risalenti agli anni tra il '35 e il '39, e di una agenda del '42 da cui "viene fuori l'immagine di un uomo di valore, dal punto di vista sia umano che culturale. Mussolini cita spesso le classi deboli e più bisognose. Molti provvedimenti in loro favore e diverse leggi sociali risalgono proprio al famigerato Ventennio".

Il Tg3 e lo scarso appeal dei conduttori. Dell'Utri osserva che in Rai ci sarebbero "ancora dirigenti messi dalla sinistra e che rispondono a logiche di sinistra". Per questo "è difficile cambiare la televisione e pensare che migliori la qualità della comunicazione quando a guidarla c'è gente che alimenta una visione negativa della vita". Qualcosa, continua, "si sta già facendo", ci pensa Berlusconi "a diffondere ottimismo". Ma perché qualcosa cambi davvero serve "un nuovo approccio stilistico: le notizie, certo, bisogna darle, sennò si torna al fascismo, ma c'è modo e modo di comunicarle. Magari con conduttori più gradevoli. Al Tg3 ci sono degli anchormen con una faccia un po' gotica, dark. Credo che il direttore del tg dovrebbe mostrare un maggiore 'esprit de finesse' in queste cose. Farle, dirle lo stesso, ma magari con un'altra espressione...".

Le reazioni. Non mancano le reazioni alle parole di Dell'Utri. Il deputato del Pd Marco Minniti lo invita a prendere esempio da Gianfranco Fini che sull'argomento ha saputo ammettere colpe e responsabilità. "Non è la prima volta che Dell'Utri si cimenta in originali forme di revisionismo storico. E' sorprendente la sua rilettura del Ventennio, come ad esempio la sottolineatura dell'idea di patria di Mussolini, un'idea che si è concretizzata nel gettare il nostro paese, la patria appunto, nella drammatica avventura della seconda guerra mondiale, che ha messo in ginocchio l'Italia. Di amor di patria questo non è certo un fulgido esempio". Dell'Utri, commenta Antonio Di Pietro, "non ha mai sconfessato se stesso, vede nei mafiosi degli eroi, lo ha sempre detto, è la sua cultura. Gli italiani possono giudicare, ma Dell'Utri è quello per cui è stato condannato...".

(4 novembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #34 inserito:: Novembre 04, 2008, 10:19:52 pm »

«Mussolini statista, la P2 una montatura»: così Dell'Utri, voce del padrone   


L'antifascismo? È obsoleto. La P2? Tutta una montatura. L'antimafia? Il conto costi-benefici è in rosso. "Gomorra"? Cattiva pubblicità per l'Italia. Gli studenti che manifestano? Figli del fascismo rosso. Il Tg3? Cambiare  gli uomini... Sembra un'intervista finta: la summa del "politicamente scorretto", la libertà da macchietta di chi dà fiato alla pancia anziché alla ragione. E invece no. È l'intervista vera di Marcello Dell'Utri, uscito dalle nebbie, fatta da Klaus Davi per "klauscondicio" su You Tube. Una intervista da prendere sul serio. E sul serio è stata presa, a caldo, da Giovanna Melandri, da Roberto Di Giovan Paolo, dalla Federazione della Stampa.
Una lunga sequela di dichiarazioni che sembrerebbero un vaneggiamento, paradossali, ma che a ben leggere sono la cornice di un nuovo corso che assomiglia così da vicino a quel progetto di P2 di tanti anni fa, proprio ora che Licio Gelli diventa opinionista in tv, che persino Roberto Gervaso (iscritto alla sua loggia) "riapre" la sua rubrica sul Messaggero di Roma.

«La P2 è una cosa che è stata montata per non parlare d'altro - ha detto Dell'Utri nell'intervista -. Certo, esisteva per fare affari, ma è stata sempre strumentalizzata, da 40 anni a questa parte». E poi, la mafia: «Non ci sarebbe stata l'accusa nei miei confronti se non ci fosse stata la grande affermazione di Forza Italia in Sicilia nel 1994», dice il senatore di Forza Italia, glissando sulle pesanti condanne per concorso esterno in associazione mafiosa, schivate grazie alle ripetute elezioni parlamentari, ininterrotte dal 1996.

E poi, ancora Mangano, il famoso "stalliere di Arcore", condannato per omicidi di mafia, che per Dell'Utri era «un eroe», «malato com'era - ha affermato il senatore di Forza Italia nell'intervista - sarebbe potuto uscire dal carcere e andare a casa, se avesse detto solo una parola contro di me o contro il presidente Berlusconi. Invece non lo ha fatto. Per me è un eroe, a modo suo».

E il fascismo. E Mussolini. «Mussolini sbagliò, non c'è dubbio, ma quando era al potere lo Stato era più presente di quanto non lo sia adesso. Aveva dato, e in questo è stato l'unico, un senso di patria al Paese, che non c'era prima e non c'è stato neanche dopo», ha affermato tra l'altro. «Forse Dell'Utri - è intervenuta seccamente Giovanna Melandri - confonde il senso di identità nazionale con quello di purezza della razza "garantito" con le leggi razziali e con la collaborazione con il nazismo. E forse confonde la Patria con le "patrie galere" che il Duce riempì di uomini che la pensavano diversamente da lui come Gramsci, Foa e Pertini. Molti, come don Sturzo e Salvemini, quella Patria furono costretti a lasciarla, andando in esilio. Molti ancora, come Matteotti o don Minzoni, dall'ispiratore di  quella Patria furono fatti fuori, perché le loro idee non coincidevano con l'idea di stato a cui si richiama Dell'Utri».

Ce n'è anche per gli studenti in piazza: «Concordo con quegli internauti che definiscono "figli del fascismo rosso" quegli studenti che impediscono con la forza ad altri di studiare e di frequentare le lezioni, se è vero che, nell'accezione comune, tutto ciò che impedisce qualcosa agli altri è fascista».

Durissima la Federazione della  Stampa contro l'attacco ai giornalisti del Tg3: «Oggi ci siamo sentiti spiegare da un singolare pulpito, quello del senatore Dell'Utri - è scritto in un comunicato - , come devono e non devono essere i conduttori, in particolare del Tg3; la faccia non deve essere gotica, il dark non và. Prima che ce la diano, stiamo pensando noi a una divisa, la farà cucire l'Usigrai, ma se e quando la metteremo, lo faremo per dire alla gente che stiamo trasmettendo informazione non libera».


Pubblicato il: 04.11.08
Modificato il: 04.11.08 alle ore 16.03   
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« Risposta #35 inserito:: Novembre 05, 2008, 11:41:56 am »


Anchorwoman / 1


Cuffaro: io continuerò a vestirmi di nero


ROMA — Confessa che sì, si è proprio «arrabbiata» Maria Cuffaro, uno delle anchorwoman del Tg3, che seppure non citata esplicitamente da Dell'Utri si sente chiamata in causa dal senatore. «A una prima lettura, sembrano parole farneticanti. Ma siccome arrivano da un signore che ha la sua storia, il suo passato giudiziario, da uno che considera Mangano un eroe, davvero non suonano carine...». Tutt'altro.

Per la mora conduttrice del tigì «un giudizio estetico che nasconde una censura è una cosa vigliacca, da regimi totalitari». E da «siciliana quale sono», il riferirsi all'aspetto come elemento per dare un giudizio di valore «mi fa pensare a un'allusione non bella, a una minaccia velata, a quel "non mi piace la tua faccia" che si dice da noi... Perché qui non c'è una comunicazione diretta, ma un dire e non dire, che non è bello». Se il clima è questo, c'è poco da scherzare: «Se in tivù andrò vestita di rosa la prossima volta? Non credo proprio: piuttosto sceglierò il nero totale...».


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Anchorwoman / 2


Berlinguer: non è una prova di liberalismo


ROMA — Il volto più noto del tg3, quello mediterraneo di Bianca Berlinguer, si apre in un sorriso: «Mi piacerebbe avere la faccia gotica, ma non sono stata fortunata, perché si sa che gli zigomi alti preservano dai segni dell'età...». Poi torna seria la giornalista, e ragiona: «Certo, se ci si mette a sindacare su giornalisti e conduttori e a farlo addirittura in base al rispettivo aspetto fisico, non si dà una gran prova di liberalismo».

Non vuole polemizzare troppo la Berlinguer, nè fare un caso politico di qualcosa che al momento è solo nelle parole di Dell'Utri, ma il suo giudizio - anche se giocato sul filo dell'ironia - è comunque di critica ai discorsi che arrivano dalla maggioranza sulla necessità di portare ventate di ottimismo e allegria nei tigì anche quando la situazione allegra non è: «Dell'Utri, sulla scia di Berlusconi, sostiene che bisogna diffondere ottimismo. Ma come insegna il "ministro della Paura" Antonio Albanese, niente mette più ansia della falsa allegria...».



P.D.C.
05 novembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #36 inserito:: Novembre 11, 2008, 04:32:57 pm »

I dati del rapporto «Sos impresa» di Confesercenti

Mafia Spa, attività da 130 miliardi l'anno

Usura in crescita: le vittime sono 180mila

La principale fonte di guadagni è il traffico di droga, con 59 miliardi.

Poi armi, contrabbando, tratta di persone


ROMA - Cosa Nostra, 'Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona unita, unite sotto la provocatoria sigla Mafia Spa, hanno fatturato quest'anno circa 130 miliardi di euro, con un utile che sfiora i 70 miliardi al netto degli investimenti e degli accantonamenti. Il dato emerge dal rapporto «Sos impresa» di Confesercenti, titolato «Le mani della criminalità sulle imprese». Al primo posto degli introiti della Mafia Spa ci sono i traffici illeciti, che fanno segnare un attivo di 62,80 miliardi di euro. La principale fonte di guadagni resta il traffico di droga, con 59 miliardi di euro, mentre armi e altri traffici costituisco 5,80 miliardi dell’attivo, il contrabbando 1,20 miliardi e la tratta degli esseri umani 0,30. Ancora: 21,60 miliardi di euro arrivano dalle "tasse mafiose", ovvero racket (9 miliardi) e usura (12,60 miliardi); da furti rapine e truffe un miliardo.

APPALTI E SCOMMESSE - L'attività imprenditoriale porta in bilancio 24,70 miliardi di euro di attivo: appalti e forniture pesano per 6,50 miliardi, agromafia 7,50 miliardi, giochi e scommesse 2,40 miliardi, contraffazione 6,30 miliardi, abusivismo 2,2 miliardi. Un mercato emergente che inizia a dare un importante giro di affari è quello delle ecomafie che pesa per 16 miliardi di euro, marginale invece il giro della prostituzione che frutta solo 0,60 miliardi mentre da proventi finanziari ne arrivano 0,75. Dal totale di 130 miliardi di fatturato ne vanno sottratti 60 di passività: 1,76 per stipendi di capi, affiliati, detenuti e latitanti, 0,45 miliardi per la logistica; per la corruzione la criminalità organizzata spende 3,8 miliardi, altri 0,70 servono per le spese legali; negli investimenti vanno 30 miliardi, nel riciclaggio 22,50 e 7,50 in accantonamenti. Il solo ramo commerciale, che incide direttamente sul mondo dell’impresa, ha ampiamente superato i 92 miliardi di euro, cifra intorno al 6% del Pil nazionale.

ATTIVITÀ FRUTTUOSE - Ogni giorno una massa enorme di denaro passa dalle tasche dei commercianti e degli imprenditori italiani a quelle dei mafiosi, qualcosa come 250 milioni di euro al giorno, 10 milioni l’ora, 160mila euro al minuto. Il settore più in crescita, che pesa sulle imprese per 32 miliardi di euro, è quello dell’usura: aumentano gli imprenditori colpiti, sale la media del capitale prestato e degli interessi restituiti nonché dei tassi di interesse applicati, facendo lievitare il numero dei commercianti colpiti a oltre 180mila, con un giro d’affari intorno ai 15 miliardi di euro. Stabile il giro del racket delle estorsioni, dove rimane sostanzialmente invariato il numero dei commercianti taglieggiati, 160mila, con una lieve contrazione dovuta al calo degli esercizi commerciali e all’aumento di quelli di proprietà di malavitosi. Cala il contrabbando, in parte sostituito da altri traffici, mentre cresce il peso economico della contraffazione, del gioco clandestino e delle scommesse.

I NUMERI DEL PIZZO - Un capitolo del rapporto è dedicato al pizzo a Palermo e Napoli. Con degli esempi: un euro per tenere un banco al mercato a Palermo, tra i 5 e i 10 a Napoli; un massimo di 500 euro per un negozio, ma se è elegante o nel centro il prezzo sale a mille. Se si possiede un redditizio supermercato servono almeno 3mila euro, che possono arrivare anche a 5mila; per un cantiere la somma da sborsare a Palermo è di 10mila euro. I soldi versati hanno superato abbondantemente i 6 miliardi di euro: numeri che rapportati alla crisi economica diventano sempre più insopportabili per le imprese, molte delle quali preferiscono chiudere o cambiare città piuttosto che denunciare il malaffare. I commercianti taglieggiati sono circa 150mila, comunque meno di quelli che finiscono vittima degli usurai (180mila). In questo campo, gli interessi praticati dalla criminalità superano il 10% mensile. Nel complesso il tributo pagato dai commercianti supera i 15 miliardi di euro. Un terzo degli imprenditori coinvolti si concentra in Campania, Lazio e Sicilia, ma preoccupa anche il dato della Calabria, il più alto nel rapporto attivi/coinvolti. A Napoli nel 2007 si sono registrati più fallimenti (7,2%, il 15% del totale nazionale).

TRUFFE ALIMENTARI - Un altro settore molto inquietante (e in crescita) è quello delle truffe alimentari: falsificazione di date di scadenza sulle etichette di prodotti, macellazione clandestina e riconfezionamento abusivo di alimenti andati a male minacciano la salute degli italiani. Il rapporto «Sos impresa» indica che nel 2008 i sequestri effettuati dai carabinieri dei Nas relativi ai generi alimentari sono aumentati del 93% rispetto al 2007. Il valore dei sequestri tra il 2005-2007 è stato di 7,8 milioni di euro, mentre nei soli primi otto mesi del 2008 si è raggiunta la cifra di 15,1 milioni. Infine, anche le ricariche telefoniche sono diventate un business per la malavita. «Dopo la scoperta di una truffa di 50 milioni di euro nei confronti di Tim, le indagini hanno portato alla luce una vasta organizzazione criminale che vede coinvolti gruppi pachistani, clan camorristici e un folto numero di imprese che gestiscono servizi telefonici a pagamento» si legge nel documento.


11 novembre 2008
da corriere.it
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« Risposta #37 inserito:: Dicembre 06, 2008, 09:59:58 am »

Cavaliere di loggia e spada

Dagli schermi di una tv privata, i ricordi di Licio Gelli. 


Il Venerabile ritrova la memoria e, a 30 anni di distanza, racconta la cerimonia di iniziazione di Berlusconi alla P2  Trent'anni dopo Licio Gelli ritrova la memoria e racconta la cerimonia di iniziazione di Silvio Berlusconi alla loggia massonica P2. Lo fa in una lunga intervista in onda venerdì 5 dicembre alle 19 su pandoratv.it, una web tv che si autofinanzia con i contributi volontari e che trasmette anche su Sky (canale 924 alle 23 di venerdì). Gelli ha raccontato a Udo Gumpel e Philip Willan: "Berlusconi è stato nella P2 per cinque anni. Venne iniziato nella nostra sede di 400 metriquadri in via Condotti a Roma all'ultimo piano del palazzo che ospita il gioielliere Bulgari. La sede era intestata a un nome di copertura perché allora avevamo sei ministri e le cupole dei servizi, della giustizia e della stampa: non potevamo certo segnalare la loggia". Poi Gelli entra nel dettaglio: "A Berlusconi facemmo trovare in sede una persona del suo stesso settore.

Mi pare fosse Roberto Gervaso, ma non ne sono sicuro. Venne fatta la cerimonia sulla spada. All'iniziazione presenziava il neofita e c'era il Gran Maestro e il tesoriere. Al momento dell'iscrizione vengono consegnati due paia di guanti bianchi. Un paio restano al neofita come simbolo di pulizia. L'altro lo deve regalare alla sua donna del cuore. Solitamente poi si andava tutti a cena insieme, al massimo saremo state sei persone".

L'iscrizione, secondo gli atti della commissione P2, risalirebbe al 26 gennaio 1978, mentre la scoperta della loggia è di soli tre anni dopo. Forse Gelli sbaglia o forse Berlusconi, come qualcuno in passato ha scritto, era già massone 'all'orecchio'. Berlusconi in passato ha ammesso solo un'adesione passiva alla P2 e ha negato la cerimonia. Ma è stato considerato spergiuro e amnistiato per falsa testimonianza. Una cosa è certa: Gelli è "appagato" dal suo governo.

Anche se osserva: "Troppe ministre e troppo lassismo con gli immigrati e i magistrati", che tra l'altro hanno condannato Previti ("Un amico innocente").

M. L.

(04 dicembre 2008)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #38 inserito:: Dicembre 10, 2008, 09:50:52 pm »

Audizione in commissione giustizia del segretario dell'Anm Giuseppe Cascini

Riforma intercettazioni, no dell'Anm

«A rischio le indagini di mafia»

«L'indispensabile strumento non potrà essere usato per tutta una serie di reati compiuti dai mafiosi»
 

ROMA - L'Anm è contraria al ddl sulle intercettazioni. Con la riforma messa a punto dal governo, e ora all'esame della Camera, sarà sempre più difficile, secondo il sindacato delle toghe, indagare sulla mafia. Il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini ha lanciato l'allarme nel corso della sua audizione in commissione Giustizia a Montecitorio sul disegno di legge che riguarda le intercettazioni. «Formalmente le indagini sulla criminalità organizzata si possono fare - aggiunge Cascini - ma poi nella pratica questo si rivelerebbe impossibile visto che con il provvedimento del governo diventeranno intercettabili solo reati con condanne superiori ai 10 anni». E questo significa che «l'indispensabile strumento delle intercettazioni non potrà essere usato per tutta una serie di reati compiuti normalmente dai mafiosi come, ad esempio, la turbativa d'asta, l'estorsione ecc. ecc». «A meno che - prosegue Cascini - non si voglia sostenere che la mafia sia solo narcotraffico e omicidio». «Con questo ddl, poi - sottolinea l'esponente dell'Anm - sarà impossibile intercettare i detenuti mafiosi quando telefonano in carcere o durante i colloqui con i familiari».

GARANZIE FONDAMENTALI - Nel corso della sua audizione in commissione Giustizia della Camera, ribadisce anche la contrarietà dell'Anm all'ipotesi di estendere il campo di applicazione delle intercettazioni preventive rispetto a quelle processuali. «Abbiamo espresso delle perplessità molto serie - dice il segretario dell'Anm Giuseppe Cascini - sull'ipotesi di ampliare il novero dei casi in cui sia possibile procedere con intercettazioni preventive a scapito delle intercettazioni processuali». «Questa soluzione ridurrebbe le garanzie fondamentali dei cittadini e - afferma ancora il pm - contemporaneamente comporterebbe anche una drastica riduzione dei possibili accertamenti di gravi fatti illeciti». «Abbiamo ribadito - sostiene Cascini - che l'Anm è favorevole a una disciplina molto rigorosa sulla possibilità di diffondere e di pubblicare intercettazioni telefoniche contenenti fatti non rilevanti per l'accertamento nel processo penale attraverso il meccanismo del filtro anticipato che esclude il materiale non rilevante da custodire in archivi riservati». L'Anm ribadisce anche che «la riduzione della possibilità di utilizzare lo strumento delle intercettazioni, determinerebbe oggettivamente la riduzione della capacità di contrasto dei fenomeni criminali da parte di forze dell'ordine e magistratura». «Riducendo il novero dei reati - conclude Cascini - è nelle cose che si riduca anche la capacità di indagare sulla mafia e sul terrorismo».


10 dicembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #39 inserito:: Dicembre 18, 2008, 05:27:51 pm »

Gelli e la politica. Ormai il cerchio si chiude

di Nicola Tranfaglia


Uno dei quotidiani più diffusi in Italia (si colloca subito dietro "Il Corriere della sera","La Repubblica" e "Il Sole 24 ore"), parlo de "la Stampa", di Torino, diretta da Giulio Anselmi, ha pubblicato ieri un'intervista lunga una pagina intera a Licio Gelli, il Venerabile della Loggia P2, ritornato agli onori della cronaca non solo politica, ora presente ogni settimana su Odeon TV.

La giustizia italiana, malgrado numerosi processi intentati negli ultimi venticinque anni dopo la scoperta della Loggia e l'inchiesta parlamentare del 1982, non è giunta - come succede sempre nei confronti dei ricchi e dei potenti - a nessun risultato.

Sicchè Licio Gelli è un cittadino libero e dotato di idee assai precise su sé stesso, come sull'Italia.

Per prima cosa fa una domanda retorica al giornalista: "Il mio piano rinascita ha trionfato, non crede?"
E subito dopo: "Berlusconi se ne é letteralmente abbeverato, la giustizia e le carriere separate dei giudici, le tv, i club rotariani in politica…Già, proprio come Forza Italia. Apprezzo che non abbia mai rinnegato la sua iscrizione alla P2, e del resto come poteva?"

I riferimenti di Gelli sono limpidi. Quando parla del piano rinascita, ricorda il suo "Piano di rinascita democratica" sequestrato a sua figlia all'aeroporto di Linate, che prevedeva appunto l'addomesticamento della stampa e della tv (chi potrebbe negarlo oggi?), la divisione dei sindacati (innegabile, senza dubbio), la separazione delle carriere e altri obbiettivi minori.
E non si può dar torto a Gelli quando dice che Berlusconi se ne è "abbeverato".

Quel che è difficile accettare della diagnosi generale di Gelli è che la crisi della sinistra, di cui tanti parlano, derivi dall'espansione delle logge massoniche di cui parla il Venerabile. A Firenze enumera 520 logge a Palazzo Vecchio e 500 a Palazzo Vitelleschi e si lamenta per le "discriminazioni" che, a suo avviso, ci sono in alcune regioni come Marche e Toscana. Poi aggiunge che ormai (finito il Pci) non ci sarebbe più la sinistra: ma qui cade in contraddizione perché se la giunta fiorentina di Dominici non gli pare più di sinistra ma poi gli pare in crisi….

Tra Veltroni e D'Alema non vede differenze e preferisce, nettamente, la moglie di quest'ultimo che è una nota archivista alla quale si è rivolto per depositare le carte innocue di carattere storico che aveva nella sua villa.

È ormai in pista e, a proposito della P2, afferma senza esitazioni: "La P2? La rifarei tranquillamente…" E ribadisce: "Meglio burattinaio che burattino."

Il cerchio sembra ormai chiudersi, dopo vent'anni di turbolente vicende, ritornare alla casella iniziale.

Ma è possibile che gli italiani non se ne accorgano? Che sia giunta a questo punto di declino la nostra democrazia?


16 dicembre 2008     
 
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« Risposta #40 inserito:: Dicembre 30, 2008, 05:17:44 pm »

Gerardo D’Ambrosio: «La corruzione ci impoverisce può salvarci l’indignazione»

di Claudia Fusani


Italia, ritrova la capacità di indignarsi. Di riscoprire il merito e di dire basta alle scorciatoie. È il grido-appello del senatore Gerardo D’Ambrosio (Pd), capo del pool di Milano ai tempi di Mani Pulite. Questa intervista inizia un viaggio tra alcune voci significative del Paese nel tentativo di mettere a nudo l’Italia paese dei favori.

Senatore D’Ambrosio, la corruzione è tornata o non è mai andata via rispetto agli anni Novanta?
«C’è stato un attimo di pausa quando i burocrati hanno avuto paura delle inchieste della magistratura. Era il 1992, avevamo arrestato Mario Chiesa. La pausa è durata un paio d’anni, circa...».

Poi cosa è successo?
«È cominciata l’opera di delegittimazione molto violenta contro la magistratura. E piano piano il sistema della corruzione ha ripreso a funzionare. E non si è più fermato».

Quando dice burocrati cosa intende?
«I tecnici, quelli che lavorano negli uffici pubblici, degli enti locali, dei ministeri. Sono loro che preparano i contratti, i bandi delle gare d’appalto e poi mandano alla firma dell’assessore o del ministro di turno. I politici da soli non si possono corrompere. È il burocrate che decide, spesso, a chi dare l’appalto, senza la sua complicità è più difficile corrompersi».

Che differenza tra la stagione di Mani Pulite e oggi?
«Allora era un sistema: ogni appalto doveva rendere ed essere funzionale al finanziamento dei partiti».

Oggi?
«Oggi la corruzione è meno un sistema ma è altrettanto un principio. E i politici si corrompono per molto meno. I ruoli sembrano invertiti: la prima mossa è degli imprenditori che si rivolgono ai burocrati che poi fanno da intermediari con i politici. I soldi non vanno più al partito come struttura ma al singolo per la campagna elettorale che poi a sua volta può ricambiare il favore in vari modi: la consulenza e l’incarico al professionista, il posto di lavoro, una gara d’appalto costruita su misura affidata con ribassi pazzeschi recuperati poi con le varianti in corso d’opera, qualche finanziamento. I vantaggi che può dare chi è al potere sono enormi».

L’Italia dei favori, appunto. Di recente il Parlamento ha approvato, con i voti della maggioranza, la norma per cui saranno dati a trattativa privata gli appalti fino a 500 mila euro, circa il34% dei cantieri aperti nel paese.
«È la fine della trasparenza. In questo modo gli appalti diventano ufficialmente e legalmente merce di scambio tra il politico e il privato».

Secondo l’ultimo Rapporto del Commissario Anticorruzione, abolito dal governo Berlusconi, le denunce diminuiscono mentre avanza il sommerso. Perchè?
«La corruzione è un reato che giova a tutte e due le parti. È sbagliato aspettarsi denunce. Ai tempi di Mani pulite noi non abbiamo avuto denunce. Ci aiutò il nuovo codice che prevedeva la possibilità di indagare una persona senza informarla».

Promettere incarichi in cambio di un appalto, trattare direttamente con il privato il destino di un’area diventata abitabile, tutto questo è corruzione?
«È una corruzione di tipo diverso. Non si danno i soldi ma si scambiano favori reciproci. È il sistema delle raccomandazioni. Ricordiamoci che la raccomandazione toglie la prevalenza del merito e rovina la competitività sana. Come il sistema delle tangenti ha rovinato il sistema delle imprese, adesso si rovinano quelli che hanno il merito. Così il paese può solo regredire».

Pdl e Lega avrebbero trovato l’accordo sulle intercettazioni limitandole ai reati più gravi ed escludendo quelli contro la pubblica amministrazione. Senza questo strumento la magistratura può combattere la corruzione?
«Senza le intercettazioni Mario Chiesa avrebbe patteggiato e sarebbe finita lì. Le intercettazioni restano il miglior strumento di indagine. Ma non l’unico. Guai adagiarsi sulle trascrizioni dei brogliacci. Ma senza non abbiamo speranza».

Si può parlare, in Italia, di atteggiamento culturale che propende verso la corruzione?
«La corruzione affligge da sempre tutte le società. Il punto è perché uno sceglie di fare il politico: per potere o per servizio? Spesso,molto vicino ame, sento parlare di lettere di scuse perché “nonostante l’interessamento non è stato possibile soddisfare il trasferimento”. Capisce? La raccomandazione è una scorciatoia, gli italiani sono abituati a questo, chiedono e vogliono favori, è normale e perdono di vista il merito».

Senatore, da dove ricominciare?
«Dalla capacità di indignarsi di nuovo. E dal diritto ad avere risposte e certezze. Bisogna rimettere al primo posto il merito, il servizio. Non può essere messo alla berlina chi persegue la corruzione. Non possono stare in Parlamento i condannati. Non si può aspettare otto anni per una sentenza definitiva o consentire che ci si possa difendere “dal” processo cambiando le regole del gioco, le leggi, in corso d’opera».



29 dicembre 2008
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« Risposta #41 inserito:: Dicembre 30, 2008, 05:30:39 pm »

Appalti Napoli, Romeo al pm: «Sì ho finanziato la Margherita»
 
 
ROMA (30 dicembre) - Alfredo Romeo ammette di aver finanziato la Margherita. Poi alla domanda del pm se siano stati elargiti contributi in nero risponde: «pubblici non li ricordo». Sono alcuni passaggi dell'interrogatorio dell'imprenditore avvenuto il 18 dicembre nel carcere di Poggioreale, il giorno dopo l'arresto per l'inchiesta sugli appalti a Napoli  che ha fatto traballare l'amministrazione di osa Russo Iervolino.

Romeo poi spiega che quando al governo c'era il centrosinistra Fioroni lo ha incontrato, ma solo per «chiacchiere di corridoio». L'imprenditore afferma quindi che gli incarichi dal Comune di Napoli d'abitudine li «rifiutava». Anche perché era creditore di circa 20 milioni di euro.

Ecco alcuni passaggi dell'interrogatorio di Romeo. Le domande sulla questione dei finanziamenti politici vengono rivolte a Romeo dal pm Vincenzo D'Onofrio.

Pm: ha mai contribuito a finanziare il partito della Margherita?
Romeo: Io credo di sì
Pm: I singoli candidati o il partito?
Romeo: In trasparenza, credo, ma non...
Pm: Nessun complesso?
Romeo: Non mi ricordo esattamente quanto e come...
Pm: Ma cifre di quale portata?
Romeo: Non...
Pm: Non ha idea? ...Si può contribuire anche in nero Romeo: Pubblici non me li ricordo
Pm: Voglio capire: da migliaia di euro o da centinaia di migliaia di euro?
Romeo: No, non arriviamo a queste...
Pm: Migliaia di euro ci possiamo fermare?
Romeo: Sì
Pm: Il singolo candidato o nel complesso il partito?
Romeo: Il partito Pm: C'è una telefonata in cui lei si accheta con il fatto che Francesco Rutelli le avrebbe consegnato di suo pugno un invito al congresso. E proprio per questa propria consegna personale lei non poteva mancare. Ecco, ha ammannito, ha millantato? Si è reso anche lei conto di quella costruzione in cui uno si autoaccredita e non...
Romeo: È possibile, sì...

In un altro passaggio dell'interrogatorio, Romeo alla domanda del pm sull'eventuale esistenza e sul tipo di rapporti con Rutelli risponde: «No, no! personali, diretti, nessuno!».

Sempre nell'ambito dello stesso verbale, l'imprenditore a proposito della sua presunta «sponsorizzazione» a favore dell'ex assessore Giorgio Nugnes (suicidatosi nei giorni scorsi) presso il parlamentare Renzo Lusetti, spiega: «Perché Lusetti era in qualche modo l'uomo di Rutelli, la persona più vicina a Rutelli». Ha mai avuto modo di sospettare che Lusetti millantasse, gli domanda il pm. E Romeo: «Sempre!». Il pm. «Cioè che era un fanfarone?». Romeo: «Sempre!».
 
da ilmessaggero.it
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« Risposta #42 inserito:: Dicembre 30, 2008, 05:51:32 pm »

Achille Serra. - «I corrotti sono tornati in sella. Se poi Mangano è un eroe... »

di Claudia Fusani


C’era un ufficio in Italia che si occupava di corruzione. Non quella che è già reato e affare della magistratura. Si occupava del fenomeno, delle cause e delle conseguenze, un monitoraggio continuo. «Lo aveva voluto Berlusconi nel 2005 - racconta il prefetto Achille Serra che ne è stato l’Alto Commissario prima di diventare senatore del Pd - ma proprio Berlusconi lo ha chiuso a giugno, è stato uno dei primi atti del governo. Ha dato le competenze al ministro Brunetta».

Forse perché le denunce diminuiscono?
«In Italia la corruzione ha radici profonde che toccano un po’ tutti i settori della vita civile. Mani Pulite è stata una parentesi che ha fatto saltare le regole del gioco, il vecchio sistema. Poi corrotti e corruttori si sono riorganizzati in fretta. Le denunce possono raccontare poco di questo fenomeno. L’Ocse, invece, l’Organizzazione mondiale per lo sviluppo economico, mette l’Italia al 41° posto della classifica dell’indice della percezione del malaffare (Corrupt percept index) che serve a misurare la corruzione nel settore pubblico e nella politica. Dividiamo la posizione con la Repubblica Ceka. Dopo di noi ci sono solo Malesia, Corea del Sud e Sudafrica. La Banca Mondiale fa peggio e ci spinge fino alla 70° posizione. La verità è che c’è un calo di tensione dovuto anche alla difficoltà di sanzionare e punire i funzionari corrotti».

Lei è stato Alto Commissario dal settembre 2007 al febbraio 2008. Una fotografia del fenomeno?
«Con Pier Camillo Davigo, ex del pool di Mani Pulite ora in Cassazione, abbiamo presentato la prima mappa della corruzione in Italia. Una fotografia sconcertante».

Ad esempio?
«Il ministro alla Sanità Livia Turco ci dette l’incarico di indagare sul fenomeno della malasanità in Calabria».

Il nesso tra malasanità e corruzione?
«Dopo mesi di audizioni io e il prefetto Silvana Riccio abbiamo scritto una relazione su come funzionava la sanità in Calabria. Qualche numero: su 39 ospedali 36 sono risultati irregolari; su 63 strutture sanitarie, ambulatori, case di cura convenzionate, guardie mediche, 38 sono irregolari. Eppure la Regione Calabria investe in Sanità l’8,77 del pil, il doppio rispetto alla Lombardia. La malasanità è cattiva gestione ma anche corruzione nel momento in cui i direttori generali delle Asl vengono scelti non sulla base di requisiti di professionalità ma di altro genere. La sanità non funziona perchè arrivano tanti soldi e vengono spesi male e anche questo è conseguenza della corruzione. Nel nostro viaggio-indagine in Calabria abbiamo visto cose incredibili: a Melito Porto Salvo c’erano pazienti in dialisi su letti arrugginiti e accanto a pareti piene di umido; secchi sudici accanto alle garze sterili».

Dopo la vostra relazione è cambiato qualcosa?
«Io ho lasciato per candidarmi alle politiche, poi l’ufficio è stato, nei fatti, chiuso. Non credo sia cambiato qualcosa».

Il prefetto Riccio racconta di mail di disperazione che arrivano dalla Calabria. Di persone e comitati che credono in un cambiamento che non arriva.
«Abbiamo trovato tanta omertà ma anche tanta speranza. Specie i genitori di ragazzi morti per incuria, egoismo e miopia. Perchè non è mai arrivata un’ambulanza».

Quindi lei non è rimasto stupito per le inchieste di Firenze, Napoli, Potenza, Pescara?
«Invece mi colpisce molto dover parlare di questione morale all’interno del Pd. Ma preferisco essere cauto perchè ho visto provvedimenti gravi presi con troppa facilità da parte della magistratura».

Raccomandazioni e scorciatoie, anche questa è corruzione. Dalle intercettazioni sembra quasi che i politici, per lo più di sinistra, se lo siano dimenticato. Perché il paese non riesce più a distinguere cosa è lecito e opportuno anche se forse non ancora illegale?
«Senza cadere in generalizzazioni, stiamo diventando, in parte lo siamo già, un paese individualista e qualunquista. Colpa dello stato che non c’è abbastanza. Colpa nostra che non riusciamo più a indignarci quando sentiamo un parlamentare dire che un mafioso come Mangano, morto all’ergastolo per mafia, è un eroe. Colpa della classe politica che dovrebbe stare meno nei palazzi e andare più tra le persone, a cercare di coinvolgerle sulla questione morale».

Contro la corruzione senza lo strumento-intercettazioni. È possibile?
«No. E lo dico da ex poliziotto. La soluzione, tra l’abuso di pubblicazioone - che esiste - e la salvaguardia di questo strumento di indagine straordinario, è una sola: pubblicare solo le telefonate attinenti il reato. Le altre non possono neppure essere trascritte sui famigerati brogliacci».

cfusani@unita.it

30 dicembre 2008
 
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« Risposta #43 inserito:: Gennaio 04, 2009, 10:31:13 am »

«È la corruzione dilagante il problema, non i magistrati»

di Massimo Solani


«L’attacco alla magistratura è il segno dell’incultura giuridica italiana. Da qui muove l’uso strumentale della politica per la tutela dei propri interessi». Guido Calvi, avvocato penalista ed ex parlamentare dell’Ulivo, è deluso e scoraggiato dal teatrino di accuse e polemiche montato nelle ultime settimane attorno all’operato delle procure di Pescara e Potenza. «Le reazioni che ci sono state - spiega - indicano debolezza di analisi nei confronti dei fenomeni di carattere giudiziario. Ma occorre fare alcune distinzioni per capire bene».
Distinguiamo allora...
«Un conto sono gli eventuali errori che può compiere un singolo magistrato, un conto è la magistratura nel suo complesso. E ancora: la critica contro i provvedimenti della magistratura è assolutamente legittima e doverosa. Ma una cosa è la critica dei provvedimenti, altro quella nei confronti della magistratura che spesso sconfina nell’insulto. La prima è doverosa, il secondo è sintomo di grave incultura democratica».

Eppure intorno alle ultime inchieste che hanno coinvolto esponenti dei partiti, la politica si è scatenata.
«Quelle vicende processuali hanno evidenziato alcune debolezze del sistema, soprattutto in tema di uso della custodia cautelare. A Pescara, a mio avviso, c’è stata scarsa prudenza mentre a Potenza si è trattato di un abuso, e non è la prima volta che accade in quel tribunale. Segno allora che c’è un problema di controllo: se questi eccessi tendono a ripetersi come anche la diffusione illegittima di intercettazioni telefoniche significa che ci sono magistrati che commettono errori ed una carenza di controllo. Ma non si può attribuire la colpa alla magistratura di un problema che è tutto politico».

In che senso?
«Negli ultimi anni la politica ha scelto la strada del disinteresse e del silenzio. Oppure del compiacimento. In ogni caso si trattava di condotte politiche assoggettate all’operato della magistratura».

È in questo modo che la tutela della “questione morale” è stata affidata interamente alle inchieste penali?
«La magistratura fa il suo dovere, in modo pieno. È la politica che non esercita più i suoi poteri non rispettando quindi i suoi doveri. Questo è un paese in cui la corruzione dilaga, e quali iniziative politiche sono state prese per combattere il fenomeno? Di fronte a questi fenomeni, che risposte ha dato il potere legislativo? È in questo senso che il problema è tutto politico: la politica del diritto è stata sempre delegata alla magistratura fin quando il suo operato andava bene. Quando invece non andava più bene si è passati all’insulto in un clima di totale assenza di iniziative idonee a colpire il problema della corruzione. Faccio l’esempio delle intercettazioni, che sono uno strumento fondamentale per combattere i crimini contro la pubblica amministrazione: da decenni si discute sulla necessità di regolamentare la materia impedendo, con una legge equilibrata, la diffusione illegittima delle conversazioni intercettate. Eppure non si è mai davvero fatto niente di concreto, e allora non c’è nemmeno da meravigliarsi se Berlusconi pretende di vietarle. A questo punto il problema non sono gli eventuali abusi di magistratura e stampa, quanto piuttosto l’inerzia del Parlamento».

Non crede che il dibattito sulla riforma dell’ordinamento abbia avvelenato ancora di più il clima?
«La profonda incultura italiana ha determinato l’incapacità di affrontare i temi di politica del diritto. E in questa fase prevalgono le pulsioni più interessate, non certo le iniziative volte alla tutela dei cittadini. Ma se da una parte il centrodestra ha cavalcato l’onda a colpi di leggi ad personam, dall’altra il centrosinistra non è stato in grado di condurre iniziative serie».

msolani@unita.it

03 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #44 inserito:: Gennaio 07, 2009, 04:37:50 pm »

Piero Grasso: «Mafia e politica, la logica è la stessa»

di Claudia Fusani


Contro la corruzione, prima che dilaghi in ogni settore della vita pubblica e privata, serve una rivolta morale, «ogni individuo si deve sentire eticamente coinvolto per la sua parte, che sia pubblica o privata». Intanto l'Italia dovrebbe «ratificare il prima possibile la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione», una firma attesa dal 1997. E, contestualmente, «provvedere a punire anche la corruzione tra privati, come già avviene in Europa, non solo tra soggetti pubblici come avviene finora».

Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso non è sorpreso per la fotografia che sta emergendo dalle inchieste che hanno coinvolto le giunte di Napoli, di Pescara, di Firenze e gli amministratori locali di Potenza. “L'Italia dei favori”, per chi si occupa di mafia, è pane quotidiano. «Spesso, direi sempre, nelle indagini di mafia abbiamo trovato un sistema clientelare basato sulle intermediazioni, tu hai bisogno-io ti prometto-tu mi dai in cambio qualcosa. La moneta di scambio più usata è il voto ma l'intermediazione può riguardare molte altre cose, dagli appalti al posto di lavoro, dalla nomina e all'incarico».

Le ultime inchieste, pur non avendo a che fare con la mafia, ci raccontano un sistema antico e conosciuto?
«Purtroppo è il legame di sempre tra chi ha il potere e lo gestisce e chi ha bisogno di qualcosa. È un meccanismo che dal sistema mafioso si è esteso, come metodo, nella sfera politica. C'è un parallelismo tra sistema mafioso e sistema politico e riguarda il metodo clientelare. Prendiamo i concorsi pubblici: oggi non c'è un candidato a un concorso pubblico convinto di poter avere il posto o l'incarico, che magari si merita, senza dover prima ricercare una spinta. Giuseppe Guttadauro, stimato medico e boss di Brancaccio, pluricondannato, decideva nel salotto di casa sua quale medico dovesse ricoprire un determinato incarico in un certo ospedale. Lo stesso fa il politico».

La politica, come la mafia, cerca di conquistare il consenso sulla base di un sistema di favori?
«È così. Oggi l'imprenditore stimato, il politico influente fanno parte di una rete di amicizie strumentali a cui si cerca di connettersi in mancanza di altre reti basate su valori come onesta, affidabilità, merito, professionalità. Tutto si risolve nella microfisica dei rapporti interpersonali. È lì che si prendono decisioni, si fanno affari, si veicolano capitali, si utilizzano conoscenze. Questo insieme reticolare ha una vischiosità e una forza di inerzia per cui chi non è dentro si ritrova esposto alla perdita di benefici. La scelta è restare fuori, da tutto, o entrare nel club. Questo sistema, allargandosi a macchia d'olio, ha creato la convinzione che le pratiche clientelari producano occupazione. Ormai è una regola di comportamento a cui tutti si attengono. Gli animali occupano il territorio. Mafia e politica adottano la stessa logica: occupare il territorio in vista del consenso».

Procuratore, analisi gravissima.
«È quanto ci raccontano le indagini. Il problema è che tutto questo è diventato normale, una prassi, come se andasse bene a tutti. Ricordo il caso di Vincenzo Lo Giudice (deputato della regione Sicilia e dal 2001 al 2004 deputato dell'Udc, condannato nel febbraio 2008 in primo grado per associazione mafiosa, corruzione, turbativa d'asta ndr), portatore di ben 40 mila voti e per questo conteso prima a destra e poi a sinistra. Allora dissi che finché la politica resta cieca di fronte a questi casi, sarà difficile uscire da ambiguità e collusioni. Mi fu risposto che quei voti sarebbero andati comunque a qualcuno. Tanto valeva portarseli a casa».

È stato pesato il fatturato della mafia. Quanto vale la corruzione nel bilancio di clan e famiglie?
«La prassi è che la famiglia mafiosa incassi una tangente del 2-3% del valore dell'opera costruita sul territorio del clan. Più in generale è stato calcolato che il 10 per cento del denaro pubblico prenda altre vie. Una seria lotta alla corruzione farebbe risparmiare questi soldi per destinarli a famiglie, scuola, lavoro, alla stessa giustizia».

Secondo un'indagine del Cnel la maggiore difficoltà per le imprese del nord che vogliono investire al sud non è la mafia ma "l'inefficienza della pubblica amministrazione".
«Un risultato che fa ancora più rabbia. Significa che quello della mafia è una specie di costo fisso, lo puoi preventivare nel budget. I ritardi, il rialzo dei costi e tutta quella burocrazia su cui poi prospera la corruzione, no. Quando penso a questa indagine mi viene in mente Vito Ciancimino, il sindaco del sacco di Palermo, che disse che i magistrati erano dei pazzi perché volevano distruggere il sistema della tangente fissa che a suo modo aveva un ordine ed era una garanzia».

Quanto può essere utile ai clan una classe politica e, per riflesso, una società che vivono più sui favori che sul merito?
«Il sistema dei favori e delle clientele può far proliferare e prosperare il sistema mafioso. Sono sistemi modulari, possono funzionare entrambi in modo autonomo e convivere seppur separatamente. Oppure ci possono essere reciproche interferenze. Dipende dal territori».

Perché sono fondamentali le intercettazioni per combattere i reati contro la pubblica amministrazione e poi, come s'è visto, arrivare al crimine organizzato?
«Oggi, in mancanza di testimoni e di documentazioni, le intercettazioni sono uno strumento necessario per portare prove granitiche in aula. Per un reato come la corruzione che richiede un accordo tra corruttore e corrotto - io lo chiamo sinallagma - per cui entrambi non hanno interesse a denunciare per proteggersi e non indebolirsi, le intercettazioni sono fondamentali».

Certe prassi come il favore e la clientela non sempre sono reato. Cosa serve per combattere certe storture del sistema?
«Mancano i controlli sulla discrezionalità e sulla legalità degli atti della pubblica amministrazione. Una volta c'erano i Comitati regionali di controllo (Coreco) e i segretari comunali di nomina statale garantivano la legalità. Oggi i Coreco non ci sono più e i segretari sono di nomina politica».

Il Parlamento, a maggioranza, ha approvato la norma per cui gli appalti fino a 500 mila euro saranno dati a trattativa privata, il 30% dei cantieri aperti oggi in Italia affidati sulla base delle conoscenze personali di sindaci, assessori.
«Non vorrei sembrare cinico, ma il vero problema oggi non è la trattativa privata o l'asta pubblica. Il problema è l'onestà e l'etica di chi affida i lavori: se lo fanno a prezzo giusto, nei tempi prestabiliti, ne guadagniamo tutti».

Procuratore, è stato convocato dalla Commissione antimafia sull'emergenza legata ai legami tra politica e crimine organizzato?
«Non ancora».


06 gennaio 2009
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