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Autore Discussione: Ivan Cavicchi Se il diritto alla salute dipende dal reddito  (Letto 2200 volte)
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« inserito:: Dicembre 07, 2012, 03:43:48 pm »

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Se il diritto alla salute dipende dal reddito

di Ivan Cavicchi | 6 dicembre 2012


Qualche giorno fa “Quotidiano Sanità”, il più importante giornale online del settore, ha ospitato un confronto di idee tra il sottoscritto e un economista della sanità, sul tema dell’insostenibilità del sistema sanitario di cui ha parlato il presidente Monti, facendo allusione alla possibilità di ricorrere a forme di finanziamenti integrativi cioè ad un “sistema multipilastro”, fatto da un po’ di pubblico, fondi assicurativi, e mutualità. Che sono tutte forme di assistenza che il cittadino dovrebbe pagare… quindi che dipenderebbero dal suo reddito. Queste proposte segnerebbero il superamento del sistema sanitario pubblico solidale e universale per cui sono proposte di grande delicatezza sociale ed etica. Per questa ragione ho pensato di fare un riassunto schematico della discussione intanto per socializzarla poi per allargarla.

Le posizioni in campo sono sostanzialmente due e probabilmente saranno quelle che nei prossimi anni si contenderanno il destino della sanità:

(A) propone per ragioni di sostenibilità un cambio del sistema   

(B) propone  per ragioni di sostenibilità un cambio nel sistema

(A) ragiona sul rapporto squilibrato tra limiti finanziari e costi, che  propone di risolvere  ricorrendo a delle priorità, a dei finanziamenti aggiuntivi  e sostituendo parti del sistema con delle mutue.

(B) ragiona sulle possibilità legate ad un abbassamento dei costi strutturali del sistema attraverso un suo cambiamento interno.

(A) è convinto che “dare tutto a tutti”, cioè l’universalismo, costi, lasciando intendere che il “tutto” sia un valore assoluto che coincide con l’offerta storica di sanità, e non sembra credere alla possibilità che  questo “tutto” si possa alleggerire dalle spese improprie, dalla corruzione, dagli anacronismi o abbassando il numero delle malattie.

(B) è convinto che i sistemi pubblici che danno “tutto” (Lea, Livelli essenziali di assistenza) a tutti in senso macroeconomico costano molto meno di quelli privatistici e sono più equi, (basta vedere gli Usa) ma pensa che questo “tutto” debba essere ricalibrato, per esempio ricalibrando i rapporti tra i vari sottosistemi sanitari e le varie aree di tutela, ed è convinto che il “tutto” si possa alleggerire eliminando tanta inutile zavorra.

(A) è convinto che per “dare di più” bisogna pagare più tasse e pensa che i cittadini debbano decidere democraticamente, ma nello stesso tempo non sembra contrario se il governo prende delle decisioni sul cambio del sistema.

(B) è convinto che non si tratta di “dare di più o di meno” ma ciò che è opportuno dare, cioè è inutile dare più di quello che in modo qualificato serve… poi crede che i cittadini abbiano già scelto di avere una sanità pubblica semmai il problema che si pone è di consultarli preventivamente magari con un referendum prima di cambiare sistema.

(A) è convinto che gli economisti possono sbagliare ma che l’economia come scienza resta un sapere fondamentale.

(B) anche crede che l’economia sia una scienza importante ma è convinto che se sarà solo l’economia a ispirare la politica sanitaria non si farà altro che un cambio “del” sistema mentre per fare un cambio “nel” sistema  l’economia deve fare spazio ad altre conoscenze, ad altre logiche e financo ad altre razionalità… ma soprattutto alle tantissime esperienze di cambiamento che già sono presenti nel sistema.

(A) ritiene che non si capisce che cosa propone B… e  che il cambiamento di cui parla è generico e astratto… quindi B se vuole essere credibile farebbe bene a spiegare la sua proposta.

(B) pensa che nel sistema sanitario vi siano molte idee, esperienze, riorganizzazioni in corso e che le principali categorie professionali abbiano progetti di cambiamento di grande interesse.

(B) però sa che questo grande patrimonio non è coordinato né da un pensiero strategico, meno che mai da un soggetto istituzionale capofila… e per giunta è spesso avvelenato da conflitti, corporativismi interni.

(B) pensa che si debba scrivere  una “riforma pubblica” che metta insieme e coordini l’immenso patrimonio che c’è nella sanità pubblica… e che sia ispirata da cinque “r” :
“riconsiderare” il sistema di finanziamento e di governement,
“rinnovare” il sistema dei servizi,
“ricontestualizzare” i modelli culturali della tutela,
“ripensare” le professioni in campo,
“restituire” al cittadino un ruolo di produttore responsabile di salute.

(B) non nega il problema dei costi di cui parla A ma pensa che i costi possono essere riformati riformando con queste cinque “r” il sistema che li genera andando, quindi, ben oltre le logiche marginaliste di questi anni volute dagli economisti.

(B) è convinto che con queste cinque “r” sia possibile riformare i costi della sanità quindi di liberare la spesa sanitaria dal peso schiacciante dell’antieconomicità per avere un sistema sanitario nuovo, efficace, leggero e poco costoso ma che continui ad essere pubblico, solidale e universale.

A questo punto allarghiamo la discussione? Voi cosa ne pensate?

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/06/se-diritto-alla-salute-dipende-dal-reddito/437324/
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