LA-U dell'OLIVO
Novembre 24, 2024, 03:39:07 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Marco Del Corona. - Intervista Mo Yan. "La mia cina sbagliata".  (Letto 2574 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Novembre 23, 2012, 05:09:53 pm »

11/10/2012

"La mia cina sbagliata". Intervista Mo Yan

Scritto da: Marco Del Corona alle 14:38 del 11/10/2012


Nel 2009 ho incontrato Mo Yan, a cui oggi è stato assegnato il Nobel per la Letteratura, in una sala da tè vicino al tempio di Confucio, a Pechino. Ecco quell'intervista, che uscì il 29 maggio

A cercare bene, il visconte dimezzato magari sta nelle campagne dello Shandong. Il barone rampante, persino. Sarebbe forse piaciuto a Italo Calvino questo invisibile ponte fra sé e un autore lontano, Mo Yan, cinese, avvitato sentimentalmente alla vita rurale che distende nelle proprie storie. «Mi è piaciuto: di Calvino mi attrae la vena surreale, il gusto della favola». Detto da uno dei maggiori autori in lingua mandarina viventi non è un omaggio gratuito all' Italia. Calvino rientra nella ristretta lista dei narratori che hanno guidato Mo Yan verso il mondo, «negli anni Ottanta, quando capii quanto conservatrice fosse la nostra letteratura». Più di tutti Gabriel García Márquez, e poi William Faulkner, Il Gattopardo e, appunto, Calvino. Che qualche eco deve averla lasciata anche nel nuovo Mo Yan, "Le sei reincarnazioni di Ximen Nao", da oggi in libreria per la traduzione di Patrizia Liberati (Einaudi, pp. 730, 26): l' avventura di un cinese attraverso il racconto degli animali nei quali s' è reincarnata la sua anima. C' è un pezzo di storia della Cina comunista, nelle metamorfosi del protagonista. E c' è pure il divertimento dell' autore, che cita se stesso, primo capitolo: «Mo Yan... I suoi racconti sono pieni di balle: mi raccomando, voi non prendetele per vere». Ma il punto di partenza della storia - racconta lui mentre spezza e divora semi di girasole e di zucca - nasce da un ricordo, «avevo 7 o 8 anni e rammento l'uomo con un neo bluastro in viso, il suo risciò di legno. Nell'era delle comuni lo disprezzavano, rappresentava l' arretratezza. Poi però, più avanti, ho apprezzato il suo coraggio, il voler stare da solo contro la società». Narrarne le vicende in chiave realistica non interessava Mo Yan, che quando ha visto affreschi buddhisti sulla reincarnazione ha capito da che parte prendere la storia: «Seguo due criteri. La sfida di creare un linguaggio o un punto di vista innovativo. E poi di fare un libro profondamente diverso dai precedenti». Delle sue origini rurali e povere, Mo Yan - nato Guan Moye nel 1955 - conserva il senso della scrittura come lavoro che ha a che fare con le mani: «Niente computer, dovrei cercare i caratteri uno a uno, mentre a mano seguo il fluire delle frasi. Poi ex allievi di quando insegnavo all' università mi battono il testo». Della campagna gli resta anche il senso delle stagioni, il tempo della semina e il tempo del riposo: «Sono capace di scrivere anche 12 o 15 ore di seguito, e magari non faccio niente per altri 12 o 15 giorni, ormai ci sono tante distrazioni». La letteratura non è un passatempo ma una cosa seria: «I lettori sono gente in età, i giovani hanno altro da fare. Magari comprano i libri di Han Han, Guo Jingming, Zhang Yueran, che più che altro a noi servono a capire come vivono e che cosa pensano le nuove generazioni». Chi scrive fa da sé. L'epoca delle scuole di scrittura è tramontata in Cina: «Negli anni Ottanta ce n' erano parecchie, io stesso ne ho frequentate due. Ma allora c' era un sacro fuoco per la letteratura, svanito con gli anni Novanta, tutti soldi e commerci. La letteratura è fatta per pochi. I premi letterari servono giusto per dare attenzione agli autori, eppure nessuno di noi crea pensando ai riconoscimenti. E il Nobel, beh, mi piacerebbe vincerlo, però non cambierei il mio modo di vivere». Ha un lato segreto, che non è apparso: «Scrivo poesie. Di nascosto, però. Dai lettori. Da tutti». Da Mo Yan stesso? «Scrivere versi è come cantare sotto la doccia. Un fatto intimo. Non so se pubblicherò mai le mie poesie». I libri di Mo Yan, invece, vanno per il mondo. Lui li segue. Ha girato un documentario di promozione per il turismo a Roma e nel Lazio, «qui a Pechino lo presenteremo in giugno», ed è un assaggio di una globalizzazione che investe tutto. «Camminavo per via del Corso, con tutti quei negozi, e mi sembrava di stare sulla Wangfujing», la storica strada commerciale della capitale cinese, «mentre uno scrittore dovrebbe perdersi fra i vicoli di Trastevere, entrare in certi bar misteriosi». E quando a Mo Yan si citano autori e autrici cinesi che lavorano all' estero (alcuni ancora in cinese, altri nella lingua dell' esilio), da Gao Xingjian, premio Nobel, a Ma Jian e Li Yiyun, lui afferma: «Sono un fenomeno che riguarda il mio Paese così come altre nazioni, visto che ci sono indiani, pakistani e russi che scrivono o hanno scritto all' estero». Quei cinesi «hanno le radici nella patria. La discriminante però è la lingua. Anche se non è necessario vivere in Cina, un vero romanzo cinese dev' essere in cinese». I nomi che varcano i confini del suo Paese sono un pugno. Acheng: «Aveva un linguaggio unico, credo intraducibile. Non scrive più da tanto, peccato, ma magari sta preparando il libro che ci sorprenderà». Su Tong: «Conosce perfettamente la psicologia femminile. Non so come faccia, tanto più che tratta di donne del passato. Un mistero». Yu Hua: «È bravissimo nel descrivere i bambini. Con un umorismo tutto suo». Diversi suoi libri sono diventati film, «ma solo di Sorgo rosso, girato da Zhang Yimou, sono contento». Zhang, fra cerimonie olimpiche e preparativi per la parata del prossimo 1° ottobre (sessant' anni della Repubblica popolare), ha preso una traiettoria vertiginosa: «La sua tecnica cinematografica è sempre più matura, gira scene sempre più grandiose, i soldi sono sempre di più ma il pensiero sempre di meno». Al cinema Mo Yan cerca «i filmoni di Hollywood, Il gladiatore o Troy, vedo in immagini ciò che leggo nei vostri classici». Ma la realtà prevale, «il mio ultimo libro è quasi finito, la vera storia di una dottoressa nelle campagne». Si va a sbattere su una delle preoccupazioni maggiori per Mo Yan. Non la libertà
d'espressione, per lo meno parlandone da scrittore iscritto al Partito ma sostanzialmente apolitico: «La censura si può aggirare. Mi allarma piuttosto la crescita della popolazione, visto che nelle campagne e nelle città il limite del figlio unico è di fatto caduto. E poi la corruzione: non riguarda solo i funzionari, ormai i semplici cittadini cercano il guadagno con ogni mezzo». La sua dottoressa di campagna protagonista del nuovo romanzo è calata nelle contraddizioni. «Ragionando secondo lo Stato, la pianificazione delle nascite è corretta. Dal punto di vista delle donne è sbagliata. I contadini sono tradizionalisti: la pianificazione delle nascite non si poteva applicare in modo moderato, servivano le maniere forti. La mia protagonista, come dottoressa, non sa trovare una sua posizione. E come scrittore, neanche io».

da - http://leviedellasia.corriere.it/2012/10/la_mia_cina_sbagliata_intervis.html
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!