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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 16, 2007, 10:38:59 am » |
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ECONOMIA
Intervista al presidente di Confindustria: "Pieni di energie positive, ci sono gli italiani ma non c'è più l'Italia"
"Sbagliato non confrontarsi con le critiche, se non sono immotivate"
Montezemolo: "Un paese fai da te ma la sfida al declino non è persa"
di ALBERTO STATERA
Scomparso Pavarotti all'Italia restano davvero, come congettura il New York Times, soltanto pizza e spaghetti galleggianti nella "mucillagine sociale", secondo la definizione di Giuseppe De Rita? "No, resta un paese pieno di energie positive e di eccellenze, ma è difficilmente contestabile l'immagine di un "Paese fai da te", un paese dove ci sono gli italiani, ma non c'è più l'Italia": Luca Montezemolo in gioventù ha studiato alla Columbia, si beava del liberal New York Time e la sua gioia domenicale era quel chilo di carta del Sunday Times. Oggi, da presidente della Confindustria, deve pur dire per contratto che magari "ci sono reazioni un po' eccessive a un articolo seppur importante. Ma sarebbe un errore non confrontarsi con critiche non immotivate".
Allora confrontiamoci, presidente Montezemolo: cos'è questo malessere collettivo, questa incapacità di volerci bene in economia, in politica, nel sociale, che fa dire che l'Italia finirà come la repubblica di Venezia, diventata "un cadavere calpestato da milioni di turisti"? "Spiace doverlo dire, ma in fondo l'analisi del New York Times riassume ciò che noi andiamo dicendo da anni. Il paese è fermo e anzi ha cominciato ad andare indietro. E' come se con l'ingresso nell'euro avessimo vinto un Gran Premio e poi la macchina si fosse inchiodata lì: la crescita, la produttività, l'assenteismo, la spesa pubblica, il debito, la criminalità, la giustizia, il divario tra ricchi e poveri sono temi reali e sono i nostri temi. Non autorizzano a cadere in eccessive semplificazioni, come quando lo Spiegel titolò in copertina "Spaghetti in salsa cilena", ma neanche a liquidare il tutto come critiche immotivate".
Perché la macchina si è rotta? "Perché questo paese fatica a mettere al centro il bene comune, è fatto di troppi "particulari", è poco "sistema", è fatto di un 20% di sommerso, ciò che produce evasione fiscale, che è un furto, e incidenti sul lavoro. E' un paese che non mette al centro l'educazione, la scuola, l'università, in una parola i giovani e quindi il proprio futuro. Qui chi nasce povero rischia quasi sempre di morire povero. Il paese è diviso tra chi produce, lavora e rema e chi sta seduto a poppa".
Come è potuto accadere? "Dall'ingresso nell'euro l'Italia o non è più governata, nel senso che non si è più ritrovata intorno a grandi sfide comuni. É stato gestito male il suo "core business": il funzionamento dello Stato, la scuola, i servizi, le infrastrutture. La politica parla in televisione in modo oscuro, soprattutto ai giovani, senza rispondere nel merito alle questioni fondamentali delle famiglie italiane. La politica e i suoi leader non riescono a identificare obiettivi condivisi".
Ma il paese è effettivamente migliore della sua classe dirigente? "Va ripristinato il senso della comunità, bisogna rimettere in fila diritti e doveri, uno Stato che sia di guida, che eserciti la sua autorità, che dia valore reale a regole e leggi, che garantisca la certezza delle pene. Che vuole che pensi un americano che viene in Italia e, a parte i blocchi dei tassisti e dei camionisti, i trasporti che non funzionano, vede una nazione che ha le stesse infrastrutture di vent'anni fa, una burocrazia meno efficiente di vent'anni fa, una macchina dello Stato complicata e costosa con duplicazioni tra Camera e Senato, tra centro e periferia?".
Lei, presidente Montezemolo, riesce a mettere insieme povertà, riscatto sociale, salari, da una parte, e produttività dall'altra? "Guardi, è proprio questo che bisogna capire: il Pil pro capite italiano è calato rispetto alla media dell'area euro da 105 nel 1988 a 94 nel 2007. Se avessimo avuto la stessa crescita dei partner europei ogni lavoratore oggi potrebbe avere 3.400 euro in più in busta paga".
Ci sta dicendo che lo sviluppo non è questione di destra o di sinistra, ma di scelte giuste o sbagliate ? "La politica deve coinvolgere i cittadini, sui fatti non sulle ideologie. La distinzione destra-sinistra è vecchia, è finita, persistendo non consente lo shock di cui il paese ha urgente bisogno. Reagan era considerato di destra, ma parlava alla gente. Clinton prima di candidarsi alla presidenza non lo conosceva nessuno. Sarkozy è figlio di un immigrato. La smettano di occuparsi dei presidenti delle banche, ma rivalutino i principi forti: lo Stato, l'ordine, il mercato, la concorrenza, il rispetto l'educazione, insomma il bene comune".
Tutta colpa dei politici o anche del nostro capitalismo un po' alle vongole? "C'è una differenza clamorosa tra il paese che produce e le ovattate stanze del capitalismo finanziario, di quei templi che devono aprire le finestre e far entrare aria fresca".
Anche quelli calcati per lustri dall'avvocato Agnelli? "Anche quei tempi sono cambiati, è inesorabile e auspicabile l'apertura di situazioni chiuse per creare una nuova borghesia e un nuovo capitalismo".
Lei sembra echeggiare De Rita, quando parla degli industriali come di una minoranza forte contro una maggioranza vischiosa, aggiungendo però che la minoranza forte non è "trainante". "Le imprese e chi ci lavora stanno rispondendo alle sfide: l'export è salito nella prima parte del 2007 dell'11,5%, contro il 10,5 della Germania. La quota italiana sull'export mondiale sale per la prima volta dal 2001. La bilancia tecnologica è in attivo per la prima volta dal 1981, abbiamo creato 2,8 milioni di posti di lavoro in un decennio. Le par poco? Il capitalismo delle imprese è sano e ha posizioni di eccellenza nel mondo. La Luxottica ha comprato la Ray Ban in America, la Brembo fa i freni per l'Harley Davidson, la Ferrari ha battuto la Toyota, la Bmw e anche la Ford. Noi abbiamo portato in giro per il mondo 6.500 imprese, che hanno incrementato il loro fatturato estero".
Sarete pure uno squarcio di luce in un paese che ne ha pochi altri, come dice il NYT. Ma è anche vero che non abbiamo più Rossellini, Fellini, né una nuova Sofia Loren. "Un Antonioni non nasce tutti i giorni, come non nasce un Ferrè o un Versace. Ma sa che il nostro cinema sta incassando in Italia in questi mesi più di quello americano? Io sono innamorato questo paese e, grazie a dio, credo che ce la farà".
Ce la farà grazie a Dio, presidente Montezemolo? "No, grazie a Dio non è tutto come dice il New York Times. Sono convinto che possiamo farcela a vincere il declino se la politica saprà dare grandi obiettivi e grandi sfide condivise, necessarie per scelte difficili: spingere il paese ad aprirsi, chiudere finalmente una transizione infinita, puntare sulla capacità, sul merito e non sulla cooptazione, sui tanti giovani determinati e preparati che abbiamo, riformare veramente la burocrazia, rispettare il mercato, rilanciare la scuola, sciogliere i lacci e i lacciuoli, a cominciare dall'ambiguità delle duplicazioni tra Stato e regioni, eliminare un po' di quelle società a controllo pubblico che finiscono per essere discariche per politici trombati".
Ci sono le condizioni, secondo lei? "Se ciascuno ricomincia a far bene il suo mestiere spero di sì. Conforta che tutti i leader dei partiti, almeno a parole, concordano sulla necessità di una riforma elettorale che dia spazio di manovra a chi vincerà le prossime elezioni, che sono cruciali per il cambiamento, per lo shock buono di cui il paese ha bisogno. Con buona pace del New York Times".
(15 dicembre 2007)
da repubblica.it
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