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Autore Discussione: Vincenzo Vasile - Giustizia negata  (Letto 2560 volte)
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« inserito:: Ottobre 26, 2007, 06:37:47 pm »

Giustizia negata

Vincenzo Vasile


È una brutta pagina. Per sintetizzarla si possono usare le parole di un penalista solitamente misurato come il professor Franco Coppi, difensore di parte civile per la famiglia della vittima: «L’omicida se ne sta tranquillo nel suo Paese. Gli Usa ci prendono a schiaffi in faccia, ci trattano come pezzenti, e sulla morte di Nicola Calipari si sono limitati alle condoglianze».

La terza Corte di Assise di Roma alza, insomma, le mani in segno di resa di fronte al fuoco amico dell’alleato americano, che impone l’improcedibilità contro il marine Mario Lozano che uccise l’agente del Sismi il 4 marzo 2005 a un posto di blocco anomalo allestito alle porte di Baghdad proprio mentre stava per essere tratta in salvo la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena.

C’è almeno un aspetto giuridico della questione che non si deve considerare soltanto sotto la specie dei tecnicismi e dei cavilli. L’avvocato dello Stato che rappresenta il governo italiano e la pubblica accusa avevano concordato nell’individuare nel caso Calipari le caratteristiche di un “delitto politico”: il sequestro di Giuliana Sgrena era, come gli altri sequestri di ostaggi italiani, infatti, un’arma di ricatto nei confronti del governo per ottenere un cambiamento della politica estera.

La liberazione della Sgrena era dunque un obiettivo politico che è stato offeso, e con esso l’interesse nazionale. Delitto corposamente politico, da qualunque parte lo si guardi: il recupero degli ostaggi fu uno dei pochi impegni bipartisan che si riuscì a mettere in piedi in quella fase. Perché, appunto, la missione di Nicola Calipari era quella di recuperare gli ostaggi, di metterli in salvo (l’aveva fatto in precedenza con successo anche per Simona Pari e Simona Torretta): la sua era la più tipica “missione di pace”.

Secondo la Corte, anche se non sono disponibili ancora le esatte motivazioni, s’è trattato non di un “delitto politico”, ma di un “delitto comune”. Valutazione che risulta un’enormità anche per un bambino. Ma che serve ai giudici come un trampolino per agguantare in acrobazia il trapezio lanciato dall’amministrazione americana, accogliendone la richiesta di non processare Lozano: nel caso di imputati stranieri di "delitti comuni" chi decide, infatti, di non mettere piede nel nostro territorio in Italia non può essere giudicato. Punto e basta. Si racchiude in questo ragionamento stiracchiato e paradossale la decisione delle Assise. Che equivale a una rinuncia a fare giustizia, perché i giudici non hanno nemmeno provato a iniziare l’esame dell’inchiesta, consentendo ieri a fonti del Pentagono di aggiungere al dolore la beffa: per gli Usa valgono - dicono da Washington - le conclusioni della commissione congiunta Italia-Usa nell’immediatezza. Peccato che quelle conclusioni, assolutorie per i militari Usa, quasi diffamatorie per Calipari, sin dal 2005 non fossero affatto “congiunte”, e che i rappresentanti italiani si siano sempre rifiutati di sottoscrivere la falsa ricostruzione dei comandi Usa. Non è vero che l’auto degli italiani andasse ad alta velocità, non è vero che la missione non fosse stata segnalata al comando Usa. È semmai tutta da verificare l’intenzionalità e l’efficacia di una catena di comando delle forze statunitensi, che rimane tuttora non identificata; e rimane da dissipare il pesante dubbio che grava su tutta la vicenda: se la missione del Sismi (incaricato anche del pagamento di riscatti), non fosse talmente mal sopportata e invisa dagli americani, da far scattare contromanovre. In una delle tante interviste dell’imputato si è potuto leggere che le raffiche potrebbero essere state sparate da un misterioso commando di militari americani. La rinuncia alla giustizia decretata dalla terza Corte di Assise romana corrisponde, perciò, a una parallela e preventiva rinuncia di sovranità nazionale. Dalla difesa del marine Lozano abbiamo anche appreso, per esempio, che il governo di centrodestra, nell’aderire alla missione in Iraq, avrebbe sottoscritto nero su bianco un impegno a passare sopra a eventuali delitti compiuti dai soldati nostri alleati. E così si torna a scoprire che i pasticci della politica delle “pacche sulle spalle” e degli inchini all’amico Bush hanno avuto anche frutti sanguinosi. Come il sacrificio di Nicola Calipari, da non dimentare.

Pubblicato il: 26.10.07
Modificato il: 26.10.07 alle ore 12.40   
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