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Autore Discussione: STEFANO CECCANTI Riforme, lo status quo non giova a nessuno  (Letto 2371 volte)
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« inserito:: Giugno 08, 2012, 10:33:56 am »

7/6/2012

Riforme, lo status quo non giova a nessuno

STEFANO CECCANTI*

Caro direttore, l’articolo di Ugo De Siervo di martedì «Riforme, un pasticcio incredibile» presenta argomentazioni sproporzionate contro la riforma che approda nell’Aula del Senato e contro le possibili ipotesi emendative. In primo luogo non si può certo parlare di improvvisazione e di assenza di dibattito. La maggior parte delle proposte attingono a ipotesi che risalgono spesso alla Costituente (in primis la sfiducia costruttiva), talora alle Bicamerali (la variante semi-presidenziale alla Bicamerale D’Alema) e in ogni caso ai principali riferimenti comparati. La proposta di scioglimento in seguito a rigetto della fiducia, ad esempio, è analoga non solo alla Legge Fondamentale di Bonn ma anche alla recente riforma inglese. Si può migliorare la scrittura, ma non si può affatto dire che i parlamentari e i supporti istituzionali delle Camere improvvisino. Si dica, più semplicemente, che alcune innovazioni non sono condivise o perché si preferisce un rassicurante status quo o altre diverse soluzioni, anch’esse opinabili tra gli studiosi e tra i politici. Per esempio la bozza approdata in Aula col connesso sistema elettorale ispano-tedesco era stata ritenuta base utile, pur emendabile, dal lavoro collettivo del gruppo Astrid che ha integrato costituzionalisti e parlamentari dei vari schieramenti, che ho provveduto a presentare con altri, Atto Senato 3252, e che ha su qualche punto anche influenzato i lavori.

In secondo luogo bisogna intendersi sulla gravità della crisi. Se si insiste sul fatto che siamo di fronte a una vera crisi sistemica, l’idea che i parlamentari debbano limitarsi solo ad una pur necessaria riforma elettorale e alla riduzione del loro numero è una terapia contraddittoria. I parlamentari debbono assumersi una responsabilità maggiore. Sarebbero delegittimati se non lo facessero. Questo ha a che vedere anche con la possibile ripresa della soluzione semi-presidenziale ipotizzata alla Bicamerale D’Alema che si potrebbe combinare benissimo al doppio turno di collegio, un’ottima riforma elettorale, in grado di produrre effetti benefici, nel nostro contesto di sfarinamento, solo se connessa a una nazionalizzazione del voto garantita dall’elezione presidenziale diretta. Lo ha spiegato molto bene domenica il politologo Sergio Fabbrini sul Sole - 24 Ore : nei Comuni il sistema dei partiti si è sfarinato ma ciò non ha avuto effetti negativi sulle istituzioni grazie al doppio turno sul vertice dell’esecutivo. E questo è il motivo per cui un costituzionalista, Carlo Fusaro, ha puntualmente spiegato sulla rivista on line Qdr Magazine perché potrebbe avere senso spostarsi ora sullo schema semi-presidenziale. Se è vero in astratto ciò che scrive De Siervo, cioè che stabilità ed efficienza sono garantite anche in sistemi parlamentari debitamente rinnovati (proprio come tenta di fare il testo arrivato in Aula) è però difficile negare che tutti quei sistemi poggiano su due grandi partiti di norma alternativi e oggi se ne vede a fatica uno solo. Il semi-presidenzialismo è il modo più naturale di trovare un equivalente funzionale a partiti nazionali grandi e strutturati. Discutiamo tra queste due soluzioni: se sia ancora realistica la proposta giunta in Aula oppure se si debba optare per il semi-presidenzialismo. Non si capisce però perché dovremmo a priori scartare l’idea di votare a due terzi. È lo status quo che trascinandoci nell’impotenza colpisce anche la tradizione istituzionale del centrosinistra, non la scelta dell’una o dell’altra ipotesi, che sono consequenziali all’analisi sulla crisi. Altrimenti dovremmo considerare estranei al centrosinistra italiano coloro che in forme diverse e in periodi diversi hanno immaginato forme di legittimazione o elezione diretta dell’esecutivo, da Calamandrei a Tosato a Mortati e a quello europeo coloro che approvarono pur criticamente la riforma francese del 1962, come Delors, Duverger, Vedel e il Club Jean Moulin. Anzi, forse varrebbe la pena di riprendere la principale idea di quest’ultimo: le elezioni contestuali di Presidente e Parlamento a doppio turno.

*Costituzionalista e senatore Pd

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10199
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