Parma e la democrazia privata
Maurizio Chierici
La vecchia politica ha fatto il suo tempo. Cellule, sacrestie, apparati, fratellanze, tutto finito. Si volta pagina. Parma ha dato esempio di modernità non politica nelle ultime elezioni. Laboratorio d’avanguardia dal quale Roma deve imparare. Ha presentato candidati raccolti in liste civiche e disposti a sdegnare le bandiere attirando, con la concretezza del buonsenso disinteressato, l’attenzione degli elettori. I quali si sono distratti e non hanno visto che erano le stesse facce dei partiti che all’improvviso non esistevano più. Ecco perché il centrosinistra è andato in crisi quando si è votato il nuovo sindaco mentre il centrodestra ha trionfato sdegnando i simboli della grande politica. La gente era impazzita di felicità: autarchia vuol dire controllo della gestione e siccome il potere che ha governato ha trasformato Parma in una delle quattro città più belle del mondo, preferenze a pioggia.
Uovo di Colombo diventato uovo di Ubaldi nel laboratorio Parma, avamposto della destra in Emilia. A Parma i partiti sono spariti sotto la crosta dei cittadini liberi, mentre a Piacenza, dove ha vinto il centro sinistra, i partiti resistono con qualche maschera, sempre lì, congreghe minacciose che ignorano le necessità degli elettori. Parma è diversa. Città senza partiti vuol dire città che affronta serena ogni futuro. Il nuovo sindaco Vignali considera giustamente Ubaldi maestro di vita. L’euforia può continuare. Senza partiti? Il Giornale non se ne è accorto: «Il Polo vince ed è la terza volta consecutiva». Ma di quale Polo parla? Figuriamoci se la gente non ha verificata la trasparenza della nuova Italia dei cittadini qualsiasi.
I dubbi cominciano nella spartizione delle poltrone. Forza Italia pretende ciò che le è dovuto. Ha fatto finta di non conoscere Berlusconi ma adesso la notte è passata ed alza la voce. Proviamo a contare i voti delle nostre tessere. Alleanza Nazionale respinta nell’ombra, rispunta e prende il suo posto in giunta, come concordato. «Scelta politica non ideologica», perché Parma, medaglia d’oro della Resistenza, resta «democratica e antifascista». Abracadabra che risale alle notti della prima repubblica. Il discorso è serio perché a Parma si è votato dopo aver privatizzato la legge elettorale distillata da saggi guidati da Calderoli. Candidati non più indicati dalla gente ma dalle segreteria dei partiti i quali, se non altro, sono l’espressione della volontà dei tesserati. A Parma fa ridere parlare di tessere. Il mondo nuovo pretende raziocinio e funzionalità. Nomi e non bandiere. Ma la verità è diversa. Ecco come funziona la democrazia privatizzata nell’ufficialità delle parole del presidente degli imprenditori. Ogni città rossa di Emilia e Toscana ha attraversato gli anni 90 con due principi al governo. Partiti e industriali. Il dialogo ne ha permesso la fioritura. La sintesi di Parma ne aggiorna la gestione e il dialogo diventa monologo. Un gruppo solo al comando. L’uomo che governerà la gente, gli appalti e la burocrazia degli amici, d’ora in avanti non dovrà sopportare il fastidio primarie o sedurre gli elettori. Gli imprenditori lo hanno sollevato dai vecchi fastidi. Fanno sapere chi gradiscono e a buon diritto perché la democrazia vale per tutti a prescindere dal conto in banca. Aggiungono il diritto di nutrire campagne elettorali babilonesi, diritto di inondare giornali e Tv di annunci a pagamento ben confezionati da agenzie ben pagate. Attenzione, il modello Parma fa un passo in più. Giornali e Tv sono proprietà degli stessi imprenditori che hanno scelto il candidato. Sanno che non è opportuno convincere la gente solo negli ultimi mesi. Preferibile l’irrigazione goccia a goccia spalmata negli anni della reggenza gradita per trasformare apprendisti politici in simboli che la gente deve amare prima ancora di discutere. Bravi, simpatici, intelligenti, onesti, laboriosi, perfino belli anche se a volte è stato difficile farlo credere. Ogni mattina arrivano in ogni casa mentre assaggiano funghi, distribuiscono strette di mano, annunciano miracoli, inaugurano mostre, premiano i bambini buoni. La loro faccia si spande nei giornali e inonda le Tv dove distribuiscono promesse e disprezzo inventando una città che - per caso - apre cantieri come fossero ciliegie. E nei cantieri i nomi non cambiano: gli stessi che hanno deciso «votate lui». Parole d’ordine: rinnovare, modernizzare perfino moltiplicare la popolazione con annunci che triplicano il numero delle persone: 170mila? Stiamo per diventare 400mila, parola di sindaco. Non il sindaco di oggi, ma l’Ubaldi che ha aperto la stagione dei sindaci cresciuti nelle provette della Confindustria locale.
L’operazione non può essere solo di immagine. Amici di partito (Dc dei cavalli di razza) seminati come betulle in ogni presidenza o cellula di comando. E quando gli amici superano le poltrone se ne fabbricano di nuove: moltiplicazione delle imprese comunali, moltiplicazione degli assessorati dietro il paravento delle «agenzie», moltiplicazione di presidenti e consigli di amministrazione con relativi stipendi. Perfino il cimitero è quotato in borsa. Abolito l’ufficio stampa: da Milano va e viene il consigliere per l’immagine, mentre il «portavoce del sindaco» distribuisce il sindaco-pensiero.
I giornalisti ci stanno? Ecco il problema. I giornalisti cosa possono fare? La loro professionalità è indiscutibile, ma gli stipendi arrivano dagli imprenditori del mattone che hanno unto il nuovo governo. Il quale non solo sdegna chi mette in discussione la città del futuro disegnata da costruttori-editori, ma taglia i comunicati ufficiali alle piccole redazioni indisciplinate come è successo a «Polis Quotidiano». Da Bologna deve intervenire il presidente dei giornalisti per ristabilire la correttezza. O i cronisti scodinzolano davanti alle opere del regime piccolo padano o gli insulti arrivano dalle Tv (dei costruttori), abitudine del sindaco tramontato il quale adesso va in tribunale contro chi ha osato torcere la bocca. A non tutti possono piacere le opere del suo rinascimento e il 16 giugno, seduta d’addio, Ubaldi fa approvare la spesa di 26.900 euro (pagata dai cittadini) per citare in giudizio il giornalista dell’Espresso Gigi Riva già definito «in stato d’ebbrezza» dalla Tv del grande proprietario.
Riva era andato a Parma per capire come mai una città deve indebitarsi per mezzo secolo nella costruzione di una metropolitana non solo inutile, ma pericolosa per gli scavi che frugheranno le fondamenta dei palazzi. Voleva sapere quale magia ha moltiplicato gli 8 milioni di viaggiatori che ogni anno usano i mezzi pubblici sul percorso dell’immaginario metrò, nei 24 milioni ipotizzati per annacquare lo spavento del disavanzo abissale della gestione. A Riva non piaceva che distruggessero dopo otto secoli il monumento dell’archivio di stato disperdendo i documenti di un ducato per tirar su un albergo. Riva trovava eccentrico seppellire sotto terra un mercato storico quando da due secoli di bancarelle rallegrano la gente, e si è meravigliato delle parole di disprezzo ricadute sulla sopraintendeza contraria allo scempio.
Una signora assessore di Ubaldi ha invitato il vice sindaco a fregarsene della cultura: se ci fa ancora perdere tempo, comincio a fare il buco con le mie mani. E poi il grottesco dei ponti a mezz’asta o i ponti coperti da palazzoni o le passerelle che volteggiano come toboga di Gardaland, insomma milioni e milioni dispersi in un patetico che imbruttisce la piccola capitale ereditata da signori non democratici ma con l’umiltà del lasciarsi consigliare da architetti ed artisti non disposti a diventare ciambellani di corte. Forse perché il gioco degli appalti non agitava le abitudini degli antichi duchi della città. L’articolo dell’Espresso viene ritenuto «lesivo nei confronti dell’operato dell’amministrazione comunale». Insomma, lesa maestà.
Tanto per far capire la precisione che regola il rapporto tra media e la democrazia privatizzata di Parma, basta sfogliare l’elenco di chi ha appena giurato. Tra gli uomini nuovi del nuovo governo scelto nelle primarie neanche segrete degli imprenditori, c’è un giornalista bravo, elegante, intelligente. Luca Sommi ha lavorato in Tv con Sgarbi, ha inventato chiacchiere non banali nella Tv degli imprenditori. L’essere imparentato con Rosi, cavaliere del prosciutto cotto, amico di Dell’Utri e organizzatore delle gite di devozione ad Arcore che aggregavano imprenditori malinconici per il Berlusconi fuori dal potere, non ha grande significato. Ognuno si ritrova coi parenti scelti dal destino. Ma nelle passerelle finali Tv obbligate dalla par condicio, Sommi ha dimenticato l’eleganza sussurrata scontrandosi in modo non veniale col candidato del centrosinistra Peri, mentre ammetteva senza reticenze la sua fede nelle opere che il Vignali prescelto elencava.
La democrazia privatizzata abitua a non approfondire la realtà. Storce l’informazione locale evitando ogni inchiesta che metta le mani sotto i dogmi del calcestruzzo. Spariscono le curiosità scomode, come all’Avana. Nessuno ha mai saputo dei due codici fiscali del sindaco appena insediato, svista magari innocente, ma proibito parlarne. Nessuno ha indagato per capire come mai nel piccolo ufficio di un piccolo borgo dove il nuovo signore della città risiede per il registro dei dottori commercialisti nascevano società che opzionavano terreni subito riveduti ad un ente comunale, con l’approvazione della giunta della quale Vignali faceva parte. Affari per decine di milioni. Coincidenze?
Il centrosinistra battuto male cerca di organizzare forze nuove con l’aiuto di Alfredo Peri, chiamato all’ultimo minuto per superare la paralisi provocata dalle meline del segretario provinciale della Margherita. Con Peri scelto nelle primarie ha gettato la maschera ed è passato alla destra: non eletto ma con poltrona da assessore. Soffocato dalla democrazia privata, il centrosinistra può adeguarsi al nuovo teatro oppure impegnarsi nel controllare le pieghe meno chiare della vecchia e nuova gestione: delibere, appalti, reti del potere che avvolgono ogni respiro. Si parla di un osservatorio per la trasparenza, non formale, ma quotidiano, con tecnici e professionisti attenti all’analisi dei documenti e pronti ad intervenire per capire cosa sta succedendo. Groviglio non semplice da districare mentre la strategia del rifiuto ai partiti tradizionali viene rilanciata dal vecchio sindaco Ubaldi, forse fuori tempo. Con l’apparire di Veltroni, anche Fini torna all’antico: smettiamola con la storia della non politica. La città è piccola, le fantasie si scatenano. Può il vecchio protagonista locale, tanto fotografato, tanto intervistato ed elogiato dagli imprenditori-editori, può confondersi con la massa di un semplice consiglio cittadino sia pure seduto sulla poltrona alta? Sta forse pensando «ad un nuovo soggetto politico», ma se Casini non ce la fa, il Pd diventa l’ultimo appiglio della sopravvivenza per chi è vissuto all’ombra dei partiti: ex democristiani ed ex socialisti gli si stringono attorno, sperando. Nessuno bisogno di raccomandarlo, ma, caro Walter, di democrazia privatizzata ne basta una.
mchierici2@libero.itPubblicato il: 25.06.07
Modificato il: 25.06.07 alle ore 8.55
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