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Autore Discussione: Ilaria Maria Sala. Investimenti cinesi? L'Italia non è poi così attraente ...  (Letto 2092 volte)
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« inserito:: Marzo 29, 2012, 05:15:35 pm »

29/3/2012

Investimenti cinesi? L'Italia non è poi così attraente per i privati

Ilaria Maria Sala

Philip Law, della Union Apparel International Ltd., cinese ora insediato a Hong Kong, ha cominciato a lavorare nel tessile a 19 anni: oggi, 40 anni dopo, è uno dei principali fornitori di denim di alta gamma a marchi internazionali che vanno da Paul Smith a Burberry. Ha una passione per le auto italiane – possiede una Ferrari e una Maserati, e anche “una Cinquecento – nuovo modello però, non l'originale”. Ed ama l'Italia anche per tutti gli altri fiori all'occhiello del Bel Paese, dal caffè alla moda, dal vino alle bellezze architettoniche. Investirebbe nel nostro Paese? “No. No, assolutamente, per me non avrebbe senso: ho diverse fabbriche in Cina, nel Guangdong, facciamo tutto lì e per il tipo di prodotto con cui lavoro io l'Italia sarebbe davvero impossibile”, dice, senza la minima traccia di sentimentalità nella voce. “Troppo cara, troppo complicata, i lavoratori sono troppo costosi, tasse alte e permessi troppo laboriosi. La Cina è il principale esportatore di forza lavoro a basso costo al mondo, e gli unici cinesi che riescono a lavorare nel tessile in Italia mi sembra che siano quelli che impiegano manodopera cinese. Altrimenti, per un gruppo come il mio sarebbe del tutto impossibile”. Secco, di una franchezza brutale. Se Mario Monti, a Seul, ha strappato a Hu Jintao l'assicurazione che la Cina investirà in Italia, prima di stappare lo champagne bisogna guardare se e come siamo un Paese appetibile per gli imprenditori che fuoriescono dalla Cina. La risposta di Philip Law, per l'imprenditoria privata, di dimensioni magari di tutto rispetto ma senza essere colossale, è un risonante “no”. “La maggior parte delle persone nel mio settore condivide un uguale pensiero per quanto riguarda il futuro”, dice Law, “non siamo pronti ad investire in Italia, è un luogo a costi alti e burocrazia altissima”. Venire in Italia può aver senso per i grossi gruppi statali, per la necessità del fondo sovrano cinese di diversificare in quanti più Paesi e settori possibili, o per chi riesce ad avere fabbriche in Italia (spesso per l'appunto con lavoratori cinesi) per il mercato italiano, quindi senza aggiuntivi costi di trasporto, o per poter esportare verso la Cina con l'ambita etichetta “made in Italy”. “Per me”, continua Law, “l'Italia è indispensabile per studiare le tendenze di moda e per acquistare alcuni prodotti, dal tessile in poi, ma per chi ha le manifatture in Cina, in particolare per prodotti di un certo livello, anche se è vero che i costi cinesi stiano cominciando ad aumentare, resta che nulla è più competitivo del Guangdong. Invece, chi produce per il mercato di massa, come può essere chi fornisce per H&M ad esempio, la cosa si fa diversa, loro stanno cominciando a togliere la produzione dalla Cina per spostarla altrove in Asia o più vicino ai loro mercati, altrimenti la convenienza sfuma. Ma anche per tanti altri settori, con una forza lavoro come quella italiana, che invecchia rapidamente, che influenza negativamente sulla produttività, è chiaro che il luogo dove investire rimane l'Asia, e il Far East in particolare.” E ripete che tutto è una questione di low cost. Quindi, le manifatture è difficile che possano venire da noi. I gruppi statali, invece, sono un'altra cosa: la Huawei, che tanti problemi ha nel mondo per i suoi legami (passati, dice l'azienda) con l'Esercito cinese, riesce ad investire in Italia, così come avviene per alcune infrastrutture e per altri grossi gruppi – dall'energia ai trasporti – che possono contare su tutto l'appoggio del governo cinese. Può fare qualcosa, l'Italia, per rendersi più attraente? “Francamente, penso di no, a meno che non si possa diminuire la burocrazia, i costi, e le tasse”. Un cammino in salita, ma che potrebbe vedere nuovi acquisti di aziende italiane in difficoltà da parte del fondo sovrano, e un solidificarsi in Italia dei gruppi statali cinesi.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/blog/grubrica.asp?ID_blog=340&ID_articolo=26
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