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Autore Discussione: MARCO BARDAZZI. La realtà non corre alla velocità di un "tweet"  (Letto 2155 volte)
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« inserito:: Marzo 04, 2012, 05:10:28 pm »

4/3/2012

La realtà non corre alla velocità di un "tweet"

MARCO BARDAZZI

Ci sono vicende capaci all’improvviso di segnare un nuovo capitolo nella storia dell’informazione. Ottant’anni fa, proprio in questi giorni, il rapimento e la morte negli Usa del figlio di due anni dell’eroe dei cieli Charles Lindbergh fu l’evento che diede vita al giornalismo-spettacolo applicato agli omicidi. Vent’anni dopo la stessa febbre da cronaca nera investì l’Italia con il caso di Wilma Montesi. Il dramma del piccolo Alfredino Rampi, 30 anni fa, cambiò per sempre il racconto in diretta Tv.

E ieri la vicenda di Rossella Urru, con il suo auspicato epilogo felice ancora da scrivere, potrebbe aver segnato un momento di svolta nella giovane storia dell’informazione italiana nell’era del Web, di Twitter e Facebook. È stata una giornata di entusiasmi e docce fredde sulla Rete. Prima la gioia: «Una vittoria nata sul Web». Poi, con il passare delle ore, la prudenza, l’incertezza e le prese di distanza: «Se la notizia della liberazione fosse falsa, non date la colpa a Twitter». Una difesa d’ufficio legata al fatto – qui sta la novità – che il social network più di moda del momento sta diventando anche in Italia, come lo è già da tempo in America, il canale privilegiato
dell’informazione in tempo reale.

E ieri il suo popolo ha avuto la conferma che una voce non verificata non diventa «notizia» solo perché la rilanciano («retweet») migliaia o milioni di persone. A fare la differenza, rispetto alla mole di altre vicende che ogni giorno vengono raccontate e commentate negli spazi «social» digitali, è stato lo straordinario livello di coinvolgimento emerso negli ultimi giorni sul caso Urru. Fiorello, i cui messaggi e video su Twitter raggiungono all’istante 540 mila persone, è stato tra i più attivi nel lanciare la mobilitazione per chiedere la liberazione della cooperante italiana e ieri mattina è stato tra i primi a esultare: «È il caso di dire hip, hip URRUUUU’!!!!», recitava un suo messaggino.

Seguendo il suo esempio, migliaia di utenti hanno cambiato la foto sul loro profilo sostituendola con quella di Rossella. La vicenda della rapita ha assunto così contorni simili alla campagna che fece tingere di verde il mondo di Twitter all’epoca delle proteste in Iran nel 2009 o alle mobilitazioni a favore di Julian Assange e del suo Wikileaks. Stavolta però non si tratta di rivolte di piazza o battaglie per la libertà d’informazione. In ballo c’è invece una vita a rischio in uno dei luoghi del mondo più complessi e meno «coperti» dai media. Nella vicenda Urru è già difficile capire chi siano realmente i sequestratori, figuriamoci verificare la credibilità di fonti che si muovono tra emissari di Al Qaeda e terroristi tuareg.

Solo la «France Press», tra gli organi d’informazione più autorevoli, dispone di una qualche presenza nelle regioni tra Algeria e Mali: tutti gli altri si affidano a canali poco affidabili. La diplomazia e le trattative d’intelligence in questi casi si muovono con tempi lunghissimi e comunicazioni minime. In uno scenario simile piattaforme come Facebook o Twitter, dove tutto è immediato, rischiano di trasformare subito in «fatti» quelle che sono solo labili informazioni da confermare. Il caso Urru ora diventa un’occasione per riflettere: la credibilità e la velocità spesso non vanno d’accordo e il vecchio metodo delle verifiche ha bisogno di pazienza. La realtà non viaggia necessariamente al ritmo di un «tweet» al secondo anche se non ci resta che sperare che l’entusiasmo sia stato solo prematuro.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9844
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