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Autore Discussione: Camila Vallejo.  (Letto 2036 volte)
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« inserito:: Febbraio 12, 2012, 06:28:38 pm »

Di lei, una funzionaria del ministro della Cultura cilena ha detto: «Se mata la perra y se acaba la leva», «si ammazza la cagna e ci si sbarazza dei cuccioli». Forse anche per questo, Camila Vallejo, la giovane e bellissima leader che ha portato il movimento studentesco cileno alla ribalta mondiale, ci tiene molto a non «personalizzare».

«È una pratica non nuova in Cile: il governo attuale che affonda le sue radici nella dittatura attacca i dirigenti del movimento perché non ha altri argomenti. Ci sono arrivate persino delle minacce di morte», racconta, facendo capire che il passato è tutt’altro che alle spalle. L’ultima novità è un provvedimento che propone il carcere fino a tre anni, per chi manifestando blocca il traffico e i mezzi pubblici. «Vuol dire che noi saremmo tutti in prigione», spiega Camila, a Roma, insieme a Karol Cariola, della gioventù comunista cilena e a Jorge Murua, rappresentante sindacale dei lavoratori, per un rendez vous con la sinistra italiana. A sera l’incontro con Nichi Vendola, Maria Pia Pizzolante e i giovani della rete Tilt. Nel pomeriggio, quello con Ferrero e Diliberto. Missione del tour che la porterà in 12 città europee: far saltare alcuni stereotipi. Su ciò che accade in Cile. Ma anche sul liberismo. «La tecnocrazia? A volte è solo un modo per mascherare decisioni ideologiche».

Che significa scendere in piazza nel Cile di oggi? Pesa ancora il passato?
«La nostra Costituzione è firmata da Pinochet e non si è mai modificata. Ma la vera causa della repressione è il modello economico e politico a cui il movimento si oppone. Quello che è nato in Cile non è solo un movimento studentesco, spontaneo, ma un movimento sociale, a cui hanno partecipato lavoratori, donne, bambini. Sono questi stereotipi che vorremmo rompere con il nostro tour europeo. Soprattutto quelli che riguardano il modello di sviluppo che c’è in Cile. Ci hanno ritratti come i giaguari dell’America Latina per il nostro Pil. Ma non è così».

Quale è l’altra faccia del Cile?
«Il modello economico neoliberista che vige da noi ha privatizzato i diritti, diviso il Paese, prodotto disuguaglianza sociale».

Non vale solo per il Cile.
«No, infatti, i miti che vogliamo far saltare riguardano anche il “primo mondo”. In un paese ricco come la Germania, la disuguaglianza è comunque molto forte. È il modello capitalista il problema».

Non sono più solo i movimenti a dirlo.
«Sì, solo che, con la crisi generale del capitalismo, si stanno giustificando i tagli ai sistemi sociali e la privatizzazione di beni fondamentali come l’istruzione».

Che legame c’è tra i movimenti che si sono formati in Cile, negli Stati Uniti, in Grecia, Spagna, Italia.
«Noi crediamo che il modello capitalista nelle sue varie espressioni neoliberiste ha fallito a livello globale e le ripercusioni si avvertono contemporaneamente in tanti Paesi: disuguaglianza, privatizzazioni, concentrazione del potere nelle mani di pochi. Questo evidentemente ha creato malessere e la gente si ribella».

Che futuro ha questo movimento?
«In Cile, stiamo attraversando una fase di analisi politica. Ciò che abbiamo capito è che non basta quel movimento ampio, trasversale a costruire una proposta di riforma del sistema educativo, se quel movimento non si accompagna a un profondo cambiamento del sistema politico ed economico nel nostro Paese».

Chiedevate una università pubblica per tutti. Concretamente che risultati avete ottenuto?
«Nessuno, in termini legislativi. Però abbiamo prodotto un cambiamento culturale. E di questo dobbiamo approfittare per rinsaldare il movimento nelle sue varie articolazioni sociali ed elaborare una proposta di carattere generale che possa rappresentare un contrappeso al modello liberale».

I movimenti, soprattutto di fronte a governi tecnici, tendono a presentarsi come l’unica forma di opposizione. Pensi che il problema della rappresentanza riguardi anche loro?
«Il nostro movimento ha una vocazione maggioritaria, ne fanno parte le lotte sindacali e i partiti di sinistra che si oppongono al neoliberismo, io stessa sono una militante comunista. In Cile, i cambiamenti sociali diretti dai movimenti sono sempre stati partecipati dai partiti politici. Il governo di unità popolare è un esempio. Quanto ai governi tecnici, penso che la tecnocrazia spesso mascheri il carattere ideologico di certe decisioni».

da - http://www.unita.it/mondo/dal-cile-al-resto-del-mondo-br-la-nostra-lotta-contro-il-liberismo-1.380990?page=3
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