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Autore Discussione: Roberto BAGNOLI - Tre proposte sul tavolo per riformare il lavoro  (Letto 2209 volte)
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« inserito:: Gennaio 23, 2012, 09:22:01 am »

La trattativa con le parti sociali

Tre proposte sul tavolo per riformare il lavoro

L'obiettivo: rilancio del Pil cercando nuove regole


MILANO - Giovani, occupazione, crescita, redditi. Oggi a Palazzo Chigi partirà un confronto che per importanza e intensità di attese è come quello del 1993 quando al governo c'erano ancora dei tecnici, quella volta guidati da Carlo Azeglio Ciampi. Ma la missione è molto diversa: allora si trattava di contenere il costo del lavoro, adesso di rilanciare il Pil con nuove regole sul mercato del lavoro. Più flessibilità ma anche salari più ricchi per sostenere i consumi. Tutti, governo, imprenditori e sindacati fanno sapere di essere pronti al confronto, purché sia vero, costruttivo, depoliticizzato e aperto al dialogo. Sul tavolo, come ha spiegato ieri il premier Mario Monti, ci sarà innanzitutto «la semplificazione, con la riduzione delle segmentazioni» e con un'attenzione particolare ai giovani e «al miglioramento qualitativo del loro ingresso nel mondo del lavoro». Si partirà quindi con ogni probabilità dalla diminuzione del numero dei contratti per l'ingresso nel mercato del lavoro, dall'aumento della produttività media e dei salari reali, dalla ripresa dell'occupazione e dalla riorganizzazione degli ammortizzatori sociali. Nessun tabù - è stato lo stesso Monti a ribadirlo - sull'articolo 18 anche se la questione, già esclusa dai sindacati, non dovrebbe essere oggetto del primo round di trattativa. La Confindustria, con le parole del presidente Emma Marcegaglia, in questi giorni si è appellata più volte al senso di responsabilità di tutti e si augura un dialogo costruttivo con il sindacato. Per il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, occorre un «confronto vero». Ma lasciando cadere la discussione sull'articolo 18 «considerato dai sindacati nella categoria dei diritti e non dei problemi». Per la Cgil non c'è dunque nessuna ragione per intervenire su questo tema.

A «costo zero»
Solo tempo indeterminato, ma le tutele sono graduali
La riforma del mercato del lavoro proposta da Tito Boeri e Pietro Garibaldi si caratterizza per essere a costo zero, perché è rivolta a tutti (non solo ai giovani) e perché prevede sin da subito un contratto a tempo indeterminato anche se per i primi tre anni viene sospesa quella parte dell'articolo 18 che prevede il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa.
Il meccanismo di base di questa proposta, presentata in Senato un anno fa e firmata anche da Franco Marini e Paolo Nerozzi, prevede che nei primi tre anni le tutele crescano gradualmente con la durata dell'impiego fino a rendere oneroso il licenziamento: alla fine del triennio l'imprenditore che decide di liberarsi del dipendente gli deve riconoscere 6 mensilità. Se lo conferma, automaticamente si estendono tutti i diritti previsti dall'articolo 18. Questo contratto, che vale solo per i nuovi assunti, diventa «unico» ma non prevede l'abolizione di altri contratti. Solo, li rende meno convenienti. Per esempio quelli a tempo determinato (stagionali esclusi) si trasformano automaticamente nell'«unico» se la paga annua è inferiore a 25 mila euro lordi che salgono a 30 mila nel caso dei parasubordinati con monocommissione (esclusi praticanti negli studi dei professionisti). Nel disegno di legge è contemplato anche un salario orario minimo garantito, che un'apposita commissione dovrà individuare. Volutamente nella proposta Boeri-Garibaldi non ci sono riferimenti alla riforma degli ammortizzatori sociali con l'indennità di disoccupazione per tutti. La decisione si spiega con la filosofia di base con la quale è stata progettata la proposta: quella del «costo zero». Le risorse sono quelle che sono e, come si legge nel loro libro Riforme a costo zero , «le agevolazioni fiscali nel mondo del lavoro hanno sempre creato distorsioni del mercato».

Flexicurity
Il «modello danese», elastiche l'entrata e l'uscita
Il modello del giuslavorista Pietro Ichino, proposto in un disegno di legge presentato al Senato nel 2009, si basa sul concetto di «flexicurity». I lavoratori, tutti non solo i giovani, accettano un contratto di lavoro a tempo indeterminato ma reso più flessibile con una tecnica di protezione della stabilità diversa da quella attuale. Al termine di un periodo di prova di sei mesi, il lavoratore viene assunto ma perde la protezione totale dell'attuale articolo 18: solo nel caso di licenziamenti per motivi economici od organizzativi (non quelli indiscriminati) il lavoratore incassa un'indennità che può arrivare fino a un massimo di 18 mesi di stipendio. Contestualmente viene creata una assicurazione complementare contro la disoccupazione (oltre agli attuali strumenti) che porta l'assegno del senza lavoro a un livello paragonabile a quelli scandinavi. La durata è pari al rapporto intercorso con l'impresa con un limite massimo di tre anni e una copertura iniziale del 90% dell'ultima retribuzione decrescente nei successivi due anni fino al 70%. La condizione per mantenere questo sussidio è che il lavoratore non si rifiuti di accettare le attività mirate alla riqualificazione professionale e alla rioccupazione.
Le imprese si accolleranno il costo dell'assicurazione e dei servizi collegati, affidati a enti bilaterali costituiti di comune accordo con i sindacati, il cui costo medio complessivo Ichino lo stima in circa 0,5% del monte salari. Il principio di base è che più rapida è la ricollocazione del lavoratori più basso è il costo del sostegno a carico delle imprese. La proposta Ichino è stata finora apprezzata dall'ex leader del Pd, Walter Veltroni, e dall'ex responsabile economia Enrico Morando ma respinta da Bersani e Fassina. La proposta di legge è stata firmata anche da esponenti del Pdl e ha trovato condivisioni in Confindustria.

Apprendistato
Uno strumento «misto» contro la disoccupazione
L'apprendistato sembra al momento lo strumento più idoneo per affrontare senza tanti stravolgimenti normativi il problema della disoccupazione giovanile. Sul suo rafforzamento e maggiore estensione per renderlo davvero fruibile a tutte le categorie di lavoratori c'è il sostanziale accordo dei sindacati e anche della Confindustria. Anche perché affronta in modo semplice la questione dell'articolo 18, prevedendone una sostanziale sospensione nei primi tre anni di lavoro-formazione-prova. L'apprendistato nella sua formula originaria è nato nel '55 e ha avuto sei successivi adeguamenti normativi, l'ultimo nel dicembre 2007. Si rivolge ai giovani tra i 16 e i 29 anni di età. Il rapporto di lavoro concepito con questo strumento dalle parti sociali è di «tipo misto», visto che si prevede l'onere per il datore di lavoro di una effettiva formazione professionale, sia mediante il trasferimento di competenze tecnico-scientifiche sia mediante l'affiancamento pratico per l'apprendimento di abilità operative. L'assunzione di apprendisti richiede la stipula di un contratto di lavoro in forma scritta con allegato il Piano formativo individuale, mentre il numero degli apprendisti assunti non può superare quello dei lavoratori dipendenti qualificati effettivi. Attualmente i contratti collettivi determinano la durata del rapporto di apprendistato, comunque per legge non inferiore a due anni e non superiore a sei.
Nello schema dei sindacati, per costruire su questo impianto normativo quello più adatto ad affrontare il tema della disoccupazione giovanile, occorre rendere più appetibile lo strumento introducendo dei forti bonus fiscali e contributivi. Come la proposta Ichino, anche l'apprendistato ha dunque un costo e, per le imprese, una certa controindicazione perché riconosce ai sindacati un forte potere nello stabilire la durata del periodo di formazione.

Roberto Bagnoli

23 gennaio 2012 | 8:27© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/12_gennaio_23/tre-proposte-sul-tavolo-per-riformare-il-lavoro-roberto-bagnoli_7bd06d9e-458e-11e1-9389-b1111b488a17.shtml
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