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Autore Discussione: HUGO DIXON. I timori sull'euro si autoalimentano  (Letto 2111 volte)
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« inserito:: Novembre 22, 2011, 03:57:30 pm »

22/11/2011

I timori sull'euro si autoalimentano

HUGO DIXON

Quando la fiducia nella stabilità di un regime è scossa, questo può collassare rapidamente. La paura o la speranza del cambiamento altera il comportamento delle persone in modo da rendere più probabile quel cambiamento. Questo vale sia per i regimi politici come l’Egitto di Hosni Mubarak sia per regimi economici come l’euro.

Avere paura che la moneta unica possa crollare, ora rischia di diventare una profezia che si autoavvera. Le banche e gli investitori stanno cominciando a comportarsi come se la moneta unica potesse collassare. I politici e la Banca centrale europea hanno bisogno di ridare fiducia nel fatto che l’euro abbia un futuro. Altrimenti potrebbe degenerare piuttosto in fretta.

Fino a poche settimane fa l’idea che l’euro potesse non sopravvivere all’attuale crisi del debito era di poche frange marginali. Dal summit europeo del 26-27 ottobre è diventato uno scenario ufficialmente contemplato. Al punto che la scorsa settimana i premi di rischio sulle obbligazioni di Stati anche a tripla A come la Francia e l’Austria sono cresciuti a livelli record mentre la Spagna è diventata l’ultimo Paese ad essere risucchiato nella zona a rischio.

Il summit stesso ha preso due decisioni tecniche che hanno avuto cattive e inaspettate conseguenze. In primo luogo le banche sono andate incontro a uno shock che ha rivelato ai mercati la loro esposizione al debito sovrano là dove prima gli amministratori mantenevano la finzione di posizioni prive di rischio. Questo ha implicato per gli investitori iniziare a tenere i capitali per supportare i loro investimenti nel debito sovrano. Non sorprende che siano diventati più restii ad acquistare obbligazioni. Questo, di conseguenza ha reso più difficile agli Stati finanziarsi.

In secondo luogo il summit ha deciso di costringere le banche ad accettare su base «volontaria» la ristrutturazione del debito greco. Poiché si tratta di azioni su base volontaria non verrà attivato il Cds (credit default swap), un tipo di polizza assicurativa che paga in caso di fallimento del debitore.

Questo braccio di ferro ha convinto gli investitori che i Cds sono uno strumento inutile per fronteggiare il rischio di investire in obbligazioni di Stato dell’eurozona. Senza un argine molti preferiscono non investire affatto in obbligazioni di Stato - di nuovo rendendo la vita difficile agli Stati che devono finanziarsi.

Dopo il vertice le cose sono andate di male in peggio con il disastroso progetto della Grecia di sottoporre a referendum il suo ultimo piano di salvataggio. L’idea è stata abbandonata ma non prima che Francia e Germania suggerissero che Atene poteva essere cacciata dall’euro se non fosse venuta a patti. L’intoppo è che risulterebbe assai difficile isolare il caso greco. Se un Paese può abbandonare la moneta comune, perché non possono farlo altri due, tre, o tutti e 17?

Nel momento in cui gli investitori hanno pensato alla possibilità di un crollo dell’euro hanno iniziato a speculare sulla moneta a rischio. In questo scenario la nuova dracma greca scenderebbe di valore; anche la nuova lira italiana e la peseta spagnola andrebbero al ribasso e persino il nuovo franco francese si deprezzerebbe nei confronti di un vibrante nuovo marco tedesco. Ciò ha dato al mercato un’altra buona ragione per vendere più o meno ogni titolo di Stato non tedesco – di nuovo rendendo più difficile il finanziamento a questi Stati.

Come se non bastasse, anche le banche soffrono di una penuria di liquidità. Non solo gli investitori si sentono nervosi all’idea di mettere i loro soldi in banca. Anche i finanziatori sono restii a prestarsi soldi a vicenda perché non sono del tutto certi su chi sopravviverà.

Ma anche le banche al di fuori dell’eurozona stanno tagliando le loro linee di credito a quelle della zona euro. Secondo i dati del Financial Times le quattro maggiori banche del Regno Unito hanno tagliato i prestiti interbancari di circa un quarto da settembre a oggi. Intanto gli Stati Uniti si apprestano a sottoporre a un nuovo shock i loro finanziatori. Questo vorrà dire piani di contingenza contro ulteriori crolli in Europa. Non ci sarebbe da sorprendersi se questo inducesse le banche americane a tagliare le loro esposizioni verso le loro controparti europee, esacerbando così ulteriormente i loro problemi di fondi.

Queste spirali viziose hanno cancellato le buone notizie sul fronte politico. Italia, Grecia e Spagna hanno nuovi primi ministri e tutti sembrano intenzionati ad abbattere il debito e a rendere l’economia maggiormente competitiva. Ma dovranno battersi per ridurre il costo del debito, a meno che gli investitori non si persuadano che l’euro ha un futuro.

Una cosa che potrebbe ridare fiducia è se la Bce trovasse un modo di supportare i governi che attuano politiche assennate. Ma la Banca centrale e la Germania, il principale ufficiale pagatore dell’eurozona, fin qui hanno rifiutato. In parte perché pensano che i governi non saranno abbastanza incentivati a varare riforme significative se troveranno sostegno troppo facilmente.

La logica di mettere sotto pressione i Paesi perché affrontino i problemi che per anni, e a volte per decenni, hanno eluso, è buona. Ma la Bce e la Germania dovrebbero ricordare che le carote sono incentivi utili quanto i bastoni – e se non si sbrigano a offrire carote, l’euro potrebbe non farcela.

Copyright Reuters Breakingviews

Traduzione di Carla Reschia

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9464
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