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Autore Discussione: Stephen S. Roach - Un numero che parla da sé  (Letto 2123 volte)
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« inserito:: Novembre 03, 2011, 05:07:38 pm »

Un numero che parla da sé

di Stephen S. Roach


NEW HAVEN – Il numero incriminato è 0,2%. Corrisponde alla crescita media annua della spesa per consumi degli americani negli ultimi 14 trimestri, calcolata dal primo trimestre del 2008 al secondo trimestre del 2011, depurando l’inflazione. Si tratta di una debolezza nella domanda di consumo che non si era mai vista in America dalla fine della seconda guerra mondiale. Questo dato rispecchia bene ciò che oggi non va negli Usa, e più in generale nell’economia mondiale.

Esistono due fasi distinte precedenti a questo periodo di eccezionale debolezza dei consumatori americani. Dal primo trimestre del 2008 fino al secondo trimestre del 2009, la domanda dei consumatori ha registrato una flessione pari al 2,2% annuo per sei trimestri consecutivi. Non sorprende il fatto che la contrazione sia stata più acuta durante i momenti peggiori della Grande Crisi, quando i consumi sono precipitati a un tasso del 4,5% nel terzo e quarto trimestre del 2008.

Quando l’economia americana si è risollevata a metà del 2009, i consumatori sono entrati in una seconda fase che ha visto una ripresa molto flebile. La crescita reale annua dei consumi negli otto trimestri successivi, dal primo trimestre del 2009 fino al secondo trimestre del 2011, ha registrato una media del 2,1%. Questo dato rappresenta la ripresa più anemica mai evidenziata sul fronte dei consumi e corrisponde a un punto percentuale e mezzo in meno rispetto al trend del 3,6%, registrato nei 12 anni precedenti alla crisi, cioè tra il 1996 e il 2007.

Questi dati mostrano una debolezza maggiore rispetto alle attese iniziali. A seguito della rielaborazione annuale dei dati Nipa (National Income and Product Accounts) emessi a luglio 2011, l’ufficio di statistica del Dipartimento del commercio ha ridotto drasticamente le stime iniziali sulla spesa per consumi. Il trend di crescita su 14 trimestri dall’inizio del 2008 a metà 2011 si è ridotto, passando dallo 0,5% allo 0,2%; gran parte della revisione al ribasso si è concentrata nei primi sei trimestri di questo periodo, per i quali la stima riguardante la flessione dei consumi annui è raddoppiata, passando dall’1,1% al 2,2%.

Mi occupo da circa quarant’anni delle cosiddette correzioni di benchmark. Questa è senza dubbio una delle più significative che io abbia mai riscontrato. Conosciamo bene il duro colpo inferto ai consumatori americani, ma questa correzione descrive chiaramente le contrazioni indotte dalla crisi e la conseguente ripresa anemica.

Le ragioni non sono difficili da comprendere. Sfruttando una bolla creditizia record che ha permesso di indebitarsi per inseguire una bolla immobiliare senza precedenti, i consumatori americani hanno speso per molti anni ben oltre le proprie possibilità. Una volta scoppiate le due bolle, le famiglie americane iper-indebitate non hanno avuto altra scelta che tagliare sulle spese e risanare i bilanci danneggiati estinguendo i debiti eccessivi e cercando di ricostruire i risparmi esauriti.

Eppure, su entrambi i fronti, il risanamento dei bilanci è solo all’inizio. Pur avendo toccato il 115% del reddito personale disponibile all’inizio del 2011, registrando una flessione dal picco del 2007 pari al 130%, il debito delle famiglie resta ben oltre la media del 75% evidenziata nel periodo 1970-2000. E, mentre il tasso di risparmio personale è passato dall’1,2% della metà del 2005 al 5% del reddito disponibile nella prima metà del 2011, questo valore resta ben al di sotto dell’8%, valore tipico degli ultimi trent’anni del ventesimo secolo.

Dal momento che i tagli sulla spesa e il risanamento dei bilanci sono solo in una fase iniziale, il comportamento zombie dei consumatori americani durerà ancora per un po’ di tempo. Il trend del 2,1%, relativo alla crescita dei consumi ed evidenziato durante l’anemica ripresa degli ultimi due anni, potrebbe essere indicativo di ciò che vedremo nei prossimi anni.

Tale risultato potrebbe avere tre profonde implicazioni per le prospettive economiche. La prima è la seguente: dal momento che la domanda di consumo rappresenta ancora il 71% del Pil reale, una riduzione prolungata dei consumi farebbe spirare un vento contrario per la generale crescita economica degli Usa. Mentre gli incauti policymaker di Washington vorrebbero solo che i consumatori ritornassero sulla vecchia strada e ridessero fondo alle proprie tasche, le indebitate famiglie americane ora sanno come muoversi. La pesante artiglieria di stimoli fiscali e monetari viene sprecata per tentare di aggirare il risanamento dei conti.

Ed ecco la seconda implicazione: la persistente debolezza dei consumi e della crescita del Pil pone l’economia americana su una traiettoria di crescita ancor più debole rispetto a quella ipotizzata, per il lungo periodo, dalle stime di budget del governo. Il Congressional Budget Office (Cbo) stima una crescita media del Pil reale pari al 3,4% tra il 2013 e il 2016. Se il trend di crescita sarà di un punto percentuale inferiore – situazione possibile in un’era di protratta debolezza del consumo – i deficit di bilancio saranno notevolmente più elevati.

Una cosa è certa: il Cbo identifica una flessione prolungata di un punto percentuale nella crescita del Pil reale con deficit di bilancio che saranno 3mila miliardi di dollari più ampi nel giro di un decennio. Non serve dire che un tale risultato comporterà seri problemi per il già controverso dibattito deficit-debito degli Usa.

Infine la terza conseguenza: nessun’altra economia è in grado di riempire il vuoto lasciato da una contrazione prolungata dei consumi americani. L’Europa e il Giappone non sono nella posizione di prendere il testimone, e i settori al consumo delle principali economie emergenti, in primis la Cina, non dispongono delle dimensioni e del dinamismo necessari per assumere il comando. La prolungata debolezza dei consumi americani implica quindi una certa pressione sulla crescita delle economie in via di sviluppo trainate dall’export. La buona notizia è che tutto ciò spinge i paesi in questione ad attuare quelle strategie di ribilanciamento ormai attese da tempo, volte a stimolare la domanda interna dei consumi.

Cosa si può fare? Mentre le misure adottate nei momenti più bui della crisi, ossia i massicci stimoli fiscali e monetari, si sono rivelati efficaci nel frenare la caduta libera dell’economia, non lo sono state altrettanto nel rilanciare una ripresa significativa. E questo è del tutto normale se si considera la primaria necessità di risanare i bilanci.

Gli Usa hanno bisogno di una serie di politiche adatte alle necessità e alle pressioni che gravano sui consumatori americani. Le possibilità sono numerose: cancellazione del debito per accelerare il processo di deleveraging, politiche di risparmio creative in grado di ripristinare la sicurezza finanziaria negli americani colpiti dalla crisi, e ovviamente posti di lavoro e redditi derivanti.

L’economia americana e l’economia mondiale non possono rimettersi in piedi senza i consumatori americani. È tempo di andare oltre l’ideologia – sia a sinistra che a destra – e di creare un dibattito politico tenendo bene a mente tutto questo.


Stephen S. Roach, membro della facoltà dell’Università di Yale, è presidente non esecutivo di Morgan Stanley Asia e autore di The Next Asia.

Copyright: Project Syndicate 2011
Traduzione di Simona Polverino

©RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2011-08-26/numero-parla-163542.shtml?uuid=AagLu8yD&p=2
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