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Autore Discussione: PAOLO COSTA - La crescita del Paese passa da porti e aeroporti  (Letto 2150 volte)
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« inserito:: Settembre 29, 2011, 05:31:20 pm »

29/9/2011

La crescita del Paese passa da porti e aeroporti

PAOLO COSTA*

Pare giunto il momento delle infrastrutture, anche di trasporto. È alla loro realizzazione e ai servizi che esse produrranno che si pensa di affidarsi per il rilancio della crescita nel nostro Paese. Misure tanto invocate quanto inspiegabilmente ritardate, visto che dovranno essere infrastrutture a costo zero, a effetto nullo o quasi sui saldi di finanza pubblica. Gli effetti sulla crescita ai quali si punta non saranno gli effetti classici, da domanda, ai quali ad esempio si sono affidati e ancora si affidano gli Stati Uniti con lo «stimulus plan» di Obama. Se le infrastrutture italiane per la crescita non saranno finanziate in deficit, né per il momento da debito dedicato (come gli euro project bond), né da altro debito giustificato da più profonde riforme strutturali (come da raccomandazione del Fmi), diventa cruciale garantirsi che gli investimenti che verranno favoriti vadano davvero ad aumentare la competitività del Paese attraverso un aumento della produttività del sistema.

Quali infrastrutture dunque? Quali priorità indicare e favorire per massimizzare gli effetti di crescita? Il mercato da solo non garantisce questo risultato: la competitività del sistema non dipende solo dalle opere che il mercato è in grado di remunerare. Qualche parcheggio in più e qualche tronco autostradale, dei pochi ancora remunerativi, non garantirebbero il salto di qualità.

L'Italia ha bisogno di un mix di cosiddette «opere calde», quelle per le quali il partenariato pubblico privato può reggere perché finanziato dalle future tariffe (autostrade, terminal portuali), e di «opere fredde» quelle, tra le decisive per la competitività del paese, incapaci di garantire la copertura finanziaria di mercato del partenariato pubblico privato. Occorrono, dunque, perché l’operazione abbia successo, indicazioni e sostegni centrali molto più selettivi, anche dello stesso «allegato infrastrutture» recentemente approvato dal governo.

Due sono i criteri che dovrebbero prevalere su tutti.

Il primo è quello di fidarsi del giudizio di Bruxelles che individuando le opere pubbliche italiane di interesse europeo ha chiaramente indicato quali siano le super priorità a cui ci dovremmo affidare in Italia.

Il secondo è che gli effetti positivi sulla crescita sarebbero più elevati se gli investimenti infrastrutturali fossero diretti a sostenere gli incrementi di produttività del sottosistema produttivo settoriale e territoriale dedicato all’esportazione.

È dalle esportazioni soprattutto verso i Paesi ricchi emergenti che possiamo/dobbiamo puntare per sostenere la domanda ed accelerare la crescita dell’Italia. Ne consegue una priorità assoluta da dedicare alla connessione alle reti transeuropee delle «porte sul mondo», costituite dagli aeroporti, per le persone, e dai porti, per le merci.

Gli aeroporti prioritari - di interesse europeo e di sostegno al blocco esportativo - da collegare alle reti per renderli più efficienti e competitivi sono quelli di Roma, di Milano e di Venezia. I porti sono quelli dell’Alto Tirreno (Savona, Genova, La Spezia e Livorno), dell’Alto Adriatico (Ravenna, Venezia e Trieste, oltre a Koper in Slovenia e Rijeka in Croazia), della Campania (Napoli e Salerno) e della Puglia (Bari, Brindisi e Taranto). Più il transhipment almeno a Gioia Tauro. L’investimento nel miglioramento delle relazioni da «ultimo miglio» tra la rete essenziale di interesse europeo e questi terminali portuali/aeroportuali è l’investimento a più alta probabilità di efficacia sulla crescita a cui possiamo pensare.

Porti e aeroporti possono poi essere resi loro stessi più efficienti da un mix sapiente di opere calde ed opere fredde. Le opere calde, facilmente realizzabili sulla base di contratti di concessione che possono sfruttare le tariffe prevedibili, e le opere fredde (ad es. dragaggi e dighe foranee nei porti) finanziate da poche risorse pubbliche e realizzate sulla base di «contratti di disponibilità», per i quali sono i privati a realizzare anche le opere alle quali non corrispondono tariffe ma che vengono pagate con modesti canoni pubblici distribuiti nell’arco di un lunghissimo periodo, 30/40 anni.

Le misure del «decreto infrastrutture» di cui si parla: la certezza delle regole, l’accelerazione delle procedure e la riduzione di costi, soprattutto esterni, inutili, sono misure generali ampiamente auspicate e benvenute; ma la loro produttività si esalterà, nel senso di produrre gli effetti di crescita sperati, solo se indirizzate subito e solo alle opere che veramente servono per aumentare la produttività del Paese.

*Presidente dell’Autorità portuale di Venezia ed ex ministro dei Lavori pubblici
da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9255
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