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Autore Discussione: Leonardo Padura Fuentes*. Una porta per i poveri  (Letto 3924 volte)
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« inserito:: Settembre 12, 2007, 07:01:11 pm »

Una porta per i poveri

Leonardo Padura Fuentes*


Fu nel 1883 quando la poetessa ebreo-nordamericana, Emma Lazarus, discepola di Ralph Waldo Emerson, ammiratrice di Heine e amica del disegnatore e socialista inglese William Morris, entrò nell’eternità della letteratura attraverso una singolare porta. A New York si celebrava un atto dedicato a raccogliere fondi per la costruzione del gigantesco piedistallo su cui si sarebbe poggiata la statua de «La Libertà che illumina il mondo». Quell’impressionante opera dello scultore francese Fréderic Auguste Bartholdi era un omaggio che la Rivoluzione Francese faceva agli Stati Uniti in occasione del primo centenario dell’indipendenza e il luogo scelto per erigerla era il porto di New York. Per l’occasione, Emma Lazarus scrisse una poesia intitolata The New Colossus, in cui quella donna, a metà strada tra la millenaria e persistente tradizione ebraica e la nascente cultura letteraria e sociale nordamericana del XIX secolo, esaltava la generosità senza limiti con cui la giovane repubblica apriva le proprie braccia ai migranti del mondo.

Migranti che sarebbero arrivati per costituire la caleidoscopica cultura del magnifico paese del Nord. «Datemi i vostri sconfitti, i vostri poveri, le vostre numerose masse che sperano di respirare con libertà, questi residui delle vostre feconde coste. Inviatemi questi senza casta, i naufraghi della tempesta. La mia fiaccola illumina la porta dorata», proclamava la Madre degli Esiliati, come la chiamava Emma Lazarus dal poema che non solo avrebbe immortalato la sua autrice, ma che avrebbe anche reso eterna la relazione tra gli Stati Uniti e i poveri e i migranti del mondo.

La statua de «La Libertà che illumina il mondo», inaugurata nel 1886 e collocata sull’isolotto di Bedloe, all’entrata dello stesso porto, si sarebbe velocemente convertita, con il suo nome ridotto a «Statua della Libertà», in uno dei simboli del paese. E dal suo gigantesco piedistallo, scritti su una placca di metallo, i versi di Emma Lazarus avrebbero cominciato un dialogo con quel mondo che iniziava a dire le sue prime parole e a fare i suoi primi passi vicino a Ellis Island, dove fin da allora e fino al XX secolo entreranno nella nazione nordamericana più di dodici milioni di immigrati («quei senza casta, i naufraghi della tempesta») da tutte le parti del mondo.

Se non fosse stato per quei bei versi, Emma Lazarus e i suoi scritti (dove, tra l’altro, declamava anche l’esistenza di una Palestina ebrea, patria dei figli dispersi di Israele) sarebbero oggi solo un riferimento a pagine perdute in qualche esaustiva enciclopedia: solo uno sguardo al passato, strano, curioso e difficile da incontrare come lo è adesso quel lascito meraviglioso che esalta nei suoi versi di poetessa ebrea e conoscitrice, da buona ebrea, di storie di esodi e diaspore. Cosa avrebbe pensato quella poetessa, che trascinava con sé difficili conflitti di razza e nazionalità, così spirituale ed esaltata, dei muri che hanno diviso e dividono i paesi, o dei suoi stessi fratelli di razza cultori del sionismo per cui lei stessa si batté? Cosa potrebbe dire, oggi, la Madre degli Esiliati?

Mai come adesso, l’umanità ha avuto coscienza del significato del fenomeno migratorio. Anche se vecchi come l’uomo e parte integrante della sua storia, fino ad aver deciso l’ascesa umana nella scala evolutiva, i processi migratori si sono via via caricati di ragioni economiche, politiche, religiose e di leggi che regolano e anche impediscono la loro realizzazione. Da stati che permettono una libera emigrazione dei suoi cittadini con una lunga serie di requisiti fino a paesi che pretendono di chiudere porte e frontiere agli immigrati, il flusso umano è segnato, oggi, con più forza che mai, dall’intolleranza, dalla selettività e dai peggiori timori, dalla xenofobia. Ciò nonostante, la ragione essenziale che regge i movimenti umani continua a essere la stessa che permise l’uomo primitivo dalle profondità dell’Africa: la ricerca di una vita migliore, quasi sempre concepita come la necessità di mangiare, vestire e migliorarsi.

I nazionalismi, sempre più incistati e furibondi, e l’ipocrisia di molti governi e dei politici cercano, ai giorni d’oggi, dall’alto della loro ricchezza materiale o dai loro fondamentalismi ideologici o religiosi, di condizionare e anche impedire una soluzione così essenzialmente umana che nessuna legge né muro potrà impedire del tutto e per sempre. La fame, la mancanza di opportunità, la stanchezza prodotta dai fanatismi, tutto spinge attualmente grandi masse umane dietro al sogno di una vita migliore o, quanto meno, di una vita possibile. Le differenze economiche che segnano il mondo contemporaneo hanno tracciato le vie di queste ondate migratorie dal Sud povero al Nord ricco come unica speranza possibile. L’ansia dell’uomo, più del suo diritto a una vita migliore, è la chiave che non sbaglia e che guida milioni di uomini e donne del mondo d’oggi.

Solo che, in questo mondo, oggi nessuno ripete i versi di Emma Lazarus; nessuno li incide nel bronzo. Al contrario, qualcuno persino pensa che quell’ebrea esaltata non avrebbe dovuto insistere così tanto. Chi vuole oggi le persone stremate, i poveri, i residui delle altre coste? Qualche paese ricco e poderoso chiede di inviargli naufraghi delle tempeste? Le soglie dorate sono al buio, nessuno le illuminerà. Ma, anche così, attraverso di loro, poveri e disperati incontreranno un pertugio verso la vita.

* Scrittore e giornalista cubano

I suoi romanzi sono stati tradotti in una dozzina di lingue e la sua ultima opera, «La neblina del ayer», ha vinto il Premio Hammet come miglior romanzo poliziesco in spagnolo nel 2005.

Copyright IPS Traduzione di Leonardo Sacchetti




Pubblicato il: 12.09.07
Modificato il: 12.09.07 alle ore 13.07   
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