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Autore Discussione: Questa è la «Madre» di tutte le riprese senza lavoro.  (Letto 1959 volte)
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« inserito:: Giugno 28, 2011, 05:47:28 pm »

Questa è la «Madre» di tutte le riprese senza lavoro.


    Questa è la «Madre» di tutte le riprese senza lavoro. E, quel che è peggio, l'America difficilmente tornerà a creare occupazione al ritmo considerato normale fino a 20 anni fa. Troppi cambiamenti strutturali dell’economia e del sistema finanziario lo impediscono. Vittima eccellente del nuovo scenario sarà probabilmente Barack Obama che, con la disoccupazione ancora sopra l'8% nel novembre 2012, non sarà rieletto presidente degli Stati uniti. Lo sostiene Allen Sinai, uno degli economisti più ascoltati sia a Washington sia a Wall Street, fondatore della società di ricerca e consulenza Decision economics. È sua la stima dell'8,1% di disoccupati fra un anno e mezzo negli Usa. Ne ha parlato con CorrierEconomia , spiegando che l'unico modo per contrastare questa tendenza sarebbe ridurre sensibilmente il costo del lavoro. Mentre sui problemi del vecchio Continente la sua ricetta è semplice: un'area dell'euro più piccola — senza Grecia e i Paesi più deboli, ma con l'Italia — avrebbe migliori prospettive di crescita.
    Le aziende Usa hanno in cassa 3 mila miliardi di dollari di liquidità, ma non assumono: perché?
    «Per tre motivi: il costo del lavoro è troppo alto; sono disponibili a prezzi molto bassi tecnologie che sostituiscono manodopera; le prospettive per l'economia non appaiono buone. Questa è la ripresa più debole, con una crescita del Pil solo del 3% nel primo anno e del 2,5% in media nel 2011: ben sotto il balzo del 6,8% tipico del primo anno in tutti i cicli precedenti, quando, a partire dal sesto mese dalla fine della recessione, si creavano oltre 100 mila nuovi posti di lavoro ogni 30 giorni. Tutto è cambiato con gli anni 90».
    Che cosa è successo?
    «Nel 1991 e nel 2001, alla fine delle due ultime recessioni, c'è voluto molto più tempo perché la ripresa del mercato del lavoro fosse robusta: rispettivamente 13 e 27 mesi. Oggi siamo al 24° mese dalla fine ufficiale della recessione più grave dalla Grande Depressione e la disoccupazione è ancora al 9,1%, poco sotto il 9,5% del giugno 2009. Le aziende hanno cambiato modo di operare».
    Come?
    «Abbracciando il mantra di massimizzare il valore degli azionisti, che spesso sono anche i loro manager, le aziende sono sempre più attente a ridurre i costi. Poiché i costi maggiori riguardano la manodopera, sono riluttanti ad assumere. Inoltre hanno trovato nuove fonti di crescita nei mercati emergenti: è lì che investono».
    Responsabile dell'attuale malessere è dunque la ricerca del massimo profitto?
    «Non voglio dare giudizi di valore. Osservo solo che se continuerà a esserci un forte aumento dei profitti aziendali, mentre il mercato del lavoro resta in cattivo stato, i problemi socio-politici dell'America si aggraveranno con il rischio di conflitti sociali».
    Obama ha creato una task force, guidata dal ceo di GE Jeff Immelt, per studiare come creare nuovi posti di lavoro. Un'idea è rimpatriare una parte dell’industria manifatturiera trasferita all'estero: è realistico?
    «È irreversibile lo spostamento di molte fabbriche verso la Cina e gli altri Paesi che hanno un costo del lavoro molto basso. Gli occupati nell'industria manifatturiera, oggi il 9% del totale, la metà di dieci anni fa, possono risalire al 10-12%, anche grazie al dollaro debole che spinge gli stranieri a investire in certe produzioni qui in America. Ma non oltre. Crescerà di più l'occupazione in settori come la salute e il tempo libero».
    L'innovazione tecnologica non può aiutare?
    «Le aziende come Google o Amazon stanno assumendo ingegneri ed esperti di software. Le aree con molte imprese hi-tech, come il Texas, il Massachusetts e il nord della California, registrano un aumento dell’occupazione in questi settori. E chi ci lavora sta guadagnando stipendi e benefit più ricchi. Ma per il resto le nuove tecnologie fanno aumentare produttività e profitti, che non si traducono in nuovi posti di lavoro e anzi deprimono i salari reali di tutti gli altri settori».
    Non sembra esserci via d'uscita…
    «Con la disoccupazione alta, meno soldi da spendere e molti debiti da ripagare, i consumatori non possono più essere il traino dell'economia Usa. E si avvia così un ciclo vizioso: meno consumi, meno crescita economica, meno assunzioni».
    Si può rompere questo ciclo?
    «È molto difficile, anche perché Obama non ha più soldi, dopo che lo stimolo da 800 miliardi di dollari, incentrato sulla spesa pubblica, non è riuscito a trasformarla in volano per la spesa dei privati. Una ricetta ci sarebbe: il taglio permanente dei contributi previdenziali a carico dei dipendenti e delle aziende, per abbattere il costo del lavoro, compensato da un aumento dell'età per andare in pensione e altre modifiche per non far crollare il sistema. E tagli al debito pubblico, partendo dalle spese militari e da quelle di parecchie agenzie federali. L'effetto netto sarebbe molto stimolante per l'economia».
    Obama lo farà?
    «Non credo. Ma se non fa qualcosa è come se accettasse la sconfitta nel 2012. Ed entro la fine del 2012, se il debito pubblico Usa continua a crescere a questo ritmo insostenibile, può scatenarsi una nuova crisi finanziaria: a un certo punto gli investitori smetteranno di comprare prima i titoli di Stato e poi le azioni Usa».
    E l'Europa?
    «L'euro e i tassi sono troppo alti e il default della Grecia è inevitabile: non dovrebbe essere permesso che per salvarla si usi un terzo di tutti i fondi destinati a sostenere il sistema monetario unico. Un'area euro più piccola, con Germania, Francia e Italia, senza i Paesi con gravi problemi fiscali come la Grecia — e forse senza Portogallo e Irlanda — risolleverebbe i mercati».

    RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/edicola/economia.jsp?path=TUTTI_GLI_ARTICOLI&doc=C
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